Isaac Asimov. L'Orlo della fondazione



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1~ in modo che il complesso Università-Biblioteca, soprav-
E vissuto al Saccheggio, sopravvivesse anche alla Grande
E Rinascita. Anche le rovine del Palazzo erano state conser-

vate intatte. In quasi tutto il resto del pianeta, non c'era


~j più traccia di metallo. I grandi tunnel interminabili era-

no stati riempiti, ricoperti, distrutti, eliminati, sepolti

sotto rocce e terreno tranne lì, dove il metallo cingeva an-

cora gli antichi spazi aperti.

~` Si sarebbe potuto considerare quasi un monumento al-

la memoria delle glorie passate, il sepolcro dell'Impero,

ma per i trantoriani, per gli abitanti di Hame, si trattava

di un luogo sinistro, abitato dagli spiriti, che era meglio

evitare. Soltanto gli uomini della Seconda Fondazione

osavano mettere piede negli antichi corridoi, o toccare il

titanio luccicante.
Eppure, il Mulo per poco non aveva condotto alla rovi-

na di tutto.


Il Mulo era stato su Trantor, che cosa sarebbe successo

se avesse scoperto la natura di quel mondo? Le sue armi

materiali erano ben più potenti di quelle di cui disponeva

la Seconda Fondazione, e le sue armi mentali erano quasi

pari a quelle dei suoi avversari. La Seconda Fondazione

sarebbe stata ostacolata dalla necessità di ~are esclusiva-

mente ciò che era necessario e non di più, e dalla consa-

pevolezza che una vittoria immediata poteva determina-

re una perdita più grande in seguito.
Se non fosse stato per Bayta Darell e per il suo inter-

vento tempestivo... E anche quello si era verificato senza

alcun aiuto da parte della Seconda Fondazione!
E poi... era sopraggiunta l'Età d'Oro. I Primi Oratori

dell'epoca erano riusciti a trovare il modo di agire, di fer-

mare il Mulo nel suo iter di conquiste, di controllare infi-

ne la sua mente, di bloccare poi il passo alla stessa Prima

Fondazione quando questa si era fatta sospettosa e aveva

cominciato a domandarsi troppe cose sulla natura e l'

identità della Seconda. Preem Palver, diciannovesimo

Primo Oratore, il più grande di tutti, era riuscito, non

senza terribili sacrifici, a eliminare definitivamente ogni

pericolo e a salvare il Piano Seldon.


Ora, da centoventi anni, la Seconda Fondazione era

tornata a essere quello che era stata un tempo, si era na-

scosta nella parte di Trantor dove gli hamiani non mette-

vano piede. I suoi membri non sfuggivano ora gli impe-

riali, ma la Prima Fondazione, che si era allargata come

l'antico Impero Galattico e che era ancora più potente di

esso quanto a conoscenze tecnologiche.
Il Primo Oratore chiuse gli occhi, cullato dal piacevole

tepore della stanza e SciVola in quello stato mentale inde-

finito ma rilassante che stava a metà strada tra il sogno

allucinatorio e il pensiero cosciente.


Basta con i pensieri tetri, pensò. Sarebbe andato tutto

bene. Trantor era ancora la capitale della Galassia, per-

ché ospitava la Seconda Fondazione, che era più forte di

quanto non fosse stato l'Imperatore in passato, e più di

lui in grado di controllare la situazione.
Poi sarebbe venuto il Secondo Impero, che però non sa-

rebbe stato come il primo. Sarebbe stato un Impero Con-

federato, con i vari stati dotati di notevole autonomia,

sicché non si sarebbero avuti i difetti di un governo unita-

rio e centralizzato, apparentemente forte ma in realtà de-

bole. Il nuovo Impero sarebbe stato più flessibile, meno

monolitico. Sarebbe stato in grado di far fronte alle ten-

sioni, e sarebbe stato guidato sempre - sempre - dagli uo-

mini e dalle donne della Seconda Fondazione, che agiva-

no in segreto. Trantor sarebbe tornata a essere la capita-

le, e con i suoi quarantamila psicostorici sarebbe stata

più potente di quanto lo fosse mai stata con i suoi qua-

rantacinque miliardi di...
Il Primo Oratore si svegliò all'improvviso dal suo tor-

pore. Il sole era più basso nel cielo. Che avesse parlato,

nel sonno? Che si fosse lasciato sfuggire qualche conside-

razione ad alta voce?


