Guerra giudaica



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LIBRO IV

CAPITOLO TERZO

Libro IV:121 - 3, 1. All'arrivo di Giovanni tutto il popolo si riversò per le, strade, e attorno a ciascuno dei fuggiaschi si accalcò una folla immensa che chiedeva notizie sugli avvenimenti esterni.


Libro IV:122 Il loro caldo respiro ancora affannoso tradiva in quali condi­zioni erano ridotti; tuttavia essi ostentarono una gran sicu­rezza anche in quei brutti momenti, affermando che non erano fuggiti dinanzi ai romani, ma che venivano per combatterli da posizioni sicure.
Libro IV:123 Sarebbe stato sciocco e inutile esporsi a gravi rischi per Giscala e altre città insignificanti, mentre biso­gnava tenere in serbo le armi e le forze per la metropoli e col­laborare alla sua difesa.
Libro IV:124 A questo punto accennarono alla caduta di Giscala e a quella che essi chiamarono con un eufe­mismo la loro ritirata, mentre i più capirono che si era trattato di una fuga.
Libro IV:125 Quando poi sentì parlare dei prigionieri, il po­polo fu sconvolto da un gran turbamento, pensando che si­curamente avrebbe subito lo stesso destino.
Libro IV:126 Ma Giovanni, senza arrossire per coloro che aveva abbandonati, andava in giro a istigare alla guerra or questo or quello facendo balenare speranze di vittoria, presentando come debole la posizione dei romani, esaltando invece la propria forza e mettendo in ridi­colo l'ignoranza degli inesperti:
Libro IV:127 nemmeno se avessero messo le ali, i romani avrebbero mai potuto superare le mura di Ge­rusalemme, essi che si erano trovati nei guai dinanzi ai villaggi della Galilea e avevano logorato le loro macchine contro quelle mura.
Libro IV:128 - 3, 2. Da tali discorsi la maggior parte dei giovani si lasciava sedurre e s'infiammava alla guerra, mentre fra le persone assennate e gli anziani non v'era nessuno che non prevedesse il futuro e non si rattristasse come se la città fosse ormai per­duta.
Libro IV:129 Tale era dunque lo stato di confusione in cui si trovava il popolo quando alla rivolta in Gerusalemme diede l'avvio la gente del contado.
Libro IV:130 Mentre infatti Tito faceva ritorno a Cesarea, Vespasiano da Cesarea aveva raggiunto Iamnia e Azoto, le aveva sottomesse, vi aveva collocato una guarnigione ed era tornato indietro con un gran numero di giudei venuti a patti.
Libro IV:131 Ogni città era in preda al disordine e alla guerra civile, e quando avevano un po' di tregua dai romani si bat­tevano gli uni con gli altri. Aspra era la lotta fra i partigiani della guerra e i fautori della pace.
Libro IV:132 Dapprincipio il dissenso scoppiava nelle case tra persone che da tempo erano andate d'accordo, poi si allentavano i legami affettivi più stretti e ognuno se ne andava con quelli che la pensavano come lui formando dei gruppi contrapposti.
Libro IV:133 La rivolta serpeggiava dap­pertutto, e la fazione rivoluzionaria e propensa alla guerra, per la giovinezza e l'audacia dei suoi aderenti, aveva il soprav­vento sugli anziani e sui benpensanti.
Libro IV:134 Dapprima si diedero iso­latamente a far man bassa dei beni dei vicini; poi, organizzatisi in bande, a far scorrerie nella regione, sì che le vittime quanto a crudeltà e violenza non trovavano alcuna differenza tra i romani e i connazionali, e ai malcapitati sembrava molto più sopportabile cadere in mano dei romani.
Libro IV:135 - 3, 3. I presidi delle città, un po' per evitare guai, un po' per odio verso la nazione, poco o nulla soccorrevano le loro vittime, e alla fine i capi delle bande, sazi di depredare il terri­torio, si riunirono da ogni parte e, formato un esercito di bri­ganti, penetrarono per sua disgrazia in Gerusalemme.
Libro IV:136 La città non aveva un comando militare e per antica tradizione era aperta senza riserve a ogni connazionale: tanto più allora, quando generalmente si credette che tutta quella gente arri­vasse spinta dal desiderio di partecipare alla difesa.
Libro IV:137 Il che, a prescindere dalla rivolta, fu poi causa della rovina della città; infatti quella massa inutile e oziosa consumò le riserve che avrebbero potuto mantenere i combattenti, ed essa attirò così su di sé, oltre la guerra, anche la rissa e la fame.
