questo modo. Trantor è stato il pianeta-capitale della ga-
lassia per dodicimila anni, e il più popoloso per ventimi-
la, eppure non ha mai imposto agli altri il suo periodo di
rotazione di 1,8 giorni galattici standard. Il periodo di
rotazione di Terminus è di 1,91 GGS, ma noi non lo impo-
niamo ai pianeti che rientrano sotto il nostro dominio.
Tutti i mondi fanno i loro calcoli usando il sistema del
GPL, il giorno planetario locale, e per le questioni di
importanza interplanetaria si procede col computer a
convertire GPL in GGS e viceversa. Il giorno galattico
standard deve venire per forza dalla Terra!
--Perché per forza?
--Innanzitutto perché la Terra un tem~o era l'unico
mondo abitato, per cui è logico pensare cie il suo gior-
no e il suo anno divenissero il metro di misurazione
standard e lo restassero per inerzia sociale anche all'
epoca della colonizzazione di altri pianeti. In secondo
luogo perché il modello da me elaborato è quello di
una Terra che ruota intorno al proprio asse esattamen-
te in ventiquattro ore galattiche standard, e che gira
intorno al suo sole esattamente in un anno galattico
standard.
--Non potrebbe trattarsi di una coincidenza?
Pelorat rise.--Adesso siete voi a parlare di coinci-
denza! Sareste pronto a scommettere che ci troviamo
di fronte a una semplice coincidenza?
--D'accordo, d'accordo--mormorò Trevize.
--E c'è di più ~ proseguì Pelorat.--Esiste un'anti-
ca misura del tempo chiamata mese...
--Ne ho sentito parlare.
--A quanto sembra, corrisponde al periodo di rivo-
luzione del satellite della Terra intorno al pianeta ma-
dre. Però...
Sì?
--Ecco, il fatto sorprendente è che, secondo il mio
modello, questo satellite sarebbe enorme. Avrebbe un
diametro superiore a un quarto di quello terrestre.
--Molto curioso! Non c'è nessun pianeta abitato
della Galassia che abbia un satellite del genere.
--Ma è positivo, Golan--disse Pelorat, con vivaci-
tà.--Se la Terra, unica fra tanti mondi, ha dato origi-
ne a varie specie diverse e a un'intelligenza evoluta co-
me quella umana, è logico che abbia caratteristiche fl-
siche che la rendono particolare.
--Ma che cosa c'entra un grosso satellite con le spe-
cie diverse, I'intelligenza e tutto il resto?
--Ecco, questo è un punto debole: non lo so. Però
vale la pena di condurre un'indagine, no?
Trevize si alzò in piedi e incrocib le braccia sul pet-
to.
~ --Ma qual è il problema, allora? Basta analizzare i
,~ dati statistici sui pianeti abitati e trovare il mondo che
ha un periodo di rotazione di un GGS e un periodo di ri-
voluzione di un AGS. Se poi questo mondo ha anche
fíi un satellite gigantesco, è chiaramente quello che cer-
chiamo. Immagino che la vostra idea eccetlente riguar-
.~ di proprio questo, vero? Avete esaminato i dati e avete
scoperto il pianeta?
Pelorat apparve imbarazzato.--Non è esattamente
così. E vero che ho analizzato i dati, o meglio li ho fatti
analizzare al dipartimento astronomico, e... Ecco, in
7 parole povere, quel mondo non esiste.
Trevize si lasciò cadere di nuovo sulla sedia.--Ma
questo significa che la vostra ipotesi va in fumo!
--Non del tutto, mi pare.
--Come sarebbe non del tutto? Elaborate un model-
~ lo completo nei minimi particolari e non riuscite a tro-
f vare nessun mondo che gli øorrisponda. E evidente che
1~ il modello è inutile. Vi tocca ricominciare da capo.
