Guerra giudaica



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LIBRO VII

CAPITOLO NONO

Libro VII:389 - 9, 1. Eleazar avrebbe voluto proseguire con le sue parole d'incitamento, ma tutti lo interruppero impazienti di metterle in atto sotto la spinta d'un'ansia incontenibile; come invasati, se ne partirono cercando l'uno di precedere l'altro e reputando che si dava prova di coraggio e di saggezza a non farsi vedere tra gli ultimi: tanta era la smania che li aveva presi di ucci­dere le mogli, i figli e sé stessi.


Libro VII:390 Né, come ci si sarebbe potuto attendere, si affievolì il loro ardore nel passare all'azione, ma conservarono saldo il proponimento maturato ascoltando quelle parole e, sebbene tutti serbassero vivi i loro affetti domestici, aveva in loro il sopravvento la ragione, da cui sentivano di essere stati guidati a decidere per il meglio dei loro cari.
Libro VII:391 Così, mentre carezzavano e stringevano al petto le mogli e sollevavano tra le braccia i figli baciandoli tra le lacrime per l'ultima volta,
Libro VII:392 al tempo stesso, come servendosi di mani altrui, mandarono a effetto il loro disegno, consolan­dosi di doverli uccidere al pensiero dei tormenti che quelli avrebbero sofferto se fossero caduti in mano dei nemici.
Libro VII:393 Alla fine nessuno di loro non si rivelò all'altezza di un'impresa così coraggiosa, ma tutti uccisero l'uno sull'altro i loro cari: vittime di un miserando destino, cui trucidare di propria mano la moglie e i figli apparve il minore dei mali!
Libro VII:394 Poi, non riuscendo più a sopportare lo strazio per ciò che avevano fatto, e pensando di recar offesa a quei morti se ancora per poco fossero sopravvissuti, fecero in tutta fretta un sol muc­chio dei loro averi e vi appiccarono il fuoco;
Libro VII:395 quindi, estratti a sorte dieci fra loro col compito di uccidere tutti gli altri, si distesero ciascuno accanto ai corpi della moglie e dei figli e, abbracciandoli, porsero senza esitare la gola agli incaricati di quel triste ufficio.
Libro VII:396 Costoro, dopo che li ebbero uccisi tutti senza deflettere dalla consegna, stabilirono di ricorrere al sorteggio anche fra loro: chi veniva designato doveva ucci­dere gli altri nove e per ultimo sé stesso; tanta era presso tutti la scambievole fiducia che fra loro non vi sarebbe stata alcuna differenza nel dare e nel ricevere la morte.
Libro VII:397 Alla fine i nove por­sero la gola al compagno che, rimasto unico superstite, diede prima uno sguardo tutt'intorno a quella distesa di corpi, per vedere se fra tanta strage fosse ancora rimasto qualcuno bisognoso della sua mano; poi, quando fu certo che tutti erano morti, appiccò un grande incendio alla reggia e, raccogliendo le forze che gli restavano, si conficcò la spada nel corpo fino all'elsa stramazzando accanto ai suoi familiari.
Libro VII:398 Essi erano morti credendo di non lasciare ai romani nemmeno uno di loro vivo;
Libro VII:399 invece una donna anziana e una seconda, che era parente di Eleazar e superava la maggior parte delle altre donne per senno ed educazione, si salvarono assieme a cin­que bambini nascondendosi nei cunicoli sotterranei che tra­sportavano l'acqua potabile mentre gli altri erano tutti intenti a consumare la strage:
Libro VII:400 novecentosessanta furono le vittime, comprendendo nel numero anche le donne e i bambini,
Libro VII:401 e la data dell'eccidio fu il quindici del mese di Xanthico.
Libro VII:402 - 9, 2. I romani, che s'aspettavano di dover ancora combattere, verso l'alba si approntarono e, gettate delle passerelle per poter avanzare dai terrapieni, si lanciarono all'attacco.
Libro VII:403 Non vedendo alcun nemico, ma dovunque una paurosa solitudine e poi dentro fiamme e silenzio, non riuscivano a capire che cosa fosse accaduto; alla fine levarono un grido, come quando si dà il segnale di tirar d'arco, per vedere se si faceva vivo qualcuno.
Libro VII:404 Il grido fu udito dalle due donne che, risalite dal sottosuolo, spiegarono ai romani l'accaduto, e special­mente una riferì con precisione tutti i particolari sia del di­scorso sia dell'azione.
Libro VII:405 Ma quelli non riuscivano a prestarle fede, increduli dinanzi a tanta forza d'animo; si adoperarono per domare l'incendio e, apertasi una via tra le fiamme, en­trarono nella reggia.
Libro VII:406 Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono non fu l'esultanza di aver annien­tato il nemico, ma l'ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l'aveva messo in atto.

