Guerra giudaica



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LIBRO I

CAPITOLO TERZO

Libro I:70 - 3, 1. Dopo la morte del padre, il maggiore di essi, Aristobulo, avendo trasformato il potere in un vero e proprio re­gno, fu il primo a cingersi del diadema 471 anni e 3 mesi dopo che il popolo era tornato in patria liberatosi dalla schiavitù babilonese.


Libro I:71 Uguali onori assegnò ad Antigono, quello dei fratelli che veniva dopo di lui e a cui sembrava molto attac­cato, mentre tutti gli altri li gettò in catene. Imprigionò anche la madre che era venuta in contrasto con lui per il potere ­Giovanni infatti l'aveva lasciata arbitra di tutto - e giunse a tal punto di ferocia da farla morire di fame nel carcere.
Libro I:72 - 3, 2. Il castigo lo raggiunse nella persona del fratello Antigono, che egli amava e aveva fatto partecipe del potere regale; uccise infatti anche costui a seguito di calunnie che malvagi cortigiani avevano inventate. Da principio Aristobulo non prestò fede alle dicerie, perché voleva bene al fratello e attri­buiva all'invidia molte delle invenzioni.
Libro I:73 Ma una volta che Anti­gono, fulgente delle sue armi, tornò da una spedizione per partecipare alla festa in cui, secondo il rito patrio, s'innalzano tabernacoli al Dio, accadde che in quei giorni Aristobulo fosse ammalato; alla fine della cerimonia Antigono, salito al tempio attorniato dalla sua guardia e col massimo splendore della pompa, fece una speciale preghiera per la salute del fratello.
Libro I:74 Allora i cortigiani malvagi andarono a riferire al re l'accompagnamento del corpo di guardia e il comportamento di Antigono, troppo superiore a quello di un cittadino privato, e ag­giunsero che stava per arrivare con una numerosissima schiera per assassinarlo. Infatti non si accontentava più del solo onore regale, potendo impadronirsi del regno.
Libro I:75 - 3, 3. Un po' alla volta, e a suo malgrado, Aristobulo prestò fede a queste insinuazioni, e preoccupandosi sia di non dare a vedere di essere in sospetto, sia di garantirsi di fronte a ogni dubbio, sistemò le sue guardie in un sotterraneo buio - allora giaceva a letto nella fortezza chiamata Baris, che poi fu detta Antonia -, comandò di non toccare Antigono se era disar­mato, di ucciderlo se si presentava in armi, e mandò a dirgli di venire senz'armi.
Libro I:76 Allora con somma malvagità la regina or­disce una trama con i cospiratori; persuadono gli inviati a tacere il messaggio del re, e a dire invece ad Antigono che il fratello, avendo saputo che in Galilea egli si era procurata una bellissima armatura e ornamenti guerreschi, e non potendo per la malattia venire ad ammirarli, lo avrebbe ora assai volentieri visto in armi dato che stava per mettersi in campagna.
Libro I:77 - 3, 4. Udito ciò Antigono, poiché la disposizione d'animo del fratello non lasciava sospettare nulla di male, andò tutto armato come per una parata. Arrivato al passaggio buio, che si chiamava Torre di Stratone, fu ucciso dalle guardie, dando una prova sicura che la calunnia tronca ogni vincolo di affetto e di natura, e che nessun buon sentimento è tanto saldo da resistere fino in fondo all'invidia.
Libro I:78 - 3, 5. A questo proposito è da ricordare lo strano caso di un tal Giuda, Esseno di stirpe, che non s'era mai sbagliato nelle sue predizioni; questi nel vedere allora Antigono pas­sare per il tempio, rivoltosi agli amici, - stavano infatti seduti presso di lui non pochi discepoli -, esclamò:
Libro I:79 “Ahimè, è ben tempo che io muoia se già è morta la verità e una delle mie predizioni risulta vana; ecco infatti che Antigono è ancora in vita mentre avrebbe dovuto morire oggi. Il luogo della sua uccisione avrebbe dovuto essere la Torre di Stratone, una lo­calità che dista da qui seicento stadi; ma è già l'ora quarta del giorno - il tempo esclude che si realizzi il vaticinio”.
Libro I:80 Ciò detto, il vecchio s'immerse in una cupa meditazione, ma poco dopo si sparse la voce che Antigono era stato ucciso in un luogo sotterraneo, che si chiamava anch'esso Torre di Stra­tone come (allora l'odierna) Cesarea a Mare. Questa omonimia aveva fatto confondere il vate.
Libro I:81 - 3, 6. Ad Aristobulo il rimorso per il delitto fece ben presto aggravare la malattia, e con l'animo sempre sconvolto per la coscienza dei crimine si struggeva finché, laceratesi le visceri per l'irrefrenabile strazio, vomitò una grande quantità di san­gue.
Libro I:82 Mentre lo portava via, uno dei paggi addetti al servizio, per divino volere, scivolò proprio nel luogo dove Antigono era stato ucciso, e versò il sangue dell'uccisore sulle chiazze ancora visibili del sangue dell'ucciso.
Libro I:83 Udito il grido, il re ne chiese la ragione, e poiché nessuno osava dirgliela tanto più insisteva per saperla; alla fine cedettero alle sue minacce e in­giunzioni e gli dissero la verità. Quello ebbe gli occhi pieni di lacrime e, gemendo con quanta forza aveva, disse:
Libro I:84 “Non po­tevo tener celate al grande occhio di Dio le mie opere nefande, ed ecco che rapido mi colpisce il castigo per l'uccisione del fratello. Fino a quando, o mio corno scellerato, racchiuderai l'anima che deve render conto al fratello e alla madre? Fino a quando dovrò fare a loro libagioni del mio sangue a goccia a goccia? Tutto in una volta lo prendano, e il Dio non li scher­nisca più con le libagioni delle mie viscere”. Ciò detto, subito spirò, dopo non più di un anno di regno.

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