Guerra giudaica



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LIBRO I

CAPITOLO TRENTATREESIMO

Libro I:647 - 33, 1. Ma la sua malattia si aggravava, poiché l'infermità gli era sopraggiunta quand'era in età già avanzata e moral­mente prostrato; infatti era già vicino ai settant'anni ed aveva l'animo avvilito per la sventura dei figli, sì che nemmeno quando si sentiva bene godeva alcun piacere. Aumentava il suo malessere il pensiero che era vivo Antipatro, alla cui ese­cuzione capitale egli aveva deciso di provvedere come a una cosa di non poco conto, quando fosse guarito.


Libro I:648 - 33, 2. Fra tanti dispiaceri, gli capitò anche un'insurrezione popolare. Nella città vi erano due dottori che più di ogni altro godevano fama di conoscere esattamente le leggi patrie e perciò in tutta la nazione erano tenuti in grandissima consi­derazione: uno era Giuda figlio di Sefforeo e l'altro Mattia figlio di Margalo.
Libro I:649 Non pochi erano i giovani che seguivano le loro lezioni sulle leggi, e ogni giorno essi ne raccoglievano una numerosa schiera. Questi allora, venuti a sapere che il re si consumava per i dispiaceri e per la malattia, sussurravano ai loro conoscenti che quello era il momento più adatto per vendicare, finalmente, l'onore di Dio e per distruggere le opere eseguite in violazione delle leggi patrie.
Libro I:650 Era infatti vietato come empietà che nel tempio vi fossero statue o busti o qualche riproduzione di essere vivente, e invece il re aveva fatto collocare sopra la grande porta un'aquila d'oro. I dot­tori allora esortavano ad abbatterla, dicendo che era bello, se anche fosse sorto qualche pericolo, morire in difesa della legge patria; a chi avesse fatto questa morte, le anime sarebbero sopravvissute immortali e avrebbero goduto una per­petua felicità, mentre coloro che erano ignobili e all'oscuro della loro sapienza, restavano per ignoranza attaccati alla vita, e preferivano una morte per malattia a una morte gloriosa.
Libro I:651 - 33, 3. Assieme ai loro discorsi, si diffuse anche la voce che il re era morto, sì che con più ardire i giovani si dedica­rono all'impresa. Pertanto un mezzogiorno, quando nel tem­pio c'era molta gente, con grosse corde si calarono giù dal tetto e a colpi di scure abbatterono l'aquila d'oro.
Libro I:652 La cosa fu immediatamente riferita al capitano del re il quale, accorso con non pochi uomini, catturò circa quaranta giovani e li condusse dinanzi al re.
Libro I:653 Questi domandò in primo luogo se avevano ardito di abbattere l'aquila d'oro, ed essi dissero di sì. Poi domandò chi gliel'avesse ordinato, ed essi risposero la legge patria. Infine domandò perché erano così contenti, stando sul punto di andare a morte, e quelli risposero che, dopo la morte, avrebbero goduto di beni più grandi.
Libro I:654 - 33, 4. A queste risposte il re, vincendo la malattia con l'esasperazione della collera, adunò un'assemblea e dopo aver lanciato molte accuse contro di quelli come sacrileghi, e af­fermato che col pretesto della legge macchinavano qualche cosa di più grosso, chiese che fossero puniti come colpevoli di empietà.
Libro I:655 Il popolo, temendo che l'inquisizione si allargasse, lo invitò a punire in primo luogo i sobillatori del misfatto, poi quelli che erano stati sorpresi all'opera, e di lasciar cadere lo sdegno contro gli altri. Il re si lasciò persuadere a stento, e quelli che si erano calati con le corde li fece bruciare vivi insieme coi dottori, gli altri arrestati li consegnò agli addetti per l'esecuzione della condanna.
Libro I:656 - 33, 5. Da quel momento, tutto il suo corpo fu preda della malattia, diviso tra varie forme di mali; aveva una febbre non violenta, un prurito insopportabile su tutta la pelle e continui dolori intestinali, gonfiori ai piedi come per idro­pisia, infiammazione all'addome e cancrena dei genitali con formazione di vermi, e inoltre difficoltà a respirare se non in posizione eretta, e spasmi di tutte le membra, sì che le persone di sentimenti religiosi dicevano che quei malanni rappresentavano il castigo per l'uccisione dei dottori.
Libro I:657 Erode, pur lot­tando contro tanti mali, era attaccato alla vita, sperava di guarire e cercava di curarsi; perciò attraversò il Giordano e si recò a Callirroe a bagnarsi nelle acque calde, che poi sboccano nel lago Asfaltite e per la loro dolcezza sono anche potabili. Ma avendo ivi i medici deciso di riscaldargli tutto il corpo con olio caldo e fattolo immergere in una vasca ricolma, quello svenne e stralunò gli occhi come morto.
Libro I:658 Tra i servi ci fu una gran confusione e alle loro grida egli si riebbe, ma ormai aveva perduta la speranza di guarire e diede ordine di distribuire ai soldati cinquanta dramme a testa e grosse somme ai comandanti e ai suoi amici.
