Guerra giudaica



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LIBRO III

CAPITOLO DECIMO

Libro III:462 - 10, 1. Vespasiano proseguì nella sua marcia e pose l'accampamento fra Tiberiade e Tarichee fortificandolo più del normale in previsione di un ciclo impegnativo di operazioni belliche.


Libro III:463 Infatti tutta la massa dei rivoluzionari si era raccolta a Tarichee facendo affidamento sulle fortificazioni della città e sul lago, cui gli indigeni danno il nome di Gennesar.
Libro III:464 La città, che sorge come Tiberiade alle falde di un monte, era stata circondata tutt'intorno ad opera di Giuseppe, tranne la parte che si affacciava sul lago, di possenti fortificazioni, in­feriori peraltro a quelle di Tiberiade;
Libro III:465 quivi infatti le mura erano state da lui costruite allo scoppio della rivolta, quando c'era abbondanza di mezzi e, di forze, mentre Tarichee aveva ricevuto le briciole dei suoi aiuti.
Libro III:466 Gli abitanti avevano sul lago un gran numero di barconi approntati sia per potervisi rifugiare in caso di una sconfitta per terra, sia per affrontare un'eventuale battaglia navale.
Libro III:467 Mentre i romani erano intenti a fortificare l'accampamento, gli uomini di Gesù, senza la­sciarsi spaventare né dal gran numero, né dalla disciplina dei nemici, vi fecero un'irruzione;
Libro III:468 travolsero al primo impeto i genieri e distrussero una piccola parte delle opere fortificate; ma quando videro che i legionari si preparavano ad accorrere si affrettarono a ritirarsi nelle loro linee prima di subire alcuna perdita. I romani li inseguirono costringendoli a rifugiarsi nei barconi,
Libro III:469 su cui quelli presero il largo fermandosi però a una distanza utile per tirare sui nemici; ivi gettarono le ancore e, ordinati i barconi in fitta schiera a guisa di fa­lange, combattevano contro i nemici che erano sulla riva.
Libro III:470 Ma il grosso degli avversari Vespasiano seppe che era raccolto nella pianura antistante alla città, e ad affrontarli inviò il figlio con seicento cavalieri scelti.
Libro III:471 - 10, 2. Tito, peraltro, trovò che il numero dei nemici era strabocchevole e mandò a chiedere rinforzi al padre; nel frat­tempo, vedendo che i più dei cavalieri erano bensì impazienti di battersi anche prima dell'arrivo dei rinforzi, ma che alcuni in segreto erano sgomenti per l'enorme superiorità numerica dei giudei, montò su un luogo donde poteva farsi sentire da tutti e così disse:
Libro III:472 “Romani, vi chiamo romani perché è bene che io cominci a parlarvi rammentandovi qual è la vostra patria, sì che teniate presente chi siete voi e chi sono quelli che stiamo per affrontare.
Libro III:473 Finora non v'è nulla al mondo che abbia potuto sottrarsi alla nostra potenza, eppure i giudei - per parlare anche di loro - fino a questo momento non si danno per vinti, per quanto siano stati battuti. Ora sarebbe una cosa inaudita se, mentre quelli non si avviliscono nella sconfitta, fossimo invece presi dallo scoramento noi, che stiamo vincendo.
Libro III:474 Mi compiaccio allo spettacolo dell'ardore che così manifestamente vi anima, ma non vorrei che in qual­cuno la sproporzione numerica a favore dei nemici ingene­rasse un segreto motivo di apprensione.
Libro III:475 Questo qualcuno ri­fletta ancora una volta chi è lui e chi sono gli avversari che affronterà; consideri che i giudei, anche se sono molto corag­giosi e disprezzano la morte, peraltro non hanno un addestramento né esperienza di guerra, e meglio si direbbe che essi costituiscono una caterva piuttosto che un esercito. Al contrario, che bisogno c'è di parlare della nostra esperienza e della nostra preparazione? Appunto per questo noi siamo i soli che in tempo di pace ci esercitiamo alle armi, per non doverci poi contare in tempo di guerra rispetto agli avver­sari.
Libro III:476 A che cosa servirebbero le continue esercitazioni se poi dovessimo preoccuparci della parità numerica al momento di affrontare un nemico inesperto?