Libro IV:138 - 3, 4. Provenienti dal contado entrarono poi nella città altri briganti e, aggregatisi ai peggiori di quelli che già stavano dentro,
Libro IV:139 non si astennero più da alcuna infamia; non limitarono la loro audacia al furto e alla rapina, ma si spinsero fino all'assassinio, e non di notte o nascostamente o a danno di chi capitava, ma apertamente e in pieno giorno e cominciando dalle persone più eminenti.
Libro IV:140 Per primo infatti presero e impri­gionarono Antipa, uno dei membri della famiglia reale e fra i più potenti della città, tanto che gli era stato affidato il pub­blico tesoro;
Libro IV:141 poi Levia, uno dei notabili, e Sifa figlio di Aregete, anch'essi di stirpe regia, e inoltre quelli che nel paese avevano una posizione eminente.
Libro IV:142 Il popolo fu preso da un grande sbigottimento e, come se la città fosse stata conqui­stata in guerra, nessuno si preoccupò di altro che della propria salvezza.
Libro IV:143 - 3, 5. Ai rivoluzionari non bastò di mettere in catene i prigionieri e stimarono malsicuro di tenere così rinchiusi per lungo tempo dei personaggi di primo piano;
Libro IV:144 infatti le loro numerose casate erano in grado di farne vendetta, e poi poteva accadere che il popolo insorgesse contro tale iniquità.
Libro IV:145 Deci­sero dunque di assassinarli e ne incaricarono un tal Giovanni, il più sanguinario fra loro, che nella lingua del paese era chiamato “figlio di Dorcade”. Assieme a lui entrarono nel car­cere altri dieci uomini armati e fecero strage dei detenuti.
Libro IV:146 Per un tale enorme misfatto essi inventarono anche un'infame giustificazione, dicendo che quelli avevano trattato con i romani per la consegna di Gerusalemme e che loro li avevano eliminati come traditori della comune libertà; insomma, me­navano vanto della loro criminosa audacia come se fossero stati i benefattori e i salvatori della città.
Libro IV:147 - 3, 6. Alla fine il popolo giunse a tale estremo di impotenza e di terrore, e quelli di follia, da voler prendere nelle loro mani anche l'elezione dei sommi sacerdoti.
Libro IV:148 Pertanto aboli­rono i privilegi delle famiglie da cui si erano sempre presi a turno i sommi sacerdoti, e nominarono individui comuni e di bassa estrazione per averli alleati nelle loro empie ribalderie; infatti,
Libro IV:149 chi senza meriti aveva ottenuto la più alta dignità era necessariamente asservito a coloro che gliel'avevano fatta raggiungere.
Libro IV:150 Inoltre, con varie manovre a base di menzogne, misero in urto tra loro le autorità di governo, traendo van­taggio dal contrasto di chi avrebbe potuto tenerli a freno, e alla fine, sazi dei delitti consumati contro gli uomini, rivolsero la loro violenza contro la divinità e con i loro piedi impuri entrarono nel santuario.
Libro IV:151 - 3, 7. Poiché il popolo ormai insorgeva contro di loro, incitato da Anano, il più anziano dei sommi sacerdoti, che forse sarebbe riuscito a salvare la città se fosse scampato alle mani dei cospiratori, quelli trasformarono il tempio del Dio nel loro fortilizio e in un baluardo contro le sommosse popo­lari, sì che il santuario diventò il loro comando generale.
Libro IV:152 A queste infamie si aggiunse anche lo scherno, più doloroso dei misfatti.
Libro IV:153 Mettendo a prova lo smarrimento del popolo e dando la misura della loro potenza, essi vollero infatti intro­durre il sorteggio per la scelta dei sommi sacerdoti mentre la successione di costoro, come abbiamo detto, era regolata in base alle famiglie.
Libro IV:154 A giustificazione di tale progetto addussero un'antica usanza, affermando che anche anticamente il sommo sacerdozio si assegnava mediante sorteggio, mentre in realtà miravano a distruggere un sistema ben radicato e il loro era un artificio per dominare, giacché erano essi che manovravano l'attribuzione delle cariche.
Libro IV:155 - 3, 8. Pertanto convocarono uno dei casati dei sommi sacerdoti, di nome Eniachin, e ne estrassero a sorte un sommo sacerdote. Uscì per caso un individuo tale che nessuno meglio di lui avrebbe potuto mettere in luce la loro soperchieria: si chiamava Fanni, figlio di Samuele, del villaggio di Aftia, il quale non solo non discendeva da sommi sacerdoti, ma era tanto rozzo da non sapere nemmeno che cosa forse il sommo sacerdozio.
