A lorenzo Artico



Yüklə 1,35 Mb.
səhifə13/24
tarix12.09.2018
ölçüsü1,35 Mb.
#81507
1   ...   9   10   11   12   13   14   15   16   ...   24

Dialogo sì/Dialogo no


A Torino sembra di essere tornati al tempo del sequestro Moro: c’è un partito del dialogo e un partito della fermezza verso gli squat e i centri sociali. C’è chi chiede il dialogo, ma solo fino al venerdì prima del corteo, per poi irrigidirsi il giorno dopo; c’è chi al dialogo crede e rischia di perderci la poltrona da assessore, come una parte di Rifondazione Comunista o i Verdi del consigliere regionale Pasquale Cavaliere; c’è chi vorrebbe dividere gli esagitati dai moderati: come Sergio Chiamparino, deputato torinese del Pds, “isolare i violenti consentendo all’ala moderata del movimento di emergere” e lo stesso giornalista Genco (che consiglia un'epurazione all'interno degli stessi squat), e ovviamente c’è chi lo rifiuta: il Polo, la Lega Nord, e chi se ne frega e pensa solo ai suoi negozi: l’Ascom.

L’unica iniziativa un po’ concreta è la proposta che matura dopo la morte di Massari, fatta da Giorgio Cremaschi, Giovanni De Luna, Marco Revelli, Nicola Tranfaglia, Don Luigi Ciotti, Pasquale Cavaliere, Stefano Alberione e Vanna Lorenzoni: costruire uno spazio aperto, libero, di confronto e di discorso, entro cui misurare con franchezza, anche con durezza, le rispettive ragioni, ma nel rispetto reciproco. La proposta è in sé poco realistica, perché c’è poco spazio di dialogo, gran parte degli squat non lo vogliono, vogliono solo essere lasciati in pace, e chi forse lo vorrebbe avrebbe effettivamente poco da dire. Il ruolo che viene fatto calzare ai centri sociali, quello di essere gli interpreti di un disagio sociale vasto, della disoccupazione giovanile e dell’esclusione sociale è troppo largo per spalle così strette. Nelle intelligenze più lucide vorrebbero esserlo, ma la realtà è diversa per quanto ci si voglia autorappresentare.

Le posizioni più ridicole appaiono nei giorni successivi all’aggressione ai giornalisti. Dice Don Ciotti “Dialogo sì, ma solo se si rispetta la legalità”. Ma se si rispettasse la legalità, che bisogno ci sarebbe di dialogo? Nessuno osa chiederglielo. Ma tanto lui parla agli altri cittadini, non è certo una proposta reale.

E poi c’è chi sulla questione del dialogo si gioca la sua identità politica. Il Centro Sociale dei Murazzi (cioè la vecchia autonomia anni ’80) pone le sue condizioni al dialogo: 1) non essere scambiati per chi, come nel nord-est, fa il consigliere nella Giunta Cacciari o fa il consulente a Roma per la Ministra Turco sulle politiche giovanili; 2) libertà per i due squatters ancora in carcere; 3) libertà per tutti i detenuti politici degli anni ’70… E qui è già finita: da quando un sindaco, anche con tutta la sua buona volontà, può dare un’amnistia?

L’unico un po’ disposto al dialogo sembra il Centro Sociale Gabrio, l’unico che potrebbe provare ad aprire una vertenza sociale. Ma bisognerebbe rompere di nuovo con le realtà autoreferenziali, e non avrebbe senso dopo aver fatto tanto per essere riaccolti negli “squat buoni”.

Per dialogare bisogna essere in due.”, così si era espresso il sindaco Valentino Castellani.


Un dialogo sbandierato da tutti fino al giorno prima di un corteo “pericoloso”, che resiste alla “prova” di un pestaggio di sette giornalisti, e che si arena per qualche decina di vetri rotti e di scritte, è un dialogo debole. Il giorno dopo il corteo, di quel dialogo (mai iniziato, mai concretizzato) di cui tutti si sono riempiti la bocca cosa resta? Niente! Un assessore che era andato al corteo viene sospeso fino a quando non presenta le scuse al sindaco (cosa che fa per non creare danni politici assurdi), chi ha tirato sassi sul Palazzo di Giustizia sarà accusato del reato di devastazione, la Città di Torino si costituirà parte civile.

