Guerra giudaica



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LIBRO IV

CAPITOLO TRECICESIMO

Libro V:527 - 13, 1. Simone non lasciò morire senza supplizi nemmeno Mattia, che aveva consegnato nelle sue mani la città. Costui era figlio di Boeto, discendente di sommi sacerdoti, uno degli uomini più stimati e onorati dal popolo.


Libro V:528 Quando la città era angariata dagli Zeloti, cui s'era unito anche Giovanni, egli aveva persuaso il popolo a far entrare in loro aiuto Simone, senza stringere in precedenza alcun accordo con lui e senza sospettare alcun tiro da parte sua.
Libro V:529 Ma quando Simone mise piede in città e se ne fece padrone, considerò Mattia nemico al pari degli altri, anche se aveva perorato la sua causa, giu­dicando che lo aveva fatto per stolta ingenuità.
Libro V:530 Così allora se lo fece trascinare al suo cospetto e con l'accusa di parteggiare per i romani lo condannò a morte, senza permettergli di difen­dersi, insieme con tre figli, perché il quarto aveva fatto in tempo a rifugiarsi presso Tito. E quando Mattia lo supplicò di ucciderlo prima dei figli, chiedendogli questa grazia in ricompensa di avergli fatto aprire le porte della città, Simone lo fece uccidere per ultimo.
Libro V:531 Così egli fu ammazzato sopra ai suoi figli, che già erano stati trucidati sotto i suoi occhi, e dopo essere stato condotto in un luogo dove i romani pote­vano vederlo; tale fu infatti l'ordine che Simone diede ad Anano figlio di Bagadate, il più spietato dei suoi scherani, aggiungendo ironicamente che così si sarebbe visto se gli avrebbero dato qualche aiuto coloro dalla cui parte voleva passare; e alla fine vietò di dar sepoltura ai cadaveri.
Libro V:532 Dopo di essi furono passati per le armi un sacerdote di nome Ananias, figlio di Masbalo, che era uno dei personaggi di rilievo, e il segretario del sinedrio Aristeo, nativo di Emmaus, e assieme a loro quindici degli uomini più eminenti del popolo.
Libro V:533 Misero in prigione il padre di Giuseppe e, per paura di tradimento, ordinarono che nella città nessuno si fermasse a parlare con altri né che si tenessero adunanze; quelli che si riunivano per dar sfogo alle loro pene venivano mandati a morte senza processo.
Libro V:534 - 13, 2. Al veder ciò un certo Giude, figlio di Giude, che era uno dei subalterni di Simone e ne aveva avuto l'incarico di far la guardia a una torre, un po' forse per compassione verso le vittime uccise con tanta ferocia, ma specialmente preoccupato di quella che sarebbe stata la sua sorte, chiamò a sé dieci fra gli uomini più fidati che aveva e disse loro:
Libro V:535 “Fino a quando sopporteremo queste malefatte? Che speranza di salvarci abbiamo se restiamo fedeli a un farabutto?
Libro V:536 Non ab­biamo già la fame addosso, i romani sul punto di entrare in città, mentre Simone non rispetta nemmeno chi gli ha fatto del bene, sì che c'è da temere che da un momento all'altro egli ci metta a morte quando invece ci si può fidare della pa­rola dei romani? Orsù, consegniamo le mura e salviamo noi stessi e la città!
Libro V:537 Non sarà un gran male per Simone pagare più presto il fio dal momento che non ha speranza di salvarsi”.
Libro V:538 Persuasi i dieci, allo spuntar del giorno Giude inviò gli altri suoi uomini chi da una parte, chi dall'altra, per evitare che si scoprisse il complotto, e verso l'ora terza si mise a chiamare dall'alto della torre i romani.
Libro V:539 Ma di questi alcuni non gli ba­darono, altri non se ne fidarono mentre i più non si mossero pensando che tra breve avrebbero avuto in mano la città senza correre pericolo.
Libro V:540 E quando alla fine Tito si apprestava ad avvicinarsi al muro alla testa di un reparto, Simone rag­giunto dalla notizia accorse a prendere sotto controllo la torre; catturati i traditori, li uccise sotto gli occhi dei romani e, mutilati i cadaveri, li scaraventò davanti alle mura.
Libro V:541 - 13, 3. Intanto Giuseppe, mentre girava attorno alle mura esortando senza posa i giudei ad arrendersi, fu colpito al capo da una pietra e cadde all'istante esanime. I ribelli fecero una sortita per prenderne il corpo, ed egli sarebbe stato trascinato nella città se Cesare non si fosse affrettato a mandare degli uomini in suo soccorso.
