Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO SEDICESIMO

Libro II:333 - 16, 1. Per dare un'altra spinta verso la guerra, Floro scrisse a Cestio accusando falsamente i giudei di ribellione, attri­buendo a loro l'inizio delle ostilità e affermando che erano stati essi a fare quanto in realtà avevano subito. Però neppure i magistrati di Gerusalemme tacquero, ma insieme con Bere­nice lo informarono delle iniquità commesse da Floro a danno della città.


Libro II:334 Cestio, presa visione dei due rapporti, se­dette a consiglio con i suoi ufficiali. Costoro proposero che Cestio in persona alla testa dell'esercito si recasse a Gerusa­lemme, o per punire la ribellione, se c'era stata, o per raffor­zare l'obbedienza dei giudei, anche se non era venuta meno;
Libro II:335 Cestio però decise di inviare avanti uno dei suoi consiglieri, il tribuno Neapolitano, il quale a Iamnia s'incontrò col re Agrippa che ritornava da Alessandria e lo informò della mis­sione affidatagli da Cestio.
Libro II:336 - 16, 2. Per salutare il re arrivarono a Iamnia anche i sommi sacerdoti dei giudei con i maggiorenti e il consiglio. Dopo avergli reso omaggio, lo informarono delle loro sciagure e gli raccontarono le efferatezza di Floro.
Libro II:337 Agrippa ne rimase sde­gnato, ma con avvedutezza da uomo di governo si mostrò in disaccordo coi giudei - che in realtà compativa - nell'in­tento di placare i loro furori e di distoglierli dalla vendetta facendo mostra di ritenere che non avevano subito ingiu­stizie.
Libro II:338 Quelli, che erano persone di rango e che, avendo delle proprietà, desideravano la pace, compresero le buone inten­zioni che avevano ispirato le dure parole del re; intanto il popolo uscì a sessanta stadi da Gerusalemme per andare in­contro ad Agrippa e a Neapolitano.
Libro II:339 Avanti a tutti correvano urlando le vedove degli uccisi e il popolo, facendo eco alle loro lamentazioni, supplicava Agrippa di soccorrerli e a Neapo­litano gridava il male che aveva subito da Floro; quando i due furono entrati nella città, mostrarono loro la piazza devastata e le case saccheggiate.
Libro II:340 Poi, con i buoni uffici di Agrippa, persuasero Neapolitano a fare un giro per la città fino alla Siloa accompagnato da un solo attendente, perché si rendesse conto che i giudei portavano rispetto a tutti gli altri romani, e odiavano il solo Floro per la sua immensa crudeltà verso di loro. Quello, dopo aver girato e avute prove sufficienti della loro mitezza, salì al tempio.
Libro II:341 Quivi convocò la folla e fece grandi lodi della loro fedeltà ai romani, aggiungendo molte esortazioni a conservare la pace; poi venerò i luoghi sacri di Dio - da dove gli era consentito - e se ne tornò presso Cestio.
Libro II:342 - 16, 3. Allora la folla dei giudei si rivolse al re e ai sommi sacerdoti con la richiesta d'inviare un'ambasceria a Nerone per accusare Floro, e di non lasciare che su di loro restasse il sospetto di ribellione col tacere su una strage così sanguinosa. Avrebbero dato l'impressione di essere stati loro i primi a met­ter mano alle armi, se non si fossero affrettati a denunziare chi veramente aveva cominciato.
Libro II:343 Era chiaro che non se ne sareb­bero stati quieti, se qualcuno avesse impedito d'inviare l'ambasceria. Ad Agrippa sembrò una cosa odiosa organizzare l'accusa contro Floro, ma nello stesso tempo comprese che neppure a lui giovava il lasciare che i giudei s'infiammassero alla guerra.
Libro II:344 Allora egli convocò il popolo nel Xisto e collocò sua sorella Berenice, in modo che tutti potessero vederla, nel palazzo degli Asmonei - questo era sito in posizione do­minante rispetto al Xisto, dirimpetto alla città alta, e un ponte congiungeva il Xisto col tempio -; quindi tenne il seguente discorsoti:
Libro II:345 - 16, 4. “Se io vedessi che voi siete tutti decisi a far guerra ai romani, e non invece che i più onesti e i più semplici pre­feriscono vivere in pace, né mi presenterei dinanzi a voi, né ardirei darvi consigli; vano è infatti ogni discorso su ciò che convenga fare, quando l'uditorio è tutto concordemente in­cline al peggio.