Libro III:477 Considerate poi che vi batterete in condizioni di superiorità, perché voi siete armati alla pesante e quelli invece alla leggera, voi siete a cavallo mentre quelli sono a piedi, voi avete dei capitani mentre quelli ne sono sprovvisti, e che questi vantaggi hanno l'effetto di moltiplicare il nostro numero così come gli svantaggi dei nemici ne assottigliano notevolmente le forze.
Libro III:478 Le guerre non si vincono con le grandi masse di uomini, seppur bellicose, ma col valore, anche di pochi. Questi infatti possono manovrare agilmente e sostenersi a vicenda, mentre gli eserciti sproporzionati si procurano da sé più danni di quanti non ne rice­vano dai nemici.
Libro III:479 I giudei sono guidati dal loro ardimento, dal coraggio e dalla disperazione, che sono di sprone quando le cose vanno bene, ma svaniscono dinanzi ai più piccoli insuccessi; a noi invece sono guida il valore, la disciplina e l'eroismo che, se anche tocca il culmine nella prospera fortuna, nelle avversità resiste sino all'ultimo.
Libro III:480 Inoltre è in palio per voi una posta più alta di quella dei giudei; se infatti costoro si battono per salvare la libertà e la patria, quale meta più ambita per noi che la gloria e il non lasciare che la potenza dei giudei appaia emula della nostra dopo che noi abbiamo assoggettato il mondo?
Libro III:481 E’ anche da considerare che per noi non esiste timore di subire un insuccesso irreparabile: infatti sono molti e vicini quelli che potranno venirci in aiuto; ma noi siamo in grado di acciuffare la vittoria, e dobbiamo cercare di farlo prima che arrivino i rinforzi inviati da mio padre, in modo che il trionfo sia tutto nostro e di maggiore significato.
Libro III:482 Io sento che è questo il momento della prova per mio padre, per me e per voi, e si vedrà se egli è veramente degno delle sue precedenti vittorie, io di essere suo figlio e voi di combattere ai miei ordini. Egli è abituato a vincere, ed io non avrei il coraggio di ritornare da lui dopo una sconfitta.
Libro III:483 Quanto a voi, come non dovreste vergognarvi se aveste a subire un rovescio nonostante che il vostro comandante si sia battuto in prima fila? Ben sapete infatti che questo io farò, e sarò il primo a caricare i nemici.
Libro III:484 Voi non siate da meno, fiduciosi nell'appoggio che un Dio propizio concederà alla mia audacia, e fin d'ora state certi che riporteremo ben altre vittorie più importanti di questo scontro fuori le mura”.
Libro III:485 - 110, 3. A queste parole di Tito un ardore sovrumano s'impadronì dei suoi uomini, e quando poco prima di attaccar battaglia sopraggiunse Traiano, con quattrocento cavalieri essi se ne rammaricarono, pensando che la loro vittoria ne restava sminuita perché dovevano condividerne il vanto con quelli.
Libro III:486 Vespasiano aveva anche inviato Antonio Silone con duemila arcieri a occupare le alture sovrastanti la città e battere di là i nemici che si affacciassero dalle mura.
Libro III:487 Gli arcieri, secondo gli ordini ricevuti, tennero in rispetto costoro impedendo che potessero collaborare alla difesa mentre Tito spronava per primo il suo cavallo contro i nemici: lo seguirono con grida bellicose tutti gli altri dispiegandosi nella pianura lungo tutta la fronte degli avversari sì da apparire anche molto più nu­merosi.
Libro III:488 I giudei, sebbene stupiti dal loro impeto e dalla per­fezione della - manovra, resistettero per un poco all'attacco, ma poi, colpiti dalle lance e sbaragliati dalla carica dei cavalieri, vennero travolti e calpestati.
Libro III:489 Dopo che molti erano caduti da ogni parte, gli altri si dispersero cercando ognuno di ripa­rarsi in città quanto più presto poteva.
Libro III:490 Tito alcuni ne uccise raggiungendoli e colpendoli alle spalle, altri ne abbatté attra­versando impetuosamente le loro schiere, altri superandoli in velocità e voltandosi poi a caricarli, molti infine ne sterminò piombando sui gruppi di quanti erano caduti ostacolandosi l'un l'altro.
Libro III:491 A tutti cercava d'impedire che potessero arrivare alle mura e li rigettava verso la pianura finché quelli, grazie al loro numero preponderante, riuscirono ad aprirsi a forza un passaggio e a rifugiarsi entro la città.