LIBRO VII

CAPITOLO DECIMO

Libro VII:407 - 10, 1. Occupata così la fortezza, il comandante vi lasciò una guarnigione, e col resto dell'esercito fece ritorno a Cesa­rea.


Libro VII:408 Nessun nemico restava infatti nel paese, ormai tutto sottomesso nel corso della lunga guerra, che s'era fatta sentire anche presso molti giudei residenti nelle regioni più lontane esponendoli al pericolo di disordini.
Libro VII:409 Accadde inoltre, qualche tempo dopo, che molti giudei trovarono la morte ad Ales­sandria d'Egitto.
Libro VII:410 Infatti quelli che erano riusciti a trovarvi scampo dall'insurrezione dei sicari, non contenti di essersi salvati, ripresero le loro macchinazioni incitando molti dei loro ospiti a intraprendere la lotta per la libertà, a giudicare i romani per niente superiori a loro e a considerare come pa­drone soltanto Dio.
Libro VII:411 Contrastati da alcuni notabili della stessa comunità giudaica, assassinarono costoro continuando a insi­stere presso gli altri con gli incitamenti alla rivolta.
Libro VII:412 Viste le loro pazzesche intenzioni, i membri più autorevoli del consi­glio ritennero che per loro rappresentava ormai un pericolo non intervenire e, raccolti in assemblea tutti i giudei, denun­ziarono i folli propositi dei sicari, dimostrando che erano loro i colpevoli di tutti i disastri.
Libro VII:413 Aggiunsero che quelli, non avendo pur dopo la fuga sicura speranza di essersi messi in salvo perché appena riconosciuti sarebbero stati immediata­mente messi a morte dai romani, cercavano di coinvolgere nella propria rovina chi non aveva avuto parte in nessuno dei loro delitti.
Libro VII:414 Conclusero esortando l'adunanza a guardarsi dalle pericolose manovre di quelli e a consegnarli ai romani per dimostrare la loro lealtà.
Libro VII:415 Vista la gravità del pericolo, il popolo accolse l'esortazione e, scatenatosi furiosamente con­tro i sicari, li gettò in prigione.
Libro VII:416 Seicento vennero catturati immediatamente; quelli che avevano cercato di fuggire al­l'interno dell'Egitto, e in particolare a Tebe, dopo non molto vennero arrestati e riportati indietro.
Libro VII:417 Riguardo a costoro non vi fu alcuno che non restasse ammirato per la loro fermezza e per la forza d'animo, o cieco fanatismo che dir si voglia;
Libro VII:418 infatti, pur essendo stata escogitata contro di loro ogni forma di supplizio e di tortura soltanto perché dicessero di ricono­scere Cesare come loro padrone, nessuno cedette o fu sul punto di cedere, ma tutti serbarono il proprio convincimento al di sopra di ogni costrizione, accogliendo i tormenti e il fuoco con il corpo che pareva insensibile e l'anima quasi esul­tante.
Libro VII:419 Ma a impressionare più di tutti chi era presente furono i ragazzi, dei quali non uno si lasciò piegare a chiamare Ce­sare il suo padrone: a tal punto la forza d'animo prevalse sulla debolezza dei loro corpi!
Libro VII:420 - 10, 2. Governatore di Alessandria era allora Lupo, che senza indugi informò Cesare di questi fermenti di rivolta.
Libro VII:421 L'imperatore, insospettito delle inesauste tendenze rivoluzionarie dei giudei e temendo che si raccogliessero di nuovo in forze attirando anche altri dalla loro parte, ordinò a Lupo di distruggere il tempio giudaico nel cosiddetto distretto di Onias,
