Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO TERZO

Libro VI:177 - 3, 1. I ribelli asserragliati nel tempio, che giorno per giorno non cessavano di affrontare in campo aperto i nemici che venivano all'attacco sui terrapieni, il giorno ventisette del mese sopra ricordato, ordirono questo tranello.


Libro VI:178 Riempirono di legna secca l'intercapedine fra le travi del portico occiden­tale e il sottostante soffitto, aggiungendovi anche bitume e pece; poi, facendo finta di non essere più in grado di resistere, si ritirarono.
Libro VI:179 Allora molti romani si lasciarono sconsiderata­mente trasportare dalla foga e, incalzando quelli che fingevano di ritirarsi, montarono sul portico appoggiandovi delle scale; i più accorti, invece, s'insospettirono per l'inspiegabile ritirata dei giudei e restarono fermi.
Libro VI:180 Intanto il portico si era riempito di soldati che vi erano montati, e ad un certo momento i giudei vi appiccarono il fuoco. In un baleno le fiamme si propagarono da ogni parte e grande fu il terrore che s'im­padronì dei romani fuori pericolo, mentre quelli presi in trap­pola non sapevano come uscirne.
Libro VI:181 Circondati dalle fiamme, alcuni si precipitarono a capofitto nella città che giaceva alle loro spalle, altri fra le schiere nemiche, altri, sperando di salvarsi, saltarono in mezzo ai compagni fratturandosi le mem­bra; ma ai più il fuoco non dette tempo di muoversi e qual­cuno lo prevenne con la sua spada.
Libro VI:182 L'incendio, che aveva assunto enormi proporzioni, ben presto ghermì anche chi era destinato a una morte diversa. Cesare era infuriato contro quei disgraziati, perché erano montati sui portici senza averne avuto l'ordine, ma al tempo stesso provava per loro una gran­de compassione;
Libro VI:183 nell'impossibilità per chiunque di aiutarli, a quei miseri era di conforto vedere il dolore di colui per il quale essi facevano getto della vita; ognuno infatti poteva vedere Tito che gridava verso di loro e si faceva avanti e stimolava quelli che gli stavano intorno a fare il possibile per aiutarli.
Libro VI:184 Tutti spirarono contenti come se con quelle grida e con quella partecipazione ricevessero un'onorifica sepoltura.
Libro VI:185 Alcuni invero si ritrassero sulla parete del portico, che era assai larga, e si salvarono così dalle fiamme, ma restarono assediati dai giudei e, dopo aver resistito a lungo, caddero tutti trafitti.
Libro VI:186 - 3, 2. Di questi l'ultimo a cadere fu un giovane di nome Longo, il quale chiuse splendidamente tutto quel tragico epi­sodio superando in valore i compagni caduti che si erano tutti segnalati ad uno ad uno.
Libro VI:187 Ammirandone l'eroismo, e d'altro canto non riuscendo ad abbatterlo, i giudei lo invita­vano a scendere e a unirsi a loro; dall'altra parte invece il fratello Cornelio lo scongiurava di non infangare il suo onore e l'esercito romano. Fu a costui che Longo diede ascolto e, levata la spada sotto gli occhi dei due eserciti, si trafisse.
Libro VI:188 Tra quelli rimasti bloccati dalle fiamme ve ne fu uno, un tale Ar­torio, che si salvò con un'astuzia. Chiamò a gran voce uno dei commilitoni, un certo Lucio, suo compagno di tenda, e gli disse: “Ti lascio erede dei miei beni se ti avvicini a rac­cogliermi”.
Libro VI:189 Quello prontamente si fece sotto e Artorio, piom­bandogli addosso, si salvò la vita mentre l'altro rimase schiac­ciato al pavimento dal peso e morì all'istante.
Libro VI:190 Sul momento questo disastro gettò lo sconforto nei romani, ma fu di gio­vamento per il futuro perché li rese meno facili a cadere nei tranelli e più cauti di fronte agli stratagemmi dei giudei, nei quali per lo più ebbero a soffrire per l'ignoranza dei luoghi e per il carattere degli uomini.
Libro VI:191 Il fuoco distrusse il portico fino alla torre che Giovanni, durante la lotta con Simone, aveva elevato sopra le porte che conducevano fuori sul Xisto; il resto lo abbatterono i giudei dopo lo sterminio dei romani che vi erano montati sopra.
Libro VI:192 Il giorno dopo anche i romani incendiarono l'intero portico settentrionale fino a quello orien­tale; l'angolo formato dal loro incontro si elevava a picco sullo strapiombo del Cedron, che perciò in quel luogo era terribil­mente profondo. Questa era la situazione intorno al tempio.
Libro VI:193 - 3, 3. Frattanto nella città la fame mieteva un numero sterminato di vittime e indicibili erano le sofferenze.
Libro VI:194 In ogni casa all'apparire anche di un'ombra di cibo si scatenava la zuffa, e i parenti più intimi venivano alle mani per strapparsi quei miserabili sostentamenti della vita.
Libro VI:195 Nemmeno se uno stava spirando si credeva che non avesse cibo, e i ribelli perquisivano anche i moribondi nel dubbio che qualcuno, per na­scondere del cibo, facesse finta di essere agonizzante.
Libro VI:196 Sbadi­gliando per la fame, essi si aggiravano barcollando come cani rabbiosi e si avventavano contro le porte scuotendole a mo' di ubriachi e irrompendo due o tre volte in un'ora nelle me­desime case, tanta era la loro disperazione.
Libro VI:197 La necessità spin­geva a mettere sotto i denti qualunque cosa e dava loro il co­raggio di raccogliere e mangiare roba che perfino i più im­mondi fra gli animali irragionevoli avrebbero rifiutato. Alla fine si attaccarono anche alle cinghie e ai calzari e strapparono il cuoio dagli scudi cercando di masticarlo.
