Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO NONO

Libro II:167 - 9, 1. Dopo che l'etnarchia di Archelao fu trasformata in provincia, gli altri, cioè Filippo ed Erode, detto Antipa, con­tinuarono a governare le loro tetrarchie. Salome invece morì, e lasciò in eredità a Giulia, la moglie di Augusto, la sua to­parchia con Iamnia e i palmeti di Fasaelide.


Libro II:168 Quando, alla morte di Augusto, che aveva regnato per cinquantasette anni sei mesi e due giorni, l'impero dei romani passò nelle mani di Tiberio figlio di Giulia, le tetrarchie rimasero in possesso di Erode e Filippo, e l'uno fondò una città di nome Cesarea presso le fonti del Giordano nella Paniade, e un'altra di nome Giuliade nella Gaulanitide inferiore; Erode fondò Tiberiade nella Galilea, e nella Perea un'altra città che ricordava il nome di Giulia.
Libro II:169 - 9, 2. Pilato, che Tiberio aveva inviato a governare la Giudea come procuratore, una notte introdusse in Gerusalemme avvolti in una copertura i ritratti dell'imperatore che sono chiamati immagini.
Libro II:170 Fattosi giorno, la cosa suscitò la più grande eccitazione fra i giudei; infatti a quella vista restarono subito costernati per l'offesa alle loro leggi - dato che essi non am­mettono che nella città sia eretta alcuna immagine -, e lo sdegno dei cittadini fece accorrere in massa la folla dal contado.
Libro II:171 Recatisi in tutta fretta da Pilato a Cesarea, lo pregarono di ri­muovere le immagini da Gerusalemme e di rispettare le loro tradizioni, e avendo Pilato risposto con un rifiuto, si proster­narono con la faccia a terra intorno alla sua residenza e vi re­starono immobili per cinque giorni e cinque notti.
Libro II:172 - 9, 3. Il giorno dopo Pilato, si assise sul suo tribunale nel grande stadio, ed essendo stata convocata la folla come se vo­lesse dar loro una risposta, fece ai soldati un segnale conve­nuto perché circondassero i giudei in assetto di combatti­mento.
Libro II:173 Rinchiusi da una schiera su tre righe, i giudei rimasero attoniti a quella vista inattesa, e Pilato minacciò che li avrebbe fatti massacrare se non avessero accolte le immagini di Cesare, e fece segno ai soldati di sguainare le spade.
Libro II:174 I giudei, come se si fossero messi d'accordo, si gettarono tutt'insieme in ginoc­chio e, protendendo il collo, dichiararono che erano pronti piuttosto a morire che a violare la legge. Pilato restò vivamente impressionato da un così intenso spirito religioso, e comandò di ritirate immediatamente le immagini da Gerusalemme.
Libro II:175 - 9, 4. Tempo dopo Pilato provocò un altro tumulto impiegando il tesoro sacro, che si chiama korbonàs, per un acque­dotto che faceva arrivare l'acqua da una distanza di quattro­cento stadi. La folla ribolliva di sdegno, e una volta che Pi­lato si trovava in Gerusalemme ne circondò il tribunale con grandi schiamazzi.
Libro II:176 Quello, che già sapeva della loro inten­zione di tumultuare, aveva sparpagliato fra la folla i soldati, armati e vestiti in abiti civili, con l'ordine di non usare le spade, ma di picchiare con bastoni i dimostranti, e a un certo punto diede il segnale.
Libro II:177 I giudei furono percossi, e molti morirono per i colpi ricevuti, molti calpestati da loro stessi nel fuggi fuggi. Terrorizzata dalla sorte delle vittime, la folla ammutolì.
Libro II:178 - 9, 5. In quel tempo Agrippa, figlio di Aristobulo, che era stato ucciso da suo padre Erode, si presentò a Tiberio per muovere accuse contro Erode il tetrarca. Tiberio non diede corso all'atto di accusa, e Agrippa rimase a Roma cercando d'ingraziarsi i potenti e soprattutto Gaio, il figlio di Germa­nico, che era ancora un privato.
Libro II:179 Una volta lo invitò a ban­chetto e, dopo avergli rivolto ogni sorta di omaggi, alla fine protese le mani e apertamente fece voti di poterlo presto ve­dere padrone dell'impero alla scomparsa di Tiberio.
Libro II:180 Uno dei suoi servi riferì la cosa a Tiberio, che tutto sdegnato impri­gionò Agrippa e gli fece fare sei mesi di carcere duro fino al giorno in cui morì, dopo aver regnato per ventidue anni, sei mesi e tre giorni.
Libro II:181 - 9, 6. Acclamato imperatore, Gaio liberò Agrippa e lo nominò re della tetrarchia di Filippo, che era Morto. Arrivato nei suoi domini, Agrippa per l'invidia suscitò le ambizioni del tetrarca Erode.
Libro II:182 Costui era stimolato al desiderio di diven­tare re soprattutto da sua moglie Erodiade, che ne biasimava l'inerzia e gli ripeteva che, per non aver voluto recarsi a Roma dall'imperatore, era rimasto privo di più larghi domini: “Se aveva fatto re Agrippa, un semplice privato, non avrebbe fatto re anche lui, che già era tetrarca?”.
Libro II:183 Spinto da questi discorsi, Erode si presentò dinanzi a Gaio, il quale però ne punì l'am­bizione esiliandolo nella Spagna. Infatti subito dopo di Erode era arrivato ad accusarlo Agrippa, a cui Gaio diede in aggiun­ta anche la tetrarchia dell'altro. Ed Erode morì nella Spagna, dove l'aveva accompagnato in esilio anche sua moglie.


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