CAPITOLO DECIMO
Libro II:184 - 10, 1. Gaio Cesare fu così intemperante verso la fortuna, da voler essere considerato e chiamato dio, da privare la patria del fior fiore della sua nobiltà, e da estendere la sua empietà anche fino alla Giudea.
Libro II:185 Infatti inviò Petronio con un esercito a Gerusalemme per collocarvi le sue statue nel tempio, dandogli ordine, se i giudei non le avessero volute introdurre, di uccidere chi avesse opposto resistenza e di ridurre in schiavitù tutto il resto della popolazione.
Libro II:186 Ma Dio vegliava contro tali ordini. Petronio, con tre legioni e con molte milizie ausiliarie della Siria, mosse da Antiochia contro la Giudea,
Libro II:187 mentre fra i giudei alcuni non credevano alle voci di una guerra e altri, che ci credevano, non vedevano una via di salvezza; ma ben presto il terrore si diffuse fra tutti perché l'esercito era già arrivato a Tolemaide.
Libro II:188 - 10, 2. Questa è una città costiera della Galilea che sorge all'ingresso nella grande pianura ed è circondata da catene di montagne: ad oriente, a sessanta stadi di distanza, dai monti della Galilea, a sud dal Carmelo, che dista centoventi stadi, a nord dai monti più elevati che gli abitanti dei luogo chiamano Scala dei Tiri e distano cento stadi.
Libro II:189 A circa due stadi dalla città scorre il fiume chiamato Beleo, assai piccolo, presso cui è la tomba di Memnone, che ha nelle vicinanze un luogo della misura di cento cubiti con una proprietà miracolosa.
Libro II:190 E’ una cavità rotonda che produce sabbia vetrosa, e quando le molte navi che vi approdano per caricare la svuotano, si riempie di nuovo perché allora i venti, come a un comando, vi ammucchiano dentro la sabbia comune che sta fuori, e la cavità immediatamente la trasforma tutta in vetro.
Libro II:191 Ma ciò che a me sembra ancora più meraviglioso è che il vetro che si riversa fuori da quel luogo si trasforma di nuovo in sabbia comune. Questa è la straordinaria proprietà di quel luogo.
Libro II:192 - 10, 3. I giudei con le mogli e i figli si raccolsero nella pianura di Tolemaide e supplicarono Petronio anzitutto in favore delle patrie leggi, poi di sé stessi. Egli, cedendo alle preghiere di questa immensa moltitudine, lasciò a Tolemaide le statue e l'esercito,
Libro II:193 ed entrato nella Galilea convocò il popolo e tutti i notabili a Tiberiade, dove parlò della potenza di Roma e delle minacce di Cesare per dimostrare che le loro richieste erano irragionevoli;
Libro II:194 infatti, poiché tutti gli altri popoli soggetti mettevano in ogni città accanto alle statue degli altri dei anche le statue di Cesare, il fatto che soltanto loro si opponessero a quest'uso era una specie di ribellione aggravata dall'offesa.
Libro II:195 - 10, 4. Quelli però adducevano la legge e il costume patrio, secondo cui non era lecito collocare nemmeno un'immagine di Dio, e tanto meno di un uomo, non soltanto nel tempio, ma neanche in qualunque luogo profano del paese. Allora Petronio li interruppe dicendo: “Debbo anch'io osservare la legge del mio padrone; se io la calpesto e vi risparmio, giustamente sarò messo a morte. Chi mi manda, non io, vi farà guerra; anch'io, come voi, debbo ubbidire”.
Libro II:196 Allora il popolo gridò di esser pronto ad affrontate ogni prova in difesa della legge. Fatto ristabilire il silenzio, Petronio domandò:
Libro II:197 “Allora, farete guerra a Cesare?”. I giudei risposero che due volte al giorno offrivano vittime sacrificali per Cesare e per il popolo romano, ma se lui voleva far collocare le sue statue nel tempio, avrebbe dovuto prima sacrificare tutto intero il popolo giudaico; insieme con le mogli e coi figli essi si sarebbero offerti pronti alla strage.
Libro II:198 A queste parole Petronio provò ammirazione e pietà per il loro insuperabile zelo religioso e per la ferma determinazione di affrontare la morte. E per il momento quelli furono licenziati senza che fosse presa alcuna decisione.
Libro II:199 - 10, 5. Ma nei giorni seguenti Petronio organizzò colloqui privati con i maggiorenti e pubbliche adunanze del popolo in cui fece ricorso ora ai consigli, ma per lo più alle minacce, mettendo in risalto la potenza dei romani, la collera di Gaio e l'impossibilità da parte sua di farvi fronte.
Libro II:200 Ma poiché i giudei non cedevano a nessuna pressione, quando s'avvide anche che le campagne minacciavano di restare senza semina, poiché era la stagione di seminare ma il popolo aveva trascorso inoperoso cinquanta giorni presso di lui, alla fine li radunò e disse:
Libro II:201 “Preferisco correre il rischio: o con l'aiuto di Dio convincerò Cesare e avrò la gioia di esser salvo insieme con voi, oppure, se egli si adirerà, sarò pronto a dare la mia vita per un così gran numero di persone”. Quindi sciolse l'assemblea che lo colmava di benedizioni e, ritirato l'esercito da Tolemaide, ritornò ad Antiochia.
Libro II:202 Di lì subito informò Cesare circa la sua spedizione in Giudea e le supplichevoli richieste della nazione, concludendo che, se non voleva perdere oltre agli uomini anche il paese, conveniva non violare la loro legge e lasciar cadere l'ordine dato.
Libro II:203 A questa lettera Gaio rispose in termini tutt'altro che pacati, minacciando di morte Petronio per la lentezza con cui eseguiva le sue disposizioni. Ma a coloro che portavano questo suo messaggio capitò di restare per tre mesi bloccati in mare dalle tempeste, mentre altri messaggeri con la notizia della morte di Gaio non ebbero disturbi durante la loro navigazione. Perciò Petronio ricevette questo secondo messaggio ventisette giorni prima dell'altro contenente le minacce.
Dostları ilə paylaş: |