Libro VI:198 Alcuni si cibarono anche di ciuffi di vecchio fieno e taluni, raccogliendo erba secca, ne vendettero una manciata per quattro dramme atti­che.
Libro VI:199 Ma a che parlare della mancanza di ritegno della fame nell'appetire qualsiasi cosa inanimata quando sto per raccon­tare un episodio che non trova riscontro nelle storie né dei greci né dei barbari, orribile a narrarsi e incredibile a udirsi?
Libro VI:200 Per non dare ai posteri l'impressione di aver inventato favole mostruose, avrei volentieri passato l'episodio sotto silenzio se non potessi addurre la testimonianza di un'infinità di miei contemporanei. E poi, dimostrerei scarso amore per la patria se omettessi di raccontare le sofferenze che essa ebbe realmente a patire.
Libro VI:201 - 3, 4. Fra gli abitanti della regione al di là del Giordano vi era una donna di nome Maria, figlia di Eleazar, del villaggio di Bethezuba, un nome che significa “casa dell'issopo”, rag­guardevole per nascita e ricchezza, che col resto della popo­lazione si era rifugiata in Gerusalemme rimanendovi asse­diata.
Libro VI:202 La massima parte delle sostanze che aveva portato seco trasferendosi dalla Perea nella città le erano state de­predate dai capi, mentre gli scherani con le loro quotidiane incursioni le avevano sottratto quanto restava dei suoi valori e il poco cibo raggranellato.
Libro VI:203 La donna era in preda a un tre­mendo furore e con gli insulti e le maledizioni che continuamente scagliava contro i saccheggiatori cercava di aizzarli contro di sé.
Libro VI:204 Nessuno però si decideva ad ucciderla, né per odio né per pietà, e lei era stanca di procurare ad altri il cibo che da nessuna parte era ormai possibile trovare mentre la fame le serpeggiava nelle viscere e nelle midolla, e ancor più della fame la consumava il furore.
Libro VI:205 Allora cedette insieme alla spinta dell'ira e della necessità e si abbandonò ad un atto contro la natura. Afferrò il bambino lattante che aveva seco e gli rivolse queste parole: “Povero figlioletto, a quale sorte dovrei cercare di preservarti in mezzo alla guerra, alla fame, alla rivoluzione?
Libro VI:206 Dai romani non possiamo attenderci che la schiavitù, se pure riusciremo a vivere fino al loro arrivo, ma la fame ci consumerà prima di finire schiavi, mentre infine i ribelli sono un flagello più tremendo degli altri due.
Libro VI:207 E al­lora, sii tu cibo per me, per i ribelli furia vendicatrice, e per l'umanità la tua storia sia quell'unica che ancora mancava fra le tante sventure dei giudei”.
Libro VI:208 Così disse e, ucciso il figlio, lo mise a cuocere; una metà ne mangiò, mentre l'altra la conservò in un luogo nascosto.
Libro VI:209 Ben presto arrivarono i banditi e, fiu­tando quell'odore esecrando, la minacciarono di ucciderla al­l'istante se non avesse mostrato ciò che aveva preparato. Ella rispose di averne conservata una bella porzione anche per loro e presentò i resti del bambino:
Libro VI:210 un improvviso brivido percorse quegli uomini paralizzandoli, ed essi restarono im­pietriti a una tal vista. “Questo è il mio bambino” disse la donna “e opera mia è questa. Mangiatene, perché anch'io ne ho mangiato.
Libro VI:211 Non siate né più pavidi di una donna né più compassionevoli di una madre. Ma se provate scrupoli e ri­fuggite dalla mia vittima sacrificale, allora sarà come se io avessi mangiato per conto vostro e l'avanzo rimanga per me”
Libro VI:212 A tali parole quelli uscirono tutti tremanti - fu l'unica scelleratezza di cui non ebbero il coraggio di macchiarsi, la­sciando sia pure a malincuore che la madre si cibasse di un simile cibo - ma istantaneamente la città fu piena della notizia di quella nefandezza e, raffigurandosi la scena raccapric­ciante, tutti inorridirono come fossero stati loro a compierla.
Libro VI:213 Morsi dalla fame essi non vedevano l'ora di morire, stimando fortunato chi se n'era andato prima di sentire e di vedere simili atrocità.
Libro VI:214 - 3, 5. Ben presto la raccapricciante notizia raggiunse an­che i romani. Fra questi alcuni si mostrarono increduli, altri diedero segni di commiserazione, mentre i più furono presi da un odio ancora più grande per i giudei.
Libro VI:215 Anche di questa infamia Cesare si protestò innocente dinanzi al Dio, dichia­rando che da parte sua erano state offerte ai giudei pace e autonomia oltre che il perdono per tutte le colpe commesse; ma poiché essi avevano preferito la ribellione all'accordo,
Libro VI:216 la guerra alla pace, la fame all'abbondanza e al benessere, e con le proprie mani avevano cominciato a incendiare il tempio che i romani s'erano sforzati di conservare per loro, ormai erano ben degni anche di un simile cibo.
Libro VI:217 Egli avrebbe avuto cura di seppellire l'empio misfatto della madre divoratrice del figlio sotto le macerie della sua patria, senza permettere che sulla faccia della terra il sole vedesse una città in cui le madri prendevano tale cibo.
Libro VI:218 Ma, più che alle madri, quei pasti si addicevano ai padri, che dopo tanti orrori restavano ancora in armi.
Libro VI:219 Pur esprimendo questi pensieri egli si rendeva conto della disperazione di quegli uomini: ormai non poteva più rinsavire chi aveva già sofferto tutte quelle sventure per sfuggire alle quali avrebbe appunto dovuto rinsavire.


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