Libro IV:156 Comunque, lo strapparono contro il suo volere dalla campagna e lo travestirono come chi interpreta un per­sonaggio sulle scene facendogli indossare i sacri paramenti e insegnandogli che cosa dovesse fare per l'occasione.
Libro IV:157 Una tale empietà era per loro una burla e uno scherzo, ma agli altri sacerdoti che assistevano da lontano alla derisione della legge veniva da piangere, ed essi gemevano sulla fine dei sacri onori.
Libro IV:158 - 3, 9. Questa loro prepotenza il popolo non poté tollerarla, e tutti insorsero come per abbattere un governo dispotico.
Libro IV:159 Le personalità più eminenti, quali Gorion figlio di Giuseppe e Simeone figlio di Gamaliel, li incitavano infatti sia tutt'in­sieme nelle assemblee, sia recandosi a visitarli ad uno ad uno, perché una buona volta punissero i traditori della libertà e purificassero il santuario da quegli empi assassini.
Libro IV:160 Nello stesso tempo i più autorevoli dei sommi sacerdoti, Gesù figlio di Gamala e Anano figlio di Anano, biasimando senza posa nelle assemblee il popolo per la sua apatia, lo istigarono con­tro gli Zeloti;
Libro IV:161 tale, infatti, era il nome che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone e non invece al massimo grado delle più turpi.
Libro IV:162 - 3, 10. Una volta che il popolo era raccolto in assemblea e tutti erano indignati per l'occupazione del santuario, per le ruberie e per le uccisioni, ma non avevano ancora intrapreso alcuna azione di resistenza perché ritenevano, e a ragione, che non sarebbe stato facile mettere a posto gli Zeloti, si levò a parlare tra la folla Anano e, rivolgendo ripetutamente lo sguardo al tempio con gli occhi pieni di lacrime, così disse:
Libro IV:163 “Come sarebbe stato bello per me morire prima di vedere la casa del Dio ricolma di tanti empi misfatti e i luoghi inac­cessibili e sacri violati da piedi tanto scellerati!
Libro IV:164 E invece, rive­stito dei paramenti del sommo sacerdozio, e insignito del più venerando dei titoli sacri, io vivo e sono attaccato alla vita, senza il coraggio di affrontare una morte gloriosa in cambio della mia vecchiaia. Se è necessario, andrò io solo e, come in un deserto, offrirò la mia sola vita in sacrificio per il Dio.
Libro IV:165 A che, infatti, vivere tra un popolo insensibile alle sven­ture, e fra gente che ha perduto la forza di opporsi ai mali che l'assalgono? Infatti vi spogliano e voi lasciate fare, vi battono e voi non fiatate, e sugli uccisi nessuno osa piangere apertamente.
Libro IV:166 Oh amara tirannide! Ma perché rimproverare i tiranni? Non sono essi cresciuti per colpa vostra e della vostra sopportazione?
Libro IV:167 Non foste voi, lasciando che i primi si riunis­sero quand'erano pochi, a farli diventate di più col vostro tacere, e ad attirare contro di voi le loro armi mentre essi si armavano senza che voi abbandonaste la vostra inerzia?
Libro IV:168 Al­lora invece bisognava stroncare i loro primi assalti, quando si scagliarono con le loro ingiurie sui nobili e voi, col non dare importanza alla cosa, incoraggiaste quegli empi alle ruberie, e non una voce si levò mentre le case venivano saccheggiate; poi essi misero le mani sulle persone dei padroni e, mentre questi venivano trascinati attraverso la città, nessuno accorse in loro aiuto.
Libro IV:169 Ed essi inflissero il disonore del carcere a coloro che voi avevate tradito, e tralascio di dire quanti e quali erano quelli che, sebbene non fossero stati né incolpati né processati, restarono in catene senza che alcuno li soccorresse.
Libro IV:170 Inevitabile conclusione doveva essere lo spettacolo della loro strage, e anche a questo abbiamo assistito, come quando da un gregge di bestie se ne traggono una dopo l'altra le migliori come vittime sacrificali, e nessuno disse una parola e tanto meno mosse un dito.
