CAPITOLO UNDICESIMO
Libro V:446 - 11, 1. Mentre progrediva il lavoro ai terrapieni, nonostante i soldati subissero gravi colpi da parte dei difensori del muro, Tito mandò uno squadrone di cavalieri con l'ordine d'intercettare quelli che uscivano dalla città calandosi per i dirupi in cerca di cibo.
Libro V:447 Fra questi vi erano anche alcuni armati, cui non bastava più il frutto delle loro rapine, ma i più erano poveri popolani, che non si decidevano a disertare per paura dei familiari;
Libro V:448 infatti né speravano di poterla far franca se avessero cercato di fuggire con mogli e figli, né avevano l'animo di lasciarli in mano ai banditi, che li avrebbero ammazzati in loro vece.
Libro V:449 La fame li rendeva arditi a sortire, ma se riuscivano a svignarsela finivano con l'essere catturati dai nemici. Al momento della cattura essi di necessità cercavano di difendersi, e dopo essersi battuti sembrava troppo tardi per chiedere pietà. Così venivano flagellati e, dopo aver subito ogni sorta di supplizi prima di morire, erano crocifissi di fronte alle mura.
Libro V:450 Tito provava compassione per la loro sorte, poiché ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più, quelli che venivano catturati, ma d'altro canto capiva che era un pericolo lasciar liberi i nemici caduti prigionieri, e che sorvegliare tanti prigionieri significava immobilizzare altrettanti custodi; comunque la ragione principale per cui non faceva cessare le crocifissioni era la speranza che a quello spettacolo i giudei si decidessero ad arrendersi, temendo di subire la stessa sorte se non si fossero sottomessi.
Libro V:451 Spinti dall'odio e dal furore, i soldati si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime.
Libro V:452 - 11, 2. I ribelli dinanzi a questo tremendo spettacolo non solo non cambiarono i loro propositi, ma ne trassero argomento per convincere in senso contrario il resto del popolo.
Libro V:453 Infatti, trascinando sulle mura i parenti dei disertori e i cittadini che desideravano trattative di resa, mostravano loro quale fine faceva chi passava dalla parte dei romani affermando che le vittime catturate erano dei supplici, e non dei prigionieri di guerra.
Libro V:454 Ciò, fino a che non si seppe la verità, tenne a freno molti di quelli che volevano disertare; ma vi fu anche chi senza indugio tentò la fuga, considerando la morte per mano dei nemici come un sollievo al paragone della morte per fame.
Libro V:455 Tito, poi, diede ordine di mozzare le mani a molti prigionieri, perché non sembrassero disertori ma fossero creduti per aver subito tale orribile trattamento,
Libro V:456 e li inviò da Simone e da Giovanni, esortandoli a decidersi ormai alla resa senza costringerlo alla distruzione della città, perché con un pentimento sia pure dell'ultim’ora avrebbero salvato le loro vite, la loro città così bella e il tempio che sarebbe rimasto esclusivamente loro.
Libro V:457 Nello stesso tempo, andando in giro per ispezionare i terrapieni, incitava i soldati che vi lavoravano, come se avesse intenzione di far seguire al più presto i fatti alle parole.
Libro V:458 A tali esortazioni i giudei dall'alto delle mura risposero imprecando contro Cesare e contro suo padre, gridando di non aver paura della morte, che da persone non vili essi preferivano alla schiavitù, gridando che avrebbero cercato di fare ai romani tutto il male possibile finché avessero avuto un po' di fiato, gridando che a gente che stava per morire, come egli stesso diceva, non importava più nulla della loro città, e che per il Dio l'universo era un tempio più bello di quello di Gerusalemme.
Libro V:459 Ma anche questo sarebbe stato salvato dal suo abitatore, che essi avevano come loro alleato, e perciò se la ridevano di ogni minaccia non seguita dai fatti - l'esito finale dipendeva dal Dio. Queste le risposte che essi gridarono mescolandole con gli improperi.
