Guerra giudaica



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LIBRO V

CAPITOLO SETTIMO

Libro V:291 - 7, 1. La notte successiva anche i romani caddero senza ragione in preda al panico.


Libro V:292 Tito aveva fatto costruire tre torri di cinquanta cubiti collocandole su ognuno dei terra­pieni per bersagliare i difensori delle mura, e nel mezzo della notte una rovinò da sola.
Libro V:293 Si produsse un immenso fragore che causò scompiglio nell'esercito, e tutti corsero alle armi credendo che si trattasse di un attacco nemico.
Libro V:294 Nelle legioni si diffusero turbamento e confusione; dato che nessuno era in grado di dire che cosa stava succedendo, si dispersero per largo tratto non sapendo che fare e, poiché non si vedevano nemici,
Libro V:295 si facevano paura l'un l'altro, sì che ognuno si preoc­cupava di chiedere la parola d'ordine al suo vicino come se i giudei avessero fatto irruzione nell'accampamento. Sembravano vittime del timor panico, fino a che Tito appurò ciò che real­mente era accaduto e lo fece sapere a tutti, sì che a poco a poco l'allarme cessò.
Libro V:296 - 7, 2. I giudei, che per il resto opponevano una valorosa resistenza, subivano gravi perdite dalle torri; erano infatti esposti al tiro delle macchine più leggere piazzate su di quelle, oltre che dei lanciatori di giavellotto, degli arcieri e dei from­bolieri.
Libro V:297 A controbattere costoro, essi non arrivavano per la grande altezza, né erano in grado di eliminare le torri, non potendo rovesciarle facilmente per la loro mole e nemmeno appiccarvi il fuoco dato che erano ricoperte di ferro.
Libro V:298 Se poi si ritiravano fuori tiro non potevano più ostacolare l'azione degli arieti, i cui colpi incessanti producevano sempre più effetto.
Libro V:299 Ormai il muro cominciò a cedere dinanzi a “Vitto­rioso” - è questo il nome che gli stessi giudei avevano dato alla più grossa delle elepoli romane, perché vinceva ogni ostacolo - e i difensori, che già da tempo erano sfiniti non solo per i combattimenti, ma anche perché dovevano passare le notti a vigilare lontano dalla città,
Libro V:300 e in parte anche per pigrizia e perché abituati a prendere in tutto decisioni errate, stabilirono che era superfluo continuare a difendere questo muro quando gliene rimanevano ancora altri due, e così i più smorzarono gli ardori e si ritirarono.
Libro V:301 Appena i romani si arrampicarono sulla breccia prodotta da “Vittorioso”, tutti abbandonarono i loro posti e si rifugiarono entro il secondo muro. I romani che avevano superato il muro aprirono le porte e fecero entrare tutto l'esercito.
Libro V:302 Così dopo quindici giorni - era il sette del mese di Artemisio - essi s'impadroni­rono del primo muro, che distrussero per la più gran parte insieme con il quartiere settentrionale della città, già prima devastato da Cestio.
Libro V:303 - 7, 3. Tito trasferì l'accampamento all'interno, nel luogo detto Campo degli assiri, occupando tutta l'estensione fino al Cedron ma tenendosi fuori tiro dal secondo muro; poi riprese subito ad attaccare.
Libro V:304 I giudei, ripartite le loro forze, opponevano una tenace resistenza dalle mura: gli uomini di Giovanni combattendo dall'Antonia, dal portico settentrio­nale del tempio e dirimpetto alla tomba del re Alessandro, mentre quelli di Simone presero posizione sulla via d'accesso vicino alla tomba del sommo sacerdote Giovanni, sbarrando il passo fino alla porta attraverso cui passava l'acqua diretta alla torre Ippico.
Libro V:305 E facevano spesso delle sortite dalle porte ingaggiando scontri ravvicinati in cui, ricacciati verso le mura, subivano la peggio non avendo la perizia dei romani, mentre poi riuscivano superiori nel difendersi dal muro.
Libro V:306 I romani erano sorretti dall'esperienza unita al valore, i giudei dal coraggio alimentato dalla paura, e dalla loro naturale resistenza alle sventure. Essi inoltre nutrivano ancora speranza di salvezza, come i romani di conseguire rapidamente la vitto­ria.
Libro V:307 Né gli uni né gli altri sentivano la stanchezza, ma per l'intera giornata si svolgevano continuamente attacchi, bat­taglie murali, sortite di grossi reparti, e insomma scontri di ogni genere.
Libro V:308 A mala pena la notte recava tregua a chi combat­teva fin dall'alba, ed essa per entrambi trascorreva insonne e ancor più dura del giorno, perché gli uni temevano che da un momento all'altro il muro venisse espugnato, gli altri che i giudei assaltassero l'accampamento; così essi passavano la notte in armi e al primo chiarore erano già pronti alla bat­taglia.
Libro V:309 Fra i giudei si faceva a gara a esporsi al pericolo in prima fila per guadagnarsi l'encomio dei capi, ed era special­mente Simone ad essere temuto e rispettato, e ognuno dei suoi uomini gli era tanto devoto, da essere anche pronto a togliersi la vita a un suo comando.
Libro V:310 I romani per parte loro erano spronati al valore dall'abitudine a vincere, dal non cono­scere sconfitte, dalle continue campagne, dalle incessanti eser­citazioni, dalla grandezza dell'impero, ma soprattutto da Tito che era sempre e dovunque presente accanto a tutti.
