Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO SECONDO

Libro VI:93 - 2, 1. Tito ordinò ai suoi soldati di abbattere dalle fondamenta l'Antonia e di spianare una via per farvi salire facil­mente tutto l'esercito; quindi affidò un incarico a Giuseppe.


Libro VI:94 Aveva saputo che da quel giorno, era il diciassette di Panemo, il cosiddetto sacrificio perenne in onore del Dio era stato interrotto per mancanza di uomini, e che di ciò il popolo era rimasto profondamente turbato;
Libro VI:95 allora fece ripetere a Gio­vanni il precedente ammonimento, che se cioè egli era in preda a una criminosa smania di combattere poteva farsi avanti con chi volesse e ingaggiare la lotta senza coinvolgere nel­la sua rovina la città e il tempio. Perciò la smettesse di profa­nare il santuario e di offendere il Dio, anzi avrebbe potuto far celebrare i sacrifici interrotti per mezzo di quei giudei che egli stesso avrebbe designati.
Libro VI:96 Giuseppe, collocatosi in modo da essere udito non soltanto da Giovanni, ma anche dalla massa,
Libro VI:97 trasmise in ebraico il messaggio di Cesare e concluse con un lungo appello perché volessero risparmiare la patria, disper­dere le fiamme che già lambivano il santuario e rendere al Dio i sacrifici espiatori.
Libro VI:98 Le sue parole furono accolte dal popolo con sgomento e silenzio mentre il tiranno, dopo aver scagliato un'infinità d'ingiurie e di maledizioni contro Giuseppe, ter­minò dicendo che non temeva la conquista della città perché questa apparteneva al Dio.
Libro VI:99 Allora Giuseppe esplose: “Vera­mente pura hai conservato la città per il Dio, e intatto rimane il tempio, e nessuna offesa hai arrecato a colui che speri di aver alleato, ed egli riceve le consuete offerte!
Libro VI:100 Se a te, male­detto empio, qualcuno togliesse il tuo cibo quotidiano, tu lo giudicheresti un nemico: come puoi illuderti di avere dalla tua parte nella guerra colui che hai privato del culto che durava da sempre?
Libro VI:101 E attribuirai le tue colpe ai romani, che finora si son dati cura delle nostre leggi e cercano di restaurare per il Dio i riti sacrificali interrotti per causa tua?
Libro VI:102 Chi non compian­gerebbe amaramente la città per lo strano capovolgimento subito, dato che degli stranieri, e per di più nemici, si preoc­cupano di mettere riparo alla tua empietà, mentre tu, che sei un giudeo e sei stato educato all'osservanza delle nostre leggi, le offendi assai più gravemente di loro?
Libro VI:103 Eppure, Giovanni, non soltanto è bello pentirsi delle proprie colpe, sia pure al­l'ultimo momento, ma se tu volessi risparmiare alla patria la rovina avresti un magnifico esempio da seguire, quello di Ieconia re dei giudei.
Libro VI:104 Quando per causa sua l'esercito babilo­nese gli mosse guerra, egli, prima che la città fosse espugnata, ne venne fuori senza che alcuno lo costringesse e preferì af­frontare volontariamente la schiavitù insieme con la sua fami­glia piuttosto che consegnare ai nemici questi luoghi santi e vedere la casa del Dio in preda alle fiamme.
Libro VI:105 Per questo tutti i giudei lo esaltano nella loro storia sacra e il ricordo sempre fresco presso i posteri attraverso i secoli lo rende immortale.
Libro VI:106 Un magnifico esempio, Giovanni, anche se per seguirlo dovessi affrontare qualche pericolo; io, comunque, ti assicuro anche il perdono dei romani,
Libro VI:107 e poiché si deve badare chi è a dare un consiglio e da dove viene, ricordati che è un conna­zionale ad esortarti, che sono un giudeo io che ti do questa assicurazione. Preferirei morire anziché trasformarmi in uno di quegli schiavi abbietti che rinnegano la loro stirpe e si dimenticano della patria.
Libro VI:108 Ma tu di nuovo vai sulle furie e mi gridi le tue ingiurie, che del resto ben mi merito perché con i miei consigli voglio contrastare il destino e mi sforzo di salvare quelli che il Dio ha condannato.
Libro VI:109 Chi ignora ciò che fu scritto dagli antichi profeti, e l'oracolo che incombe su questa misera città e che sta ormai per avverarsi? Predissero che essa sarebbe stata espugnata quando qualcuno avesse comin­ciato a far strage dei suoi connazionali.