--No. I risultati negativi significano semplicemente
che i dati statistici sui pianeti popolati sono incomple-
ti. Dopotutto, i pianeti abitati sono decine di milioni, e
di molti si sa ben poco. Non abbiamo, per esempio, da-
ti attendibili sulla popolazione di quasi metà di essi. E
P di seicentoquarantamila mondi sappiamo soltanto il
nome e, qualche volta, la posizione. Alcuni galattogra-
, fi hanno calcolato che potrebbero esserci fino a dieci-
~, mila pianeti abitati non catalogati da nessuna parte.
Forse sono i pianeti stessi ad aver incoraggiato tale
stato di cose. Durante l'Era Imperiale questo potrebbe
averli aiutati a evadere le tasse.
--E a evaderle anche nei secoli successivi--disse
Trevize, caustico.--Mondi del genere sarebbero stati
l'ideale come basi per i pirati, il che avrebbe permesso
loro di arricchirsi più che con il commercio legale.
--Non saprei--disse Peiorat, dubbioso.
--In ogni modo--disse Trevize--secondo me la
Terra avrebbe dovuto trovarsi comunque nella lista
dei pianeti abitati conosciuti. Essendo per definizione
il più antico di essi, non è pensabile che sia stata di-
menticata. Nei primi secoli della civiltà galattica il
suo nome dev'essere stato incluso per forza nella lista,
e dopo di allora ci sarà rimasto, immagino. Penso che
in casi del genere l'inerzia sociale sia di prammatica.
Pelorat appariva angustiato, esitante.--In effetti
c'è una Terra nella lista dei mondi abitati--disse poi.
Trevize lo fissò.--Sbaglio o poco fa mi avete detto
che non era nell'elenco?
--Col nome di Terra non c'è, infatti. C'è però con il
nome di Gaia.
--Ga... cosa?
--Gaia. Significa Terra.
--Come fate ad affermarlo? E un nome che a me
non dice niente.
Pelorat, che di solito era inespressivo, contrasse il vi-
so in una sorta di smorfia. ~ Ho paura che non mi cre-
derete, ma... be', secondo la mia analisi dei miti, sulla
Terra ci sarebbero state varie lingue prive tra loro di
qualsiasl elemento comune.
--Che cosa?
--Sì. In fin dei conti, anche noi nella Galassia ab-
biamo moltissimi gerghi diversi...
--Certo, esistono varie sfumature dialettali, ma nes-
suna lingua risulta inintelligibile all'altra. E anche se
capirne alcune è abbastanza difficile, c'è sempre il ga-
lattico standard.
--Sì, ma con i viaggi interstellari esiste uno scam-
bio continuo. Provate a immaginare un mondo isolato
per un lungo periodo...
--Ma state parlando della Terra, di un pianeta cóme
gli altri. Perché mai avrebbe dovuto soffrire l'isola-
mento?
--Non dimenticate che è il pianeta d'origine, dove
un tempo l'umanità dev'essere vissuta in condizioni
estremamente primitive, senza viaggi interstellari,
senza computer, senza tecnologie di sorta, tutta presa
dalla lotta per evolversi da antenati non umani.
--Ma è ridicolo!
Pelorat, abbassò la testa, imbarazzato.--Forse non
ha senso discutere di questo, amico mio. Non sono mai
riuscito a convincere nessuno, e certo la colpa è mia.
Trevize di colpo assunse un'aria contrita.--Scusa-
temi, Janov, ho parlato senza pensare. Dopotutto, si
tratta di teorie estremamente nuove per me; voi le sta-
te studiando da trent'anni, io invece le apprendo solo
adesso, e tutte in una volta. Dovete concedermi qual-
` che attenuante. Allora tenterò di immaginarmi esseri
umani molto primitivi che sulla Terra parlano due lin-
gue completamente diverse e incomprensibili l'una
all'altra.
Più che due una mezza dozzina--disse Pelorat,
timidamente.--La Terra era divisa probabilmente in
l varie estensioni di terraferma di notevole grandezza
ed è facile che all'inizio non ci fossero contatti-tra di
esse. Gli abitanti di ciascuna terra avranno così elabo-
rato la loro particolare lingua indipendentemente da-
gh altri.