Libro V:311 Pareva una mostruosità battersi fiaccamente sotto gli occhi e al fian­co di Cesare, e l'uomo di valore aveva in lui chi avrebbe insieme attestato e premiato le sue gesta; ma intanto era già un premio il farsi conoscere da Cesare come un valoroso. Perciò molti nella loro foga misero in mostra un valore su­periore alle loro forze.
Libro V:312 Fu così che un giorno, mentre i giudei erano schierati dinanzi al muro e i due eserciti si scambia­vano colpi da lontano, un cavaliere di nome Longino uscì dalle file romane e si avventò nel mezzo dello schieramento nemico, dove la sua carica gettò lo scompiglio ed egli uccise due dei combattenti più valorosi:
Libro V:313 uno lo colpì in fronte mentre gli si faceva incontro, l'altro lo trafisse al fianco mentre si voltava per fuggire, colpendolo con la lancia che aveva estratto dal corpo del primo. Dopo di che dal bel mezzo dei nemici ritornò incolume fra i suoi.
Libro V:314 Questo atto di valore gli pro­curò fama, e molti cercavano di imitarlo.
Libro V:315 Anche i giudei, incuranti delle perdite proprie, badavano soltanto ad inflig­gerne, e la morte pareva a loro la cosa più trascurabile se si accompagnava all'uccisione di un nemico.
Libro V:316 Tito però, che si preoccupava della sicurezza dei soldati non meno che della vittoria finale, dichiarò che la foga incauta era da disperati, mentre il vero valore era quello non disgiunto dalla circospezione e dalla cura di evitare perdite, e perciò comandò ai suoi di comportarsi bensì da valorosi, ma senza correre troppi rischi.
Libro V:317 - 7, 4. Tito accostò l'elepoli alla torre di mezzo del muro settentrionale, sulla quale, mentre tutti gli altri erano stati costretti a ritirarsi dal tiro degli arcieri, era rimasto in agguato un giudeo di nome Castore, un fiero impostore, assieme ad altri dieci della sua stessa risma.
Libro V:318 Costoro per un po' se ne stettero cheti, rannicchiati dietro al parapetto, ma quando la torre cominciò a incrinarsi si levarono in piedi, e Castore con le mani protese in atto di supplica invocava Cesare e con accenti di dolore lo implorava di aver pietà di loro.
Libro V:319 Tito nel suo candore gli prestò fede e, sperando che ormai i giudei si fossero pentiti, diede ordine di sospendere l'azione con l'ariete e il tiro degli arcieri contro i supplici e fece chiedere a Castore che cosa aveva da dire.
Libro V:320 Avendo quello dichiarato che voleva scendere per venire a patti, Tito gli rispose che si rallegrava con lui per il savio consiglio, che si sarebbe ral­legrato con tutti se ormai erano d'accordo in tale determinazione e che era pronto a venire a un'intesa con la città.
Libro V:321 Allora cinque dei dieci compagni si unirono a Castore nella commedia delle implorazioni, mentre gli altri presero a gridare che mai essi sarebbero diventati schiavi dei romani mentre si poteva morire da uomini liberi.
Libro V:322 Il finto alterco si protrasse a lungo mentre l'assedio rimaneva fermo, e intanto Castore mandò a dire a Simone di valutare senza fretta il da fare perché avrebbe pensato lui con la sua burla a tenere in scacco per pa­recchio tempo il comando romano; contemporaneamente fa­ceva finta di adoperarsi per convincere gli altri cinque alla resa.
Libro V:323 Costoro, come se ne fossero sdegnati, sollevarono al di sopra del parapetto le spade sguainate e, percuotendosi le corazze, si buttarono in terra facendo mostra di essersi uccisi.
Libro V:324 Tito e il suo seguito furono presi da stupore per il loro corag­gio e, non potendo dal basso vedere esattamente ciò che era accaduto, ebbero parole di ammirazione per la loro forza d'animo e di commiserazione per la loro fine.
Libro V:325 A un certo punto un arciere colpi vicino al naso Castore, che subito si strappò la freccia mostrandola a Tito e lamentandosi di essere trattato con slealtà. Cesare rimproverò aspramente l'arciere e disse a Giuseppe, che gli stava vicino, di andare a porgere la destra a Castore.
Libro V:326 Giuseppe però non solo disse che lui non si sarebbe fatto avanti, perché le intenzioni dei supplici erano tutt'altro che oneste, ma trattenne anche i suoi amici dal muoversi.
Libro V:327 Allora si offrì di andare un disertore, un certo Enea; e quando Castore chiese che qualcuno venisse a pren­dere il denaro che egli portava seco, Enea più prontamente corse avanti coi lembi della veste protesi.
Libro V:328 Castore sollevato un macigno glielo scagliò addosso, ma senza colpirlo perché quello stava sul chi vive; colpì invece un altro soldato che s'era avvicinato.
Libro V:329 Scoperto il trabocchetto, Cesare s'avvide che la compassione in guerra è dannosa, perché più si è rigidi e meno si è esposti a essere ingannati, e, furente per essere stato giocato, fece rimettere in azione con ancor più violenza l'elepoli.
Libro V:330 Quando la torre stava per cedere, Castore e i suoi uomini vi appiccarono il fuoco e, slanciandosi tra le fiamme per raggiungere il sottostante ricovero, ancora una volta die­dero ai romani un'impressione di coraggio, come se si fossero gettati nel fuoco.


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