Se la Seconda Fondazione doveva sapere molto e dire

poco, gli Oratori che la governavano dovevano sapere di

più e dire di meno. E il Primo Oratore doveva sapere più

di tutti e dire meno di tutti.


Shandess fece un sorriso ironico. Era sempre allettante

l'idea di diventare patrioti trantoriani. Era allettante

pensare che l'intero scopo del Secondo Impero fosse quel-

lo di dare origine all'egemonia trantoriana. Seldon aveva

lanciato un avvertimento in merito; aveva previsto perfi-

no una simile eventualità con cinque secoli di anticipo.


Il Primo Oratore si rese conto di non aver dormito trop-

po a lungo, non era ancora l'ora fissata per l'udienza. Era

ansioso di parlare in privato con Gendibal. Gendibal era

abbastanza giovane da considerare il Piano con occhi

nuovi, e abbastanza intelligente da intuire cose che agli

altri sfuggivano. Non era da escludersi che Shandess stes-

so avesse da Imparare qualcosa da lui.
Nessuno poteva dire con sicurezza quanto Preem Pal-

ver in persona, il grande Preem Palver, avesse tratto van-

taggio da Kol Benjoam che, non ancora trentenne, era ve-

nuto a parlargli dei vari modi in cui si poteva fronteggia-

re la Prima Fondazione. Benjoam, che in seguito era stato

riconosciuto come il più grande teorico dopo Seldon, non

aveva mai parlato di quel colloquio privato negli anni

successivi, ma alla fine era diventato il ventunesimo Pri-

mo Oratore. Alcuni attribuivano a lui, anziché a Palver, il

merito delle grandi realizzazioni dell'amministrazione

palveriana.
Shandess si chiese che cosa Gendibal avrebbe potuto

dirgli. Di solito i giovani in gamba che incontravano per

la prima volta da soli il Primo Ora-tore mettevano tutto il

succo delle loro teorie nella prima frase. E certo non chie-

devano mai quella prima, importante udienza per motivi

banali, non potevano rischiare di fare cattiva impressio-

ne sul Primo Oratore e di rovinarsi così la carriera.
Quattro ore dopo, Gendibal si trovava davanti a Shan-

dess. Non mostrava segni di nervosismo e aspettò con

calma che il Primo Oratore iniziasse il discorso.
--Avete chiesto un'udienza privata per discutere di

una questione importante, Oratore--disse Shandess.--

Vi spiace dirmi in sintesi di che si tratta?
E Gendibal, con la stessa tranquillità con cui avrebbe

potuto descrivere che cosa aveva mangiato a cena, disse:

--Primo Oratore, il Piano Seldon non ha senso.
Stor Gendibal non aveva bisogno del riconoscimento de-

gli altri per sentirsi in gamba. Si era sempre considerato

una persona eccezionale. Era stato reclutato all'età di

dieci anni da un agente della Seconda Fondazione che

aveva riconosciuto le potenzialità della sua mente.
Si era dimostrato bravissimo negli studi, e con la psico-

storia si era trovato perfettamente a suo agio reagendo

come un'astronave reagisce a un campo gravitazionale.
La psicostoria lo aveva attratto, e lui si era diretto ver-

so di essa con naturalezza. Aveva letto il testo di Seldon

sui fondamenti di quella scienza quando gli altri ragazzi

della sua età stavano ancora a pensare sulle equazioni

differenziali.
All'età di quindici anni aveva cominciato a frequentare

l'Università Galattica di Trantor (I'antica Università di

Trantor era stata ribattezzata così), dopo avere superato

un colloquio nel corso del quale, alla domanda quali fos-

sero le sue ambizioni, aveva risposto fermamente:--Di-

ventare Primo Oratore prima dei quarant'anni.


