Guerra giudaica



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LIBRO V

CAPITOLO SESTO

Libro V:248 - 6, 1. Nella città il numero dei combattenti e dei rivoluzionari agli ordini di Simone era di diecimila, a parte gli Idumei, con cinquanta capitani e lui come capo supremo.


Libro V:249 Gli Idumei che stavano dalla sua parte erano circa cinquemila con dieci capitani, fra cui primeggiavano Giacomo figlio di Sosas e Simone figlio di Cathlas.
Libro V:250 Giovanni quando occupò il tempio aveva seimila uomini sotto venti capitani, ma allora anche gli Zeloti, superati i motivi di contrasto, si erano uniti a lui, ed erano duemilaquattrocento con a capo l'Eleazar di prima e Simone figlio di Arino.
Libro V:251 Fra queste due fazioni in lotta il popolo, già lo dicemmo, stava in mezzo come premio per il vincitore, e chi non partecipava alle loro malefatte era esposto alle spogliazioni da parte di entrambe.
Libro V:252 Simone teneva in suo potere la città alta, il muro grande fino al Cedron e quel settore del muro antico che, volgendo dalla Siloa verso oriente, scendeva giù fino al palazzo di Monobazo, che fu re dell'Adiabene oltre l'Eufrate;
Libro V:253 egli controllava inoltre la fonte e parte dell'Acra, cioè la città bassa, fino alla reggia di Elena madre di Monobazo.
Libro V:254 Giovanni occupava il tempio e non pochi dei suoi dintorni, l'Ophel e la valle detta Cedron. Avendo distrutto col fuoco tutto ciò che si trovava fra le rispet­tive linee,
Libro V:255 essi si erano creato uno spazio per battersi, e i loro scontri non cessarono nemmeno quando i romani si furono accampati presso le mura; dopo essere per poco rinsa­viti quando fecero la prima sortita, erano poi ricaduti nella follia dei contrasti interni, tornando a scontrarsi fra loro e a fare quanto di meglio gli assedianti non potevano augurarsi.
Libro V:256 Fu così che né essi ebbero poi a subire da parte dei romani colpi più gravi di quelli che già s'erano scambiati fra loro, né la città dopo di loro ebbe a sperimentare nuove sventure, che anzi essa soffrì le calamità peggiori prima dell'espugnazione, e i suoi conquistatori le arrecarono più sollievo che danno.
Libro V:257 Voglio dire che la città fu abbattuta dalla rivoluzione, e poi i romani abbatterono la rivoluzione, che era molto più forte delle mura; e di quella catastrofe non a torto si potrebbe at­tribuire l'odiosità a chi stava dentro, e ai romani il merito di aver restaurata la giustizia. Ma ognuno la pensi a suo modo, lasciandosi guidare dall'esame dei fatti.
Libro V:258 - 6, 2. Questa era la situazione all'interno della città, mentre Tito con una scorta di cavalieri scelti costeggiava le mura alla ricerca del luogo più adatto per un assalto.
Libro V:259 Poiché da ogni parte si presentavano difficoltà insormontabili - dato che i burroni impedivano di appressarsi e sul lato opposto il primo muro appariva troppo solido per le sue macchine ­deliberò di sferrare l'attacco nel settore antistante alla tomba del sommo sacerdote Giovanni.
Libro V:260 Ivi infatti il primo muro era più basso e il secondo non vi si saldava, essendosi trascu­rato di fortificare le zone della città nuova non fittamente popolate, mentre poi era facile accostarsi al terzo muro, attraverso il quale egli progettava di impadronirsi della città alta e, attraverso l'Antonia, del santuario.
Libro V:261 Durante l'ispezione di Tito attorno alle mura, uno dei suoi amici, di nome Nica­nore, restò ferito da un dardo alla spalla sinistra mentre as­sieme a Giuseppe si era spinto troppo avanti per parlare di pace con i difensori della città, che ben lo conoscevano.
Libro V:262 Da ciò Cesare comprese le loro intenzioni ostili, visto che non rispettavano nemmeno chi si avvicinava per il loro bene, e fu spinto a intraprendere le operazioni di assedio; pertanto or­dinò alle legioni di devastare l'intero territorio antistante alla città e di raccoglierne tutto il legname per innalzare terrapieni.