Libro II:346 Ma poiché alcuni sono spinti dalla giovanile inesperienza dei mali della guerra, altri da un'infondata spe­ranza di libertà, altri da una certa avidità di guadagno e dal calcolo di sfruttare i più deboli se la situazione dovesse pre­cipitare, nell'intento di richiamare tutti questi alla ragione e d'impedire che le persone dabbene paghino le conseguenze degli errori di pochi, ho ritenuto mio dovere raccogliervi tutti insieme e dirvi quello che mi sembra sia per il vostro bene.
Libro II:347 Nessuno mi disturbi, se sente cose che non gli piac­ciono; chi è incrollabilmente deciso a ribellarsi potrà conti­nuare ad esserlo anche dopo il mio discorso, mentre, se non faranno tutti silenzio, le mie parole non potranno arrivare a chi desidera ascoltarle.
Libro II:348 Dunque, io so bene che molti con accenti da tragedia bollano le soperchieria dei governatori romani ed esaltano la libertà; perciò, prima di esaminare chi siete voi e chi sono i nemici contro cui vi apprestate a com­battere, anzitutto eliminerò la confusione che si fa tra quei due motivi di guerra.
Libro II:349 Se volete vendicarvi di chi vi ha fatto offesa, perché esaltate la libertà? Se poi ritenete insopportabile l'essere asserviti, non è il caso di criticare il comportamento dei dominatori, giacché, anche se questi agiscono con modera­zione, la servitù resta ugualmente un'orribile cosa.
Libro II:350 Esaminate allora singolarmente quei motivi per vedere quanto sono in­consistenti le ragioni di scendere in guerra, cominciando dalle accuse contro i governatori romani.
Libro II:351 Si deve agire con defe­renza verso le autorità, non irritarle; quando voi per piccoli torti levate grandi proteste, è peggio per voi se denunciate i colpevoli, i quali cessano di approfittare di voi con cautela e circospezione e commettono palesemente i loro abusi. Nulla mette fine alle violenze quanto il sopportarle, e la mansuetu­dine degli offesi fa ravvedere chi li offende.
Libro II:352 Ammettiamo che i funzionari del governo romano siano assolutamente insop­portabili; ciò non vuol dire che tutti i romani vi facciano offesa, e nemmeno Cesare, contro cui vi apprestate a far guerra. Non è che per partito preso essi mandino un governatore mal­vagio; e poi, stando in occidente, non possono vedere ciò che succede in oriente, e laggiù non è nemmeno facile essere rapidamente informati di quanto accade da noi.
Libro II:353 Perciò sa­rebbe anche una cosa assurda muovere in guerra contro molti a causa di uno solo, e per motivi insignificanti contro un popolo così potente e per di più all'oscuro circa le ragioni della nostra protesta.
Libro II:354 Dei torti da noi subiti potremmo presto ot­tenere la riparazione; infatti non resterà per sempre in carica il medesimo governatore, ed è da aspettarsi che i successori saranno persone più moderate; invece la guerra, una volta avviata, non sarà facile troncarla o combatterla senza soffe­renze.
Libro II:355 Quanto poi al desiderio di libertà, esso è ora intempe­stivo, perché era prima che bisognava battersi per non per­derla. Orribile è l'esperienza della soggezione, ed è giusto lottare per non cadervi;
Libro II:356 ma chi, una volta assoggettato, poi si ribella è uno schiavo disubbidiente, non un amante della libertà. Il tempo di fare ogni sforzo per non sottostare ai ro­mani era quando Pompeo invase il paese.
Libro II:357 Ma i nostri ante­nati e i loro re, sebbene fossero di gran lunga superiori a noi per ricchezze, per forza e per coraggio, non fecero resistenza a una parte - che era piccola - della potenza romana; voi, che avete ricevuto in retaggio la soggezione, che siete in una si­tuazione di tanta inferiorità rispetto ai primi che si assoggettarono, volete sfidare tutto l'impero romano?
Libro II:358 Pensate agli ateniesi, che per la libertà della Grecia arrivarono anche a di­struggere col fuoco la loro città, che sconfissero il superbo Serse che navigava sulla terra e marciava sull'acqua, e non poteva essere contenuto dai mari e guidava un esercito più grande dell'Europa, e come un servo fuggitivo lo inseguirono mentre cercava scampo con una sola nave, e presso la piccola Salamina abbatterono l'Asia sì grande: quegli ateniesi ora sono soggetti ai romani, e la città signora della Grecia si governa con le disposizioni inviate dall'Italia.
