Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Libro II:405 - 17, 1. Il popolo si lasciò persuadere, e salito al tempio col re e con Berenice diede inizio ai lavori di ricostruzione del portico, mentre i magistrati e i membri del consiglio si spar­pagliavano per i villaggi alla raccolta del tributo; in breve furono raccolti quaranta talenti, poiché a tanto ammontavano gli arretrati.


Libro II:406 In tal modo Agrippa riuscì allora a stornare la minaccia di guerra, e poi cercò anche d'indurre il popolo a sottomettersi a Floro fino a che Cesare non avesse mandato un nuovo governatore. Questo però fece imbestialire il po­polo, che coprì d'ingiurie il re e deliberò che fosse espulso dalla città mentre alcuni dei più facinorosi ebbero l'audacia di colpirlo a sassate.
Libro II:407 Il re, vedendo che ormai non si riusciva più a frenare l'azione dei rivoluzionari, e offeso per l'af­fronto subito, mandò da Floro a Cesarea i loro magistrati insieme con i maggiorenti, perché egli potesse designare tra loro quelli che dovevano occuparsi di raccogliere il tributo nel paese; quindi si ritirò nel suo regno.
Libro II:408 - 17, 2. Allora alcuni dei rivoluzionari più attivi, per provocare lo scoppio della guerra, si radunarono e piombarono sulla fortezza di Masada, e avendola presa con uno strata­gemma uccisero la guarnigione romana e la sostituirono con una loro.
Libro II:409 Contemporaneamente nel tempio di Gerusalemme avvenne che Eleazar, figlio del sommo sacerdote Anania, un giovane assai facinoroso che allora aveva l'ufficio di capitano, persuase gli addetti alle cerimonie di culto a non accettare un dono o un sacrificio da parte di uno straniero. Questo però significava dare l'avvio alla guerra contro i romani, poiché così essi provocavano l'abolizione del sacrificio celebrato in favore dei romani e di Cesare.
Libro II:410 E, sebbene i sommi sacer­doti e i maggiorenti esortassero a non tralasciare il consueto rito per i dominatori, quelli non cedettero sia perché confi­davano molto nel loro numero, essendo appoggiati dai più attivi dei rivoluzionari, sia specialmente perché pendevano dalle labbra di Eleazar.
Libro II:411 - 17, 3. I maggiorenti e i sommi sacerdoti si riunirono con i notabili dei Farisei per discutere sulla situazione politica ge­nerale, che si presentava ormai di un'estrema pericolosità; e avendo deliberato di tentare un'azione di recupero verso i rivoluzionari raccolsero il popolo dinanzi alla porta di bron­zo, che si apriva nel tempio interno rivolta ad oriente.
Libro II:412 E dopo averli anzitutto rimproverati a lungo per la temeraria intenzione di ribellarsi e di attirare sulla patria una guerra tanto rovinosa, mostrarono l'assurdità del pretesto cui s'erano appigliati ricordando che i loro antenati avevano adornato il tempio per buona parte con le offerte degli stranieri, accet­tando sempre i doni delle nazioni estere,
Libro II:413 e non soltanto non avevano mai impedito che si celebrassero sacrifici per chiunque, il che sarebbe stato il colmo dell'empietà, ma avevano anche collocato intorno al tempio i doni votivi, che ancora si pote­vano vedere essendo ivi rimasti per tanto tempo.
Libro II:414 Ora essi, volendo provocare le armi dei romani e attirarsi da quelli una guerra, introducevano nel culto una regola inaudita, e oltre che al pericolo esponevano la città all'accusa di empietà dal mo­mento che soltanto presso i giudei uno straniero non avrebbe più potuto né offrire sacrifici, né compiere atti di adorazione.
Libro II:415 Se alcuno avesse voluto introdurre una simile restrizione a carico di un qualunque privato, loro certo se ne sarebbero sdegnati come di un atto inumano, mentre poi non si preoccu­pavano di veder messi al bando i romani e Cesare.
