Conclusione.
L’uomo imparò presto che esprimere la propria interiorità verso l’esteriorità degli altri e liberare un individuo dal proprio anonimato erano atti simbolici, operazioni che fin dal principio furono invenzioni culturali, di segni e significati che coprivano sempre più un reale diventato nei secoli introvabile o per lo meno inaccessibile. L’umanità è sempre stata indotta a servirsi di media e di rappresentazioni per la circolazione delle proprie idee, dei desideri particolari dei singoli o addirittura dei bisogni diffusi della propria comunità. Eppure, la stessa umanità è riuscita ad elaborare discorsi meno indiretti della forma principe dell’interposta persona: quella della mimesis. Tra questi, alcuni generi letterari hanno formato una mobile costellazione nell’emisfero del linguaggio opposto alla finzione: ad esempio la lirica, che si vorrebbe il discorso più autentico, è stato un tentativo di nascondere la nostra natura fittizia di soggetti di comunicazione (o di persone così costruite durante i nostri scambi con gli altri). Il saggio, per come nasce dalla forma degli Essais di Montaigne, costituisce un ulteriore passo compiuto dalla figura dello scrittore per ridurre la propria individualità a una forma circoscritta alla funzione e all’esercizio dell’intelletto ed esprimibile senza meccanismi di finzione. In seconda battuta, l’utilità che il genere saggistico dimostrò in termini di divulgazione lo ha poi trasformato in uno strumento idoneo all’affermazione del prototipo culturale scientifico-borghese: il genere letterario di una precisa comunità, della sua “ideologia” (un termine che abbiamo preferito usare senza condannarne come ad esempio Bourdieu l’uso inflazionato).
Persa così la componente espressiva di un’individualità, il saggio ha cercato di rintracciarla nuovamente nella narrativa, finché nel tempo contemporaneo ha ottenuto in alcuni (pur sempre marginali rispetto all’andamento complessivo del genere) tentativi di contaminazione una forma apparentemente più fittizia di quanto Montaigne avesse previsto nella modernità. Anche il saggio subisce come ogni altro genere le sollecitazioni culturali del Novecento, laddove la finzione segna ancora la difficile presa di coscienza del singolo individuo; ma con la contaminazione il genere si allontana anche dai paradigmi epistemologici che ne hanno decretato la formazione nella storia: l’entrata nel discorso di elementi narrativi gli consente di spostare nuovamente la propria attenzione dall’oggetto al rapporto che il soggetto intrattiene con il suo fenomeno di studio durante il processo conoscitivo.
L’aiuto della finzione consente al saggio sia il consolidamento della visione della verità come interpretazione di un individuo, sia la partecipazione a pieno titolo a quel regime che conferisce letterarietà alle opere: proprio quella fiction che sostituirebbe l’appartenenza condizionale di un genere alla letteratura con una (in apparenza) costitutivamente letteraria. Eppure, andare verso la letterarietà significa rimanere nella sua contaminazione un genere ancora borghese, se non più al servizio dell’epistemologia dominante pur sempre implicato nell’espressione di un mondo che rischia di ridursi a un soggetto particolare, a un destino sempre meno condiviso e più solitario nella sua quotidiana ricerca di un senso assente o perduto, così come la consuetudine narrativa ci tramanda fin dal romanzo nato a termine del Settecento.
Nel corso della tesi è stato inizialmente affrontato il problema di definizione del lessico teorico di riferimento. Si è preferito all’ibridazione la parola “contaminazione”: essa non è mutuata da altri campi del sapere e non pone problemi di traduzioni metaforiche; inoltre, non viene subordinata come avviene per l’ibridazione al fenomeno più generale dell’intertestualità o addirittura alla volontà di una liberazione dei testi dalla nozione di genere letterario. A ragione, dunque, si può intendere con contaminazione uno specifico fenomeno d’interazione di regimi generici diversi in certe opere letterarie. In particolare, si è dimostrato necessario intendere tale contaminazione come il rapporto che in un’opera si verifica tra un genere letterario e un modo relativo a un altro genere se si vuole salvaguardare la validità del concetto stesso di genere. Oltre a una definizione di contaminazione, si è poi approdati anche a una definizione del genere saggistico. L’esame del suo termine definitorio, così come indicato da Jean-Marie Schaeffer, permette di seguire ogni genere nel suo percorso storico e nei suoi rapporti con il restante campo letterario; allo stesso tempo, l’individuazione di una struttura interna, comune alle diverse opere attribuite a quel genere, consente di comprendere per quali tratti un singolo testo vi venga attribuito e come partecipi alla sua costituzione.