Trevize di~se, con una certa solennità ma anche con
E una certa cautela:--E questi abitanti si saranno chie-
sti, una volta resisi conto dell'esistenza dei loro vicini,
in quale luogo della Terra i primi esseri umani si fosse-
ro evoluti dagli animali. Avranno insomma discusso
una loro questione delle origini.
~ --Più che probabile, Golan. E molto umano un at-
· teggiamento del genere.
--E in una delle lingue del pianeta Gaia significa
Terra. Terra, a sua volta, appartiene al vocabolario di
un'altra di quelle lingue.
--Infatti.
--E mentre il galattico standard deriva dalla lingua
in cui Terra si dice Terra, sul nostro pianeta d'origine
ha prevalso per qualche motivo la lingua in cui Terra
si dice Gaia.
--Proprio così. Siete davvero sve~lio, Golan.
--Però, a questo punto, non vedo il problema. Se
Gaia è davvero la Terra, dovrebbe avere un periodo di
rotazione di un GGS, un periodo di rivoluzione di un
AGS, e un satellite gigantesco che le gira intorno in un
mese Non vi pare?
--Allòra, questo vostro pianeta è effettivamente co-
me dovrebbe essere, o no?
--Non lo so. Nelle tavole non ci sono questi dati.
--No? Be', Janov, non ci resta che andare su Gaia,
misurare i suoi periodi di rotazione e rivoluzione, e os-
servare il suo satellite...
--Mi piacerebbe, Golan--disse Pelorat, titubante.
--Il guaio è che non so esattamente dove si trovi il pia-
neta. Nemmeno su questo esistono dati precisi.
--Volete dire che tutto quello che sapete è il nome?
--Ma è proprio per questo che volevo visitare la Bi-
blioteca Galattica!
--Ehi, un attimo! Dite che le tavole non vi danno la
posizione esatta. Ne danno almeno una approssimati-
va?
--Be', Gaia risulta nel Settore Sayshell, ma accanto
c'è un punto interrogativo.
--Su, Janov, non voglio vedervi così abbacchiato.
Andremo nel Settore Sayshell, e in qualche modo tro-
veremo quel pianeta!
SETTIMA PARTE
Il contadino
23
Stor Gendibal marciava spedito lungo la strada di cam-
pagna fuori del complesso universitario. Di solito i mem-
bri della Seconda Fondazione non si avventuravano nel
mondo degli agricoltori di Trantor. Certo potevano farlo,
ma non si arrischiavano mai ad andare molto lontano o a
stare fuori troppo tempo.
Gendibal costituiva l'eccezione alla regola, e in passato
si era chiesto varie volte il perché. Domandandoselo ave-
va esplorato la propria mente, una cosa che gli Oratori
erano incoraggiati a fare. Le loro menti erano a un tempo
armi e bersagli, ed essi dovevano mantenere perfetta-
mente in funzione sia i sistemi di offesa, sia quelli di dife-
sa.
Gendibal aveva concluso, non senza soddisfazione, che
una delle ragioni che lo rendevano diverso era il fatto di
provenire da un pianeta che aveva una massa maggiore
della media dei pianeti abitati, e un clima più freddo.
Quando era stato condotto su Trantor, da ragazzino (gli
agenti della Seconda Fondazione alla ricerca di persone
particolarmente dotate erano sparsi per tutta la Galas-
sia), si era trovato quindi in un mondo dal clima delizio-
samente mite, e con una gravità inferiore. Per questo gli
piaceva stare all'aperto ben più di quanto piacesse agli
altri.