Libro VII:422 che si trova in Egitto e fu costituito con tale denomina­zione nelle seguenti circostanze.
Libro VII:423 Onias figlio di Simone, uno dei sommi sacerdoti di Gerusalemme, al tempo in cui Antioco re di Siria portò guerra ai giudei fuggì ad Alessan­dria, dove dal re Tolomeo, in odio ad Antioco, gli vennero riservate cordiali accoglienze; egli allora promise che gli avrebbe assicurata l'alleanza del popolo giudaico se avesse accettato una sua proposta.
Libro VII:424 Il re s'impegnò a fare nei limiti delle sue possibilità, e Onias gli chiese il permesso di costruire in una qualsiasi località dell'Egitto un tempio da destinare al culto del Dio secondo i riti tradizionali.
Libro VII:425 Così da un lato i giudei sarebbero divenuti ancora più ostili ad Antioco, che aveva saccheggiato il tempio di Gerusalemme, dall'altra avreb­bero nutrito per lui maggiori simpatie, e in gran numero si sarebbero raccolti presso di lui grazie alla libertà del culto.
Libro VII:426 - 10, 3. Tolemeo accolse la proposta e gli assegnò un distretto a centottanta stadi di distanza da Menfi, nel nomo che si chiama Eliopolitano.
Libro VII:427 Qui Onias impiantò una fortezza e poi costruì il tempio - non a somiglianza di quello di Geru­salemme, ma a forma di torre - usando grossi blocchi di pietra e facendogli raggiungere l'altezza di sessanta cubiti.
Libro VII:428 Nella costruzione dell'altare, tuttavia, imitò quello del santuario in patria, e lo stesso fece nell'adornare il tempio con doni votivi, ad eccezione del candelabro che era di foggia diversa;
Libro VII:429 infatti invece di un candelabro fece lavorare in oro un lampadario che irradiava una vivida luce appeso a una catena anch'essa d'oro.
Libro VII:430 Il sacro recinto fu tutto circondato da un muro di mattoni cotti con le aperture delle porte in pie­tra. Il re gli assegnò inoltre una grande estensione di terreno per ricavarne le rendite necessarie ad assicurare larghezza di mezzi ai sacerdoti e alla celebrazione delle cerimonie di culto per il Dio.
Libro VII:431 Tutto questo però Onias non lo fece con buone intenzioni, ma per l'astio che nutriva contro i giudei di Ge­rusalemme spinto dal rancore per il suo esilio, e con l'erezione di questo tempio sperava di attirarvi la moltitudine sottraen­dola a quelli.
Libro VII:432 V'era poi un'antica profezia, vecchia di circa seicento anni, fatta da Isaia, che aveva predetto la costruzione di questo tempio in Egitto ad opera di un giudeo. Tale fu, dunque, l'origine di questo tempio.
Libro VII:433 - 10, 4. Lupo, il governatore di Alessandria, ricevuta la lettera dell'imperatore, raggiunse il tempio e, avendone aspor­tato alcuni doni votivi, lo chiuse.
Libro VII:434 Morto di lì a poco Lupo, il suo successore Paolino non soltanto spogliò il tempio di tutti i doni votivi, avendo rivolto gravi minacce ai sacerdoti se non glieli consegnavano tutti, ma vietò anche l'ingresso nel santuario a chi voleva fare cerimonie di culto e,
Libro VII:435 sbarrate le porte, lo rese del tutto inaccessibile, si da non lasciare in quel luogo neppure una traccia del culto divino.
Libro VII:436 Dalla costru­zione del tempio fino alla sua chiusura erano passati trecento­quarantatré anni.

LIBRO VII

CAPITOLO UNDICESIMO

Libro VII:437 - 11, 1. La demenza dei sicari contagiò come una malattia le città attorno a Cirene.