Libro VI:110 La città e il tempio intero non sono ora ricolmi dei cadaveri delle vostre vittime? E’ il Dio, è certamente il Dio in persona che insieme coi ro­mani? vi porta il fuoco purificatore e distrugge la città con il suo enorme carico di nefandezze”.
Libro VI:111 - 2, 2. Mentre Giuseppe così parlava fra gemiti e lacrime, i singhiozzi gli troncarono la voce.
Libro VI:112 I romani provarono a un tempo compassione per il suo dolore e ammirazione per il suo modo di pensare; invece gli uomini di Giovanni s'ina­sprirono ancor più contro i romani per la voglia che avevano di mettere le mani addosso a Giuseppe.
Libro VI:113 Il discorso di costui impressionò molti dei nobili, fra i quali taluni per paura della vigilanza dei ribelli non si mossero, sebbene fossero sicuri della fine che attendeva loro e la città, mentre altri, approfit­tando di qualche buona occasione per fuggire, ripararono presso i romani.
Libro VI:114 Fra gli altri fuggirono i sommi sacerdoti Giuseppe e Gesù, e alcuni figli di sommi sacerdoti come tre figlia dell'Ismaele che fu decapitato a Cirene, quattro di Mattia e uno di un altro Mattia; questi era fuggito dopo la rovina del padre, che, come sopra abbiamo detto, Simone figlio di Ghiora aveva fatto uccidere insieme con tre figli. Con i sommi sacerdoti fuggirono anche numerosi altri nobili.
Libro VI:115 Cesare non soltanto li accolse benevolmente, ma sapendo che per la diversità delle abitudini non avrebbero avuto un sog­giorno piacevole tra gente straniera, li mandò a Gofna invi­tandoli per il momento a trattenersi colà; dopo la fine della guerra, appena gli fosse stato possibile, avrebbe reintegrato ciascuno nei suoi beni.
Libro VI:116 Quelli, dunque, si ritirarono ben volen­tieri e tranquillamente nella cittadina loro assegnata; ma, poi­ché erano scomparsi dalla circolazione, i ribelli sparsero nuovamente la voce che i disertori erano stati trucidati dai romani, evidentemente per scoraggiare con tale paura chiunque altro pensasse alla fuga.
Libro VI:117 Come già prima, l'astuzia per un poco fece effetto perché il timore trattenne chi voleva disertare.
Libro VI:118 - 2, 3. Più tardi però Tito li richiamò da Gofna e volle che insieme con Giuseppe girassero attorno alle mura per farsi vedere dal popolo, e allora furono moltissimi quelli che fug­girono presso i romani.
Libro VI:119 Raccoltisi tutti insieme e collocatisi dinanzi alle linee dei romani, con gemiti e lacrime supplicavano i ribelli di voler anzitutto far entrare i romani in tutta quanta la città e salvare così la patria;
Libro VI:120 o se no, di abbandonare il tempio e di conservarselo per loro, giacché i romani non avreb­bero ardito di appiccare il fuoco ai luoghi santi se non in caso di estrema necessità.
Libro VI:121 A tali parole quelli s'irritarono an­cora di più, e rispondendo ai disertori con molte grida ingiu­riose collocarono sopra alle sacre porte gli scorpioni, le ca­tapulte e le macchine lanciamissili, sì che l'area circostante il tempio per il gran numero dei morti sembrava un cimitero, e il tempio un fortilizio.
Libro VI:122 Entro quei luoghi santi e inaccessi­bili essi penetravano con le armi in pugno e le mani ancora calde del sangue dei connazionali uccisi, e giunsero a tal punto di scelleratezza, che lo sdegno che ben a ragione i giudei avrebbero concepito contro i romani se costoro si fossero macchiati di simili nefandezze a loro danno, lo conce­pivano allora i romani contro i giudei per la profanazione che essi facevano dei loro luoghi santi.
Libro VI:123 E in realtà non v'era soldato romano che non volgesse lo sguardo al tempio senza un sentimento di religioso timore, di venerazione e di augurio che i ribelli si ravvedessero prima di un disastro irreparabile.
Libro VI:124 - 2, 4. Tito, in preda alla più viva costernazione, rivolse ancora una volta le sue rampogne agli uomini di Giovanni: “Non foste proprio voi, sporchi profanatori, a innalzare que­sta balaustra dinanzi ai luoghi sacri?
Libro VI:125 A mettervi tutte le lapidi che recano inciso in lingua greca e in lingua nazionale il divieto per chiunque di oltrepassarla?