Libro IV:171 E allora, sopportate pazientemente di vedere calpestati i luoghi santi, e dopo aver voi stessi fatto salire a quegli empi tutti i gradini dell'audacia criminosa, non vi sia grave che essi abbiano raggiunto il limite estremo. Certo ora si sarebbero spinti ancora oltre se avessero avuto da far scempio di qualche cosa di ancora più importante.
Libro IV:172 Si sono impadroniti del luogo più forte della città (infatti ora del tempio si deve parlare come di una rocca o di una fortezza); e allora, con tali oppressori trincerati nella città, e vedendo i nemici che vi minacciano dall'alto, che cosa pensate di fare e con quali speranze riscaldate i vostri cuori?
Libro IV:173 Aspettate i romani, perché siano essi a riscattare i nostri luoghi santi? La città è dunque ridotta in tali condizioni e siamo arrivati a tanta miseria, che anche i nemici debbono muoversi a pietà per noi?
Libro IV:174 Non vi scuoterete, o gente anche troppo paziente, e rivoltan­dovi contro i colpi, come fanno le belve, non vi difenderete da chi vi colpisce? Non vi ricorderete ognuno delle sue sof­ferenze e, tenendo dinanzi agli occhi quanto avete patito, non infiammerete gli animi a trarre vendetta su di loro?
Libro IV:175 E’ svanito, dunque, in voi il più nobile e naturale dei sentimenti, l'amore per la libertà, e siamo diventati desiderosi di servire e di aver un padrone come se dagli antenati avessimo rice­vuto in retaggio la schiavitù.
Libro IV:176 Essi, invece, sostennero nume­rose e aspre guerre in difesa della libertà, e resistettero alla dominazione degli Egiziani e dei Medi rifiutandosi di sotto­stare ai loro comandi. Ma perché parlare degli antenati?
Libro IV:177 An­che l'attuale guerra contro i romani - lasciando da parte se sia utile e giovevole oppure no - qual è il suo motivo? Non è la libertà?
Libro IV:178 E allora, noi che non tolleriamo di sottostare ai padroni del mondo saremo soggetti all'oppressione di nostri connazionali?
Libro IV:179 Eppure la soggezione allo straniero potrebbe attribuirsi a un colpo avverso della fortuna, mentre il piegare la schiena di fronte alla prepotenza di connazionali è da vi­gliacchi e da consenzienti.
Libro IV:180 Poiché ho accennato ai romani, non voglio tenervi celato un pensiero che mi ha attraversato la mente mentre parlavo: se anche dovessimo cadere nelle loro mani - e lungi sia che le mie parole risultino vere - non avremo a patire sofferenze più gravi di quelle che ci hanno inflitte costoro.
Libro IV:181 Come non piangere a vedere nel santuario perfino dei doni votivi offerti dai romani e, accanto ad essi, le spoglie che i connazionali hanno raccolto depredando e sterminando la nobiltà della metropoli? Come non piangere per la strage di persone che finanche i romani avrebbero ri­sparmiato in caso di vittoria?
Libro IV:182 Come non piangere se, mentre i romani non hanno mai varcato il limite imposto ai profani né violato alcuno dei sacri riti, contemplando da lontano con timore reverenziale il recinto dei luoghi santi,
Libro IV:183 viceversa gente nata in questi luoghi e cresciuta secondo i nostri usi, e che porta il nome di giudei, si aggira nel santuario con le mani ancora calde del sangue dei connazionali?
Libro IV:184 E dopo tutto ciò qualcuno avrà timore di combattere contro gli stranieri, che al paragone dei connazionali sono verso di noi assai più miti? In verità, se dobbiamo dare alle cose il loro vero nome, si troverà forse che i difensori delle nostre istituzioni sono i romani, mentre gli eversori ne sono i connazionali.
Libro IV:185 Che i traditori della libertà sono gente perniciosa, che non si po­trebbe inventare per loro un castigo adeguato alle colpe, ri­tengo che già tutti lo sapeste prima di venire qui dalle vostre case, e che già prima delle mie parole voi foste esasperati contro di loro per le violenze che vi hanno costretti a subire.
Libro IV:186 Forse i più di voi tremeranno al pensiero del loro numero, della loro audacia e per di più del vantaggio della loro posi­zione.
Libro IV:187 Ma questa situazione, come si è creata per la vostra inerzia, così si aggraverà maggiormente se voi indugerete. Il loro numero si accresce ogni giorno perché ogni farabutto va ad unirsi ai suoi simili,
Libro IV:188 il loro ardire aumenta perché finora non ha trovato ostacoli e, se gliene daremo il tempo, al van­taggio della posizione dominante aggiungeranno quello di poter fare preparativi.