Libro II:359 Identici sono i padroni cui amano sottostare gli spartani, pur dopo le Ter­mopile e Platea e le campagne d'Asia di Agesilao;
Libro II:360 e i mace­doni, che ancora sognano Filippo e hanno dinanzi agli occhi la visione di colei che insieme con Alessandro gettò i semi del loro dominio universale, sopportano un tale cambiamento di sorte e s'inchinano a quelli cui la Fortuna trasferì i suoi fa­vori.
Libro II:361 Così mille e mille altri popoli, pur animati da un amore per la libertà maggiore del vostro, si piegano all'obbedienza. Sarete voi i soli a non voler sottostare a coloro cui tutti sono sottomessi? Su quale esercito, su quali armi fate affidamento? Dov'è la vostra flotta per prendere possesso dei mari dei romani?
Libro II:362 Dove i tesori necessari alle spedizioni? Credete di far guerra contro gli egiziani o gli arabi? Non considererete la grandezza dell'impero romano? Non confronterete la vostra debolezza? Non è vero che spesso noi siamo stati battuti dai popoli confinanti, mentre la loro potenza è invitta in tutto il mondo?
Libro II:363 Essi, anzi, cercarono qualcosa di ancora più grande. Infatti non bastò a loro di confinare in oriente con l'Eufrate, a settentrione col Danubio, a mezzogiorno con l'Africa esplo­rata fino ai deserti e ad occidente con Cadice, ma al di là del­l'Oceano cercarono un altro mondo e portarono le armi fino ai Britanni, sconosciuti prima di allora.
Libro II:364 E allora? Siete voi più ricchi dei Galli, più forti dei Germani, più intelligenti dei greci, più numerosi di tutti quanti gli altri popoli del mondo? In che confidate per insorgere contro i romani?
Libro II:365 “Dura cosa è l'esser soggetti” dirà qualcuno. Quanto più per i greci, che pur superando per nobiltà tutti quelli che vivono sotto il sole ed occupando un territorio così vasto ubbidiscono a sei fasci dei romani, e ad altrettanti i macedoni, che ancor più a buon diritto di voi dovrebbero anelare alla libertà! E le cinque­cento città dell'Asia?
Libro II:366 Non prestano ossequio, senza un pre­sidio, a un solo governatore e ai suoi fasci consolari? A che parlare degli Eniochi e dei Colchi e della stirpe dei Tauri e dei Bosforani e dei popoli rivieraschi del Ponto e del lago Meotide?
Libro II:367 Presso di loro prima non esisteva nemmeno un principe nazionale, mentre ora sono soggetti a tremila soldati romani, e quaranta navi da guerra mantengono la pace su un mare prima non navigato e selvaggio.
Libro II:368 Quali pretese alla libertà potrebbero accampare la Bitinia, la Cappadocia, la Panfilia e i Lici e i Cilici, mentre invece senza essere presidiati pagano il tributo? E poi? I Traci, che occupano una regione larga cinque giornate di viaggio e lunga sette, più aspra e assai più forte della vostra, e tale da respingere con l'intenso gelo chi intendesse invaderla, non prestano ubbidienza a una guar­nigione di duemila romani?
Libro II:369 E i vicini Illiri, che abitano la regione delimitata dal Danubio fino alla Dalmazia, non sono soggetti a due sole legioni, a cui essi si uniscono nel respingere le incursioni dei Daci?
Libro II:370 E i Dalmati, che tante volte hanno le­vato il capo verso la libertà e che, sempre vinti, tornavano a raccogliere le forze per ribellarsi, non se ne stanno ora tran­quilli sotto una sola legione romana?
Libro II:371 Se c'è un popolo che avrebbe valide ragioni per ribellarsi, questo sono specialmente i Galli, che dalla natura sono così ben protetti, ad oriente dalle Alpi, a settentrione dal fiume Reno, a mezzogiorno dai monti Pirenei e dall'oceano ad occidente.
Libro II:372 Ma, sebbene siano difesi da tali baluardi, sebbene assommino a trecentocinque popoli ed abbiano in casa le sorgenti, per così dire, della prosperità e con i loro prodotti inondino quasi tutto il mondo, sopportano di essere tributari dei romani e da loro lasciano ammi­nistrare i propri beni.
Libro II:373 E questo lo tollerano non per viltà d'animo o per una loro inferiorità, che anzi per ottant'anni essi durarono la guerra in difesa della libertà, ma perché oltre che dall'esercito dei romani furono battuti anche dalla fortuna, che a quelli concede successi maggiori delle armi. E così sono tenuti in soggezione da milleduecento soldati, un numero quasi inferiore a quello delle loro città.