Libro VI:126 E non vi abbiamo noi permesso di mettere a morte chi l'avesse oltrepassata, anche se si fosse trattato di un romano? E perché ora, o infami, calpestate all'interno di essa perfino i morti? Perché contami­nate il tempio con sangue straniero e nazionale?
Libro VI:127 Io chiamo a testimoni gli dei patri e quel Dio che proteggeva un tempo questo luogo, ma ora non più, credo, e chiamo anche a testi­moni il mio esercito e i giudei che si sono rifugiati presso di me e voi stessi, che non sono io che vi costringo a profanare questi luoghi santi!
Libro VI:128 Se voi cambierete il campo di battaglia, nessun romano s'avvicinerà al tempio e lo profanerà, ed io preserverò il vostro santuario anche a vostro dispetto”.
Libro VI:129 - 2, 5. Giuseppe tradusse queste parole di Cesare, ma i ribelli e il loro capo non se ne curarono, pensando che l'esorta­zione fosse frutto non di benevolenza, ma di paura.
Libro VI:130 E allora Tito, quando vide che quelli né provavano pietà per sé stessi, né intendevano risparmiare il santuario, riprese suo malgrado le operazioni di guerra.
Libro VI:131 Non essendo possibile condurre con­tro i nemici l'intero esercito per mancanza di spazio, scelse da ciascuna centuria i trenta più valorosi e, affidatine ogni mille a un tribuno, li pose tutti alle dipendenze di Ceriale con l'ordine di attaccare le sentinelle verso l'ora sesta della notte.
Libro VI:132 Egli stesso si armò e si preparava a scendere insieme con gli altri, ma per la gravità del pericolo glielo impedirono gli amici e i consigli dei generali;
Libro VI:133 costoro infatti affermarono che egli avrebbe concluso di più standosene sull'Antonia e dirigendo i soldati in combattimento che se fosse sceso a bat­tersi in prima fila, perché tutti avrebbero combattuto col maggior valore possibile sapendo di essere osservati da Ce­sare.
Libro VI:134 Persuaso da tali argomenti, e avendo fatto sapere ai soldati che l'unica ragione per cui restava era quella di seguire attentamente le loro gesta, sì che nessun valoroso rimanesse senza ricompensa e nessun vigliacco restasse impunito, ma di ogni azione fosse testimone oculare chi aveva il potere di castigare e di premiare,
Libro VI:135 Cesare all'ora stabilita inviò gli uomini all'assalto e, situatosi sull'Antonia in un luogo donde la vista poteva spaziare, rimase in attesa degli eventi.
Libro VI:136 - 2, 6. I soldati inviati all'attacco non trovarono però addormentate le sentinelle, come avevano sperato; queste immediatamente balzarono in piedi urlando e si scatenò la bat­taglia, mentre alle loro grida accorrevano a ondate tutti gli altri.
Libro VI:137 I romani resistettero al contrattacco dei primi, e quando sopraggiunsero gli altri, questi piombarono sulla schiera dei loro e molti si scagliarono sui compagni credendo che fossero nemici.
Libro VI:138 Infatti il confuso clamore che si levava da entrambe le parti impediva di riconoscersi alla voce, così come la notte impediva di vedere; del resto erano accecati chi dal furore, chi dalla paura e perciò senza badare menavano colpi a chi capitava vicino.
Libro VI:139 I romani, che avevano congiunti i loro scudi e attaccavano a ranghi serrati, pativano minor danno dalla confusione, anche perché ognuno si ricordava la parola d'or­dine;
Libro VI:140 i giudei, invece, che non formavano una schiera or­dinata, e avanzavano o retrocedevano ciascuno come capitava, spesso si diedero l'un l'altro l'impressione di essere nemici, e nell'oscurità chi di loro si ritirava veniva scambiato per un romano all'assalto.
Libro VI:141 In tal modo ne furono feriti più dai com­pagni che dai nemici finché, spuntato il giorno, la battaglia continuò a vista e le due schiere, separatesi, fecero uso ordina­tamente delle armi da getto e da difesa.
Libro VI:142 Nessuna di esse ce­deva o dava segno di stanchezza: i romani, sotto lo sguardo di Cesare, gareggiavano fra loro singolarmente e per gruppi, e ognuno pensava che quel giorno con un atto di valore poteva guadagnarsi la promozione;
Libro VI:143 i giudei erano sospinti all'audacia dalla paura per loro stessi e per il tempio nonché dalla pre­senza del loro capo, che ora incoraggiava uno, ora sferzava e pungolava un altro con le minacce.