Libro IV:189 Credete pure che, se muoveremo contro di loro, i rimorsi di coscienza li renderanno meno baldanzosi e la riflessione sulle loro colpe annullerà il vantaggio della posizione dominante.
Libro IV:190 Forse la divinità offesa ritorcerà contro di essi i loro dardi, e gli empi saranno sterminati dalle loro stesse armi. Basterà solo che ci vedano, e saranno finiti.
Libro IV:191 Se pure si dovrà affrontare qualche pericolo, sarà bello cadere presso le sacre porte e sacrificare le nostre vite, anche se non per le mogli e i figli, per il Dio e per il santuario.
Libro IV:192 Io vi guiderò col senno e con la mano, e non mancherò di avere ogni cura per la vostra sicurezza, né mi vedrete risparmiare la mia persona”.
Libro IV:193 - 3, 11. Con queste parole Anano incitò il popolo contro gli Zeloti, pur non ignorando che sarebbe stato difficile batterli e per il numero e per il vigore giovanile e per l'ardimento, ma soprattutto per la consapevolezza dei loro misfatti. Infatti, disperando del perdono per ciò che avevano commesso, quelli avrebbero resistito fino all'ultimo.
Libro IV:194 Ma egli preferiva di af­frontare ogni sofferenza piuttosto che acconciarsi a una si­tuazione tanto rovinosa.
Libro IV:195 Anche il popolo gli gridò di guidarlo a dare addosso a chi egli diceva, e tutti erano prontissimi a mar­ciare in prima fila.
Libro IV:196 - 3, 12. Mentre Anano raccoglieva e organizzava gli uomini atti alle armi, gli Zeloti, informati di tali preparativi da gente venuta a riferire tutto ciò che faceva il popolo, andarono sulle furie e, precipitandosi fuori del tempio in schiere o in piccoli gruppi, trucidarono tutti quelli in cui s'imbatterono senza risparmiare nessuno.
Libro IV:197 Anano radunò prontamente le forze del popolo, che erano superiori come numero agli Zeloti, ma inferiori come armi e per mancanza di addestramento.
Libro IV:198 Gli uni e gli altri supplivano con l'ardore a ciò di cui mancavano: i cit­tadini erano armati di un furore più potente delle armi, quelli del tempio di un coraggio più forte di ogni superiorità nu­merica;
Libro IV:199 gli uni comprendevano che la città sarebbe diventata per loro inabitabile se non ne avessero snidato i briganti, gli Zeloti sapevano che, se non avessero vinto, sarebbero stati sottoposti a ogni sorta di pena. Spinti da tali sentimenti, vennero alle mani.
Libro IV:200 Dapprincipio si scontrarono nella città e davanti al tempio scambiandosi a distanza colpi di pietra e giavellotti, e in caso di fuga i vincitori usavano le spade; molti caddero uccisi dalle due parti e parecchi furono i feriti.
Libro IV:201 Quelli del popolo i parenti se li trascinavano nelle case, mentre gli Zeloti colpiti si ritiravano nel tempio imbrattando di sangue il sacro pavimento, e si può dire che solamente il loro sangue contaminò il santuario.
Libro IV:202 Nelle mischie che si creavano con le loro sortite i banditi ebbero sempre la meglio finché quelli del popolo s'inferocirono e, divenuti sempre più numerosi, presero a colpire i compagni che indietreggiavano e, premendo da tergo in modo da non lasciare via di scampo a chi voleva fuggire, rovesciarono tutta la loro massa contro gli avversari.
Libro IV:203 Questi non poterono più resistere alla loro spinta e si ritirarono un po' alla volta nel tempio tallonati dagli uomini di Anano.
Libro IV:204 Demoralizzati per la perdita del primo recinto, gli Zeloti si rifugiarono nel secondo e sbarrarono precipitosa­mente le porte.
Libro IV:205 Ma Anano non volle dar l'assalto ai sacri portali, anche perché gli avversari scagliavano proiettili dal­l'alto, e riteneva che anche in caso di vittoria sarebbe stata un'empietà che la folla dei suoi entrasse prima di aver parte­cipato a un rito di purificazione.
Libro IV:206 Egli perciò scelse a sorte seimila uomini e li collocò a guardia dei portici,
Libro IV:207 e costoro ebbero poi il cambio da altri; a ognuno toccava un turno di guardia, ma molti dei cittadini più in vista, ottenuta licenza dai comandanti, ne ingaggiarono a pagamento fra i più poveri e li inviarono a montar di guardia in loro vece.
