CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Libro II:271 - 14, 1. Festo, che successe a Felice come procuratore, affrontò la piaga che più affliggeva il paese: catturò moltissimi briganti e non pochi ne mise a morte.
Libro II:272 Invece Albino, il successore di Festo, non resse il governo nello stesso modo, anzi non vi fu genere di abuso di cui non si macchiasse.
Libro II:273 Infatti non soltanto commetteva ruberie a danno di tutti nella trattazione dei pubblici affari, né si limitava a schiacciare tutto il popolo sotto il peso dei tributi, ma prendeva denaro per riconsegnare in libertà ai parenti quelli che per brigantaggio erano stati carcerati dalle autorità delle loro città o dai precedenti procuratori, sicché soltanto chi non pagava rimaneva in prigione come un delinquente.
Libro II:274 Allora a Gerusalemme crebbe l'ardire dei rivoluzionari poiché i loro capi comprarono per denaro Albino facendosi garantire da lui l'impunità per le loro macchinazioni, e la parte del popolo che non era amante dell'ordine passò dalla parte dei complici di Albino.
Libro II:275 Ogni farabutto, circondato da una propria banda, s'innalzava al di sopra dei suoi come un capobanda o un signorotto, e si serviva dei suoi scherani per angariare la gente dabbene.
Libro II:276 E mentre le vittime tacevano su quanto avrebbe dovuto essere oggetto delle loro più fiere proteste, chi non era stato colpito, per paura di subire la stessa sorte, arrivava anche a blandire coloro che invece avrebbero meritato un castigo. Insomma nessuno poteva più parlare senza timore, e, mentre la prepotenza dilagava, si gettavano i primi semi della futura distruzione della città.
Libro II:277 - 14, 2. Così era Albino, ma il suo successore, Gessio Floro, lo fece apparire al confronto un fior di galantuomo. Albino le sue ribalderie le aveva commesse per lo più nascostamente e per vie traverse, mentre Gessio si compiaceva di ostentare il suo disprezzo per i diritti della nazione, e come un boia arrivato per giustiziare dei condannati a morte, non si astenne da alcuna forma di ruberia e di vessazione.
Libro II:278 Nei casi pietosi era di una ferocia inaudita, nelle turpitudini il più sfrontato; nessuno più di lui gettò discredito sulla verità, né escogitò metodi più insidiosi nel commettere delitti. A lui sembrò piccolo guadagno quello che si poteva ricavare da un solo individuo, e perciò si diede a spogliare intere città e a taglieggiare popolazioni intere, e per poco non arrivò a bandire nel paese che tutti potevano fare i briganti purché a lui toccasse una parte del bottino.
Libro II:279 La sua cupidigia gettò la desolazione nelle città e fece sì che molti, abbandonando le avite dimore, si rifugiassero in paesi stranieri.
Libro II:280 - 14, 3. Fino a che Cestio Gallo, il governatore della Siria, rimase nella sua provincia, nessuno ebbe l'ardire di recarsi da lui a denunziare Floro; ma una volta che egli venne a Gerusalemme, in occasione della festa degli Azzimi, il popolo gli si affollò intorno - erano non meno di tre milioni di persone supplicandolo di aver pietà delle sofferenze della nazione e urlando che Floro era la rovina del paese.
Libro II:281 Floro, che era lì presente perché stava al fianco di Cestio, accolse quelle grida in atteggiamento di scherno. Cestio calmò i bollori della folla e, data assicurazione che avrebbe indotto Floro a comportarsi in futuro con più moderazione verso di loro, se ne ritornò ad Antiochia.
Libro II:282 Floro lo scortò fino a Cesarea, raggirandolo con ingannevoli promesse e pensando invece che ormai bisognava far scoppiare la guerra con i giudei, l'unico mezzo con cui sperava di tener nascoste le sue iniquità;
Libro II:283 infatti, se durava la pace, si aspettava che i giudei lo avrebbero accusato dinanzi all'imperatore, mentre se li avesse spinti alla rivolta, questa avrebbe rappresentato una colpa più grossa che avrebbe distolto dall'inquisire su colpe di minor conto. Allora, per fare insorgere la nazione, ne accrebbe le sofferenze ogni giorno di più.