Libro III:492 - 10, 4. Quivi li attendeva ancora una brutta prova. Gli abitanti del luogo, preoccupati per i loro averi e per la città, dapprincipio non erano stati propensi alla guerra, e tanto meno lo erano in quel momento dopo la disfatta.
Libro III:493 Ma gli ele­menti venuti da fuori, che erano un gran numero, con più violenza volevano costringerli, e fra loro nacquero furiosi diverbi con schiamazzi e disordini, e mancò poco che venis­sero alle armi.
Libro III:494 Tito, che non stava lontano dalle mura, udì quel trambusto e gridò ai suoi: “Questo è il nostro momento! Che cosa aspettiamo, commilitoni, se è proprio Dio a conse­gnare i giudei nelle nostre mani? Accettate il dono della vit­toria!
Libro III:495 Non sentite i loro clamori? Sono discordi fra di loro quelli che sono scampati alle nostre destre. Abbiamo in pugno la città se ci affrettiamo, ma oltre ad affrettarsi occorre esser pronti a un nuovo sforzo e risoluti; nessuna grande impresa si può realizzare senza pericoli.
Libro III:496 Dobbiamo affrettarci non solo prima che fra i nemici si ristabilisca la concordia - la neces­sità farà presto a riconciliarli -, ma anche prima che arrivino i nostri rinforzi, sì che come siamo stati in pochi a sbaragliare una così immensa moltitudine, così siamo noi soli ad espu­gnare la città”.
Libro III:497 - 10, 5. Ciò detto, balzò in sella, guidò i suoi verso il lago e, dopo esservisi spinto dentro, fu il primo a penetrare nella città seguito poi da tutti gli altri.
Libro III:498 Al vedere il suo ardire i difensori che stavano sulle mura furono presi dalla paura e nessuno ebbe il coraggio di combattere o di tentare una resi­stenza; abbandonate le posizioni difensive, gli uomini di Gesù fuggirono attraverso la campagna,
Libro III:499 mentre gli altri cor­sero verso il lago, ma s'imbatterono nei nemici che avanza­vano da quella parte. Un certo numero ne vennero uccisi mentre salivano sui barconi, parte mentre cercavano di raggiungere a nuoto i compagni che erano già al largo.
Libro III:500 Grande fu la strage di quanti rimasero in città, non solo degli stranieri che non avevano fatto in tempo a fuggire e che si battevano, ma anche dei cittadini che invece non opponevano resistenza; questi infatti non avevano partecipato alla lotta sia per la speranza di un accordo, sia per la consapevolezza di aver disapprovato la guerra.
Libro III:501 Alla fine Tito, dopo aver eliminato i colpevoli, ebbe pietà dei paesani e fece cessare la strage.
Libro III:502 Quelli che s'erano rifugiati sul lago, quando videro che la città era stata presa, si spinsero al largo il più lontano possi­bile dai nemici.
Libro III:503 - 10, 6. Tito mandò uno dei suoi cavalieri a recare al padre la bella notizia dell'impresa.
Libro III:504 Il duce si allietò, com'era natu­rale, per il valore del figlio e per il successo riportato, che sembrava un importante passo avanti verso il compimento della guerra, e venuto sul posto ordinò che la città fosse cir­condata da una linea di sentinelle, sì che nessuno potesse allontanarsene nascostamente, e comandò di mettere a morte “...”.
Libro III:505 Il giorno dopo scese al lago e ordinò di costruire delle zattere per dar la caccia ai fuggiaschi; l'abbondanza del le­gname e il gran numero di carpentieri consentì di costruirle rapidamente.
Libro III:506 - 10, 7. Il lago di Gennesar, che prende il nome dal vicino territorio, ha una larghezza di quaranta stadi e una lunghezza di centoquaranta, e tuttavia la sua acqua è dolce e quanto mai buona da bere;
Libro III:507 essa è infatti più leggera della pesante acqua di palude ed è limpida perché le sue rive tutt'intorno sono formate di ghiaia e di sabbia; inoltre, quando si attinge ha una temperatura gradevole: è meno fredda di quella di fiume o di sorgente, ma resta sempre più fresca di quanto si aspetterebbe data l'estensione del lago.
Libro III:508 Quest'acqua, poi, di­venta non meno ghiacciata della neve quando viene esposta all'aria, come appunto sogliono fare i paesani nelle notti d'estate. Nel lago vivono alcune specie di pesci differenti, come forma e come gusto, da quelli di ogni altro luogo.