Libro IV:208 - 3, 13. Tutti questi uomini perirono per colpa di Giovanni, di cui abbiamo ricordato la fuga da Giscala: un uomo quanto mai subdolo, dominato da una terribile sete di potere, che già da tempo manovrava per impadronirsene.
Libro IV:209 In quel momento egli fece finta di stare dalla parte dei cittadini e, messosi al seguito di Anano, che di giorno si incontrava con i notabili per deliberare e di notte ispezionava gli uomini di guardia, riferiva poi i segreti agli Zeloti, e ogni progetto del popolo veniva per suo mezzo a conoscenza dei nemici prima ancora di essere stato definitivamente approvato.
Libro IV:210 Adoperandosi per non destare sospetti, mostrava una devozione esagerata verso Anano e i personaggi più eminenti del popolo.
Libro IV:211 Ma un tal fare ossequioso sortì per lui l'effetto contrario; infatti le adu­lazioni fuor di luogo accrebbero i sospetti a suo carico, e il fatto che senza essere convocato si presentava dovunque costituiva un indizio che fosse lui a rivelare i loro segreti.
Libro IV:212 Avevano infatti notato che i nemici erano al corrente di tutti i loro piani, e nessuno più di Giovanni si prestava al sospetto di essere una spia.
Libro IV:213 Però non era facile liberarsi di lui, che fa­ceva paura per la sua scelleraggine e per di più non era uno qualunque, con un largo seguito fra quelli che partecipavano alle pubbliche deliberazioni, e allora decisero di fargli confer­mare la sua fedeltà mediante un giuramento.
Libro IV:214 Prontamente Giovanni giurò che sarebbe stato fedele alla causa del popolo, che non avrebbe rivelato ai nemici né un loro progetto né una loro mossa, e avrebbe contribuito col consiglio e con l'azione ad abbattere gli avversari.
Libro IV:215 I consiglieri di Anano credettero al giuramento e, deposto ormai ogni sospetto, lo invitarono a partecipare alle deliberazioni, e anzi lo inviarono dagli Zeloti a trattare la resa; si preoccupavano infatti, per quanto stava in loro, di evitare che il santuario fosse profanato e che qualcuno dei connazionali venisse ucciso fra le sue mura.
Libro IV:216 - 3, 14. Giovanni, come se avesse giurato fedeltà agli Zeloti, e non contro di essi, entrato nel tempio prese posto in mezzo a quelli e ricordò di aver spesso rischiata la vita per loro, per­ché fossero informati di tutte le segrete deliberazioni adottate contro di loro dagli uomini di Anano.
Libro IV:217 Ora poi stava per af­frontare insieme con tutti loro il più grave dei pericoli, a meno che non fosse intervenuto qualche aiuto divino.
Libro IV:218 Anano aveva rotto gli indugi e, d'accordo con il popolo, aveva spe­dito messi a Vespasiano invitandolo a venire al più presto a prendere possesso della città. Per colpir loro aveva inoltre indetto per l'indomani un rito di purificazione, sì che i suoi uomini, o entrati nel tempio per le cerimonie di culto o apertisi la strada con la forza, si azzuffassero poi con loro.
Libro IV:219 Egli non vedeva fino a quando avrebbero potuto resistere all'assedio o ai combattimenti contro avversari così numerosi. Aggiunse che era stato per grazia di Dio che proprio lui era stato inviato a trattare la pace; infatti Anano ne faceva l'of­ferta solo per coglierli a tradimento.
Libro IV:220 Pertanto per salvar la vita bisognava o rivolgere suppliche agli uomini di guardia o procurarsi qualche aiuto dall'esterno.
Libro IV:221 Chiunque sperava, se fossero stati vinti, di ottenere il perdono, o s'era scordato delle sue ribalderie, o s'illudeva che al pentimento dei colpe­voli dovesse tener subito dietro la riconciliazione degli offesi.
Libro IV:222 Al contrario, il ravvedimento dei colpevoli spesso suscita l'avversione, mentre il risentimento delle vittime aumenta quando esse diventino più forti.
Libro IV:223 Su di loro volevano trarre vendetta gli amici e i parenti degli uccisi, e una parte stragrande del popolo incollerito dalle offese fatte alle leggi e ai tribunali: se anche v'erano alcuni disposti alla clemenza, sarebbero stati sommersi dalla maggioranza inferocita.


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