Dire semplicemente «diventare Primo Oratore« gli sa-

rebbe sembrato troppo poco; di poter arrivare a quella

carica, infatti, gli pareva scontato. Il difficile era arrivar-

ci in giovane età. Perfino Preem Palver ci era riuscito solo

a quarantadue anni.
Quando Gendibal aveva risposto in quel modo, un'om-

bra appena percettibile era apparsa sul viso di chi lo in-

terrogava; il giovane, che aveva già una certa padronanza

della psicolingua, era stato in grado di interpretarla. Ave-

va capito perfettamente, come se l'altro glielo avesse an-

nunciato a voce alta, che nella documentazione a lui rela-

tiva sarebbe stato annotato soggetto difficile da trattare.
Certo, perché no? Gendibal aveva tutte le intenzioni di

essere un soggetto difficile da trattare.


Adesso aveva trent'anni, ne avrebbe compiuti trentuno

di lì a pochi mesi, ed era già membro del Consiglio degli

Oratori. Aveva al massimo nove anni di tempo per diven-

tare Primo Oratore, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta. L'

udienza con Shandess era fondamentale per i suoi piani;

perciò, sforzandosi di dare l'impressione giusta al suo in-

terlocutore, aveva cercato in tutti i modi di migliorare la

propria padronanza della psicolingua.


Quando due Oratori della Seconda Fondazione comu-

nicavano tra loro, la loro lingua era diversa da qualsiasi

altra lingua della Galassia. Non entravano in gioco sol-

tanto le parole, ma anche i gesti più apparentemente insi-

gnificanti, nonché la comprensione di ogni minima sfu-

matura mentale.


r~ l
~ Un estraneo avrebbe udito ben poche parole, ma in un

tt breve lasso di tempo si verificava un intenso scambio

mentale e in una forma comunicativa che, almeno lette-

~ . ralmente, riusciva comprensibile soltanto a un altro Ora-

F`' tore.

i' La lingua degli Oratori aveva il vantaggio della veloci-

~i tà e della infinita gamma di sfumature, ma aveva anche

~' uno svantaggio: rendeva praticamente impossibile ma-

I'` scherare le proprie opinioni reali.
" Gendibal sapeva bene qual era la propria opinione sul

Primo Oratore. Shandess, secondo lui, era un uomo che si

era lasciato alle spalle il periodo di massimo rigoglio

!r mentale. Non si aspettava crisi di sorta né era preparato

!~ a fronteggiarle. Gli mancavano l'acutezza e la prontezza

l~ che s.ervivano a risolvere le situazioni difficili. Benché

E fosse affabile e armato di buona volontà, era la tipica per-

sona che poteva provocare un disastro irrimediabile.

Gendibal doveva allontanare quei pensieri non solo dalle

parole, dai gesti e dall'espressione del Yiso, ma anche dal-

la sua stessa mente. Però non era sicuro di poterlo fare co-

t sì bene da impedire a Shandess di captare tracce delle

sue opinioni segrete.
Del resto, nemmeno Gendibal poteva evitare di captare

tracce dell'opinione che il Primo Oratore aveva di lui. 01-

tre la facciata di affabilità e cordialità, in fondo abba-

stanza sincera, Gendibal colse in lui un atteggiamento

vagamente divertito e paternalistico, e rafforzò le difese

mentali per non rivelare il proprio risentimento.


Il Primo Oratore sorrise e si appoggiò allo schienale

della poltrona. Non arrivò al punto di mettere i piedi sul-

la scrivania, però manifestò una tranquilla disinvoltura,

una noncuranza amichevole che indussero Gendibal a

chiedersi quale fosse il reale effetto della sua affermazio-

ne.
Poiché non era stato invitato a sedersi, il giovane aveva

a disposizione una rosa limitata di azioni e atteggiamenti

atti a ridurre al minimo la sua incertezza. Ed era impos-

sibile che il Primo Oratore non se ne rendesse conto.
--Il Piano Seldon non ha senso?--disse Shandess.--

Che affermazione singolare! Avete guardato di recente il

Radiante Primario, Oratore Gendibal?
--Lo studio di frequente, Primo Oratore. E mio dovere

e anche mio piacere farlo.