Libro II:416 Era perciò da temere che, avendo aboliti i sacrifici per costoro, venissero impediti dal compiere i sacrifici anche per loro stessi, e che la città fosse messa al bando dell'impero, se non si affretta­vano a rinsavire restaurando i sacrifici e riparando il torto prima che agli offesi ne arrivasse la notizia.
Libro II:417 - 17, 4. Durante questo discorso essi fecero intervenire i sacerdoti esperti dei riti tradizionali, i quali dichiararono che gli antenati usavano accettare i sacrifici da parte degli stra­nieri. Ma nessuno dei rivoluzionari si lasciò convincere, e nem­meno i ministri di culto si dichiararono d'accordo, creando così l'occasione per la guerra.
Libro II:418 I maggiorenti, vedendo che ormai non potevano più soffocare la ribellione e che loro sareb­bero poi stati i primi a subirne le pericolose conseguenze da parte dei romani, si preoccuparono di declinare la loro respon­sabilità e mandarono ambasciatori sia a Floro, capeggiati da Simone figlio di Anania, sia ad Agrippa, tra cui primeggiavano Saul, Antipa e Costobar, legati al re da vincoli di parentela.
Libro II:419 Ad entrambi rivolsero un pressante appello perché venissero in città con forze militari e mettessero fine alla ribellione prima che esplodesse irrefrenabile.
Libro II:420 Per Floro si trattò di una splen­dida notizia, ed essendo intenzionato a far scoppiare la guerra lasciò gli ambasciatori senza risposta;
Libro II:421 Agrippa, invece, che si preoccupava ugualmente dei ribelli e di coloro contro cui si preparava la guerra, che voleva conservare ai romani la fedeltà dei giudei e ai giudei il tempio e la città, che ben sapeva come nemmeno lui avrebbe avuto nulla da guadagnare dai disor­dini, mandò in aiuto del popolo duemila cavalieri dell'Allura­nitide, della Batanea e della Traconitide agli ordini di Dario, quale comandante della cavalleria, e di Filippo figlio di Iacimo, quale comandante in capo.
Libro II:422 - 17, 5. Incoraggiati dal loro arrivo i maggiorenti, con i sommi sacerdoti e tutta quella parte del popolo che voleva la pace, occuparono la parte alta della città; i rivoluzionari oc­cupavano invece la parte bassa e il tempio.
Libro II:423 Erano incessantemente in azione con pietre e fionde, e fra le due zone era un continuo lancio di proiettili; più d'una volta uscirono ad affrontarsi in gruppi e si verificarono degli scontri nei quali i rivoluzionari risultavano superiori per l'audacia e i soldati regi per l'addestramento.
Libro II:424 Costoro si prefiggevano soprattutto d'impadronirsi del tempio e di scacciarne i profanatori del san­tuario, mentre i rivoluzionari di Eleazar si battevano per ag­giungere anche la città alta alla zona che già controllavano. Per sette giorni vi fu grande strage da ambedue le parti, senza che nessuna abbandonasse la zona che occupava.
Libro II:425 - 17, 6. Il giorno dopo ricorreva la festa delle Xiloforie, nella quale secondo il rito ognuno portava legna all'altare, sì che non mancasse mai alimento al fuoco che deve rimanere sempre acceso. Quelli che occupavano il tempio impedirono ai loro avversari di compiere il rito, e invece accolsero nelle loro file molti dei sicari infiltratisi fra il popolino - sicari venivano chiamati dei briganti che portavano pugnali na­scosti nel seno, - e così poterono lanciare con più audacia i loro attacchi.
Libro II:426 I soldati regi, inferiori per numero e per ar­dimento, furono costretti a evacuare la città alta. Gli avver­sari vi si precipitarono e appiccarono l'incendio alla casa del sommo sacerdote Anania e alla reggia di Agrippa e Berenice; quindi portarono il fuoco agli archivi,
Libro II:427 allo scopo di distrug­gere i contratti di prestito e d'impedire la riscossione dei de­biti, sì da cattivarsi la massa dei debitori e da mettere impune­mente i poveri contro i ricchi. Essendo fuggiti gli addetti alla conservatoria degli atti, vi appiccarono l'incendio.