Libro V:460 - 11, 3. Nel frattempo arrivò anche Antioco Epifane con un gran numero di fanti e una guardia del corpo composta di uomini che si chiamavano Macedoni, tutti della stessa età, di alta statura, usciti da poco dall'adolescenza, armati e addestrati all'uso macedonico, dal che essi traevano il loro nome sebbene per la maggior parte non fossero di quella stirpe.
Libro V:461 Fra tutti i re clienti dei romani quello di Commagene godette il più alto grado di prosperità prima di conoscere il cambiamento di fortuna, e nella vecchiaia anch'egli rese testimonianza che nessuno può essere stimato felice prima che arrivi la sua morte.
Libro V:462 Comunque egli era all'apice della potenza quando suo figlio arrivò e disse di meravigliarsi perché i romani esitavano ad attaccare le mura: era un guerriero di un certo valore, di natura avventurosa e dotato di tale forza, che raramente non riusciva a realizzare le sue audaci imprese.
Libro V:463 Tito, con un sorriso, gli rispose: “Qui c'è da fare per tutti”, e Antioco senza indugio mosse con i Macedoni all'assalto del muro.
Libro V:464 Grazie alla sua forza e alla sua esperienza egli riuscì a schivare i dardi dei giudei saettandoli con il suo arco, ma i suoi giovani, tranne pochi, furono tutti ridotti a mal partito; infatti Per mantenere l'impegno assunto essi continuarono ostinatamente a battersi finché furono costretti a ritirarsi,
Libro V:465 per lo più feriti, e a riflettere che anche dei veri Macedoni, per vincere, avevano bisogno della fortuna di Alessandro.
Libro V:466 - 11, 4. I romani, che avevano cominciato a innalzare i terrapieni il dodici del mese di Artemisio, a stento li terminarono il ventinove, dopo diciassette giorni d'ininterrotta fatica.
Libro V:467 Si trattava infatti di quattro lavori immensi, di cui il primo, quello per l'Antonia, fu innalzato dalla legione quinta di contro al centro della cisterna chiamata “del passeretto”, e il secondo fu innalzato dalla legione dodicesima a circa venti cubiti di distanza.
Libro V:468 La legione decima, assai lontano dalle altre due, aveva innalzato un terrapieno di contro al settore settentrionale e alla cisterna detta “dei mandorli”, mentre la legione quindicesima aveva elevato il terrapieno a trenta cubiti di distanza di contro al monumento del sommo sacerdote.
Libro V:469 Ma mentre già si stavano tirando su le macchine, Giovanni, che aveva scavato una galleria dall'interno dell'Antonia fino ai terrapieni puntellando la cavità mediante pali che reggevano l'opera dei romani, ad un certo punto introdusse nella galleria della legna spalmata di pece e di bitume e vi appiccò il fuoco.
Libro V:470 Quando i pali furono consunti dal fuoco, la galleria rovinò e con un tremendo boato fece sprofondare il terrapieno.
Libro V:471 Dapprima insieme con la polvere si levò una densa nube di fumo perché il fuoco era soffocato dalle macerie, ma appena cominciò a consumarsi il materiale che lo ricopriva il fuoco divampò liberamente.
Libro V:472 I romani furono presi dallo sbigottimento per il disastro e dallo scoramento per la trovata del nemico; e poi il colpo subito proprio mentre credevano di aver la vittoria in pugno raggelò le loro speranze anche per il futuro. Il fuoco sembrò inutile di combatterlo perché, anche se si riusciva a domarlo, i terrapieni erano ormai sprofondati.
Libro V:473 - 11, 5. Due giorni dopo gli uomini di Simone diedero l'attacco anche agli altri terrapieni perché da quella parte i romani avevano accostate le elopoli e già battevano il muro.
Libro V:474 Un tal Gefteo, della città di Garis nella Galilea, un certo Magassar, un soldato regio al servizio di Mariamme, e insieme con loro un Adiabeno figlio di un Nabateo, che dalla sua disgrazia era chiamato Ceagiras, che significa zoppo, afferrarono delle torce e si avventarono contro le macchine.