--Per caso studiate solo quelle parti che rientrano nel

vostro campo visivo? Lo osservate in micro-metodo, un

sistema di equazioni qui, un piccolo aggiustamento là?

Oh, non dico, è importantissimo farlo, ma ho sempre pen-

sato che di tanto in tanto osservare l'intero corso costitui-

sca un esercizio eccellente. Studiare acro per acro il Ra-

diante Primario è indubbiamente utile, ma osservarlo co-

me un continente è davvero stimolante. A dir la verità è

da lungo tempo che non lo guardo in questo modo nem-

meno io, Oratore. Volete farmi compagnia?


Gendibal non osò indugiare troppo. Bisognava accetta-

ré, e accettare di buon grado, altrimenti sarebbe stato co-

me avere detto di no.--Sarà per me un onore e un piace-

re, Primo Oratore.


Shandess premette un pulsante sul fianco della scriva-

nia. Tutti gli uffici degli Oratori erano forniti di congegni

analoghi e quelli che si trovavano nell'uf`ficio di Gendibal

erano esattamente identici a quelli della scrivania di

Shandess. La Seconda Fondazione era una società eguali-

taria in tutte le sue manifestazioni formali, cioè in quelle

poco importanti. Anzi, ufficialmente l'unico privilegio

del Primo Oratore era quello deducibile dal suo titolo.

prendeva sempre la parola per primo.
La stanza divenne buia, ma quasi subito l'oscurità si

attenuò, diventando perlacea. Entrambe le lunghe pareti

si colorarono di una tinta chiara che sfumò in un bianco

luminoso e alla fine apparvero, stampate nettamente, le

equazioni, così piccole da non poter essere lette facilmen-
--Se non avete obiezioni--disse il Primo Oratore, la-

sciando intendere che non ne avrebbe ammessa alcuna--

ridurrei l'ingrandimento perché si possa vedere quanto

più «continente« possibile.


Le equazioni diventarono ben presto linee sottili, spira-

li scure sullo sfondo perlaceo.


Shandess sfiorò i tasti della piccola consolle incorpora-

ta nel bracciolo della sua poltrona.--Lo riporteremo all'

inizio, all'epoca in cui viveva Hari Seldon, e lo regolere-

mo in modo che proceda a piccoli passi, diciamo di un de-

cennio alla volta. Così si ha la sensazione meravigliosa

del fluire della storia, e non si è distratti dai dettagli. Mi

chiedo se l'abbiate mai fatto...
--Non esattamente in questo modo, Primo Oratore.
--Ma avreste dovuto, sapete? La sensazione è fantasti-

ca. Osservate la scarsità di tracciati scuri all'inizio. Non


~rano possibili molte alternative, nei primi decenni. I

~i punti di ramificazione, però, crescono esponenzialmente

col tempo. Se non fosse per il fatto che, appena viene scel-
'ii ta una particolare ramificazione, nel suo futuro si estin-
F` gue una vasta schiera di altre alternative, tutto divente-

~h` rebbe ben presto ingovernabile. Naturalmente, nell'af-

F3' frontare il futuro, dobbiamo stare bene attenti a quali

siano le estinzioni su cui contare.


--Lo so, Primo Oratore.--Gendibal non poté fare a

meno di rispondere con una nota lievemente brusca nella

voce.
Il Primo Oratore fece finta di non averla avvertita.
--Notate le linee sinuose dei simboli in rosso. Seguono

uno schema preciso. Secondo ogni apparenza, il loro or-

dine dovrebbe essere casuale, dato che ciascun Oratore si

guadagna il suo posto aggiungendo particolari sottili al

Piano originario di Seldon. In fin dei conti sembrerebbe

non esserci modo di prevedere dove si possa aggiungere

facilmente un par ticolare o dove un certo Oratore troverà

i suoi interessi o le sue disposizioni, eppure io sospetto da

tempo che il miscuglio di Seldon ~Iero e Oratore Rosso

segua una legge inderogabile dipendente quasi esclusiva-

mente dal tempo.
Gendibal guardò gli anni passare e le linee nere e rosse

disegnare uno schema intrecciato quasi ipnotico. Lo

schema in se stesso non significava nulla, naturalmente.

