Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO SETTIMO

Libro VI:358 - 7, 1. I ribelli assaltarono il palazzo reale, dove molti per la sua solidità avevano depositato i loro beni, ne respinsero i romani e, dopo aver sterminato tutti i cittadini che vi si erano raccolti in numero di circa ottomila e quattrocento, s'impadronirono delle cose di valore.


Libro VI:359 Catturarono anche due romani, un cavaliere e un fante; il fante lo ammazzarono im­mediatamente e lo trascinarono in giro per la città, quasi a vendicarsi su quell'unico cadavere di tutti i romani,
Libro VI:360 mentre il cavaliere, che aveva detto di poter dar loro un buon sugge­rimento per salvarsi, venne condotto dinanzi a Simone. Qui però egli non seppe che dire e allora venne consegnato a un tale Ardalas, uno dei comandanti, per essere messo a morte.
Libro VI:361 Costui, legategli le mani dietro la schiena e bendatigli gli occhi, lo spinse in vista dei romani per decapitarlo, ma l'altro, mentre il giudeo sguainava la spada, con uno scatto rapidissimo rag­giunse i romani.
Libro VI:362 Tito non ebbe l'animo di mettere a morte uno che era sfuggito dalle mani dei nemici, ma, giudicandolo indegno di essere un soldato romano perché s'era fatto pren­dere vivo, gli tolse le armi e lo espulse dalla legione, un'umi­liazione peggiore della morte.
Libro VI:363 - 7, 2. Il giorno dopo i romani, respinti i banditi dalla città bassa, incendiarono ogni cosa fino alla Siloa ed ebbero la soddisfazione di vedere la città in fiamme mentre andarono deluse le speranze di far bottino, perché i ribelli avevano de­predato ogni cosa prima di ritirarsi nella città alta.
Libro VI:364 Costoro non provavano alcun rimorso per le loro malefatte, anzi ne andavano fieri come di belle imprese; così, quando videro la città in fiamme, con lieto volto dichiararono di esser con­tenti di aspettare la fine perché, sterminato il popolo, bruciato il tempio e incendiata la città, non lasciavano niente ai nemici.
Libro VI:365 Neppure in quei momenti supremi Giuseppe tralasciò di sup­plicarli perché risparmiassero quanto rimaneva della città, ma per quanto imprecasse contro le loro crudeltà ed empietà, per quanto si sforzasse di dar salutari consigli, non ne ricavò altro che scherni.
Libro VI:366 Poiché non accettavano di arrendersi a causa del giuramento fatto e non erano più in grado di misu­rarsi con i romani, essendo come racchiusi in una prigione mentre le loro mani fremevano per l'abitudine di uccidere, essi si sparpagliarono alla periferia della città e si posero in agguato tra le rovine aspettando quelli che volevano disertare.
Libro VI:367 Ne presero molti e, dopo averli tutti ammazzati, perché per la debolezza non avevano nemmeno la forza di fuggire, ne gettarono i cadaveri ai cani.
Libro VI:368 Ma ogni genere di morte sembrava più sopportabile della fame, sì che la gente, pur sapendo che presso i romani non avrebbe più trovato pietà, da una parte cercava di raggiungerli, dall'altra era contenta di cadere nelle mani dei ribelli, che non perdonavano.
Libro VI:369 Nella città non si trovava un posto libero, ma c'erano morti dap­pertutto, vittime della fame o dei ribelli.
Libro VI:370 - 7, 3. Per i capi e le loro bande l'ultima speranza era rappresentata dalle gallerie sotterranee; rifugiatisi là dentro pen­savano di non essere ricercati, e quando poi, completata l'espugnazione della città, i romani se ne sarebbero andati, essi contavano di venir fuori e di svignarsela.
Libro VI:371 Ma questo non era che un sogno, perché erano destinati a non sfuggire né al Dio né ai romani.
Libro VI:372 Per il momento, ad ogni modo, facendo affidamento sui sotterranei, essi appiccarono più incendi dei romani, e la gente che dalle case in fiamme usciva a cercar rifugio in quelle gallerie essi l'uccidevano senza pietà e la spogliavano, e se addosso a qualcuno trovavano un po' di cibo glielo strappavano e lo divoravano tutto insozzato di sangue.
Libro VI:373 Ormai si contendevano con le armi in pugno il frutto delle rapine, e io credo che, se avesse tardato la presa della città, essi sarebbero giunti a tal punto di ferocia da cibarsi anche dei cadaveri.


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