Libro II:309 - 15, 1. In quel momento il re Agrippa era in viaggio alla volta di Alessandria per rallegrarsi con Alessandro, cui Nerone aveva affidato il governo dell'Egitto.
Libro II:310 Sua sorella Berenice si trovava invece in Gerusalemme, e al vedere le violenze della soldataglia fu presa da una gran pena, sì che più volte inviò a Floro i suoi ufficiali di cavalleria e le sue guardie del corpo pregandolo di metter fine alla strage.
Libro II:311 Ma quello, senza darsi pensiero né del gran numero delle vittime, né della nobiltà di colei che lo pregava, ma badando solo al ricavo delle ruberie, non le diede ascolto.
Libro II:312 La furia dei soldati si manifestò anche contro la regina; infatti non solo essi torturarono e misero a morte i prigionieri sotto i suoi occhi, ma avrebbero ucciso anche lei, se non si fosse affrettata a rifugiarsi nella reggia, dove passò la notte fra le sue guardie temendo l'assalto dei soldati.
Libro II:313 Era venuta a Gerusalemme per sciogliere un voto a Dio: infatti è costume che chi è afflitto da una malattia o da qualche altro malanno faccia voto di astenersi dal vino e di radersi le chiome per trenta giorni prima di quello in cui dovrà offrire sacrifici.
Libro II:314 Questi riti stava appunto compiendo Berenice in quel momento, e anche scalza si presentò a supplicare Floro dinanzi al suo tribunale, ma oltre a non ottener nulla corse pure pericolo per la sua vita.
Libro II:315 - 15, 2. Questi furono i fatti del 16 di Artemisio; il giorno dopo il popolo, straziato dal dolore, si riversò nella piazza superiore e con lugubri grida si diede a piangere i morti; ma più ancora erano le invettive contro Floro.
Libro II:316 Allora i maggiorenti ebbero paura, e insieme coi sommi sacerdoti si stracciarono le vesti e si gettarono ai piedi di quelli supplicandoli di smettere e di non spingere Floro all'irreparabile, dopo tutto ciò che già avevano sofferto.
Libro II:317 Il popolo obbedì prontamente, sia per rispetto a chi li pregava, sia per la speranza che Floro non li avrebbe più oppressi con le sue prepotenze.
Libro II:318 - 15, 3. A Floro, invece, non piacque che le violenze cessassero, e nell'intento di riattizzarle mandò a chiamare i sommi sacerdoti e i notabili e comunicò loro che l'unico modo di provare che il popolo non si sarebbe più rivoltato era che uscisse dalla città per andare incontro ai soldati che stavano arrivando; si trattava di due coorti in arrivo da Cesarea.
Libro II:319 Mentre quelli stavano ancora radunando il popolo, Floro mandò a dire ai centurioni delle coorti di dar ordine ai loro uomini di non rispondere al saluto dei giudei e, se questi lanciavano qualche imprecazione contro di lui, di metter mano alle armi.
Libro II:320 I sommi sacerdoti, raccolto il popolo nel tempio, lo esortarono ad andare incontro ai romani e, per evitare un disastro irreparabile, a far liete accoglienze alle coorti. Però gli elementi più facinorosi non si lasciarono convincere, e il popolo, pensando alle vittime, propendeva dalla loro parte.
Libro II:321 - 15, 4. Allora tutti i sacerdoti e tutti i ministri di Dio, portando in processione il vasellame sacro e indossando i paramenti con cui usavano celebrare i riti sacri, e inoltre i suonatori di cetra e i cantori coi loro strumenti si gettarono in ginocchio e supplicarono di salvare per loro i sacri arredi e di non aizzare i romani a depredare i tesori di Dio.
Libro II:322 Si sarebbero allora potuti vedere anche i sommi sacerdoti col capo sparso di cenere e col petto nudo per le vesti stracciate. Rivolgendosi personalmente a ognuno dei maggiorenti e a tutto il popolo nell'insieme, supplicavano di non volere, per un piccolissimo torto subito, consegnare la patria a chi non vedeva l'ora di distruggerla.
Libro II:323 Che cosa avrebbero guadagnato i soldati romani dal saluto dei giudei, o che riparazione dei torti subiti avrebbero loro ricavato dal non voler uscire a portare quel saluto?
Libro II:324 Se invece avessero fatto ai soldati in arrivo le solite amichevoli accoglienze, Floro avrebbe perduto ogni pretesto di guerra, mentre loro ci guadagnavano la patria e la fine delle sofferenze. E poi, soprattutto, era prova di grande debolezza accodarsi a pochi mestatori mentre spettava a loro, che costituivano una massa così numerosa, di costringere quelli a uniformarsi ai loro savi consigli.
Libro II:325 - 15, 5. Con tali ragionamenti blandirono il popolo, e poi calmarono anche i più turbolenti, alcuni con le minacce, altri mettendoli in soggezione con la loro autorità. Alla testa della folla, tranquillamente e ordinatamente, mossero incontro ai soldati, e quando li raggiunsero rivolsero loro parole di benvenuto. Poiché quelli non rispondevano, i rivoluzionari presero a urlare contro Floro.
Libro II:326 Ma questo era appunto il segnale convenuto contro di loro: immediatamente i soldati li circondarono e li percossero a bastonate, e quando essi si ritirarono in fuga i cavalieri li inseguirono travolgendoli. Molti caddero colpiti dai romani, e ancor più furono quelli che si calpestarono fra loro.
Libro II:327 Davanti alle porte si formò una calca paurosa; la fretta che ognuno aveva di entrare rese più lenta la fuga per tutti e chi cadeva faceva un'orribile fine: soffocati e fatti a pezzi dalla folla che li calpestava restavano sfigurati, sì che nessuno poté poi essere riconosciuto dai suoi parenti per la sepoltura.
Libro II:328 Contemporaneamente penetrarono nella città anche i soldati, che percuotevano senza pietà chiunque capitasse a tiro, e incalzarono la folla attraverso il quartiere chiamato Bezetha sforzandosi di superarla e di arrivare a impadronirsi del tempio e dell'Antonia. Con la medesima intenzione anche Floro condusse fuori della reggia i suoi uomini e cercò di aprirsi la via fino alla fortezza.
Libro II:329 Ma non ottenne lo scopo, perché il popolo si volse contro di lui e ne contenne l'impeto, mentre alcuni, saliti sui tetti, bersagliavano i romani. Colpiti dall'alto e non avendo la forza per farsi strada attraverso la folla che si stipava nei vicoli, i romani si ritirarono nell'accampamento presso la reggia.
Libro II:330 - 15, 6. I rivoluzionari, temendo che Floro con un nuovo assalto s'impadronisse del tempio attraverso l'Antonia, si affrettarono a salire sul porticato che congiungeva il tempio all'Antonia e ad abbatterlo.
Libro II:331 Questo smorzò le brame di Floro; egli infatti desiderava metter le mani sui tesori sacri e per questo voleva arrivare all'Antonia, ma quando il porticato fu distrutto dovette cambiare i suoi piani. Mandò a chiamare i sommi sacerdoti e il consiglio e dichiarò che intendeva ritirarsi dalla città e lasciarvi una guarnigione della forza che essi volevano.
Libro II:332 Quelli diedero ogni assicurazione che avrebbero mantenuto l'ordine ed impedito atti rivoluzionari, se avesse lasciato loro una sola coorte, però non quella che aveva combattuto perché il popolo la odiava per il male che gli aveva fatto; Floro cambiò la coorte, come essi desideravano, e col resto delle milizie si ritirò a Cesarea.