Quello che contava erano i simboli da cui era compostD.


Qui e là apparvero alcuni ruscelletti azzurri: si gonfla-

rono, si ramificarono, acquistarono sempre più rilievo,

poi si disgregarono, confondendosi con le linee nere e ros-

se.
--Deviazione Azzurra--disse il Primo oratore, con un

senso di disgusto che Stor Gendibal condivise con lui.--

Ce ne saranno sempre di più, adesso, finché arriveremo al

Secolo delle Deviazioni.
Ci arrivarono.
Si poté dedurre con esattezza quando fosse cominciato

il fenomeno disgregante del Mulo, perché il Radiante Pri-

mario d'un tratto si riempì di ruscelletti azzurri che si ra-

mificavano a vista d'occhio. Alla flne sembrò che la stan-

za stessa fosse diventata azzurra: le linee si erano ispessi-

te e segnavano la parete col loro disegno luminoso che de-

nunciava un tragico inquinamento (inquinamento era in-

dubbiamente la parola giusta).

Il fenomeno raggiunse il suo apice, poi cominciò a de-

clinare, diminuì di intensità, persistette per un lungo se-

colo, e infine, ridotto agli sgoccioli, terminò. Quando fu

scomparso, e quando il Piano fu tornato alle consuete li-

nee nere e rosse, apparve chiaro che nella situazione era

stato determinante l'intervento di Preem Palver.


Avanti, avanti, avanti...
--Ecco il presente--disse tranquillo il Primo Oratore.
Avanti, avanti, avanti...
Lo schema si ridusse a un vero e proprio groviglio di li-

nee nere strettamente intrecciate, con tracce di rosso in

mezzo
--La nascita del Secondo Impero--disse il Primo Ora-

tore, e spense il Radiante Primario. La stanza fu inondata

di nuovo dalla luce normale.
--E stata un'esperienza emozionante--disse Gendi-

bal.
--Sì--disse il Primo Oratore--e si tende, fin che si

pub, a cercare di non riconoscere il~ tipo di emozione che

viene suscitato in noi. Ma lasciamo stare questo; permet-

tetemi invece di riassumere i punti salienti. Innanzitutto

avrete notato la totale assenza di Deviazioni Azzurre do-

po I'epoca di Preem Palver, vale a dire negli ultimi cento-

venti anni. Avrete visto anche che non ci sono probabilità

ragionevoli di Deviazioni superiori alla quinta classe nei

prossimi cinque secoli. Inoltre, non vi sarà sfuggito che

abbiamo cominciato a calcolare gli sviluppi della psico-

storia successivi alla fondazione del Secondo Impero. Co-

me certo saprete, Hari Seldon, benché fosse un genio ec-

celso, non era ovviamente onnisciente. Noi abbiamo per-

fezionato le sue teorie. Sappiamo sulla psicostoria più co-

se di quante non ne sapesse lui.


«Seldon fece arrivare i suoi calcoli fino al Secondo Im-

pero. Noi siamo andati più in là. In effetti, mi sia conces-

so dirlo senza~con questò offendere nessuno, il nuovo

Iper-Piano che va oltre l'epoca della fondazione del Se-

condo Impero è in gran parie opera mia, ed è a esso che

devo la mia attuale carica.


«Vi dico tutto questo perché mi risparmiate chiacchie-

re inutili. Davanti a una situazione del genere, come po-

tete concludere che il Piano Seldon è senza senso? E inve-

ce senza pecche. Il solo fatto che sia sopravvissuto al Se-

colo delle Deviazioni, sia detto con tutto il necessario ri-

spetto per il genio di Palver, dimostra che non ha pecche.