Libro II:374 Neppure agli Iberi bastò per combattere in difesa della libertà l'oro che si ricava dal loro suolo, né l'essere a tanta distanza di terra e di mare dai romani, né le tribù bellicose dei Lusitani e dei Cantabri, né il vicino oceano che solleva un flusso pauroso per gli stessi indigeni;
Libro II:375 ma portando le loro armi oltre le colonne d'Ercole e valicando i Pirenei attraverso le nuvole, anch'essi i romani soggiogarono, e bastò una sola legione per vigilare su popoli così agguerriti e remoti.
Libro II:376 Chi di voi non ha sentito parlare dei popolo dei Germani? Spesso ne avete ammirato la forza e la prestanza fisica, perché i romani hanno dappertutto schiavi catturati in mezzo a loro.
Libro II:377 Ebbene anche questi, nonostante abitino un territorio sconfinato, nonostante siano forniti di un coraggio più forte del corpo e di sprezzo per la morte e di una natura più aspra delle belve più feroci, hanno il Reno per confine ai loro assalti e, tenuti a freno da otto legioni dei romani, quelli presi in guerra sono ridotti in schiavitù mentre l'insieme della nazione si è posto in salvo con la fuga.
Libro II:378 Vogliate considerare anche le difese dei Britanni, voi che riponete la vostra fiducia nelle fortificazioni di Gerusalemme. Quelli erano circondati dall'oceano e abitavano in un'isola non più piccola del paese in cui viviamo, eppure i romani vi arrivarono con le loro navi e li assoggettarono, e ora quattro legioni stanno a presidio di un'isola così grande.
Libro II:379 Non è il caso di continuare, dal momento che anche i Parti, che sono il popolo più bellicoso e dominano su tante nazioni e sono forniti di sì grandi forze, mandano ostaggi ai romani, e in Italia si può vedere la nobiltà d'oriente che viene tenuta in schiavitù col pretesto di salvaguardare la pace.
Libro II:380 Mentre quasi tutti quelli che sono sotto il sole s'inchinano alle armi dei romani, voi soltanto scenderete in guerra, senza badare alla fine dei Cartaginesi, i quali, sebbene potessero vantare un uomo della grandezza di Annibale e la discendenza dai Fenici, caddero sotto la destra di Scipione?
Libro II:381 Nemmeno quelli di Cirene, di stirpe spartana, né i Marmaridi, il popolo che si stende fino al deserto, né le Sirti, che fanno paura solo a sentirle nominare, né i Nasa­moni o i Mauri o l'innumerevole turba dei Numidi infransero il valore dei romani.
Libro II:382 La terza parte del mondo abitato, di cui non è nemmeno facile enumerare le popolazioni, che è delimitata dall'oceano Atlantico e dalle colonne d'Ercole e che alleva fino al mar Rosso gli innumerevoli Etiopi, i ro­mani l'assoggettarono interamente,
Libro II:383 e a parte i raccolti annui, con cui nutriscono per otto mesi la plebe di Roma, essi pa­gano tributi di ogni genere e sono pronti a versare quanto serve ai bisogni dell'impero, senza considerare un'offesa nes­suna delle imposizioni, come voi fate, e tutto ciò sebbene presso di loro stia accampata una sola legione.
Libro II:384 Ma perché cercare in terre lontane le prove della potenza dei romani quando si possono trovare nel vicino Egitto?
Libro II:385 Questo, che si estende fino agli Etiopi e all'Arabia Felice, che è il porto dell'India, che conta settemilioni e mezzo di abitanti oltre a quelli che vivono in Alessandria, come si può ricavare dal tributo individuale, non disdegna la dominazione romana, sebbene abbia in Alessandria un tale stimolo alla rivolta per il gran numero degli abitanti e per la sua ricchezza, oltre che per la sua grandezza:
Libro II:386 infatti la sua lunghezza è di trenta stadi e la larghezza non inferiore a dieci; in un solo mese fornisce ai romani un tributo superiore a quello che voi versate in un anno e, oltre ai denari, grano per quattro mesi di distribuzione alla plebe. Per di più è difesa da ogni parte o da deserti im­praticabili o da mari senza porti o da fiumi o da paludi.
Libro II:387 Ma nessuno di questi ostacoli è risultato più forte della fortuna dei romani, e due legioni accasermate nella città tengono in soggezione l'ampio Egitto e l'orgoglio dei Macedoni.
Libro II:388 Quali alleati per la guerra troverete nel mondo disabitato? Infatti quelli che vivono nel mondo abitato sono tutti romani, a meno che uno non spinga le sue speranze al di là dell'Eufrate e creda che i connazionali dell'Adiabene accorreranno in aiuto.