Libro VI:144 La conseguenza fu che lo scontro ebbe in massima un andamento statico e che i movimenti in avanti e all'indietro si susseguirono in breve spazio e rapidamente, perché nessuna delle due parti aveva campo sufficiente né per fuggire né per inseguire.
Libro VI:145 Intanto dal­l’Antonia si levava un continuo clamore ad accompagnare i vari episodi della battaglia, grida di evviva quando i compagni vincevano, d'incoraggiamento quando avevano la peggio.
Libro VI:146 Sembrava di assistere in teatro a una scena di guerra, e sia Tito sia il suo seguito non perdevano nemmeno un partico­lare dello scontro.
Libro VI:147 Dopo essersi battuti a cominciare dall'ora nona della notte, finalmente verso l'ora quinta del giorno si separarono senza che nessuno dei due contendenti fosse riu­scito a sloggiare l'avversario dalle posizioni iniziali e lasciando indecisa la vittoria.
Libro VI:148 Dei romani furono molti quelli che si segna­larono; dalla parte dei giudei fra gli uomini di Simone Giude figlio di Mareotes e Simone figlio di Osaias, fra gli Idumei Giacomo e Simone, questo figlio di Acatelas e Giacomo figlio di Sosas, fra gli uomini di Giovanni Gefteo e Alexas, fra gli Zeloti Simone figlio di Ari.
Libro VI:149 - 2, 7. Intanto il resto dell'esercito romano, demolite in sette giorni le fondamenta dell'Antonia, aveva spianato un'ampia via per salire al tempio.
Libro VI:150 Accostatesi al primo muro, le legioni cominciarono a innalzare terrapieni: uno di fronte all'angolo nord-occidentale del tempio interno, un altro dirimpetto al­l'esedra settentrionale che stava fra le due porte;
Libro VI:151 degli altri due terrapieni uno fu innalzato di contro al portico occiden­tale del tempio esterno, l'ultimo esternamente contro il por­tico settentrionale. Ma il lavoro progrediva a gran pena e fatica perché dovevano trasportarsi il legname da cento stadi di distanza,
Libro VI:152 e talvolta subirono perdite perché, sentendosi troppo sicuri della loro superiorità, incapparono in qualche imboscata, mentre all'opposto trovavano i giudei resi ancora più audaci dal non aver più speranza di salvezza.
Libro VI:153 Così, per esempio, alcuni cavalieri inviati a raccogliere legna o foraggio, mentre erano al lavoro usavano sfrenare i cavalli per lasciarli pascolare, e i giudei glieli portavano via con colpi di mano eseguiti da gruppi nutriti.
Libro VI:154 La cosa si ripeté più volte finché Cesare, avendo compreso che le razzie - come realmente era - ­avevano successo più per la trascuratezza dei suoi uomini che per la bravura dei giudei, decise di ricorrere a un atto di seve­rità per richiamare tutti gli altri a una più attenta vigilanza dei cavalli.
Libro VI:155 E avendo dato ordine di mettere a morte uno dei sol­dati che aveva perduto la sua cavalcatura, ottenne che per la paura gli altri stessero ben attenti alle loro bestie; infatti non le lasciavano più pascolare liberamente, ma in ogni necessità le seguivano come se fossero tutt'uno con quelle.
Libro VI:156 I romani, dunque, sviluppavano il loro attacco al tempio e innalzavano i terrapieni.
Libro VI:157 - 2, 8. Il giorno successivo a quello in cui il grosso dei romani era salito verso il tempio, molti dei ribelli, poiché ormai non v'era più nulla da depredare e la fame li incalzava, si raccolsero insieme e verso l'ora undecima del giorno si scagliarono contro le sentinelle romane sul monte degli Olivi, pensando anzitutto di coglierle di sorpresa e poi di trovarle intente alla cura della persona, si da poterle superare senza difficoltà.
Libro VI:158 Ma i romani si accorsero in tempo del loro assalto e, accorrendo immediatamente dai vicini fortilizi, resero vani i loro sforzi di scavalcare o di abbattere la palizzata della cir­convallazione.
Libro VI:159 Scatenatasi una violenta battaglia, dall'una e dall'altra parte furono compiuti molti atti di valore, i romani facendo sfoggio della loro potenza unita alla perizia militare, i giudei attaccando senza risparmiarsi e con slancio irrefrena­bile.
Libro VI:160 Gli uni ubbidivano al sentimento dell'onore, gli altri alla necessità; i romani consideravano la più cocente delle umi­liazioni se avessero lasciato sfuggire i giudei che erano ormai come stretti in una rete, mentre i giudei non vedevano altra via di scampo se non quella di abbattere la linea di circonval­lazione.