Libro II:428 Dopo aver così distrutto col fuoco i gangli vitali della città, mossero contro i nemici, e allora alcuni dei maggiorenti e dei sommi sacerdoti si nascosero calandosi nelle gallerie sotterranee,
Libro II:429 men­tre altri insieme con i soldati regi si rifugiarono nel palazzo situato più in alto, affrettandosi a sbarrarne le porte; con questi ultimi erano il sommo sacerdote Anania, suo fratello Ezechia e quelli che erano andati come ambasciatori ad Agrippa. Per il momento i rivoluzionari, paghi della vittoria e de­gli incendi, si fermarono.
Libro II:430 - 17, 7. Ma il giorno dopo, era il quindici del mese di Loos, andarono all'assalto dell'Antonia e dopo due giorni di assedio presero e uccisero i soldati di guarnigione, quindi incendia­rono la fortezza.
Libro II:431 Si riversarono poi contro il palazzo in cui s'erano rifugiati i regi, e ripartitisi in quattro gruppi, ten­tavano di abbatterne le mura. Nessuno di quelli che stavano dentro osava fare una sortita a causa del gran numero degli avversari, ma distribuitisi lungo i parapetti e le torri bersa­gliavano gli assalitori, e molti dei briganti caddero sotto le mura.
Libro II:432 La lotta non aveva tregua né di notte, né di giorno, poiché i rivoluzionari speravano che gli assediati si sarebbero arresi per mancanza di viveri e questi speravano di stancare gli assedianti.
Libro II:433 - 17, 8. Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il galileo, un dottore assai pericoloso che già ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai giudei di riconoscere la signoria dei romani quando già avevano Dio come Signore, messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masada,
Libro II:434 dove aprì a forza l'arsenale del re Erode e, avendo armato oltre ai paesani altri briganti, fece di questi la sua guardia del corpo; quindi ritornò a Gerusalemme e, assunto il comando della ribellione, prese a dirigere l'assedio.
Libro II:435 Non disponevano però di macchine, e scalzare il muro all'aperto non era possibile perché venivano colpiti dall'alto; allora scavarono da lontano una galleria fin sotto una delle torri che rimase poggiata su un'armatura di legno, poi diedero fuoco a questa e fuggirono.
Libro II:436 Bruciatisi i puntelli, la torre all'improvviso rovinò, ma all'interno apparve un altro muro che intanto era stato innalzato; infatti gli asse­diati, avendo indovinato lo stratagemma, o forse anche sen­tendo che la torre si muoveva per i lavori di scavo, si erano muniti di un secondo baluardo.
Libro II:437 Questa vista improvvisa pro­vocò negli attaccanti un grande abbattimento, anche perché credevano di avere ormai la vittoria in pugno; contemporanea­mente quelli di dentro mandarono a chiedere a Menahem e ai capi della rivolta di poter uscire sotto determinate condizioni, ed essendo stata accordata tale concessione ai soli soldati regi e ai paesani, costoro uscirono.
Libro II:438 I romani, rimasti soli, furono presi dallo scoraggiamento; infatti non potevano aver ragione di una moltitudine così numerosa, e poi consideravano vergo­gnoso lo scendere a patti, oltre a non fidarsi di eventuali concessioni.
Libro II:439 Allora essi abbandonarono il loro campo, che non era più difendibile, e si rifugiarono nelle torri regie, che si chiamavano Ippico, Fasael e Mariamme.
Libro II:440 Gli uomini di Menahem fecero irruzione nei luoghi che i romani stavano evacuando, presero e uccisero quanti non fecero in tempo a fuggire e, impadronitisi dei materiali, incendiarono l'accam­pamento. Ciò avvenne il sei del mese di Gorpieo.
Libro II:441 - 17, 9. Il giorno dopo fu scoperto il sommo sacerdote Anania che si nascondeva presso il canale della reggia, e insieme col fratello Ezechia fu ucciso dai briganti; intanto i rivoluzionari stringevano d'assedio le torri badando che nes­sun soldato prendesse la fuga.
Libro II:442 La distruzione delle opere forti­ficate e la morte del sommo sacerdote Anania avevano esal­tato Menahem fino alla ferocia, ed egli, ritenendo di non aver rivali come capo, si comportava da tiranno insopportabile.