Ci sarà mai l’Assemblea richiesta in fretta e furia da Revelli & C., unica concretizzazione di questo dialogo? Non crediamo, o comunque sarà molto sottodimensionata.



Zero dialogo


Bisogna farci i conti: in città (in ogni città) c’è una piccola minoranza di persone che non vogliono dialogare, non stanno nella legalità, non la riconoscono, né riconoscono il valore del dialogo. Utilizzano canali di comunicazione propri e diversi, sono al tempo stesso autoreferenziali, esclusi, marginali, culturalmente integrati, anzi all’avanguardia. Così a Torino, in una dimensione un po’ particolare perché fortemente “ideologizzati” in senso anarchico.

Qui ognuno gioca il suo ruolo: è giusto che ci sia qualcuno che cerchi comunque di tenere aperto il dialogo per evitare guai peggiori, anche perché qualche canale lo si lascia sempre (non ci si taglia mai tutti i ponti alle spalle in questa società dove farsi male costa troppo), ed è giusto che a giocare questo ruolo sia anche chi ha cariche istituzionali anche se sarebbe necessario trovare interlocutori riconosciuti da tutti (come è stato Primo Moroni a volte a Milano), uomini e donne “di frontiera”.

Però bisogna sapere che, almeno apertamente, gli squatter non vogliono dialogare, e di questo rifiuto, di questa estraneità ed esternità alla società fanno la loro forza (limitata) identitaria.

Una città moderna deve sapere che non basta avere un assessorato alla gioventù per poter parlare a tutti. Spesso funzionano meglio i canali informali, che a volte non sono neanche sufficienti.

Questo rifiuto al dialogo, anche duro, è un limite, un’autoghettizzazione? Certo, è evidente. Ma bisogna tenerne conto. Specialmente in momenti di alto valore simbolico.


Lo spettacolo al culmine: Torino, sabato 4 aprile, uno strano corteo


Sabato 4 aprile 1998 a Torino si svolge il “corteo nazionale dei centri sociali” contro la repressione, per la libertà dei due anarchici ancora in carcere, per protestare contro la morte di Massari. È un corteo strano. Blindato è blindato. È grosso, più di quanto ci si aspettasse: oltre cinquemila persone. È diviso trasversalmente in molte parti: la prima divisione è tra squatter, anarchici, centri sociali dell’area dell’autonomia, e poche altre persone (Rifondazione Comunista, sindacalisti, Revelli, Cavaliere e l’assessore al bilancio Alberione). Alla testa c’è un nucleo ampio di persone fortemente motivate, ferite e furenti per la morte di Massari, giudicata un vero assassinio di Stato. Ci sono poi moltissime persone che sono venute a manifestare contro questa morte assurda e criminale e contro il clima di caccia alle streghe che si vive in città. Ma l’impressione è che molte altre siano lì perché è l’unica manifestazione nazionale dell’area dei centri sociali di quest’anno. Molti di questi sembrano aver creduto alla rappresentazione data dai media del clima da anni ’70 di Torino. L’impressione è che a questa parte della morte di Massari interessi un po’ poco, sia davvero un’occasione.

Il corteo non doveva finire in scontri, questa era la “linea” passata dopo molte discussioni: la ridotta galassia “antagonista” non avrebbe retto lo scontro, e così è andata. Liberi di sfogarsi contro il nuovo Palazzo d’in-Giustizia, che come da previsione viene investito di un fitto lancio di pietre. Nessuno si oppone alla rottura dei suoi vetri: tutti sembrano condividere che una vita spezzata vale ben cento vetrate, e d’altra parte sono tutti quasi convinti che la città può pagare questo pedaggio: in cambio “salva” il centro. Il Palazzo di Giustizia, una piccola Bastiglia di Torino?




Yüklə 1,35 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   9   10   11   12   13   14   15   16   ...   24




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin