Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO SESTO

Libro VI:316 - 6, 1. I romani, ora che i ribelli erano scesi a rifugiarsi nella città e il santuario bruciava con tutti gli edifici circostanti, portarono le loro bandiere nell'area antistante al tempio e, collocatele di fronte alla porta orientale, celebrarono un sa­crificio in loro onore e salutarono Tito imperatore fra gran­dissime acclamazioni di giubilo.


Libro VI:317 Tutti i soldati avevano fatto tanto di quel bottino, che in tutta la Siria l'oro scese alla metà del valore di prima.
Libro VI:318 Fra i sacerdoti rimasti ancora in cima al muro del santuario un ragazzo, che non ne poteva più dalla sete, lo confessò alle sentinelle romane supplicandole di promettergli salva la vita.
Libro VI:319 Quelle, prese da compassione per l'età e per il bisogno, promisero e allora il ragazzo scese, bevve e poi risalì in tutta fretta fra i suoi, dopo aver riempito d'acqua il recipiente che s'era portato seco.
Libro VI:320 Le sentinelle, che non erano riuscite ad afferrarlo, si misero a imprecare alla sua perfidia, ma l'altro protestò di non aver violato alcun patto; infatti l'impegno non era stato quello che egli restasse tra loro, ma soltanto che scendesse a prender l'acqua: queste due cose egli le aveva fatte e perciò si considerava a posto.
Libro VI:321 L'astu­zia colpì quelli che ne erano rimasti vittime, soprattutto per l'età del ragazzo; comunque al quinto giorno i sacerdoti, vinti dalla fame, scesero giù e, condotti dalle sentinelle al cospetto di Tito, lo supplicarono di risparmiarli.
Libro VI:322 Ma l'imperatore rispose che per loro era ormai passato il tempo del perdono, che se ne stava andando in cenere l'unica cosa per cui avrebbe avuto senso salvarli, che infine ai sacerdoti conveniva di perire in­sieme col tempio, e diede ordine di metterli a morte.
Libro VI:323 - 6, 2. I capiribelli e i loro uomini, visto che ormai erano stati definitivamente battuti e si trovavano circondati senza al­cuna possibilità di scampo, chiesero a Tito d'intavolare trat­tative.
Libro VI:324 Tito, che era desideroso di risparmiare la città non solo per la sua naturale mitezza, ma anche perché ve lo inducevano i suoi amici, convinti che ormai i ribelli si sarebbero messi sulla strada della moderazione, si portò nella parte occidentale del piazzale esterno del tempio;
Libro VI:325 ivi erano delle porte che si aprivano sul Xisto e un ponte che collegava al tempio la città alta e che ora si frapponeva fra Cesare e i capiribelli.
Libro VI:326 Da un lato e dall’altro si addensavano fitte le schiere, i giudei di Simone e Giovanni ansiosi nella speranza di perdono, i ro­mani dietro a Cesare curiosi di udire le loro richieste.
Libro VI:327 Tito diede ordine ai soldati di tenere a freno gli spiriti ardenti e le armi e, chiamato un interprete, cominciò a parlare per primo, il che significava che era lui il vincitore:
Libro VI:328 “Siete dunque sod­disfatti delle sventure della patria, voi che senza valutare la nostra forza e la vostra debolezza con furia sconsiderata e come dissennati avete provocato la rovina del popolo, della città e del tempio, e che giustamente state per fare la stessa fine,
Libro VI:329 voi che fin da quando Pompeo vi assoggettò non avete mai smesso di ribellarvi e alla fine siete scesi in guerra aperta contro i romani? Confidavate nel vostro numero?
Libro VI:330 Ma contro di voi è bastata una piccolissima parte dell'esercito dei romani! Contavate sulla fedeltà degli alleati? Ma quale dei popoli non racchiuso nel nostro impero avrebbe preferito i giudei ai romani? Facevate affidamento sulla vostra prestanza fisica?
Libro VI:331 Eppure ben sapete che i Germani sono nostri schiavi! Sulla robustezza delle mura? Ma quale muro rappresenta una difesa più sicura dell'oceano, che pur cingendo tutt'intorno i Bri­tanni non impedisce che costoro si prosternino dinanzi alle armi romane? Sul vostro morale incrollabile e sull'astuzia dei capi?
Libro VI:332 Eppure sapevate che anche Cartagine noi l'abbiamo fatta cadere!
Libro VI:333 E allora a spingervi contro i romani è stata evi­dentemente la mitezza di noi stessi romani, che in primo luogo vi concedemmo di abitare questa terra e di essere go­vernati da re nazionali,
Libro VI:334 e poi vi facemmo conservare le patrie leggi e vi lasciammo libertà di regolare come volevate non solo i vostri rapporti interni, ma anche quelli con gli stranieri.
Libro VI:335 Ma soprattutto vi permettemmo di esigere tributi per il Dio e di raccogliere doni votivi senza dissuadere né ostacolare co­loro che li offrivano, col risultato che, grazie a noi, diventaste più ricchi e, con i mezzi che dovevano esser nostri, faceste preparativi contro di noi!
Libro VI:336 Alla fine, impinguati da tali van­taggi, sfogaste la vostra sazietà contro chi ve li concedeva, e a guisa di serpenti non addomesticati iniettaste il veleno in quelli che vi accarezzavano.
Libro VI:337 E’ chiaro che dall'indolenza di Nerone foste spinti a non darci importanza, e come frat­ture e strappi rimaneste malignamente latenti fino a che vi manifestaste quando il male si aggravò, e dirigeste le vostre smodate ambizioni verso sfrontate speranze.
Libro VI:338 Nel vostro paese arrivò allora mio padre, e non per punirvi di ciò che avevate fatto a Cestio, ma per darvi un ammonimento.
Libro VI:339 Se egli fosse venuto per sterminare la nazione, avrebbe dovuto attaccarvi direttamente alla radice e distruggere senza indugi questa città, mentre invece si trattenne a devastare la Galilea e il territorio circostante per darvi così il tempo di rinsavire.
Libro VI:340 Ma a voi la mansuetudine parve debolezza, e dalla nostra clemenza traeste alimento per il vostro ardire.
Libro VI:341 Quando poi scomparve Nerone, assumeste un atteggiamento quanto mai ostile pren­dendo animo dai nostri sconvolgimento interni, e allorché io e mio padre dovemmo raggiungere l'Egitto voi approfit­taste dell'occasione per i preparativi di guerra, e non aveste ritegno di disturbare dopo la loro acclamazione a imperatori coloro che già avevate sperimentato come duci pieni di uma­nità.
Libro VI:342 E così quando l'impero trovò rifugio nelle nostre mani, mentre tutti i sudditi in esso compresi se ne stettero tranquilli, e anche i popoli esterni inviarono ambascerie di felicitazioni, ecco che i giudei ancora una volta ripresero le armi,
Libro VI:343 e voi mandaste emissari ai vostri amici d'oltre Eufrate per incitarli alla rivolta, innalzaste di bel nuovo baluardi di mura, e vi abbandonaste alla ribellione e alle contese dei caporioni e alla guerra civile, le sole cose che si addicevano a individui così perfidi.
Libro VI:344 Poi, contro questa città arrivai io con gli ordini severissimi che mio padre, suo malgrado, aveva dovuto darmi. Mi fece piacere di apprendere che il popolo nutriva intenzioni pacifiche.
Libro VI:345 Quanto a voi, prima che si riprendesse la guerra vi invitai a deporre le armi, e nel corso delle ostilità vi usai a lungo clemenza: diedi garanzia ai disertori, mi com­portai lealmente con i supplici, risparmiai molti prigionieri costringendo chi voleva torturarli a non farlo, a malincuore accostai le macchine alle vostre mura, tenni sempre a freno i soldati assetati del vostro sangue, dopo ogni vittoria vi esortai alla pace come se il perdente fossi io.
Libro VI:346 Arrivato vicino al tem­pio, di nuovo volentieri mi dimenticai delle leggi di guerra e cercai di convincervi a risparmiare i vostri luoghi santi e a preservare il tempio per voi stessi, concedendovi libertà di uscire e garanzia d'incolumità, e insieme la possibilità di ri­prendere la battaglia in un altro luogo se aveste voluto; ma tutte queste proposte le respingeste sprezzantemente e con le vostre mani appiccaste il fuoco al tempio.
Libro VI:347 E dopo tutto ciò, farabutti, venite ora a chiedermi di trattare? Che cosa potreste cercare di salvare che valga quanto avete distrutto? Quale salvezza credete di meritate dopo la distruzione del tempio?
Libro VI:348 E poi, anche ora vi siete presentati con le armi in pugno, e neppure ridotti agli estremi vi decidete ad assumere atteggiamenti da supplici: individui miserabili, su che cosa contate?
Libro VI:349 Non è distrutto il vostro popolo, incenerito il tem­pio, in mio possesso la città; non sono nelle mie mani le vostre vite? Credete che dia fama di eroismo il cercare la morte?
Libro VI:350 Ad ogni modo io non mi metterò a competere con la vostra stoltezza; prometto salva la vita a chi getterà le armi e si arrenderà, e come fa nella sua casa un buon padrone, punirò gli schiavi incorreggibili e conserverò gli altri per il mio comodo”.
Libro VI:351 - 6, 3. A queste parole essi risposero di non poter accettare condizioni di resa, poiché avevano giurato che mai l'avreb­bero fatto; chiesero invece di poter attraversare la linea di circonvallazione assieme alle mogli e ai figli: si sarebbero ritirati nel deserto abbandonandogli la città.
Libro VI:352 Tito andò al­lora sulle furie al vedere che essi, pur trovandosi nella condi­zione di vinti, gli presentavano delle proposte come fossero vincitori e fece loro proclamare dal banditore di non diser­tare più, ormai, né di sperare grazia, perché non avrebbe risparmiato nessuno;
Libro VI:353 combattessero invece con tutte le forze e cercassero scampo come meglio potevano, perché da quel momento egli avrebbe sempre applicato le leggi di guerra. Diede quindi licenza ai soldati di incendiare e mettere a sacco la città,
Libro VI:354 ed essi per quel giorno non si mossero, ma il giorno dopo appiccarono il fuoco agli archivi, all'Acra, alla sala del Consiglio e al quartiere detto Ofel;
Libro VI:355 il fuoco si estese fino alla reggia di Elena, che sorgeva nel mezzo dell'Acra, e le fiamme divamparono nelle strade e nelle case ricolme dei cadaveri delle vittime della fame.
Libro VI:356 - 6, 4. Quello stesso giorno i figli e i fratelli del re Izate, accompagnati da un gran numero di cittadini ragguardevoli, si presentarono a Cesare supplicandolo di accettare la loro resa. Tito, sebbene fosse assai maldisposto contro tutti i su­perstiti, non riuscì a far tacere la sua naturale clemenza e li accolse.
Libro VI:357 Per il momento li rinchiuse tutti in prigione; i figli e i parenti del re li portò più tardi a Roma in catene come ostaggi.


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