Guerra giudaica



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LIBRO III

CAPITOLO OTTAVO

Libro III:340 - 8, 1. I romani andavano in cerca di Giuseppe, sia per l'odio che provavano verso di lui, sia per soddisfare il desi­derio di Vespasiano, che ne considerava la cattura un gran passo avanti verso la vittoria, ed esaminavano i cadaveri e coloro che catturavano nei nascondigli.


Libro III:341 Durante l'espugna­zione della città Giuseppe, grazie a un aiuto divino, si era furtivamente sottratto alla furia dei nemici ed era saltato dentro a una profonda cisterna comunicante lateralmente con un'am­pia grotta invisibile dall'alto.
Libro III:342 Ivi trovò nascoste una quaran­tina di persone ragguardevoli, con una provvista di viveri che poteva bastare per non pochi giorni.
Libro III:343 Durante il giorno se ne stette celato, perché i nemici avevano occupato tutta la città, ma nella notte risalì per cercare una via di scampo e studiò il funzionamento del servizio di guardia. Ma poiché tutti i luoghi erano sottoposti a sorveglianza da ogni parte per causa sua, e non potendo eluderla, discese nuovamente nella spelonca.
Libro III:344 Per due giorni rimase nascosto, al terzo fu tra­dito da una donna del gruppo che era stata catturata, e subito Vespasiano si affrettò a mandare due tribuni, Paolino e Gal­licano, a dare assicurazioni a Giuseppe e a invitarlo a risalire.
Libro III:345 - 8, 2. Appena arrivati, costoro si diedero a esortarlo e a promettergli che avrebbe avuta salva la vita, ma non riusci­rono a convincerlo.
Libro III:346 Egli infatti era in sospetto non per le maniere gentili dei due, ma al pensiero dei castighi che giu­stamente si era attirato con tutto ciò che aveva fatto, e temette che quelli volessero attirarlo alla punizione finché Vespasiano mandò a lui un terzo messo, Nicanore, che da tempo era conoscente e amico di Giuseppe.
Libro III:347 Nicanore ri­cordò la naturale generosità dei romani verso i nemici vinti, assicurò che per il suo valore i capitani nutrivano nei suoi riguardi ammirazione piuttosto che odio,
Libro III:348 e che il comandante in capo desiderava che egli venisse fuori non per punirlo - ciò che avrebbe potuto fare anche se non usciva - ma per il piacere di risparmiare un valoroso.
Libro III:349 Aggiunse poi che né Vespasiano avrebbe mandato un amico a tendere un tranello, servendosi della virtù più bella per realizzare il disegno più turpe, servendosi cioè dell'amicizia per un tradimento, né egli avrebbe accettato l'incarico di prendere con l'inganno un amico.
Libro III:350 - 8, 3. Poiché Giuseppe esitava pur dopo le assicurazioni di Nicanore, i soldati presi da furore volevano appiccare il fuoco alla caverna, ma li tenne a freno il comandante che desiderava fosse catturato vivo.
Libro III:351 Nicanore intanto continuava ad insi­stere e Giuseppe, quando ebbe sentore dei minacciosi propo­siti della soldataglia, si rammentò dei sogni notturni nei quali il Dio gli aveva predetto le calamità che stavano per abbat­tersi sui giudei e i cambiamenti che stavano per verificarsi alla testa dell'impero romano.
Libro III:352 Nell'interpretare i sogni egli era anche abile nel cogliere il significato delle espressioni oscure usate dalla divinità, ed essendo sacerdote e di famiglia sacer­dotale non ignorava le profezie dei libri sacri.
Libro III:353 In quel momento si sentì ispirato a penetrarne il senso e, rievocando le terrifi­canti visioni dei recenti sogni, rivolse al Dio una tacita pre­ghiera e
Libro III:354 “Poiché” disse “ti piace, a te che l'hai creata, di distruggere la stirpe dei giudei, e la fortuna è passata intera­mente dalla parte dei romani, e tu hai scelto l'anima mia per annunciare il futuro, di buon grado mi arrendo ai romani e conservo la vita, ma t'invoco a testimone che non vado come un traditore, ma per eseguire i tuoi voleri”.