Libro III:509 Al centro di esso scorre il Giordano, che sembra scaturire dal Panion, mentre in realtà al Panion arriva con un percorso sotterraneo nascendo da un bacino di nome Fiale.
Libro III:510 Questo si trova a centoventi stadi da Cesarea, sulla destra e non lon­tano dalla via che conduce alla Traconitide.
Libro III:511 Il bacino deriva il nome di Fiale dalla sua forma circolare, trattandosi di un laghetto rotondo, e l'acqua lo riempie sempre fino all'orlo senza mai abbassarsi o debordare.
Libro III:512 Non si sapeva che ne traesse origine il Giordano fino a che la cosa non fu dimostrata da Filippo, il tetrarca della Traconitide;
Libro III:513 infatti egli gettò nella Fiale della paglia e la ritrovò trasportata al Panion, donde in antico si credeva che scaturisse il Giordano.
Libro III:514 La bellezza na­turale del Panion è stata arricchita dalla munificenza regia, essendovi stati fatti degli appositi lavori a spese di Agrippa,
Libro III:515 e il Giordano, cominciando da questo antro a scorrere in su­perficie, interseca la palude e gli stagni del lago Semeconitide, poi dopo un percorso di altri centoventi stadi, oltrepassata la città di Giuliade, fluisce nel mezzo del lago di Gennesar e infine, dopo aver attraversato un lungo tratto di deserto, s'immette nel lago Asfaltite.
Libro III:516 - 10, 8. Lungo il lago di Gennesar si distende una regione che ha lo stesso nome, dalle doti naturali e di una bellezza meravigliose. La sua feracità ammette ogni cultura e chi la lavora vi fa crescere di tutto, e il clima è così temperato che si adatta anche alle piante più svariate.
Libro III:517 I noci, alberi parti­colarmente idonei alle regioni fredde, vi crescono innumere­voli accanto alle palme, che richiedono il caldo, e vicino a loro fichi e ulivi, cui si confà un'aria più mite.
Libro III:518 Si direbbe che la natura si sia compiaciuta di un simile sforzo per rac­cogliere sullo stesso suolo le specie più diverse, e che le stagioni si siano affrontate in benefica gara, cercando ognuna di imporsi in tale contrada; questa infatti non soltanto stra­namente produce frutti così diversi, ma li fa anche mantenere.
Libro III:519 L'uva e i fichi, delizie da re, li porta ininterrottamente per dieci mesi, mentre tutti gli altri frutti maturano nell'intero corso dell'anno. Oltre a godere di questo clima temperato, la regione è irrigata da una sorgente quanto mai fecondatrice, che la gente del posto chiama Cafarnao.
Libro III:520 Alcuni la ritennero una vena del Nilo, perché produce un pesce simile al coracino che vive nel lago di Alessandria.
Libro III:521 La contrada si estende, lungo la riva del lago omonimo, per una lunghezza di trenta stadi e una larghezza di venti. Tale è, dunque, la sua natura.
Libro III:522 - 10, 9. Quando le zattere furono pronte, Vespasiano vi fece montare il numero di soldati che stimò sufficiente per avere ragione degli uomini che stavano sul lago e le inviò all'attac­co. Così incalzati, quelli non potevano né trovare scampo sulla terraferma, che era tutta in mano dei nemici, né affron­tare una battaglia navale in condizioni di parità;
Libro III:523 infatti i loro legni, di piccole dimensioni e adatti alla pirateria, erano troppo deboli per affrontare le zattere, e inoltre i pochi uomini im­barcati su ciascuno di essi avevano paura di accostarsi alle nutrite schiere degli attaccanti romani.
Libro III:524 Ad ogni modo, girando attorno alle zattere e talora anche facendosi sotto, da lontano colpivano i romani col lancio di pietre, e rasentandoli li assa­livano con le armi. Ma in entrambi i casi erano loro ad aver la peggio;
Libro III:525 infatti con le loro pietre non producevano altro che un continuo crepitio, dato che tiravano su uomini rivestiti di corazze, mentre al tempo stesso diventavano facile bersaglio per i dardi dei romani; quando poi osavano di avvicinarsi, prima ancora di aver potuto causare qualche perdita venivano sopraffatti e colavano a picco insieme con i barconi.
