LIBRO I CAPITOLO TRENTADUESIMO
Libro I:620 - 32, 1. Il giorno dopo, il re convocò il tribunale dei parenti e degli amici, e fece intervenire anche gli amici di Antipatro. Teneva la presidenza insieme con Varo, e comandò d'introdurre tutti gli accusatori, fra cui vennero condotti anche alcuni servi della madre di Antipatro catturati poco prima mentre portavano al figlio una sua lettera così concepita: “Poiché tutte quelle cose sono state scoperte da tuo padre, non presentarti a lui, se non ottieni un appoggio da Cesare”.
Libro I:621 Quando anche questi furono introdotti insieme con gli altri, entrò Antipatro e prostratosi ai piedi del padre disse: “Ti scongiuro, padre, di non condannarmi in anticipo, ma di porgere senza prevenzione l'orecchio alla mia difesa; se tu vorrai, dimostrerò la mia innocenza”.
Libro I:622 - 32, 2. Ma Erode gli gridò di tacere e disse a Varo: “Io son certo che tu, Varo, e ogni giudice dabbene giudicherete Antipatro un uomo perduto; ma io temo che tu tenga in disprezzo anche la mia sorte e mi consideri degno di qualsiasi sventura per aver generato figli di questa risma. E invece dovete compatirmi di più perché a individui così pestiferi sono stato padre anche assai amoroso.
Libro I:623 La volta precedente, io trovai che avevano congiurato contro di me due figli che ancor giovani avevo giudicato degni di regnare e fatto educare a Roma e innalzato all'amicizia di Cesare e reso invidiabili agli altri re. La loro condanna a morte giovava specialmente ad Antipatro; soprattutto a lui, che era giovane e designato alla successione, io davo in tal modo la sicurezza.
Libro I:624 Ma questa immonda bestiaccia, ingrassata a spese della mia pazienza, ha rivolto contro di me la sua sazietà; gli sembrò infatti che io vivessi troppo a lungo, e gli fu molesta la mia tarda età e ritenne di non poter diventare re, se non uccidendo il padre: e giustamente, perché io, richiamatolo dalla campagna, dove viveva relegato, e allontanati i figli che mi erano nati da una regina, lo nominai successore al trono.
Libro I:625 Io ti confesso, Varo, la mia pazzia; fui io stesso a istigare contro di me quei figli troncando per amore di Antipatro le loro legittime speranze. E quando mai feci tanto bene a quelli quanto a costui? Al quale mancava poco che io, pur essendo ancor vivo, cedessi lo scettro, e lo designai pubblicamente nel testamento come successore al trono e gli assegnai una rendita personale di cinquanta talenti, e gli misi generosamente a disposizione i miei beni e per il recente viaggio a Roma gli ho dato trecento talenti e, solo fra i miei figli, l’ho raccomandato a Cesare come salvatore del padre.
Libro I:626 Ma quale empietà quelli hanno commesso come Antipatro? Quale prova fu addotta contro di loro come quella che convince costui di cospirazione?
Libro I:627 Eppure il parricida ha avuto l'ardire di aprir bocca e crede di poter nascondere ancora una volta la verità con le sue male arti. Sta in guardia, Varo; perché io conosco questo farabutto e prevedo che riuscirà ad esser convincente e a fingere la disperazione. Questo è colui che una volta mi consigliava di guardarmi da Alessandro, quando ancora viveva, e di non affidare a chiunque la mia vita; questo è colui che mi accompagnava fino al letto e controllava che tutt'intorno non vi fosse qualche attentatore, questo il custode dei sonni tranquilli e il dispensatore della serenità, il consolatore della mia afflizione per gli uccisi, il giudice dei sentimenti dei fratelli ancor vivi, il mio scudiero, la mia guardia del corpo!
Libro I:628 Quando io ritorno con la memoria, Varo, all'astuzia e all'ipocrisia che lui metteva in ogni cosa, perdo la fiducia nella vita e mi meraviglio di esser riuscito a sfuggire a un insidiatore così abile. Ma poiché un demone vuota la mia casa e sempre mi priva delle persone a me più care, io lamenterò l'iniquo destino e compiangerò dentro di me di esser rimasto solo, ma nessuno che abbia avuto sete del mio sangue troverà scampo, anche se tutti i miei figli dovessero risultare colpevoli”.
Libro I:629 - 32, 3. Mentre così diceva, dovette interrompersi per l'emozione, e fece segno a Nicola, uno degli amici, di sviluppare le prove. Ma Antipatro, che stava ancora prostrato ai piedi del padre, levò il capo e gridò: “La mia difesa, padre, l'hai fatta tu stesso.
Libro I:630 Come posso essere un parricida io, che tu affermi di aver avuto sempre tuo difensore? Il mio attaccamento filiale tu lo chiami menzogna e ipocrisia. Come sarei stato così astuto nelle altre cose, se poi non riuscivo a capire che né era facile nascondere agli uomini la macchinazione di una simile nefandezza, né era possibile nasconderla al giudice celeste, che tutto vede e dappertutto è presente?
Libro I:631 Non sapevo che fine avevano fatto i miei fratelli, che Dio punì in quel modo per i loro empi progetti a tuo danno? E poi, che cosa mi avrebbe potuto istigare contro di te? La speranza di regnare? Ma io già regnavo! Il sospetto di essere odiato? Ma non ero amato? Qualche altro timore da parte tua? Ma conservando te, io incutevo timore in tutti gli altri!