Libro VI:161 Un soldato a cavallo di una coorte, di nome Pedanio, quando ormai i giudei si stavano ritirando ed erano incalzati giù per il burrone, spronando al galoppo il suo cavallo contro il fianco dei nemici in fuga ne afferrò uno, un giovane robusto e tutto ricoperto di armi,
Libro VI:162 prendendolo per la caviglia: a tal punto si sbilanciò dal cavallo in corsa, e tanta fu la forza della destra e del resto del corpo e la perizia nel cavalcare di cui fece sfoggio!
Libro VI:163 Come se si fosse impadronito di un oggetto prezioso, andò a consegnare a Cesare il prigioniero, e Tito si complimentò con lui per la sua gagliardia e ordinò che il prigioniero fosse punito per il tentativo di assalto alla cir­convallazione; quindi dedicò le sue cure alla battaglia per il tempio e alla sollecita costruzione dei terrapieni.
Libro VI:164 - 2, 9. Fu allora che i giudei, sotto il peso delle perdite su­bite negli scontri, e visto che la guerra a poco a poco si av­viava inesorabilmente al suo culmine e stava per raggiungere il tempio, amputarono come da un corpo in disfacimento le membra già infette per impedire gli sviluppi del male.
Libro VI:165 Essi, cioè, appiccarono il fuoco alla parte nord-occidentale del por­tico, che era congiunta con l'Antonia, e poi ne abbatterono circa una ventina di cubiti cominciando così a incendiare i luoghi santi con le loro stesse mani.
Libro VI:166 Due giorni dopo, il ventiquattro del mese sopra detto, i romani incendiarono sul­l'altro lato il portico, e quando il fuoco si era propagato per quindici cubiti i giudei ne abbatterono allo stesso modo il tetto, senza avere alcun riguardo per quelle opere e troncando la loro continuità con la Antonia.
Libro VI:167 Fu con tale intenzione che essi, pur potendolo impedire, lasciarono che l'incendio divam­passe nella misura che giovava alla loro difesa.
Libro VI:168 Intorno al tempio si svolgevano intanto incessanti combattimenti e continui erano gli scontri fra gruppi che si facevano avanti dalle due parti.
Libro VI:169 - 2, 10. In quei giorni un giudeo di piccola statura e di aspetto miserabile, insignificante come per nascita così per tutto il resto, di nome Gionata, venne avanti dalla parte del monumento del sommo sacerdote Giovanni e, dopo aver rivolto ai romani un mucchio d'insulti, ne sfidò a duello il più valoroso.
Libro VI:170 Nelle file avversarie i più non lo presero sul serio, ma è anche probabile che qualcuno ne provasse paura mentre altri dovettero accortamente riflettere che non conve­niva battersi con uno che cercava la morte.
Libro VI:171 Infatti chi dispera di salvarsi non solo non controlla le sue mosse, ma ha anche l'appoggio misericordioso della divinità, e sarebbe stata una prova non di coraggio, ma di sconsiderata temerità il misurarsi contro individui sui quali conseguire una vittoria non rappre­sentava gran che, mentre una sconfitta avrebbe comportato pericoli e ignominia.
Libro VI:172 Per parecchio tempo nessuno si fece avanti e il giudeo continuò a ingiuriarli come vigliacchi (era quanto mai pieno di sé e disprezzava i romani) finché un cava­liere di uno squadrone ausiliario, di nome Pudente, infastidito dalle sue parole e dalla sua tracotanza, e forse anche spinto da un malaccorto disprezzo per la sua piccola corporatura,
Libro VI:173 venne fuori a duellare e stava per far valere la sua superiorità quando fu tradito dalla fortuna; gli accadde infatti di perdere l'equilibrio, e Gionata fu svelto a saltargli addosso e a spac­ciarlo.
Libro VI:174 Questi montò poi sul cadavere e, levando la spada insanguinata e agitando con la sinistra lo scudo, lanciava grida bellicose verso l'esercito avversario facendosi un vanto del nemico ucciso e deridendo i romani che assistevano alla scena.
Libro VI:175 Continuò così a esultare e a imperversare finché un centurione di nome Prisco lo trafisse con una freccia. Si levarono allora dalla parte dei romani e da quella dei giudei clamori contra­stanti mentre il colpito,
Libro VI:176 contorcendosi per i dolori, cadeva sul corpo del nemico dimostrando ancora una volta che in guerra la nemesi si abbatte fulminea su chi riporta un indebito successo.


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