Libro II:443 Ma contro di lui si levarono i partigiani di Eleazar, ripetendosi l'un l'altro che non era il caso di ribellarsi ai romani spinti dal desiderio di libertà per poi sacrificarla a un boia pae­sano, e sopportare un padrone che, se anche non avesse fatto nulla di male, era pur sempre inferiore a loro; e ammesso pure che ci dovesse essere uno a capo del governo, questo compito spettava a chiunque altro più che a lui; così si misero d'accordo e lo assalirono nel tempio;
Libro II:444 vi si era infatti recato a pregare in gran pompa, ornato della veste regia e avendo i suoi più fanatici seguaci come guardia del corpo.
Libro II:445 Come gli uomini di Eleazar si furono scagliati su di lui, anche il resto del popolo tutto infuriato afferrò delle pietre e si diede a col­pire il dottore, ritenendo che, levatolo di mezzo, sarebbe in­teramente cessata la rivolta;
Libro II:446 gli uomini di Menahem fecero per un po' resistenza, ma quando videro che tutta la folla era contro di loro, fuggirono dove ognuno poté, e allora seguì una strage di quelli che venivano presi e una caccia a quelli che si nascondevano.
Libro II:447 Pochi trovarono scampo rifugiandosi na­scostamente a Masada, e fra questi Eleazar figlio di Giairo, legato a Menahem da vincoli di parentela, che in seguito fu il capo della resistenza di Masada.
Libro II:448 Quanto a Menahem, che era scappato nel quartiere detto Ofel e vi si era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e così pure i suoi luogotenenti e Absalom, il principale ministro della sua tirannide.
Libro II:449 - 17, 10. Il popolo, come ho detto, collaborò a quest'azione sperando in una risoluzione della crisi, mentre quelli avevano tolto di mezzo Menahem non per mettere fine alla guerra, ma per poterla condurre con maggior libertà di movimenti.
Libro II:450 E nonostante il popolo insistesse presso gli armati perché abban­donassero l'assedio, quelli lo continuarono con più ardore fino a che gli uomini di Metilio, il comandante dei romani, non potendo più resistere, chiesero ai partigiani di Eleazar di aver salva la vita impegnandosi a dare in cambio le armi e tutto ciò che avevano.
Libro II:451 Quelli, approfittando anche di una tale richiesta, inviarono da loro per stringere l'accordo Gorion figlio di Nicomede, Anania figlio di Sadoc e Giuda figlio di Gionata. Giurati i patti, Metilio fece uscire i soldati.
Libro II:452 Fino a che quelli rimasero armati, nessuno dei rivoluzionari osò toccarli né svelò l'insidia; ma quando, secondo gli accordi, tutti ebbero lasciato gli scudi e le spade, e senza alcun sospetto si ritira­vano,
Libro II:453 allora i partigiani di Eleazar si gettarono su di loro, li circondarono e li massacrarono mentre quelli, senza levare né un dito, né una supplica, si limitavano a invocare ad alte grida i patti e i giuramenti.
Libro II:454 Così perirono barbaramente uccisi tutti tranne Metilio, che fu l'unico ad esser risparmiato perché li aveva supplicati e aveva promesso di farsi giudeo fino a la­sciarsi circoncidere. Per i romani lo smacco fu di beve entità, poiché di un esercito innumerevole avevano perduto solo pochi uomini; ma ai giudei l'episodio apparve come il preludio alla loro catastrofe.
Libro II:455 Ed essi, vedendo che ormai le cause della guerra erano inevitabili e la città contaminata da tale contagio, che era naturale aspettarsene un castigo divino, anche se si sfuggiva alla vendetta dei romani, piombarono in un pub­blico lutto e tutta la città fu piena di costernazione, e ognuno dei moderati era sbigottito al pensiero che avrebbe dovuto scontar lui le colpe dei ribelli.
Libro II:456 L'eccidio infatti era stato con­sumato di sabato, giorno in cui per ragioni di culto i giudei si astengono dal compiere anche le azioni più innocenti.


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