Esistono due regole imposte dal genere alle proprie opere: sintesi strutturale e nominazione progressiva. Un’etichetta generica si applica a un dato gruppo di opere esistenti per indicare la loro caratterizzazione sintetica: un’unica struttura per la loro classe; un’omogeneità di caratteri, chiamati invarianti, divisa dalle altre possibili. Quel nome di genere s’impone uguale nel tempo e viene riferito lungo la processione storica anche a classi di opere le cui invarianti sembrano alquanto diverse. Lo scarto tra la conservazione del suo nome proprio e la modificazione della sua struttura interna permette al genere di trasformarsi senza perdere la propria denominazione; al contempo, sempre grazie all’asincronia tra le due azioni descritte, un’opera può contaminarsi con altri modi discorsivi senza che cambi il referente usato anche per quei testi più conformi alla struttura del loro genere. Il genere letterario è così un concetto pratico esplicativo della relazione di un’opera con il tempo storico-culturale che la attraversa: la tradizione.
La seconda parte ha elaborato una definizione del genere oggetto di questo studio. Il saggio è stato interpretato con un’analisi storica a partire dalla forma degli Essais di Montaigne e delle sue traduzioni linguistiche e culturali; si è così evidenziato come in Inghilterra, durante il Seicento e Settecento, il genere abbia precisato una forma di conoscenza epistemologica particolarmente incline alla diffusione della cultura borghese-positivista e alla fondazione dell’induzione come metodo sperimentale. L’individualismo scettico di Montaigne, orientato soprattutto dal punto di vista morale, si sintetizza quasi subito in un nuovo individualismo, proprio della coscienza soggettiva proiettata al controllo e alla presa sul fenomeno oggettivo. Già nell’Ottocento, e in misura più sistematica nel Novecento, grazie alla contaminazione narrativa (parallelamente a quella speculare del romanzo con ciò che è stato definito il “saggismo”) il genere cerca di recuperare quanto mostrava d’aver perduto nel suo progressivo distanziamento dal modello originario: l’autonomia individuale del processo conoscitivo, ma da parte di una mente sempre più storicizzata, obbligata a confrontarsi con un contesto culturale e non soltanto interessata a trovare leggi epistemologiche il più possibile oggettive e universali.
A tale scopo le opere utilizzano due modalità, che nel corso dell’analisi critico-testuale sono state interpretate come differenti possibilità per il genere di utilizzare alcune risorse concesse dalla narrativa. I risultati conquistati nella terza parte sono relativi a una rappresentazione che costruisce una cornice narrativa per il proprio saggio e a un saggio che viene prodotto da due discorsi in parallelo: a uno prettamente saggistico, argomentativo e interpretativo si affianca un altro discorso, ma narrativo, che racconta una storia ed eventi o dipinge caratteri e situazioni.
Da un lato, la cornice narrativa fornisce ciò che abbiamo chiamato uno sfondo di rappresentazione (concettualizzato sulla base di alcuni sviluppi dell’idea di cornice narrativa di Harald Weinrich) che raddoppia i significati dell’interpretazione. La cornice recupera il ruolo della digressione di Montaigne ma senza esulare dalle finalità interpretative del discorso saggistico o romperne le catene logiche. Anche se l’organicità della struttura saggistica è salva, la cornice narrativa viene impiegata per inserire dentro l’opera la descrizione di un contesto preciso, sia esso più culturale o personale, entro cui la processione delle idee si staglia e si colloca storicamente. Questo modello è particolarmente visibile nel saggio di Renato Serra Ringraziamento a una ballata di Paul Fort e in alcuni saggi di Giacomo Debenedetti. La struttura a cornice assume una certa funzione all’interno della prima metà del secolo: la rappresentazione del disorientamento, del rifiuto e del superamento di certi sistemi epistemologici ed ermeneutici. Si tratta in sostanza di una forma non disgiunta dalla trasformazione storica-politica dell’immaginario culturale, nonché delle sue coordinate morali, che attraversa le guerre mondiali e in particolare il dopoguerra italiano.