Libro III:355 - 8, 4. Ciò detto, stava per consegnarsi a Nicanore. Ma quelli che erano rintanati assieme a Giuseppe, quando compresero che egli stava per cedere alle insistenza, gli si affollarono in­torno gridando:
Libro III:356 “Oh quanto dovrebbero gemere le patrie leggi e sentirsi umiliato il Dio che ai giudei diede un'anima che non ha paura della morte!
Libro III:357 Tu sei attaccato alla vita, Giuseppe, e sei disposto anche a diventare uno schiavo pur di vivere? Come hai fatto presto a scordarti di te stesso!
Libro III:358 Quanti hai spinto a morire per la libertà! Falsa, dunque, era la fama del tuo valore, falsa la fama di accortezza, se speri di aver salva la vita da chi hai combattuto così aspramente e se vuoi la loro misericordia, per quanto sia sicura.
Libro III:359 Ma se anche la fortuna dei romani ti ha infuso l'oblio di te stesso, penseremo noi a salvare l'onore della patria. Ti presteremo una destra e una spada: se morirai di tua volontà, la tua sarà la morte di un capo dei giudei, altrimenti sarà quella di un traditore”.
Libro III:360 Così dicendo, gli puntarono contro le spade minacciando di ucciderlo, se si fosse consegnato ai romani.
Libro III:361 - 8, 5. Giuseppe temette di essere assalito, e considerando che sarebbe stato un sottrarsi ai voleri del Dio, se fosse morto prima di poterne recare il messaggio, nella difficoltà del mo­mento prese a svolgere con loro una serie di considerazioni filosofiche:
Libro III:362 “Perché, compagni, siamo così avidi del nostro sangue? O perché mettiamo in contrasto due cose così unite come il corpo e l'anima?
Libro III:363 Qualcuno dice che io son cambiato: i romani sanno bene se ciò è vero. Altri dicono che è bello morire in guerra, ma secondo la legge di guerra, cioè per mano dei vincitori.
Libro III:364 Ora se io cercassi di evitare il ferro dei romani, meriterei veramente di morire sotto la mia spada e la mia mano; ma se essi provano pietà per un nemico, quanto non sarebbe più giusto che ne provassimo noi per noi stessi? Infatti sarebbe da stolti farci da noi stessi quel male che cer­chiamo di evitare lottando contro di loro. “Ma è bello cadere per la libertà”.
Libro III:365 Sono d'accordo anch'io, però combattendo, e per mano di chi ce la vuol togliere. Ma ora né ci sfidano a battaglia né ci tolgono la vita. E’ ugualmente vigliacco sia chi non vuol morire quando è necessario dare la vita, sia chi lo vuole quando non è necessario.
Libro III:366 Qual è il timore che c'impedisce di consegnarci ai romani?
Libro III:367 Non è quello di morire? E allora ci daremo da noi quella morte che temiamo al pensiero che ci sia inflitta dai nemici? “Il ti­more della schiavitù” dirà qualche altro.
Libro III:368 Certo che ora ab­biamo una libertà veramente grande! “Ma è da coraggiosi togliersi la vita!” dirà un altro ancora. Al contrario, è la cosa più vile, e per me il pilota più codardo è colui che, per timore della tempesta, prima che questa scoppi fa andare a picco la nave.
Libro III:369 Il suicidio è contrario alla natura di tutti gli animali, ed è un atto d'empietà verso Dio che ci ha creati.
Libro III:370 Tra gli ani­mali non c'è nessuno che cerchi la morte di sua volontà o che si dia la morte; infatti per legge naturale è ben radicata in tutti la volontà di vivere. Pertanto noi stimiamo nemici quelli che apertamente ci privano della vita e puniamo come assassini coloro che lo fanno subdolamente.
Libro III:371 E non pensate che il Dio si adira quando un uomo tratta con disprezzo il suo dono? Se infatti da Lui abbiamo ottenuto di essere, è giusto che noi lasciamo a Lui anche di decidere sulla fine del nostro essere.
Libro III:372 Certo il corpo di ognuno è mortale ed è fatto di so­stanza corruttibile, ma l'anima è sempre immune da morte e abita nel corpo come una parte di Dio. Orbene, se uno che fa sparire o non conserva bene ciò che un altro uomo gli ha affidato in custodia viene giudicato malvagio e sleale, chi getta via dal suo corpo ciò che il Dio vi ha depositato crede di poter sfuggire al suo castigo?