Libro II:284 - 14, 4. Intanto i greci di Cesarea, che avevano ottenuto da Nerone il governo della città, arrivarono portando il testo della sentenza, e fu allora che ebbe inizio la guerra, l'anno dodicesimo del regno di Nerone, il diciassettesimo del regno di Agrippa, nel mese di Artemisio.
Libro II:285 Il pretesto da cui essa prese l'avvio non fu proporzionato agli immani disastri che provocò. I giudei di Cesarea, che avevano la sinagoga vicino a un terreno di proprietà di un concittadino greco, avevano più volte cercato di acquistate quel terreno offrendo un prezzo di gran lunga superiore al suo valore;
Libro II:286 ma quello non si era curato delle loro insistenza, anzi per dispetto costruì sul terreno impiantandovi delle officine e lasciando ai giudei una via d'accesso stretta e assai malagevole. Sul principio i giovani più focosi si fecero avanti ostacolando i lavori di costruzione.
Libro II:287 Ma poiché Floro intervenne a impedire le loro violenze, i notabili dei giudei, insieme con Giovanni il pubblicano, persuasero Floro con l'offerta di otto talenti a ordinare la sospensione dei lavori.
Libro II:288 Floro, che aveva promesso il suo appoggio solo per intascare la ricompensa, non appena l'ottenne partì da Cesarea alla volta di Sebaste, lasciando libero corso alle violenze, quasi avesse venduto ai giudei l'autorizzazione a regolare la questione con le armi.
Libro II:289 - 14, 5. Il giorno successivo era un sabato, e mentre i giudei si andavano raccogliendo nella sinagoga, un greco di Cesarea, un provocatore, collocò dinanzi all'ingresso un vaso capovolto e si mise a sacrificarvi sopra degli uccelli. Ciò mandò in bestia i giudei come un insulto alle loro leggi e una profanazione del luogo.
Libro II:290 Le persone di senno e amanti della pace sostenevano che bisognava rivolgersi alla autorità, mentre i più faziosi e quelli che avevano il sangue ribollente per la gioventù ardevano dal desiderio di menare le mani. Anche i più insofferenti tra i greci di Cesarea erano lì pronti ad azzuffarsi - avevano mandato apposta quel tale a mettere in burla il sacrificio - e ben presto si scatenò la mischia.
Libro II:291 Arrivò Giocondo, il comandante della cavalleria incaricato di impedire gli scontri, che fece togliere di mezzo il vaso e cercò di mettere fine ai disordini. Ma rimase sopraffatto dalla violenza dei cittadini di stirpe greca, e allora i giudei afferrarono il libro delle leggi e si ritirarono a Narbata, come si chiamava un loro distretto sito alla distanza di sessanta stadi da Cesarea;
Libro II:292 invece dodici dei loro capi, compreso Giovanni, si recarono da Floro a Cesarea per lamentarsi di quanto era accaduto e chiedergli soccorso, ricordandogli con una certa delicatezza gli otto talenti. Ma Floro li fece arrestare, incolpandoli di aver portato via da Cesarea i libri della legge.
Libro II:293 - 14, 6. La cosa provocò un grave risentimento a Gerusalemme, ma ancora gli animi non esplodevano; allora Floro, come se si fosse assunto l'incarico di far scoppiare la guerra, mandò a prelevare dal tesoro sacro diciassette talenti col pretesto che servivano per l'amministrazione imperiale".
Libro II:294 Immediatamente il popolo si rivoltò, e accorrendo al tempio invocava ad alte grida il nome di Cesare supplicandolo di liberarlo dalla tirannia di Floro.
Libro II:295 Alcuni dimostranti rivolsero all'indirizzo di Floro gli insulti più infamanti e, andando in giro con un canestro, fecero una colletta a suo favore come si trattasse di un povero miserabile. Ma in questo modo non stornarono la sua avidità, anzi lo spinsero ancor più al desiderio di accumulare ricchezze.