Durante i primi anni passati su Trantor aveva acqui-
stato coscienza della sua struttura flsica, che era gracile e
tutt'~ Itro che imponente, e . vev~ pens. to che se si fosse
F~ lasciato andare avrebbe rischiato di diventare un uomo
F assai debole. Perciò si era messo a fare ginnastica intensi-
vamente e, pur conservando l'aria gracile, aveva acquisi-
to una grande resistenza. Inoltre, aveva molto fiato. Del
1~ suo allenamento facevano parte le lunghe passeggiate e lo
jogging, abitudini che qualche Oratore criticava. Ma
P Gendibal se ne infischiava delle chiacchiere.
Lui continuava imperterrito per la sua strada, nono-
stante fosse trantoriano solo da una generazione, mentre
tutti gli altri della Tavola lo erano da due o tre e avevano
genitori e nonni che erano stati membri della Seconda
Fondazione. Gendibal era anche il più giovane di tutti.
t~ Era logico quindi che i suoi colleghi mormorassero alle
sue spalle.
Per lunga tradizione le menti degli Oratori della Tavola
F erano aperte (in teoria completamente, ma quasi sempre
si conservava da qualche parte un angolo di privacy, an-
che se a lungo andare esso veniva~a sua volta sondato) e
Gendibal sapeva che gli altri provavano invidia nei suoi
confronti. Loro erano consci della propria invidia, cosl
F come Gendibal era conscio del proprio atteggiamento di
difesa, che si esprimeva in un'ambizione compensativa.
E, naturalmente, gli Oratori sapevano ciò che lui sapeva.
Gendibal tornò a riflettere sul perché avesse sempre
sentito il desiderio di quelle lunghe passeggiate e pensò
che doveva avervi influito il fatto di avere trascorso l'in-
fanzia su un grande pianeta dove i paesaggi erano super-
~' ' bi e vari. Era cresciuto in una valle fertile, circondata da
quella che era forse la più bella catena di montagne della
Galassia. Nel rigido inverno del pianeta, esse apparivano
straordinariamente belle. Gendibal ripensb al suo mondo
d'origine e alle gioie della propria infanzia. Fantasticava
spesso sul suo passato. Com'era possibile adattarsi a vive-
re in un antico complesso architettonico ampio poche
dozzine di miglia quadrate?
Si guardò intorno, mentre correva. Non apprezzava
quello che vedeva; Trantor era un mondo gradevole, dal
clima mite, ma non possedeva l'aspra bellezza del suo
pianeta d'origine. Benché gran parte del suo territorio
fosse destinata all'agricoltura, non era un mondo fertile.
Non lo era mai stato. Forse anche questo aveva contribui-
to a farne il centro amministrativo di una grande federa-
zione di pianeti e, in seguito, dell'Impero Galattico. Qua-
le altra funzione avrebbe potuto assolvere bene? In fondo,
129
non era adatto a nient'altro...
Dopo il Grande Saccheggio, Trantor era sopravvissuto
grazie alle sue enormi riserve di metallo. Era come un'
immensa miniera e riforniva una cinquantina di mondi
di acciaio legato, alluminio, titanio, rame e magnesio a
buon mercato, restituendo così quanto aveva accumulato
in migliaia di anni. Consumò le sue risorse a un ritmo ben
più veloce di quello col quale le aveva accumulate.
Alla fine il metallo non si esaurì, ma diventò più difflci-
le da estrarre. Gli agricoltori hamiani (che consideravano
di malaugurio il termine trantoriano, che ormai designa-
va soltanto i membri della Seconda Fondazione) erano
restii a maneggiare il metallo, indubbiamente per motivi
superstiziosi .
Un atteggiamento stupido. Il metallo rimasto nel sotto-
suolo poteva avvelenare il terreno e renderlo ancora me-
no fertile. D'altro canto, però la popolazione non era fit-
ta, e la terra riusciva a sostenérla. Inoltre un po' di metal-
lo si vendeva sempre. .