Libro I:659 - 33, 6. Sulla via del ritorno, arrivò a Gerico già in preda alla bile nera e, per poco non osando sfidare anche la morte, giunse ad architettare un'azione nefanda. Fece infatti conve­nire da tutta la Giudea i personaggi più in vista di ogni vil­laggio, poi li raccolse nel luogo detto ippodromo e ve li fece rinchiudere.
Libro I:660 Indi chiamò la sorella Salome con suo marito Alexa e disse loro: “So che i giudei faranno festa per la mia morte, ma io ho il modo di farli piangere per altri motivi e ottenere un grandissimo lutto, se voi vorrete eseguire le mie disposizioni. Quando io morirò, fate immediatamente circon­dare dai soldati e uccidere quelli che stanno rinchiusi, sì che tutta la Giudea e ogni famiglia, anche non volendo, abbiano a piangere per la mia morte”.
Libro I:661 - 33, 7. Mentre dava queste disposizioni, arrivarono lettere da parte dei suoi ambasciatori a Roma in cui si diceva che Acme era stata giustiziata per ordine di Cesare e che Anti­patro era stato condannato a morte; aggiungevano però che, se il padre voleva punirlo soltanto con l'esilio, Cesare glielo permetteva.
Libro I:662 Erode ne ebbe piacere e per un po' si riprese, ma poi, torturato dalla mancanza di cibo e da una tosse spa­smodica, sfinito dalle sofferenze, decise di anticipare la fine. Presa una mela, chiese un coltello, perché usava affettarla pri­ma di mangiarla, e poi, dato uno sguardo in giro che non vi fosse nessuno a impedirglielo, sollevò la destra per colpirsi. Ma accorse suo cugino Achiab e glielo impedì trattenendogli la mano.
Libro I:663 D'un tratto si levò per la reggia un grandissimo la­mento come se il re fosse morto; Antipatro l'udì e subito prese animo e con grande contentezza chiese alle guardie di liberarlo con la promessa di denaro. Ma il comandante non soltanto si oppose, ma corse a riferire la cosa al re.
Libro I:664 Questi lanciò un urlo superiore alle forze di un malato e mandò immediatamente alcune guardie a uccidere Antipatro. Ordi­nato che il suo cadavere fosse sepolto a Ircania, modificò di nuovo il testamento, e nominò successore Archelao, il più grande dei figli, che era fratello di Antipa, e Antipa lo no­minò tetrarca.
Libro I:665 - 33, 8. All'uccisione del figlio sopravvisse per cinque giorni; poi morì dopo aver regnato per trentaquattro anni dacché, ucciso Antigono, aveva assunto il potere, e per trentasette dacché era stato nominato re dai romani; uomo sotto tutti i rispetti quant'altri mai fortunato, perché da privato che era si era conquistato un regno e, dopo averlo a lungo conservato, lo lasciava ai suoi figli, ma nella vita domestica sventurato oltre ogni dire.
Libro I:666 Prima che l'esercito sapesse della sua morte, Salome si presentò col marito a far liberare i prigionieri, che il re aveva ordinato di uccidere, dicendo che il re aveva cambiato decisione e che ora li rimandava tutti a casa. Quando questi furono partiti, essi dettero la notizia ai soldati e li con­vocarono ad assemblea insieme con il resto del popolo nel­l'anfiteatro di Gerico.
Libro I:667 Quivi si fece avanti Tolemeo, al quale dal re era stato affidato l'anello col sigillo; egli glorificò il re, rivolse un'esortazione al popolo e lesse la lettera lasciata da Erode per i soldati, in cui li invitava insistentemente alla fedeltà verso il successore.
Libro I:668 Dopo la lettera, aprì e lesse i codicilli, in cui Filippo era nominato erede della Traconitide e delle terre confinanti, Antipa tetrarca, come dicemmo, ed Archelao re.
Libro I:669 A quest'ultimo Erode dava disposizione di portare a Cesare il suo anello e gli atti dell'amministrazione del regno chiusi in un plico sigillato; era lui infatti che doveva sanzionare le sue volontà e convalidare il testamento; per tutto il resto valevano le disposizioni del precedente testamento.
Libro I:670 - 33, 9. Si levò subito un grido di giubilo per Archelao, e venendogli dinanzi a schiere insieme con la folla i soldati gli promisero il loro sostegno, e gliel'invocarono anche da parte di Dio; dopo di che, si occuparono dei funerali del re.
Libro I:671 Archelao non trascurò nulla per la loro magnificenza, ma fece portar fuori tutti i tesori del re perché accompagnassero il de­funto; infatti il letto era tutto d'oro tempestato di pietre pre­ziose, la coltre di porpora variopinta, il corpo avvolto in vesti purpuree, sul capo un diadema, sopra a questo una co­rona d'oro e lo scettro nella destra.
Libro I:672 E intorno al letto i suoi figli e la folla dei parenti, e poi la sua guardia e il corpo dei Traci, e i Germani e i Galli, tutti con l'armamento di guerra.
Libro I:673 Avanzava poi tutto il resto dell'esercito in armi, ordinatamente disposto dietro ai comandanti e ai subalterni, e dietro a loro cinquecento fra schiavi e liberti che portavano incensi. Il corpo fu trasportato per duecento stadi fino ad Erodio, ove secondo le disposizioni venne sepolto. Questa fu la fine di Erode.


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