Libro II:296 Infatti, mentre avrebbe dovuto recarsi a Cesarea per spegnere l'incendio della guerra che ivi aveva preso a divampare, ed eliminare le cause dei disordini, per cui aveva anche intascato un compenso, egli si presentò a Gerusalemme. con forze di fanteria e cavalleria per realizzare il suo intento con le armi dei romani e spogliare la città col terrore e le minacce.
Libro II:297 - 14, 7. Il popolo, volendo fargli provar vergogna per il suo modo di agire, andò incontro ai soldati con acclamazioni di giubilo e si apparecchiò a fare a Floro una riguardosa accoglienza.
Libro II:298 Ma quello mandò avanti il centurione Capitone con cinquanta cavalieri a ordinar loro di ritirarsi, e di non fingere amichevoli sentimenti verso chi avevano ingiuriato con tanti vituperi;
Libro II:299 se erano uomini coraggiosi e franchi nel parlare dovevano beffarlo anche allora che egli era lì presente, e mostrare il loro amore per la libertà non solo a parole, ma con le armi in pugno.
Libro II:300 Atterrita da queste parole, e caricata dai soldati a cavallo di Capitone, la folla si disperse prima di aver salutato Floro o di aver dimostrato ai soldati le sue pacifiche intenzioni. Ritornarono alle loro case e passarono una notte di terrore e di angoscia.
Libro II:301 - 14, 8. Floro prese alloggio nella reggia e il giorno dopo, avendo innalzato lì davanti il suo tribunale vi prese posto, mentre affluivano dinanzi a lui i sommi sacerdoti e i notabili e la parte più eletta della cittadinanza.
Libro II:302 A costoro Floro comandò di consegnargli chi lo aveva ingiuriato, minacciando che si sarebbe vendicato su di loro, se non avessero tradotto dinanzi a lui i colpevoli. Quelli risposero che il popolo era animato da sentimenti pacifici, e chiesero perdono per coloro che gli avevano rivolto espressioni irriguardose.
Libro II:303 In una folla tanto numerosa non era meraviglia che vi fossero alcuni elementi troppo temerari e irresponsabili per la giovane età, e così sarebbe stato impossibile individuare i colpevoli perché si erano tutti pentiti e, per la paura, negavano di aver commesso i fatti imputati.
Libro II:304 Perciò, se egli era sollecito della pace della nazione e voleva conservare la città ai romani, conveniva che perdonasse ai pochi colpevoli per il gran numero degli innocenti, e non che facesse soffrire un buon popolo tanto numeroso per colpa di pochi malvagi.
Libro II:305 - 14, 9. A questi discorsi Floro s'infuriò ancora di più e diede ordine ai soldati di saccheggiare la piazza detta superiore e di uccidere chiunque incontrassero. I soldati, essendosi aggiunto alla loro brama di far bottino l'ordine del comandante, non soltanto saccheggiarono il luogo contro cui erano stati mandati, ma facendo irruzione in tutte le case ne massacrarono gli abitanti.
Libro II:306 La gente cercava di fuggire attraverso i vicoli, ma chi era preso veniva ucciso, e fu commessa ogni sorta di ruberia; furono presi anche molti dei moderati e condotti dinanzi a Floro, che dopo averli fatti flagellare li mise in croce.
Libro II:307 Il numero complessivo di coloro che in quel giorno perdettero la vita insieme con le mogli e i figli, poiché nemmeno i bambini vennero risparmiati, fu di tremilaseicento.
Libro II:308 Il disastro fu aggravato dall'inconsueta ferocia dei romani: Floro infatti ebbe l'ardire di fare ciò che nessuno prima di lui aveva osato, ordinare che venissero fustigate dinanzi al suo tribunale e poi crocifisse persone appartenenti all'ordine equestre, che se anche erano giudei di nascita, per il loro rango sociale erano romani.
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