Libro III:373 Si considera giusto punire gli schiavi fuggitivi, anche se si sottraggono a padroni cru­deli; e noi che fuggiamo dal migliore dei padroni, dal Dio, non ci accorgiamo di commettere empietà?
Libro III:374 Non sapete che quanti lasciano la vita secondo la legge naturale e restituiscono il prestito ricevuto dal Dio, quando chi l'ha fatto; lo richieda, godono di una fama sempiterna, sicure sono le loro case e le loro discendenze, e le loro anime restano pure e benefiche ottenendo in cielo la sede più sacra, donde nel volgersi degli evi tornano ad essere ospitate in corpi puri;
Libro III:375 mentre le anime di chi fece violenza a sé stesso restano sprofondate nel tene­broso Ade, e il Dio loro padre punisce nei discendenti le colpe dei genitori?
Libro III:376 Per questo il suicidio è inviso a Dio e viene pu­nito dal più sapiente dei legislatori;
Libro III:377 infatti presso di noi è stabilito che i suicidi non possono aver sepoltura prima del calar del sole, e ciò nonostante si ritenga un dovere quello di seppellire anche i nemici;
Libro III:378 presso altri popoli, poi, la legge fa anche obbligo di tagliare a questi morti la mano con cui essi fecero violenza a sé stessi, considerando che, come contro natura il corpo fu separato dall'anima, così la mano debba esser staccata dal corpo.
Libro III:379 Perciò, amici, conviene rispettare la giustizia, e non aggiungere alle umane miserie l'empietà verso il nostro creatore.
Libro III:380 Se ci vogliono far grazia, accettia­mola, perché non è turpe accettare la salvezza da coloro ai quali con tante imprese abbiamo fatto conoscere il nostro valore; se ci vogliono morti, consoliamoci pensando che è bello cadere per mano dei vincitori.
Libro III:381 Io non passerò dalla parte dei nemici per diventare traditore di me stesso; sarei infatti assai più stolto dei disertori che si consegnano ai nemici per­ché quelli lo fanno per salvarsi, mentre io lo farei per la mia sicura rovina.
Libro III:382 Mi auguro che questo sia un tranello dei ro­mani; se infatti dopo le assicurazioni datemi mi uccideranno, io morirò contento, perché il pensiero della loro slealtà mi sarà di conforto più di una vittoria”.
Libro III:383 - 8, 6. Giuseppe con una lunga serie di simili considerazioni cercò di distogliere i suoi compagni dal suicidio;
Libro III:384 ma essi avevano le orecchie chiuse per la disperazione, perché da un pezzo si erano votati alla morte, e s'inferocirono contro di lui: avventandosi con le spade in pugno chi da una parte chi dall'altra lo ingiuriavano dandogli del vigliacco, e pareva che ognuno stesse per colpirlo.
Libro III:385 Giuseppe chiamando uno a nome, un altro fissandolo negli occhi con il cipiglio del capo, un altro stringendolo per la mano, un altro commuovendolo con le preghiere, diviso nei più svariati sentimenti in quella critica situazione, riuscì ad allontanare dal suo collo il ferro di tutti, affrontando or l'uno or l'altro degli assalitori come fa una belva quando è circondata.
Libro III:386 Ma anche nell'abisso della dispe­razione essi provavano ancora rispetto per il comandante: si allentarono le destre, scivolarono giù le spade e molti spon­taneamente deposero le armi che avevano brandite.
Libro III:387 - 8, 7. In un momento così drammatico non venne meno a Giuseppe l'accortezza e, fidando nell'aiuto di Dio, mise in gioco la vita dicendo:
Libro III:388 “Poiché abbiamo deciso di morire, lasciamo alla sorte di regolare l'ordine in cui dobbiamo darci l'un l'altro la morte: ognuno sarà ucciso da chi verrà sorteggiato dopo di lui,
Libro III:389 e così sarà la sorte a stabilire il destino di tutti senza che nessuno debba perire di sua mano; non sa­rebbe giusto, infatti, che quando gli altri fossero morti qual­cuno cambiasse idea e si salvasse”. Le sue parole vennero accolte con fiducia e accettarono di effettuare il sorteggio.