Dall’altro, l’obiettivo del saggio parallelo è affrontare il problema di nuovi strumenti (come le teorie marxiste, la psicoanalisi, la semiologia, lo strutturalismo…), prontamente o tardivamente assimilati dalle scienze umane soprattutto negli anni Sessanta, che di nuovo deviano il genere verso l’affermazione di un’oggettività dell’investigazione ermeneutica. Si incomincia a percepire il commento critico come una scrittura soltanto applicativa di modelli elaborati anteriormente dalla filosofia o dalla scienza. È ovvio che non si tratta di un passaggio temporale netto tra le due forme e che un certo parallelismo tra interpretazione ed elaborazione di un oggetto narrativo (con l’invenzione di una sorta di “finzione critica”) appariva già in Debenedetti, per esempio nella Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo (1965). Ma se ci spostiamo sul territorio francese, vedremo che in un’area particolarmente ricettiva all’aggiornamento e all’invenzione di metodologie critiche negli stessi anni Sessanta dell’esperimento di Debenedetti si concentrano alcune narrazioni parallele all’argomentazione critica. Emergono personaggi nascosti nei testi di cui seguire le mosse, le sotterranee evoluzioni, oppure si compie nel discorso saggistico una “finzionalizzazione” delle componenti interpretative volta a recuperare il senso o il gusto dell’aneddoto personale. Abbiamo concettualizzato tale tecnica attraverso il suo confronto con la pratica antica dell’exemplum, per dimostrare come la forma aneddotica venga coinvolta nella creazione di modelli narrativi con cui confermare la propria interpretazione: tutte apparizioni particolarmente visibili nei saggi di Roland Barthes dell’inizio degli anni Settanta, come S/Z e Sade, Fourier, Loyola, o nelle monografie critiche di Genet e Flaubert ad opera di Jean-Paul Sartre.
Il caso più eclatante è proprio il saggio su Flaubert pubblicato negli stessi anni delle opere di Barthes, L’Idiot de la famille. In questo immenso lavoro, il commento critico di Sartre procede parallelamente alla costruzione di un universo “Flaubert” fittizio: completando con la propria immaginazione i necessari presupposti per una considerazione totale delle sue relazioni con l’intero contesto storico, sociale e culturale del suo tempo, configurando una sorta di saggio-mondo e ottenendo indietro un’identità e una biografia romanzesche dell’individuo storico Gustave Flaubert.
Infine, ritornando sul panorama italiano, si è mostrato come il modello parallelo del saggio investigativo innervi prove assai diverse ma ugualmente improntate all’inserimento di una struttura narrativa a fianco dell’interpretazione: tanto su un piano più ludico come in Magnanelli, quanto su quello più critico-filologico di Lavagetto. In particolare, sotto il pretesto di un commento al Pinocchio di Collodi prende vita in Manganelli una riscrittura narrativa che mira ad aprire sequenze esplicitamente parallele al racconto originario (come indica tra l’altro il titolo di libro parallelo). Il saggista resta tuttavia un “uomo interpretativo” e non rinuncia al proprio commento, ma sempre seguendo le connessioni rese visibili nel testo dai suoi racconti delle storie parallele. Indizi indagati anche da Lavagetto che si serve dell’invenzione di un personaggio, “Lettore”, cui spetta il compito di presentare alcune istanze del lavoro critico e di sostituire alcune funzioni dell’argomentazione, come quelle relative alla spiegazione dei differenti contesti di lettura dell’opera, dei diversi periodi storici, di certe problematiche filologiche. Lettore è allora una sintesi delle prospettive, connesse a situazioni concrete della lettura e dell’attività critica, da cui si osserva un testo letterario. Nel saggio investigativo di Manganelli e di Lavagetto la finzione diventa la modalità sia conoscitiva, sia retorica che permette all’argomentazione e al commento metatestuale di convalidare la propria interpretazione del testo.