Libro V:542 Grazie all'energico intervento di costoro, Giuseppe fu portato via senza comprendere quasi nulla di ciò che stava succedendo, mentre i ribelli levavano grida festose, come se avessero spacciato il nemico più odiato.
Libro V:543 Tale notizia si diffuse nella città, e la gente ancora superstite fu presa dall'avvilimento, credendo che veramente fosse morto chi li incoraggiava a disertare.
Libro V:544 La madre di Giuseppe, quando fu informata in prigione della morte del figlio, disse ai carce­rieri che se l'aspettava fin dal tempo della difesa di Iotapata, e che da vivo egli non le aveva dato alcuna soddisfazione;
Libro V:545 invece in privato si sfogò con le ancelle lamentandosi che dalla sua felice maternità aveva ricavato il vantaggio di non poter seppellire il figlio dal quale sperava di essere un giorno sepolta.
Libro V:546 Ma la falsa notizia non continuò per molto tempo né ad affliggere costei, né a rallegrare i ribelli; infatti Giuseppe si riebbe rapidamente dal colpo e, avvicinatosi alle mura, gri­dava al loro indirizzo che fra breve gli avrebbero pagato il fio della ferita mentre tornava a incoraggiare il popolo ad aver fiducia.
Libro V:547 Il suo riapparire rianimò il popolo e diffuse lo sgomento fra i ribelli.
Libro V:548 - 13, 4. Alcuni dei disertori, non sapendo più che fare, si buttavano all'improvviso giù dalle mura, altri facendo finta di andare all'assalto con pietre in mano, cercavano poi scampo presso i romani. Ma li attendeva una sorte ancora più dolo­rosa di quella riservata a chi restava in città, e trovavano che la sazietà nel campo romano li faceva morire ancor prima della fame di casa loro.
Libro V:549 Essi infatti arrivavano tutti gonfi per il digiuno come se fossero malati d'idropisia, e rimpinzavano il loro stomaco vuoto sovraccaricandolo al punto da scop­piare, salvo quei pochi che s'accorsero che bisognava frenare l'appetito e seppero dosare il nutrimento per il corpo non più avvezzo al cibo.
Libro V:550 Ma anche quelli che in tal modo s'erano sal­vati caddero poi vittime di un'altra sciagura. Un disertore che era stato alloggiato fra i Siri fu scoperto nell'atto di rac­cogliere monete d'oro fra i suoi escrementi: abbiamo già detto che essi le inghiottivano prima di tentare la fuga, per­ché i ribelli rovistavano dappertutto e d'altra parte in città v'era tanta abbondanza d'oro, che per dodici dramme attiche si potevano avere monete che prima ne valevano venticin­que.
Libro V:551 Scoperto l'espediente da quel caso isolato, si diffuse negli accampamenti la voce che i disertori erano arrivati pieni d'oro, e allora gli arabi e i siri si diedero a sventrarli per vedere cosa avevano negli intestini.
Libro V:552 Non credo che sui giudei si abbatté un flagello peggiore di questo; in una sola notte ne furono sventrati circa duemila.
Libro V:553 - 13, 5. Quando fu informato di tale bestiale ferocia, Tito per poco non diede ordine alla cavalleria di circondare i col­pevoli e di massacrarli; lo trattenne il gran numero di costoro, visto che la massa dei colpevoli da punire superava più volte quella delle vittime.
Libro V:554 Ad ogni modo convocò i comandanti dei corpi ausiliari e quelli delle legioni - giacché venivano coin­volti nell'accusa anche alcuni legionari - e rivolgendosi agli uni e agli altri manifestò il suo sdegno
Libro V:555 per il fatto che soldati del suo esercito compissero simili azioni spinti da un'incerta speranza di lucro e senza provare il dovuto rispetto per le loro armi che erano fatte di argento e d'oro.
Libro V:556 Agli arabi e ai siri, poi, espresse la sua collera anzitutto perché in una guerra che non li interessava direttamente avevano dato libero sfogo ai loro sentimenti, e poi perché avevano coinvolto il nome dei romani nella loro ferocia sanguinaria e nell'odio contro i giudei; infatti alcuni dei suoi legionari condividevano ora la loro ignobile reputazione.
Libro V:557 In conclusione, a costoro minacciò la pena di morte per chiunque fosse stato scoperto a commet­tere ancora una volta la stessa infamia mentre ai legionari ingiunse di ricercare i sospetti e di portarli al suo cospetto.