Libro I:632 Il bisogno di denaro? Ma chi ne poteva spendere di più? Anche se io, padre, fossi stato il più perverso di tutti gli uomini e avessi avuto il cuore di una bestia feroce, non sarei stato commosso dai tuoi benefici quando, come hai detto, mi richiamasti dall'esilio e mi preferisti a tanti figli nominandomi re mentre eri ancora in vita, e mi rendesti invidiabile per tutti gli altri enormi favori?
Libro I:633 Me misero per quell'amara lontananza, ché troppo campo lasciai all'invidia e troppo tempo agli avversati! Ma fu per te, padre, e per il tuo processo che io mi allontanai, perché Silleo non potesse fare ingiuria alla tua età veneranda. Testimoni del mio affetto filiale sono Roma e Cesare, il padrone dell'universo, che mi ha spesso chiamato col nome di Filopatore (amante del padre). Prendi queste sue lettere, padre. Esse sono più degne di fede delle accuse che ho trovate qui, esse sono la mia unica difesa, esse sono la prova del mio attaccamento verso di te.
Libro I:634 Ricordati con quanta riluttanza m'imbarcai, conoscendo l'ostilità contro di me che si celava nel regno. Allora fosti tu, o padre, che, pur non volendo, mi rovinasti, costringendomi a lasciare all'invidia l'opportunità di calunniarmi. Ma eccomi dinanzi agli accusatori, arrivato dopo un lungo viaggio per terra e per mare senza che al parricida sia capitato niente di male.
Libro I:635 Io però non voglio che tu ti basi su quest'indizio per tornare a volermi bene, perché sono stato condannato e dinanzi a Dio e dinanzi a te, padre. Ma, pur condannato, io imploro che non si presti fede alle rivelazioni strappate ad altri con la tortura, ma che contro di me si porti il fuoco, nelle mie viscere s'introducano i ferri, non si abbia pietà di questo corpo immondo; perché, se sono un parricida, io non debbo morire senza tormenti”.
Libro I:636 Gridando queste parole fra gemiti e lacrime, mosse a compassione tutti, compreso Varo; solo Erode resistette alle lacrime per la collera e perché sapeva che le prove erano vere.
Libro I:637 - 32, 4. A questo punto, per ordine del re, Nicola prese a parlare, e dopo aver ampiamente tratteggiato il carattere astuto di Antipatro e fugata l'atmosfera di pietà nei suoi riguardi, si dilungò in un aspro atto di accusa attribuendogli tutti i misfatti commessi nel regno e soprattutto l'uccisione dei fratelli, dimostrando che questi erano periti per colpa sua. Aggiunse che egli tramava anche contro i fratelli superstiti perché gli insidiavano la successione; infatti uno che aveva preparato il veleno contro il padre come si sarebbe astenuto dall'attentare alla vita dei fratelli?
Libro I:638 E, venuto all'accusa di veneficio, passò in rassegna ad una ad una tutte le prove e, a proposito di Ferora, espresse la sua indignazione che Antipatro fosse riuscito a far di lui un fratricida e, corrompendo tutte le persone più care al re, avesse colmato di empietà tutta la casa. Dopo molte altre accuse e prove addotte a sostegno, mise fine al suo discorso.
Libro I:639 - 32, 5. Varo ordinò ad Antipatro di discolparsi e poiché quello, limitandosi a dire: “Dio mi è testimone che non sono colpevole”, rimase a giacere in silenzio, fece portare il veleno e lo fece bere a un prigioniero condannato a morte.
Libro I:640 Costui immediatamente morì e Varo, avuto un colloquio segreto con Erode, e scritto un rapporto a Cesare sul processo, il giorno dopo partì; il re gettò in catene Antipatro e mandò un'ambasceria a Cesare per informarlo della propria sventura.
Libro I:641 - 32, 6. In seguito, si scoprì che Antipatro aveva cospirato anche contro Salome. Infatti arrivò da Roma un servo di Antifilo con una lettera di un'ancella di Livia, di nome Acme. Questa scriveva al re di aver trovato fra le carte di Livia alcune lettere di Salome e gliele inviava nascostamente per la simpatia che nutriva per lui.
Libro I:642 Le lettere di Salome contenevano i più ingiuriosi insulti contro il re e uno spietato atto di accusa contro di lui; ma erano una falsificazione di Antipatro, che aveva corrotto Acme perché le facesse avere ad Erode.
Libro I:643 La sua colpevolezza fu provata da una lettera in cui Acme gli scriveva: “Secondo il tuo volere, ho scritto a tuo padre trasmettendogli quelle lettere ed esortando il re a non aver pietà della sorella quando le avesse lette. Farai bene, quando tutto sarà sistemato, a ricordarti delle promesse”.
Libro I:644 - 32, 7. Scoperta questa lettera, e quelle falsificate contro Salome, al re balenò il sospetto che anche le lettere contro Alessandro fossero un falso, e si rattristò al pensiero che per poco non aveva ucciso anche la sorella per colpa di Antipatro; perciò non rinviò d'infliggergli il castigo per tutte le sue colpe.
Libro I:645 Ma quando stava per procedere contro Antipatro, ne fu impedito da una grave malattia; intanto scrisse a Cesare riguardo ad Acme e alle manovre contro Salome.
Libro I:646 Chiesto il testamento, lo ritoccò e nominò re Antipa lasciando da parte Archelao e Filippo che erano più grandi, ma che erano stati anch'essi calunniati da Antipatro; a Cesare, oltre i doni in natura, lasciò mille talenti, circa cinquecento alla moglie, ai figli, agli amici e ai liberti di lui: agli altri suoi figli assegnò non piccole estensioni del territorio e denari; ma dei doni più splendidi fece omaggio alla sorella Salome. Queste dunque le correzioni apportate al testamento.
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