Libro VII:438 Era quivi arrivato Gionata, un gran­dissimo farabutto che faceva il mestiere del tessitore, il quale dopo aver sottoposti alla sua influenza non pochi degli ele­menti più miserabili del popolino se li trascinò dietro nel deserto, promettendo loro prodigi e apparizioni.
Libro VII:439 Quasi nes­suno badò alle sue furfantesche macchinazioni, ma i più ragguardevoli fra i giudei di Cirene denunziarono la sua partenza e i suoi piani a Catullo, il governatore della pentapoli libica.
Libro VII:440 Questi inviò un corpo di cavalieri e di fanti che facil­mente ebbero ragione di quella turba inerme; i più restarono sul campo, ma alcuni furono presi e tradotti dinanzi a Catullo.
Libro VII:441 L'ispiratore della sedizione, Gionata, sul momento riuscì a fuggire, ma poi, a seguito di lunghe e assai diligenti ricerche effettuate in tutto il paese, venne catturato e, trascinato al cospetto del governatore, escogitò una maniera di sottrarsi alla punizione offrendo nel tempo stesso a Catullo lo spunto per una serie d'ingiustizie.
Libro VII:442 Dichiarò infatti falsamente che erano stati i più ricchi dei giudei a insinuargli l'idea della ribellione.
Libro VII:443 - 11, 2. Il governatore accolse con piacere tali calunnie, gonfiando la cosa a dismisura e dipingendo la situazione come altamente drammatica per potersi dar le arie di aver vinto anche lui una guerra giudaica.
Libro VII:444 Ma il peggio fu che Catullo, oltre a mostrarsi così pronto a credere, diventò anche maestro di menzogna ai sicari.
Libro VII:445 Indusse infatti Gionata a denunziare un giudeo di nome Alessandro, col quale un tempo era venuto in urto ed ora stava in aperta inimicizia, e poi a coinvolgere nell'accusa anche sua moglie Berenice. Questi due furono i primi a esser colpiti con la pena di morte, e dopo di loro Ca­tullo fece subire la stessa sorte a tutti i giudei più ricchi in numero di tremila;
Libro VII:446 delitti che egli riteneva di compiere al sicuro perché incamerava le sostanze di quei disgraziati nel fisco imperiale.
Libro VII:447 - 11, 3. Ad evitare, poi, che giudei di altri paesi potessero comprovare la sua iniquità, allargò il raggio delle sue false accuse e convinse Gionata e alcuni altri che erano stati arre­stati con lui a denunziare come cospiratori le più importanti personalità giudaiche di Alessandria e di Roma.
Libro VII:448 Uno di quelli che vennero accusati ingiustamente fu Giuseppe, l'autore di questa storia.
Libro VII:449 Ma la macchinazione non ebbe per Catullo l'esito sperato. Egli venne a Roma portandosi dietro in catene la banda di Gionata e credeva che l'inchiesta si sarebbe fer­mata alle risultanze delle false deposizioni rese dinanzi a lui e per sua istigazione.
Libro VII:450 Vespasiano però ebbe dei sospetti sul­l'affare e promosse delle indagini che misero in luce l'infonda­tezza delle imputazioni a carico degli accusati; allora, anche per l'interessamento di Tito, egli li mandò assolti mentre Gionata ebbe il dovuto castigo: fu prima torturato e poi bruciato vivo.
Libro VII:451 - 14, 4. Grazie alla mitezza degli imperatori, Catullo per allora non subì più di un rimprovero, ma non molto tempo dopo, colpito da una malattia complicata e incurabile, fece un'orribile morte, punito non soltanto nel corpo, ma anche - e in maniera più grave - nella mente.
Libro VII:452 Infatti era sconvolto da paurose allucinazioni gridando senza posa di vedersi vicino gli spettri delle sue vittime e, non potendo dominarsi, saltava giù dal letto come se stessero per sottoporlo alle torture o al fuoco.
Libro VII:453 Poi il male si aggravò sempre più, ed egli morì per l'ulcerazione e la fuoriuscita delle viscere, dando la dimostra­zione più evidente che la provvidenza del Dio non manca di punire i malvagi.
Libro VII:454 - 11, 5. Qui ha termine la mia storia, che avevo promesso di scrivere con la più scrupolosa precisione per chiunque volesse conoscere quali furono le vicende di questa guerra fra i romani e i giudei.
Libro VII:455 Dei suoi pregi letterari lascio giudi­care ai lettori, ma per quanto riguarda la sua veridicità non avrei alcuna esitazione a dichiarare con sicura coscienza che in tutta la mia opera non ho avuto di mira che quella.
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