Libro III:526 Di quelli che cercavano di attraversare il loro schieramento, i romani alcuni li colpirono trafiggendoli coi loro giavellotti, altri con le spade saltando nei barconi, altri accerchiandoli con le zat­tere e prendendoli in mezzo insieme coi barconi.
Libro III:527 Quanti tornavano a galla, dopo esser caduti in acqua, o erano trafitti da una freccia o catturati da una zattera, e a chi, preso dalla disperazione, cercava di abbordare le zattere i romani tagliavano la testa o le mani.
Libro III:528 Se ne fece una gran strage in vari modi e da ogni parte finché furono sbaragliati e i superstiti, circondati i loro barconi, furono sospinti verso terra.
Libro III:529 Mentre balzavano giù, molti vennero colpiti quando si trovavano ancora nel lago e molti i romani li uccisero assalendoli quando mettevano piede a terra. Si poteva vedere tutto il lago arros­sato dal sangue e pieno di cadaveri, perché nessuno scampò.
Libro III:530 Nei giorni seguenti, la contrada fu in preda a un orribile fetore e offrì uno spettacolo tremendo; infatti sulle rive as­sieme ai rottami si ammucchiavano cadaveri rigonfi, e i corpi riarsi dal calore andando in putrefazione appestavano l'aria, sì che la catastrofe non soltanto suscitò lo strazio nei giudei, ma divenne anche insopportabile a chi l'aveva causata.
Libro III:531 Tale fu l'esito di quella battaglia navale, e computando anche quanti erano caduti precedentemente nella città i morti assommarono a seimila e settecento.
Libro III:532 - 10, 10. Dopo la battaglia Vespasiano eresse il suo tribunale a Tarichee e, dopo aver discriminato dai paesani la massa di quelli venuti da fuori, che apparivano gli iniziatori delle ostilità, discusse con i suoi ufficiali se si dovevano risparmiare anche costoro.
Libro III:533 I consiglieri dichiararono che la loro libera­zione sarebbe stata dannosa, perché individui senza patria come quelli una volta lasciati andare non se ne sarebbero stati tranquilli, ma avrebbero potuto costringere a entrare in guerra coloro presso i quali si fossero rifugiati;
Libro III:534 allora Vespa­siano si convinse che non meritavano pietà e che la loro li­berazione sarebbe stata di danno ai liberatori, e rifletté sul modo più opportuno per eliminarli.
Libro III:535 Se li avesse fatti uccidere sul posto, dubitava di suscitare l'ostilità dei paesani, che non avrebbero tollerato nella loro città il massacro di tanti uomini venuti da fuori come supplici; d'altra parte gli ripugnava di lasciarli andare e poi di assaltarli dopo aver loro concessa l'im­punità.
Libro III:536 Prevalsero gli amici sostenendo che con i giudei non si poteva far questione di empietà, e che alle esigenze di carattere morale dovevano anteporsi quelle di pratica utilità qualora non fosse possibile conciliarle fra loro.
Libro III:537 Vespasiano allora, dopo aver assicurato l'impunità in termini equivoci, concesse a quelli di andarsene, ma soltanto sulla via che por­tava a Tiberiade.
Libro III:538 Essi credettero prontamente in ciò che desi­deravano e, portando seco non nascostamente le loro cose perché si ritenevano sicuri, si avviarono lungo la strada sta­bilita; i romani però l'avevano interamente chiusa fra due cordoni di soldati fino a Tiberiade, perché nessuno potesse allontanarsi, e alla fine li rinchiusero in quella città.
Libro III:539 Poi arrivò Vespasiano, che comandò di raccoglierli tutti nello stadio: i vecchi e gli inabili, in numero di mille e duecento, li fece uccidere;
Libro III:540 dei giovani scelse i più robusti, in numero di sei­mila, e li mandò a Nerone per i lavori sull'istmo; tutti gli altri, in numero di trentamila e quattrocento, li vendette schiavi, tranne quelli che mandò in dono ad Agrippa:
Libro III:541 permise infatti a lui di disporre intorno a quanti appartenevano al suo regno, e il re stabilì di vendere anche costoro.
Libro III:542 Per il resto quella massa era composta per lo più di individui provenienti dalla Traconitide, dalla Gaulanitide, da Hippos, da Gadara, ribelli e fuorusciti che dai delitti consumati in tempo di pace erano spinti alla guerra. Furono presi l'ottavo giorno del mese di Gorpieo.


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