Gendibal osservò l'orizzonte piatto. Trantor era un pia-
neta vivo, geologicamente parlando, come del resto quasi
tutti i pianeti abitati, ma erano passati almeno cento mi-
lioni di anni dall'epoca in cui si erano formate le ultime
catene di montagne. Le regioni montuose, con l'erosione,
erano diventate collinose o piatte, e questo era avvenuto
per lo più durante il periodo in cui la superficie era stata
tutta ricoperta dal metallo.
A sud, troppo lontana per essere visibile, c'era la spiag-
gia di Capital Bay, e oltre essa si stendeva l'Oceano
Orientale: entrambi erano stati riportati nelle condizioni
originarie dopo il crollo dei serbatoi sotterranei.
A nord sorgevano le torri dell'Università Galattica, che
nascondevano in parte la Biblioteca, più bassa ma ampia,
e per tre quarti sotterranea. Ancora più a nord, c'erano i
resti del Palazzo Imperiale.
A destra e a sinistra di Gendibal si stendevano poderi,
con qualche casa colonica qui e là. L'Oratore passò ac-
canto a capre, polli e altri animali domestici che non lo
degnarono della minima attenzione.
Pensò distrattamente che quegli animali, che si poteva-
no trovare in un gran numero di mondi abitati non erano
mai esattamente uguali su un pianeta o sull'áltro. C'era
sempre qualche differenza. Le capre del suo pianeta d'
origine, per esempio, tra cui era compresa anche la ca-
pretta domestica che lui aveva munto, erano assai più
grandi e combattive degli esemplari piccoli e mansueti
che erano stati portati su Trantor e che vivevano lì dall'
epoca del Grande Saccheggio. Le varietà di animali erano
innumerevoli, nei mondi della Galassia, e la gente aveva
sempre la sua bestia preferita che le dava assoluto affida-
mento o per la bontà della carne, o per le uova, o per il
latte e la lana.
Come al solito, non si vedevano hamiani in giro. Gendi-
bal aveva l'impressione che gli agricoltori evitassero ap-
posta di farsi vedere da quelli che chiamavano tediosi
(una deformazione, forse voluta, del termine studiosi nel
loro dialetto). Ancora una volta, era la superstizione ad
avere la meglio.
Il giovane alzò un attimo gli occhi a guardare il sole di
Trantor. Era alto nel cielo, ma il suo calore non era soffo-
cante. In quella località, a quella latitudine, il caldo non
diventava mai afa e il freddo non era mai rigido. (Gendi-
bal a volte sentiva quasi la mancanza dei rigori invernali,
o almeno così gli sembrava. Non era mai tornato sul suo
mondo d'origine, forse, come pensava, perché aveva pau-
ra di una disillusione.)
Sentiva i muscoli piacevolmente tesi dall'esercizio fisi-
co; a un certo punto decise di avere corso abbastanza e
comiiiciò a camminare a ritmo normalej.respirando pro-
fondamente.
Di lì a non molto ci sarebbe stata la riunione della Ta-
vola, ed era ansioso di parteciparvi; era ansioso di impor-
re una svolta alla linea d'azione del momento, che non te-
neva abbastanza conto del pericolo rappresentato dalla
Prima Fondazione e contava troppo sul funzionamento
perfetto del Piano.
Quando si sarebbero accorti che era la perfezione il se-
gno più evidente del pericolo?
Se a fare quella proposta fosse stato un altro, la faccen-
da sarebbe andata in porto senza problemi. Essendoci di
mezzo lui, invece, sarebbero indubbiamente sorte diverse
difficoltà. Tuttavia il vecchio Shandess lo sosteneva e
avrebbe continuato a farlo, per cui alla fine anche gli altri
avrebbero accettato le sue idee. Gendibal non voleva pro-
prio essere ricordato dai libri di storia come il Primo Ora-
tore sotto il quale la Seconda Fondazione aveva perso de-
finitivàmente ogni vigore.
Un hamiano!
