Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO OTTAVO

Libro VI:374 - 8, 1. Cesare, poiché senza innalzare terrapieni era impossibile impadronirsi della città alta a causa dei precipizi che la circondavano, il venti del mese di Loos ripartì il lavoro fra le sue forze.


Libro VI:375 Un grave problema era rappresentato dal tra­sporto del legname, dato che, come ho già detto, per la co­struzione dei precedenti terrapieni erano stati tagliati tutti gli alberi entro un raggio di cento stadi intorno alla città.
Libro VI:376 Le opere costruite dalle quattro legioni sorsero sul lato occiden­tale della città dirimpetto al palazzo reale,
Libro VI:377 mentre le truppe ausiliarie e le restanti forze innalzavano un terrapieno di fron­te al Xisto e al ponte e alla torre di Simone, che questi si era fatta costruire al tempo in cui era in lotta con Gio­vanni.
Libro VI:378 - 8, 2. In questi giorni i capi degli Idumei, adunatisi in segreto, deliberarono di arrendersi e mandarono da Tito cinque delegati per supplicarlo di concedere loro salva la vita.
Libro VI:379 Tito, nella speranza che dopo la defezione degli Idumei, i quali rappresentavano un'importante componente delle forze sul campo, anche i capiribelli si sarebbero arresi, sia pur dopo qualche esitazione acconsentì a promettere loro la grazia e rinviò i delegati.
Libro VI:380 Ma mentre gli Idumei si preparavano a par­tire, Simone se ne accorse e immediatamente ordinò di ucci­dere i cinque, che erano andati a parlamentare con Tito, e di mettere in prigione i capi, di cui il più ragguardevole era Giacomo figlio di Sosa;
Libro VI:381 nello stesso tempo tenne d'occhio la massa degli Idumei, sebbene questa fosse paralizzata dalla perdita dei suoi capi, e sulle mura dispose sentinelle più vigili.
Libro VI:382 Queste tuttavia non riuscivano a impedire le diserzioni, e sebbene molti venissero uccisi erano assai più numerosi quelli che riuscivano a fuggire.
Libro VI:383 I romani, accoglievano tutti, sia perché Tito nella sua mitezza aveva lasciato cadere le prece­denti disposizioni, sia perché i soldati li risparmiavano stanchi di uccidere e spinti dalla speranza di guadagno;
Libro VI:384 infatti, esclu­dendo soltanto i cittadini, essi vendettero schiavi tutti quanti gli altri assieme alle mogli e ai figli, ma a un prezzo bassissimo per l'abbondanza della merce e la penuria dei compratori.
Libro VI:385 E nonostante Tito avesse fatto bandire che nessuno disertasse da solo, per costringerà a portar fuori anche le famiglie, alla fine accettò la resa anche degli isolati, ma istituì una commis­sione per indagare se in mezzo a loro vi fosse qualcuno da punire.
Libro VI:386 Ingente fu il numero di coloro che furono venduti; dei cittadini vennero risparmiati oltre quarantamila, e Cesare li lasciò liberi di andare dove volessero.
Libro VI:387 - 8, 3. In quei giorni un sacerdote di nome Gesù, figlio di Thebuthi, ottenuta da Cesare la promessa della grazia se avesse consegnato qualcuno dei preziosi oggetti sacri,
Libro VI:388 venne fuori portando due candelabri che erano stati nascosti nel muro del tempio, simili a quelli che stavano all'interno del tempio, e inoltre tavole e vasi e coppe, tutto d'oro massiccio;
Libro VI:389 per di più consegnò i veli e i paramenti dei sommi sacerdoti con le gemme preziose e molti altri arredi per le cerimonie di culto.
Libro VI:390 Fu poi anche catturato il tesoriere del tempio, di nome Finea, che tirò fuori le tuniche e le cinture dei sacerdoti, e gran quantità di stoffe colorate di porpora e di rosso conser­vate per riparare il velario del tempio, e un'infinità di cinna­momo, di cassia e di ogni altro profumo, che venivano me­scolati e bruciati quotidianamente per incensare il Dio.
Libro VI:391 Egli consegnò anche molti altri oggetti preziosi e non pochi paramenti sacri, e così si guadagnò il perdono riservato ai disertori sebbene fosse stato catturato con le armi.
Libro VI:392 - 8, 4. Finiti ormai i terrapieni in diciotto giorni di lavoro, il sette del mese di Gorpieo i romani spinsero su le mac­chine, e allora alcuni dei ribelli, vedendo ormai la città per­duta, si ritirarono dalle mura nell'Acra, altri si calarono nelle gallerie sotterranee;