Libro V:263 Divise quindi l'esercito in tre parti per l'esecuzione di tali lavori, e negli intervalli fra i terrapieni schierò i tiratori di giavellotto e gli arcieri, e dinanzi a costoro i lanciamissili, le catapulte e le baliste per impedire ogni sortita del nemico contro i lavori in corso e ogni analogo tentativo da parte dei difensori sulle mura.
Libro V:264 Abbattuti gli alberi, in breve i dintorni della città furono ridotti a una landa, ma, mentre si trasportava il legname per i terrapieni e tutto l'esercito attendeva alacre­mente al lavoro, anche le milizie dei giudei non stavano a guardare.
Libro V:265 Intanto il popolo, sottoposto alle ruberie e alle stragi, riprese animo; sperava infatti di poter avere un po' di tregua, dovendo i loro aguzzini occuparsi dei nemici esterni, e di potersi un giorno vendicare dei colpevoli se i romani avessero vinto.
Libro V:266 - 6, 3. Giovanni, sebbene i suoi ardessero dal desiderio di dare addosso ai nemici esterni, non si muoveva per timore di Simone.
Libro V:267 Simone invece, che era più vicino agli assedianti, non rimase inoperoso, ma mise in posizione sul muro le arti­glierie, sia quelle a suo tempo strappate a Cestio, sia quelle che erano state prese dopo aver battuto la guarnigione del­l'Antonia.
Libro V:268 Ma per i più il disporre di tali ordigni non era di alcun giovamento dato che non sapevano usarli; alcuni pochi, tuttavia, istruiti dai disertori, li misero in azione alla meno peggio, e con pietre e con dardi battevano dall'alto del muro quelli che lavoravano ai terrapieni, oppure li assaltavano fa­cendo sortite in gruppi.
Libro V:269 Ma i romani impegnati nei lavori si riparavano dai colpi mediante graticci stesi sopra le palizzate e respingevano gli assalitori con l'artiglieria. Tutte le legioni disponevano di magnifici ordigni, ma specialmente la legione decima, che aveva catapulte più potenti e baliste più grosse con le quali non solo respingevano le sortite, ma battevano anche i difensori sulle mura.
Libro V:270 Scagliavano pietre del peso di un talento e avevano una gittata di due stadi e più; i loro colpi abbattevano non soltanto i primi ad essere raggiunti, ma anche quelli che stavano dietro per largo tratto.
Libro V:271 I giudei dapprincipio schivarono i proiettili perché erano di pietra bianca, e perciò non soltanto erano preannunciati dal sibilo, ma si scorgevano da lontano per la loro lucentezza.
Libro V:272 Le loro sentinelle collocate sulle torri, quando l'ordigno veniva sca­ricato e partiva il proiettile, davano l'allarme gridando nella loro lingua: “Arriva il figlio!”. Subito quelli su cui stava per piombare si sparpagliavano e si gettavano a terra, sì che il proiettile li sorvolava senza causar danni e cadeva alle loro spalle.
Libro V:273 Allora i romani ricorsero all'espediente di colorare il proiettile di nero, e poiché così non era più tanto facile scor­gerlo da lontano, essi piazzarono molti colpi e facevano molte vittime insieme con un sol colpo.
Libro V:274 Ma, pur subendo tali per­dite, i giudei non permettevano ai romani d'innalzare tranquil­lamente i terrapieni, e ricorrendo a ogni forma di astuzia e di coraggio li sottoponevano ad azioni di disturbo di notte e di giorno.
Libro V:275 - 6, 4. Innalzati i terrapieni, i genieri ne misurarono la distanza dal muro scagliando un piombino legato a un filo, né v'era altro modo essendo essi bersagliati dall'alto, e trovando che le elepoli potevano raggiungerlo le accostarono.
Libro V:276 Poi Tito fece avvicinare le artiglierie per impedire ai nemici di distur­bare l'azione degli arieti e diede ordine di battere.
Libro V:277 All'im­provviso da tre parti un immenso fragore rimbombò per la città; contemporaneamente si levò il grido degli abitanti e un grande terrore invase i ribelli. Questi, vedendosi esposti a un comune pericolo, si decisero finalmente a unire le forze per la difesa.