~ Quali sono i suoi punti debo}i? Come potete mai afferma-

;~ re che non è valido?"


~: Ritto in piedi davanti a Shandess, Gendibal disse:--

,~ Avete ragione voi, Primo Oratore. Il Piano Seldon non ha

1;,, pecche.
--Allora ritirate quanto avete detto?
--No, Primo Oratore. La pecca del Piano Seldon è pro-

prio la sua mancanza di pecche. E la sua perfezione a es-

sere fatale.
1l9
Il Primo Oratore osservò calmo Gendibal. Aveva impara-

to a controllare la propria espressione e lo divertiva il fat-

to che Gendibal, al contrario, non ci riuscisse. Il giovane,

mentre parlava con il suo interlocutore, faceva di tutto

per nascondere i suoi sentimenti, ma ogni volta, imman-

cabilmente, li rivelava.


Shandess lo studiò spassionatamente. Era un ragazzo

magro, di statura leggermente superiore alla media; ave-

va labbra sottili e mani ossute che non stavano mai fer-

me. Gli occhi neri erano seri, e lo sguardo tendeva a esse-

re torvo.
Sarebbe stato difficile, pensò, indurre un tipo del gene-

re ad abbandonare le proprie convinzioni.


--Vi esprimete per paradossi, Oratore--disse.
--Sembra un paradosso perché riteniamo il Piano Sel-

don così importante, che diamo per scontate certe cose e

le accettiamo in modo acritico.
--Cos'è che mettete in dubbio, allora?
--La basè stessa del Piano. Sappiamo tutti che esso

non può funzionare se la sua natura, o anche la sua esi-

stenza, sono note a troppe delle persone il cui comporta-

mento è destinato a prevedere.


--Questo non sfuggì ad Hari Seldon, mi pare. Diventò

anzi uno dei due assiomi fondamentali della psicostoria.


--Seldon non previde l'intervento del Mulo, Primo

Oratore, e quindi non previde nemmeno quanto i membri

della Prima Fondazione sarebbero stati ossessionati dall'

idea della Seconda Fondazione, della cui funzione erano

venuti a conoscenza tramite il Mulo.
--Hari Seldon...--disse Shandess, e d'un tratto rab-

brividì e s'interruppe.


Tutti i membri della Seconda Fondazione sapevano

quale fosse stato l'aspetto fisico di Hari Seldon. Dapper-

tutto si potevano vedere riproduzioni a due o a tre dimen-

sioni, fotografiche e olografiche, in bassorilievo e a tutto

tondo, dello scienziato. Le immagini, che lo rappresenta-

vano in tutte le pose, sia in piedi sia seduto, risalivano

agli ultimi anni della sua vita. Seldon appariva in esse un

vecchio benevolo con un viso grinzoso e saggio che era co-

me il simbolo della genialità pienamente maturata.
Ma il Primo Oratore si era appena ricordato di avere vi-

sto una volta una foto che si riteneva essere di Seldon gio-

vane. Era una foto che circolava poco, poiché un Seldon

giovane sembrava quasi una contraddizione in termini.

Eppure Shandess l'aveva vista, e d'un tratto gli era parso

che Stor Gendibal somigliasse straordinariamente all'uo-

mo ritratto.
Era ridicolo, naturalmente. Era una di quelle idee irra-

zionali che ogni tanto affliggevano anche le persone più

ragionevoli. Per un attimo, assurdamente, aveva pensato

che Seldon da giovane avesse più di un tratto in comune

con Gendibal, ma se avesse avuto davanti la foto in quel

momento avrebbe constatato subito che la somiglianza

era solo un'illusione. Come mai, però, quell'idea sciocca

gli era venuta in mente proprio adesso?


Shandess si riprese dal suo momentaneo disorienta-

mento. Era stata una pausa brevissima, un'incertezza co-

sì fuggevole, da poter essere notata solamente da un Ora-

tore. Gendibal l'avrebbe interpretata secondo la sua par-

ticolare sensibilità.
--Hari Seldon--ripeté Shandess, questa volta con

molta decisione--sapeva bene come ci fosse un numero


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