Credo di poter aggiungere che nel complesso si tratta di risultati ancora raggiungibili, pur con qualche necessaria modificazione a seconda delle peculiarità storiche e culturali, in altre frontiere linguistiche e nazionali, per esempio individuando esempi di contaminazione tra saggio e romanzo nelle letterature angolofone e tedesca534. Non diversamente, non ritengo che un approccio nominalista e strutturalista possa venire invalidato da percorsi rivolti su altri generi: un metodo focalizzato sul nome di genere può descrivere qualsiasi percorso diacronico e la valutazione di una struttura generica può compiersi a partire da qualsiasi classe di opere che giunga a definire medesimi e comuni attributi con quel nome generico. Anche il concetto di contaminazione funziona in altri contesti se viene sempre considerata come relazione tra genere e modo. La nozione di modo, forse troppo poco valutata dalla storia della teoria, si rivela infatti l’alleato più prezioso per la sua interpretazione. Per individuare quali siano il modo e il genere che agiscono in un’opera si devono riconoscere nel suo testo tanto le dominanti discorsive (sul fronte linguistico improntate al modello di Jakobson) quanto quelle formali (che legano ugualmente l’opera al genere secondo Tomaševskij) e rapportarle alle invarianti strutturali prima di un genere e poi di un altro, fino a definire quelle che rispettano una data struttura generica e quelle che, invece, aggiungono soltanto caratteristiche del modo di un altro genere.
Che la contaminazione non possa avvenire tra due generi può essere confermato da ulteriori analisi. In chiusura, basterà accennare al caso della contaminazione tra saggio e poesia. Esiste, com’è stato notato da diversi interpreti (tra cui lo stesso Berardinelli), una contaminazione tra saggio e forme poetiche nel Novecento. Già Montaigne dichiarò che la dispositio aggrovigliata dei suoi saggi era dovuta a furor poeticus535; come ha poi sostenuto Hugo Friedrich, il fautore del genere concepiva i suoi Essais come una forma aperta di “poemi di circostanza meditativi”536. Julien Benda, nel 1937, avvicina il saggio alla poesia sulla base della quantità di pathos impiegato537. Se aggiungiamo il tentativo di avvicinare l’“io” lirico all’io del saggista sotto l’egida della presunta autenticità (rivendicata dalla teoria del Québec538) recuperiamo insomma una serie di coincidenze preventive, ancorché dubbie, tra le proposizioni della forma saggistica e quella poetica. Un ritmo del saggio può forse riprodurre addirittura una sorta di ritmo poetico539; ma in ogni caso risulta complicato pensare a una contaminazione tra i due generi, dal momento che la divisione tra prosa e verso, scritture tipograficamente opposte nell’andamento orizzontale e verticale rende impossibile la conservazione in una stessa opera e in un medesimo momento di entrambe. Poesia e saggio possono entrare in contaminazione solo se un discorso argomentativo viene scritto in versi o al contrario un saggio modula al proprio interno un modo di tipo lirico-espressivo. La poesia del Novecento, in particolare quella cosiddetta “antinovecentista”, si è certo servita del pensiero razionale come fonte primaria d’ispirazione, il cui esempio più eclatante potrebbe diventare Trasumanar e organizzar (1971) di Pier Paolo Pasolini. Sul fronte speculare del saggio, possono essere certo additate le modulazioni “liriche” di una prosa critica come quella di Emilio Cecchi o i Saggi in forma di ballate (1978) di Angelo Maria Ripellino che fin dal titolo esibiscono una volontaria contaminazione con la poesia. Ma al contempo, come scrive Gerhard Haas, il saggio si allontanerà sempre dalla lirica a causa del suo insito grado di socialità540. Un’analisi di quella contaminazione, insomma, dovrebbe forzatamente valutare il preponderante ruolo comunicativo del saggio rispetto a quello programmaticamente espressivo della poesia moderna.
Opere citate
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