Libro III:390 Ognuno porgeva prontamente il collo a chi era stato sorteggiato dopo di lui, sicuro che presto anche il capo sarebbe morto; infatti stimavano più dolce della vita il morire insieme con Giuseppe.
Libro III:391 Ma questi, non si saprebbe dire se per un caso o per volere di Dio, restò alla fine assieme ad un altro, e non volendo né essere condannato dalla sorte, né contami­narsi le mani col sangue di un connazionale se fosse rimasto ultimo, persuase anche il compagno a fidarsi delle assicura­zioni e ad accettare di aver salva la vita.
Libro III:392 - 8, 8. Scampato così alla guerra fattagli dai romani e dai suoi connazionali, Giuseppe fu condotto da Nicanore da­vanti a Vespasiano.
Libro III:393 I romani accorsero tutti a vederlo e dalla moltitudine che si assiepava intorno al duce si levò un cla­more di voci discordanti: chi si rallegrava per la sua cattura, chi lo minacciava, chi cercava di vederlo da vicino.
Libro III:394 Quelli che erano lontano gridavano di mettere a morte il nemico, mentre i vicini riandavano col ricordo alle sue gesta e resta­vano colpiti dal capovolgimento di fortuna;
Libro III:395 fra i comandanti non v'era nessuno che, se anche prima aveva nutrito avver­sione per lui, non provasse allora pietà a vederlo.
Libro III:396 Più di ogni altro fu Tito a restare particolarmente colpito dalla sua fer­mezza nella disgrazia e commosso dalla sua giovane età; pensando al valoroso combattente di ieri che era appena ca­duto nelle mani dei nemici gli venne di riflettere quant'è grande il potere della fortuna, come sono mutevoli le sorti di una guerra e instabili tutte le cose umane.
Libro III:397 Perciò non solo egli ottenne allora che moltissimi condividessero la sua commiserazione per Giuseppe, ma ebbe anche una parte gran­dissima nel propiziargli la grazia di suo padre.
Libro III:398 Vespasiano ordinò di custodirlo con ogni attenzione volendo inviarlo subito a Nerone.
Libro III:399 - 8, 9. Udito ciò Giuseppe dichiarò che voleva dirgli una cosa da solo a solo, e quando Vespasiano ebbe allontanato tutti gli altri tranne il figlio Tito e due amici così gli parlò:
Libro III:400 “Tu credi, Vespasiano, di aver preso con Giuseppe soltanto un prigioniero, mentre io sono qui per annunziarti un più radioso futuro; se non avessi avuto questo incarico dal Dio, ben sapevo la legge dei giudei e come debbono morire i comandanti.
Libro III:401 Mi mandi a Nerone? E perché? “Quanto dure­ranno ancora Nerone e” i successori di Nerone prima di te? Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio.
Libro III:402 Fammi ora legare ancor più forte e custodiscimi per te stesso; perché tu, Cesare, non sei soltanto il mio padrone, ma il padrone anche della terra e del mare e di tutto il genere umano, e io chiedo di essere punito con una prigionia più rigorosa se sto scherzando finanche con Dio”.
Libro III:403 Così egli disse, e sul momento Vespasiano mostrò di non credere pensando che Giuseppe avesse inventato questa storia per aver salva la vita,
Libro III:404 ma un po' alla volta fu indotto a prestare fede perché già il Dio stava suscitando in lui idee d'impero e per altri segni gli presagiva il regno.
Libro III:405 Trovò poi che anche in altre circo­stanze Giuseppe aveva fatto predizioni esatte; avendogli infatti chiesto uno degli amici che assisteva al colloquio segreto perché, se le sue predizioni non erano chiacchiere inventate per stornare la minaccia dal suo capo, non aveva predetto agli abitanti di Iotapata la caduta della città né a sé stesso la prigionia,
Libro III:406 Giuseppe rispose che invece aveva predetto agli Iotapateni sia che sarebbero stati espugnati al quarantasette­simo giorno, sia che lui stesso sarebbe stato catturato dai romani.
Libro III:407 Vespasiano fece in proposito riservatamente delle ricerche presso i prigionieri, e quando seppe che era tutto vero prese a credere anche a ciò che riguardava la sua persona.
Libro III:408 Non mise in libertà Giuseppe, ma gli fece dono di una veste e di altri oggetti di valore trattandolo con simpatia e riguardo anche per le amichevoli pressioni di Tito.


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