Libro II:389 Ma costoro né si lasceranno coinvolgere in una guerra così pericolosa per un motivo insignificante né, se si deci­dessero a una tale sciocchezza, glielo permetterebbero i Parti: questi si preoccupano di mantenere la tregua con Roma, e se qualcuno a loro soggetto marciasse contro i romani consi­dererebbero la cosa come una violazione dei patti.
Libro II:390 Non resta che sperare nell'aiuto di Dio. Ma anche questo punto è a favore dei romani; infatti sarebbe impossibile creare un impero così grande senza l'aiuto di Dio.
Libro II:391 Considerate, inoltre, come sarebbe difficile l'attenta osservanza dei vostri riti cultuali, anche se doveste entrate in guerra con avversari meno formidabili: costretti a trascurare quelle cerimonie per cui soprattutto confidate di avere l'aiuto di Dio, voi non l'avrete più propizio.
Libro II:392 Se osserverete il rito di riposare il sabato e vi asterrete da ogni azione, facilmente sarete vinti, come i nostri antenati lo fu­rono da Pompeo, che intensificava le operazioni di assedio proprio nei giorni in cui gli assediati restavano inoperosi; se invece nella guerra non rispetterete l'uso tradizionale,
Libro II:393 al­lora non so a che scopo voi continuerete a battervi; infatti il vostro unico intento è di conservare inviolate le istituzioni patrie.
Libro II:394 Come invocherete l'aiuto di Dio se deliberatamente ne trascurerete il culto? Chiunque intraprende una guerra confida o nell'aiuto di Dio o in quello degli uomini; ma quando verosimilmente mancheranno l'uno e l'altro è evidente che chi scende in campo va incontro alla disfatta.
Libro II:395 Chi v'impedisce di far strage con le vostre stesse mani dei figli e delle mogli, e di far perire tra le fiamme questa nostra patria tanto bella? Con quest'atto di pazzia almeno evitereste l'ignominia della disfatta.
Libro II:396 Ottima cosa, amici, è prevedere l'avvicinarsi della tempesta quando la nave sta ancora nel porto, e non diri­gersi in mezzo ai flutti per poi trovarvi la morte; chi è vittima di un disastro imprevedibile merita compatimento, ma chi va incontro a evidente rovina viene per di più anche biasi­mato.
Libro II:397 A meno che qualcuno non s'illuda di poter fare la guerra solo fino a un determinato punto e che i romani, dopo la vit­toria, vi tratteranno con moderazione invece di cogliere l'oc­casione per dare un esempio agli altri popoli incendiando la città santa e sterminando tutta la nostra nazione; se anche scamperete alla morte non troverete un luogo dove rifu­giarvi perché tutti hanno per padroni i romani o temono di averli.
Libro II:398 Questo pericolo, poi, non incombe soltanto su quelli che vivono qui, ma anche su quelli che abitano nelle altre città; infatti non c'è al mondo un popolo con cui non conviva una parte di noi.
Libro II:399 Se voi scenderete in guerra, gli avversari li trucideranno tutti, e per la sconsideratezza di pochi ogni città sarà bagnata dal sangue giudaico. Quelli che lo faranno scor­rere sarebbero giustificati; ché se poi non lo facessero, pensate come sarebbe empio muovere in armi contro persone così umane!
Libro II:400 Abbiate dunque pietà, se non dei figli e delle mogli, almeno di questa città e delle sacre mura. Risparmiate il tempio e conservate a voi stessi il santuario con i suoi tesori sacri; dopo averci vinti in guerra, i romani non se ne aster­rebbero più visto che, dopo averli prima risparmiati, sono stati ripagati con l'ingratitudine.
Libro II:401 Chiamo a testimoni i luoghi sacri e gli angeli santi di Dio e la patria comune che io non ho tralasciato nulla che potesse indurvi alla salvezza; ora tocca a voi di deliberare come si conviene, e così godrete la pace insieme con me, mentre se vi lascerete trasportare dall'odio, dovrete affrontare la guerra senza di me”.
Libro II:402 - 16, 5. Finito di parlare, scoppiò in lacrime assieme alla sorella, e con la sua commozione smorzò buona parte dei loro ardori. E poiché gridavano che loro la guerra volevano farla non ai romani, ma a Floro per le ingiurie patite, il re Agrippa riprese:
Libro II:403 “Ma il vostro agire è di chi già è in guerra con i ro­mani; infatti non avete pagato il tributo a Cesare, e poi avete abbattuto il portico dell'Antonia.
Libro II:404 Potreste liberarvi dall'ac­cusa di ribellione, se lo ricostruirete e se verserete il tributo; la fortezza non è di Floro, né a Floro voi darete il vostro denaro”.


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