Libro V:278 Gli uomini delle fazioni avverse presero a gridarsi l'un l'altro che ciò che stavano facendo era tutto a vantaggio dei nemici, mentre invece, anche se il Dio non concedeva loro una durevole concordia, era necessario almeno deporre per il momento le scambievoli rivalità e combattere uniti contro i romani. Così Simone fece sapere a quelli del tempio che pote­vano senza timore uscire per difendere le mura, e Giovanni, pur non fidandosi troppo, li lasciò andare.
Libro V:279 Le due fazioni mi­sero una pietra sopra gli odi e le rivalità private e, formato un solo blocco, presero posizione sulla cinta delle mura sca­gliando un gran numero di proiettili incendiari contro le macchine e bersagliando senza tregua gli uomini che spinge­vano le elepoli;
Libro V:280 i più coraggiosi, poi, venendo fuori a gruppi, strappavano i graticci delle macchine e, avventandosi contro i serventi, li sopraffacevano, qualche volta perché erano più valenti ma in genere grazie alla loro audacia.
Libro V:281 Tito accorreva sempre a sostenere di persona i reparti in difficoltà e, collocati su entrambi i fianchi delle macchine i cavalieri e gli arcieri, tenne in rispetto i difensori che tiravano dalle torri e rese possibile l'azione delle elepoli.
Libro V:282 Il muro però resisteva ai colpi, e l'ariete della legione decimoquinta riuscì solo a sconnettere lo spigolo di una torre.
Libro V:283 Ma il muro restò intatto senza essere direttamente interessato dal danno causato alla torre, che sporgeva molto in fuori e che difficilmente avrebbe trascinato seco nella caduta una parte del muro.
Libro V:284 - 6, 5. I giudei sospesero per un poco le sortite e aspetta­rono che i romani, credendo che i nemici si fossero ritirati per stanchezza e paura, sciogliessero le file per tornare ai lavori e ai loro vari accampamenti; allora essi fecero tutt'in­sieme una sortita attraverso una porta nascosta presso la torre Ippico, portando faci per incendiare i lavori e decisi a spin­gere il loro attacco ai romani fino agli accampamenti.
Libro V:285 Alle loro grida i legionari più vicini si raccolsero immediatamente mentre accorrevano quelli che si trovavano più lontano. L'audacia dei giudei non diede tempo ai romani di organizzare la difesa e, dopo aver travolto i primi in cui s’erano im­battuti, essi si scagliarono anche sugli uomini che si andavano raccogliendo.
Libro V:286 Attorno alle macchine si scatenò una zuffa vio­lenta; gli uni cercavano di appiccarvi il fuoco, gli altri di impedirlo, e mentre un confuso schiamazzo si levava dalle due parti, molti erano quelli che cadevano nelle prime file.
Libro V:287 Ma il disperato furore dei giudei ebbe il sopravvento; il fuoco si attaccò ai lavori e questi avrebbero corso il rischio di andar distrutti insieme con le macchine se i più dei soldati scelti di Alessandria non avessero resistito con un valore superiore alla loro fama, comportandosi in questa battaglia meglio di truppe più famose. Alla fine Cesare prese con sé i più forti dei cavalieri e si scagliò contro i nemici.
Libro V:288 Egli di persona ne abbatté dodici nelle prime file, e mentre gli altri, atterriti dalla loro sorte, ripiegavano, egli li inseguì ricac­ciandoli tutti indietro verso la città e salvò dalle fiamme i lavori.
Libro V:289 In questa mischia fu fatto prigioniero un giudeo, e Tito ordinò di crocifiggerlo dinanzi alle mura per atterrire con lo spettacolo gli altri e indurli alla resa.
Libro V:290 Dopo la ritirata anche Giovanni, il capo degli Idumei, mentre stava parlando con un soldato di sua conoscenza davanti al muro, fu colpito al petto da un arciere arabo e spirò all'istante lasciando un immenso lutto agli Idumei e dolore ai ribelli, perché era un uomo straordinario per valore e intelligenza.


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