Libro V:558 Ma la cupidigia, a quel che sembra, non teme alcun castigo; nell'uomo è insito un naturale desiderio di guadagno, e nes­suna passione è così pronta ad affrontare qualsiasi rischio come l'avidità.
Libro V:559 In altre circostanze, certamente, queste brame hanno un limite e sono tenute a freno dalla paura, ma questa volta era il Dio che aveva condannato tutto il popolo e indi­rizzava alla rovina ogni loro via di scampo.
Libro V:560 Così ciò che Ce­sare aveva vietato sotto pena di morte si continuò nascosta­mente a perpetrare a danno dei disertori, e quei barbari, an­dando incontro ai fuggiaschi prima di tutti gli altri, li trucidavano e, dopo essersi assicurati che nessun romano li ve­desse, li sventravano e traevano dalle budella la turpe mercede.
Libro V:561 Pochi furono quelli in cui si trovò l'oro; i più caddero vittime di una vana speranza. Tale eccidio fece sì che molti disertori cambiassero idea.
Libro V:562 - 13, 6. Giovanni, quando non ci fu più nulla da strappare al popolo, si diede a spogliare il tempio, e fece fondere molti doni votivi e molti oggetti necessari alle cerimonie sacre, coppe, vassoi e tavole, e non rispettò nemmeno i vasi per contenere il vino puro offerti a suo tempo da Augusto e da sua moglie.
Libro V:563 Gli imperatori romani avevano sempre onorato e adornato il tempio, mentre allora questo giudeo lo spogliava anche dei doni offerti dagli stranieri.
Libro V:564 Ai suoi uomini diceva che non dovevano farsi scrupolo di usare le cose sacre a so­stegno della santa causa, e che chi combatteva per il tempio doveva essere mantenuto dal tempio stesso.
Libro V:565 Pertanto egli attinse il vino e l'olio santo, che i sacerdoti conservavano nel tempio interno per versarlo sugli olocausti, e lo distribuì alla sua banda, e quelli senza inorridire se ne unsero e ne bevvero.
Libro V:566 Non posso trattenermi dal dire ciò che l'animo sconvolto mi detta: se i romani avessero tardato a punire i colpevoli, la terra si sarebbe spalancata per inghiottire la città, o questa sarebbe stata spazzata via dal diluvio o sarebbe stata incenerita dai fulmini come la terra di Sodoma; essa infatti aveva allevato una stirpe assai più empia di quelle che subirono tali flagelli, e per la sua follia il popolo intero fu votato allo sterminio.
Libro V:567 - 13, 7. Perché raccontare i particolari di quell'immane tragedia? In quei giorni presso Tito si rifugiò Manneo figlio di Lazzaro, il quale riferì che attraverso una sola porta, affidata alla sua sorveglianza, nel periodo fra il quattordici del mese di Xanthico, quando i romani si erano accampati presso la città, e il primo del mese di Panemo erano stati trasportati fuori centoquindicimila ottocentottanta cadaveri.
Libro V:568 Tutti questi ap­partenevano ai ceti più bassi del popolo, ed egli, pur non es­sendo preposto a quest'ufficio, li aveva dovuti contare perché aveva l'incarico di pagare col pubblico denaro le spese del trasporto. Tutti gli altri erano stati sepolti a cura dei parenti, e la sepoltura consisteva nel tirarli fuori e buttarli via dalla città.
Libro V:569 Dopo di lui molti altri notabili che riuscirono a scam­pare presso Tito riferirono che i cadaveri dei poveri gettati fuori dalle porte erano stati complessivamente seicentomila, mentre degli altri non era possibile calcolare il numero pre­ciso.
Libro V:570 Dissero anche che, poiché non avevano più la forza di trasportare fuori le salme della povera gente, le ammontic­chiavano entro le case più grandi e ve le rinchiudevano.
Libro V:571 Una misura di grano era arrivata a esser pagata un talento; poi, quando dopo il blocco della città non si poté più uscire a prendere un po' d'erba, alcuni erano arrivati al punto da rac­cogliere lo sterco cercando nelle fogne e tra il vecchio letame bovino, e si erano cibati di ciò di cui prima non avrebbero nemmeno sopportato la vista.
Libro V:572 Soltanto al sentir tali cose i romani provavano pietà, mentre i ribelli, che anche le vede­vano, non si decisero ad arrendersi, ma continuarono la resi­stenza fino a tali estremi: erano infatti accecati dal destino, che come sulla città ormai incombeva anche su di loro.


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