Libro V:475 Durante questa guerra non si videro uomini più audaci di costoro né più temibili fra quanti fecero sortite dalla città;
Libro V:476 infatti, come se corressero verso degli amici, e non contro una schiera di avversari, essi non ebbero un attimo d'indecisione né cambiarono direzione, ma facendosi largo fra i nemici appiccarono il fuoco alle macchine.
Libro V:477 Colpiti dai proiettili e respinti a colpi di spada da ogni parte, i tre non si lasciarono strappare dalla loro impresa prima che il fuoco avesse fatto presa.
Libro V:478 Fu quando ormai le fiamme si levavano alte che i romani accorsero in massa dagli accampamenti, ma i giudei li ostacolavano dall'alto delle mura e, senza preoccuparsi di risparmiare le loro vite, uscirono ad azzuffarsi con quelli che tentavano di spegnere l'incendio.
Libro V:479 I romani cercavano di trascinare lontano dal fuoco le elepoli che già avevano i graticci di copertura bruciati, mentre i giudei, pur in mezzo alle fiamme, cercavano di trattenerle aggrappandosi ai ferri ardenti per il calore e tenendo stretti gli arieti. Da questi però a un certo punto il fuoco passò ai terrapieni prima che i difensori potessero impedirlo,
Libro V:480 e allora i romani, circondati dalle fiamme e disperando di poter salvare i lavori, si ritirarono negli accampamenti.
Libro V:481 Li incalzarono i giudei, che diventavano sempre più numerosi per l'accorrere di rinforzi dalla città, e, fatti arditi dal successo, non seppero moderare la loro azione, ma si spinsero fino ai trinceramenti nemici impegnando la lotta con gli uomini di guardia.
Libro V:482 Davanti a ogni accampamento romano è sempre schierato a turno un reparto di guardia, sottoposto a un regolamento severissimo che punisce con la morte chi per qualsiasi motivo abbandona il suo posto.
Libro V:483 Essi, preferendo la morte da valorosi a quella per castigo, si fecero trucidare sul posto, e allora presi dal rimorso per la loro sorte molti di coloro che fuggivano tornarono indietro.
Libro V:484 Messe quindi in posizione lungo il vallo le catapulte, raffrenarono le masse che sopraggiungevano dalla città senza darsi pensiero di risparmiare la vita e di tenersi al riparo; infatti i giudei si azzuffavano con chi capitava e gettandosi senza badare sulla punta delle spade nemiche abbattevano con i loro corpi gli avversari.
Libro V:485 Ma la loro superiorità era nel coraggio più che nei risultati concreti, e i romani cedevano di fronte al loro ardire più che alle perdite subite.
Libro V:486 - 11, 6. Nel frattempo arrivò Tito di ritorno dall'Antonia, dove era andato ad eseguire una ricognizione per l'erezione di nuovi terrapieni. Egli rimproverò aspramente i soldati, che dopo aver superato le mura nemiche ora vedevano in pericolo i propri trinceramenti e sostenevano alla lor volta la parte degli assediati, avendo lasciato che i giudei fuggissero come da una prigione per scagliarsi contro di loro; quindi insieme con le sue truppe scelte attaccò sui fianchi i nemici.
Libro V:487 Costoro, sebbene fossero impegnati sulla fronte, si volsero a fronteggiare anche lui. Nella mischia la polvere offuscava la vista, il clamore assordava le orecchie e nessuna delle due parti era più in grado di distinguere un amico da un nemico.
Libro V:488 I giudei si battevano non tanto per bravura quanto per disperazione, mentre i romani erano spronati dal rispetto per la loro reputazione e per l'onore delle armi nonché dal fatto che Cesare si esponeva in prima fila;
Libro V:489 essi, io credo, avrebbero finito per sterminare nel loro furore l'intera massa dei giudei, se costoro non si fossero affrettati a tornarsene in città prima della rotta.
Libro V:490 Ma la distruzione dei terrapieni aveva demoralizzato i romani, che avevano visto andare in fumo in una sola ora il frutto di una lunga fatica; molti ormai disperavano di poter riuscire a conquistare la città per mezzo delle solite macchine.
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