Guerra giudaica



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LIBRO VII

CAPITOLO SETTIMO

Libro VII:219 - 7, 1. Era già il quarto anno di regno di Vespasiano quando Antioco, re della Commagene, si trovò implicato con tutta la famiglia in una terribile situazione per il seguente motivo.


Libro VII:220 Cesennio Peto, che allora era il governatore della Siria, o in buona fede o per avversione contro Antioco - cosa che non si è mai messa in chiaro - mandò una lettera a Vespasiano accusando Antioco,
Libro VII:221 e insieme suo figlio Epifane, di voler ribellarsi ai romani e di aver perciò fatto lega col re dei Parti;
Libro VII:222 bisognava quindi prevenirli per evitare che essi avessero il tempo d'iniziare l'impresa e sconvolgessero con la guerra tutto l'impero romano.
Libro VII:223 Pervenutagli una simile denunzia, l'impe­ratore non poteva non tenerne conto, anche perché la vici­nanza dei due re attirava sulla cosa una considerazione ancora più attenta.
Libro VII:224 Infatti la città di Samosata, la maggiore della Commagene, è sita sull'Eufrate, sì che i Parti, se ne avessero avuto l'intenzione, avrebbero potuto assai facilmente passare ­il fiume e mettere piede tranquillamente sull'altra sponda.
Libro VII:225 Così Peto fu creduto e, ottenuta l'autorizzazione ad agire nel modo più opportuno, non ebbe un attimo di esitazione; senza che Antioco e i suoi se l'aspettassero minimamente, invase la Commagene alla testa della legione sesta rinforzata da alcune coorti e ali di cavalleria.
Libro VII:226 Inoltre lo appoggiavano con un loro contingente gli alleati Aristobulo, re della regione chiamata Calcidica, e Soemo, re di quella che prende il nome da Emesa.
Libro VII:227 L'invasione avvenne senza colpo ferire, perché nessuno nel paese aveva intenzione di muovere un dito per resistere.
Libro VII:228 Quan­do fu raggiunto dall'inaspettata notizia, Antioco non pensò nemmeno un minuto a far guerra contro i romani, ma decise di abbandonare il regno, lasciando tutto come stava, e di al­lontanarsi nascostamente su un carro con la moglie e i figli, sperando così di dimostrare ai romani la sua innocenza ri­spetto all'accusa mossa contro di lui.
Libro VII:229 E, allontanatosi di cento­venti stadi dalla città in direzione della pianura, vi si accampò.
Libro VII:230 - 7, 2. Peto inviò un distaccamento a prendere Samosata e a tener presidiata la città, mentre egli col resto dell'esercito mosse contro Antioco.
Libro VII:231 Ma il re nemmeno in tali strette si decise a compiere qualche atto ostile verso i romani e, la­mentando il suo destino, era disposto a subire qualunque sorte;
Libro VII:232 non era facile, invece, che piegassero il capo senza combattere i suoi figli, i quali erano giovani, esperti di guerra e di straordinaria prestanza fisica. E così Epifane e Callinico im­pugnarono le armi.
Libro VII:233 La battaglia divampò violenta per un'in­tera giornata; essi diedero splendide prove di valore e, quando a sera le due opposte schiere si separarono, i loro uomini non avevano affatto avuto la peggio.
Libro VII:234 Ma anche dopo una battaglia che aveva avuto un tal esito Antioco non seppe decidersi a rimanere e, prese con sé la moglie e le figlie, fuggì in Cilicia,
Libro VII:235 distruggendo così il morale dei suoi soldati i quali, come se egli avesse deciso la fine del suo regno, cambiarono bandiera e si consegnarono ai romani, pur essendo chiaro che erano tutti disperati.
Libro VII:236 Prima di essere completamente abbandonati dai loro alleati, Epifane e i suoi soldati dovettero cercar scampo dai nemici, e furono in tutto dieci soldati a cavallo ad attra­versare con loro l'Eufrate;
Libro VII:237 di lì senza ormai alcun timore furono condotti dinanzi al re dei Parti Vologese, da cui ven­nero trattati non superbamente, come dei fuggiaschi, ma ac­colti con ogni onore, come se fossero ancora nell'antica for­tuna.
Libro VII:238 - 7, 3. Arrivato a Tarso nella Cilicia, Antioco venne catturato da un centurione spedito da Peto e inviato a Roma in catene.
Libro VII:239 Vespasiano però non volle che il re gli fosse pre­sentato in quelle condizioni, desideroso di rispettare un'antica amicizia più che di serbare un implacabile rancore a motivo della guerra.
Libro VII:240 Perciò, mentre quello era ancora in viag­gio, diede ordine di liberarlo dalle catene e, sospendendo il viaggio a Roma, lo fece fermare per il momento a Sparta; gli concesse inoltre delle cospicue rendite, sì che non soltanto non avesse a patire ristrettezze, ma potesse mantenere un tenore di vita da re.
Libro VII:241 Quando furono informati di questo, Epifane e i suoi, che prima avevano molto temuto per la sorte del padre, si sentirono liberati da una grave e insop­portabile ansietà.
Libro VII:242 Sperarono poi anch'essi di potersi riconci­liare con l'imperatore, avendogli fatto scrivere in proposito da Vologese; infatti, pur essendo trattati bene, non si adat­tavano a vivere fuori dell'impero romano.
Libro VII:243 Vespasiano gene­rosamente concesse loro di trasferirsi senza timore a Roma, ed essendo poco dopo arrivato da Sparta anche il padre, vi presero dimora tutti insieme trattati con ogni riguardo.
Libro VII:244 - 7, 4. Circa quel tempo il popolo degli Alani, di cui già abbiamo avuto occasione di accennare che sono Sciti abitanti presso il Tanai e il lago Meotide,
Libro VII:245 maturato il progetto d'in­vadere e saccheggiare la Media e le regioni site ancora oltre, intavolò trattative col re degli Ircani; costui infatti è padrone della via d'accesso, che il re Alessandro sbarrò con porte di ferro.
Libro VII:246 Ottenuto il permesso di passare, essi piombarono in massa sui Medi che non se l'aspettavano, e saccheggiarono quella contrada popolosa e piena di bestiame d'ogni specie senza che alcuno osasse di far loro resistenza.
Libro VII:247 Infatti il re del paese, Pacoro, per la paura era fuggito tra luoghi impervi ab­bandonando tutti gli altri suoi beni, e a stento si era fatto restituire da quelli la moglie e le concubine, che erano cadute prigioniere, pagando un riscatto di cento talenti.
Libro VII:248 In tal modo con grande facilità e senza dover combattere. gli Alani continuarono a saccheggiare e, devastando tutto, avanzarono fino all'Armenia.
Libro VII:249 Quivi regnava Tiridate che, fattosi loro incontro e ingaggiata battaglia, per poco non venne preso vivo nel corso del combattimento;
Libro VII:250 infatti, lanciando da lon­tano il laccio, uno lo ghermì e stava per trascinarlo via se quello non si fosse affrettato a mozzare la corda con un colpo di spada e a liberarsi.
Libro VII:251 Gli Alani, resi ancor più feroci da questa battaglia, devastarono il paese e, trascinandosi dietro dai due regni una caterva di prigionieri e grande quantità di bottino d'ogni altra specie, se ne ritornarono nelle loro terre.


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