Libro VI:393 molti però si disposero a difesa contro quelli che facevano avanzare le elepoli. Anche di questi i ro­mani ebbero ragione grazie al loro numero, alla loro forza e, ciò che più contava, all'ardore che li animava, mentre i ne­mici erano ormai demoralizzati e abbattuti.
Libro VI:394 Quando nelle mura fu aperta una breccia e alcune torri rovinarono sotto i colpi degli arieti, i difensori presero rapidamente la fuga e anche i capiribelli si spaventarono in maniera esagerata;
Libro VI:395 in­fatti, ancor prima che i nemici superassero le difese, essi se ne stavano sbigottiti e in forse se fuggire o no, e si potevano vedere individui un tempo boriosi e fieri delle loro empietà caduti ora in preda alla paura e tutti tremanti, con un capo­volgimento che faceva compassione anche se si trattava di farabutti di quella risma.
Libro VI:396 A un certo punto essi si prepara­rono a correre verso la linea di circonvallazione con l'inten­zione di travolgere le sentinelle e di aprirsi un varco verso l'esterno,
Libro VI:397 ma non riuscirono più a trovare i fedeli d'un tempo, fuggiti ciascuno dove la necessità l'aveva spinto; nello stesso tempo arrivarono di corsa alcuni a riferire che l'intero muro occidentale era stato abbattutolo,
Libro VI:398 altri con la notizia che i romani erano penetrati all'interno e si avvicinavano in cerca di loro, e allorché qualcuno, con la vista annebbiata dalla paura, gridò che dalle torri si vedevano i nemici, quelli si gettarono faccia a terra lamentando la loro follia e, come se fossero stati loro recisi i nervi, non riuscivano a prendere la fuga.
Libro VI:399 Qui si potrebbero scorgere la potenza del Dio contro gli empi e la fortuna dei romani; infatti, i capiribelli si priva­rono da sé stessi della loro sicurezza e di propria volontà scesero da quelle torri in cui non sarebbero stati mai presi con la forza, ma soltanto con la fame.
Libro VI:400 D'altra parte i romani, che avevano tanto penato attorno alle mura più deboli, oc­cuparono per favore della fortuna quelle che mai avreb­bero espugnato con le loro macchine; infatti le tre torri, di cui abbiamo parlato prima, erano tali da resistere a ogni ordigno.
Libro VI:401 - 8, 5. Ritiratisi da esse, o piuttosto scacciatine dal Dio, lì per lì i ribelli si rifugiarono nel burrone sottostante alla Siloa, ma poi, riavutisi un po' dallo spavento, si scagliarono contro il vicino settore della linea di circonvallazione.
Libro VI:402 Il loro impeto non fu però all'altezza della bisogna, poiché le loro forze erano prostrate dalla paura e dalla demoralizzazione; ed essi, respinti dalle sentinelle, si dispersero rifugiandosi nei sotter­ranei.
Libro VI:403 I romani, impadronitisi delle mura, piantarono i loro vessilli sulle torri e con applausi e grida di giubilo inneggia­rono alla vittoria. La conclusione della guerra l'avevano tro­vata assai più facile dell'inizio; quasi non credevano di aver superato l'ultimo muro senza subir perdite e rimasero vera­mente interdetti al vedere che dall'altra parte non c'era un nemico.
Libro VI:404 Riversatisi nelle strade con le spade in pugno, massacrarono in massa quelli che presero e, se qualcuno cercava scampo chiudendosi nelle case, vi appiccavano il fuoco con tutte le persone che c'erano dentro.
Libro VI:405 In molte di esse, penetrati per saccheggiare, trovavano intere famiglie morte e le stanze ricolme dei cadaveri delle vittime della fame, e allora, inorri­diti a tale spettacolo, se ne uscivano a mani vuote.
Libro VI:405 Però, mentre sentivano pietà per quelli che avevano fatto una così brutta morte, non provavano gli stessi sentimenti verso i sopravvissuti, ma facendo strage di chiunque capitava nelle loro mani ostruivano con i cadaveri le strade e inondavano di sangue l'intera città, tanto che parecchi incendi ne furono estinti.
Libro VI:407 La carneficina ebbe termine verso sera, ma nella notte il fuoco prese vigore e l'ottavo giorno del mese di Gorpieo spuntò su Gerusalemme avvolta nelle fiamme,
Libro VI:408 una città che durante l'assedio aveva patito tanti mali che, se avesse goduto altrettanti beni dal momento della sua fondazione, sarebbe stata giudicata senz'altro degna d'invidia; una città che non meritava simili sofferenze se non per aver dato vita a una ge­nerazione come quella che ne causò la rovina.


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