Gendibal rimase sconcertato. Captò la presenza dell'al-
tra mente molto prima di vedere la persona cui apparte-
neva. Sì, si trattava della mente rozza e primitiva di un
agricoltore hamiano. Gendibal ritrasse subito i suoi ten-
tacoli mentali, lasciandone una traccia così lieve da non
essere identiflcabile. La Seconda Fondazione aveva stabi-
lito norme severe al riguardo; gli agricoltori, che, ignari,
le facevano da schermo, andavano lasciati in pace il più
possibile.
Chi veniva su Trantor per commercio o per turismo ve-
deva sempre e soltanto contadini, e al massimo, qualche
volta, due o tre eruditi che vivevano immersi nello studio
e passavano praticamente inosservati. Se si fossero allon-
tanati gli agricoltori, o se si fosse tentato anche minima-
mente di toglierli dalla loro ignoranza, gli eruditi sareb-
bero stati notati con conseguenze disastrose. (Era, quella,
una delle classiche dimostrazioni cui i giovani appena en-
trati all'Università dovevano arrivare da soli. Le tremen-
de Deviazioni che apparivano sul Radiante Primario ap-
pena si interveniva anche di pochissimo sulla mente degli
agricoltori erano davvero sconcertanti.)
Gendibal vide finalmente il contadino, che era un ha-
miano puro.
Era qu~si la caricatura dell'agricoltore trantoriano: al-
to, grosso, di pelle scura, con occhi e capelli neri, le brac-
cia nude, gli abiti rozzi. Camminava a lunghi passi, con
andatura goffa. A Gendibal sembrava quasi di sentirgli
addosso l'odore dell'aia e dei campi. Ma sapeva che non
era il caso di disprezzarlo. Preem Palver non aveva disde-
gnato di recitare la parte dell'agricoltore, quando questo
si era rivelato necessario per i suoi piani. Certo, era stato
un contadino sui generis: basso, grassoccio e moscio. Ma
la sua mente, non il suo corpo, aveva ingannato l'adole-
scente Arkady.
L'uomo si stava avvicinando con pdSSO pesante, e iissa-
va apertamente Gendibal, il quale, perplesso, aggrottò la
fronte. Nessun hamiano e nessuna hamiana l'avevano
mai guardato a quel modo: perfino i bambini fuggivano
quando lo vedevano, per fermarsi a sbirciarlo da lontano.
Gendibal non rallentò il passo. C'era abbastanza spaZlQ
perché tutt'e due passassero se`nza guardarsi né parlarsi.
E sarebbe stata la cosa migliore. Lui eFa ben deciso a non
interferire nella mente dell'agricoltore.
Stava per spostarsi da un lato, ma il contadino non
aveva intenzione di permetterglielo. Si fermò, divaricò le
gambe, tese le braccia massicce come per bloccare il pas-.
saggio e disse:--Ohe! Tu stai tedioso?
Gendibal non poté fare a meno di percepire nella men-
~llr, te dell'altro un flusso di combattività. Si fermò. Non po-
E teva tentare di passare senza rispondere al suo interlocu-
~ tore, ma sapeva che rispondergli gli sarebbe costato fati-
,~ ca. Per uno abituato al gioco fine e veloce di suoni, espres-
1~ sioni, pensieri, sfumature mentali che costituivano l'es-
~i' senza della comunicazione tra Oratori era terribile ricor-
rere alle sole parole. Era come sollevare un masso con la
forza delle braccia avendo accanto un piede di porco.
1l ' Calmo, senza far trapelare la benché minima emozio-
ne, disse:--Sono uno studioso, sì.
--Oh! Tu sono un tedioso. Che strano modo di parlare!
E vedo che stai solo, o sono solo, eh?--Piegò la testa in
un inchino di scherno.--E stai pure piccolo e pallido e
~ ' grinzoso e con la puzza sotto il naso.
E --Che cos'è che vuoi da me, hamiano?--disse Gendi-
bal, senza scomporsi.
--Mi sta un titolo, a me: Rufirant. E Karoll anche, che
viene prima.--Il suo accento era sempre più hamiano.
E --Che cosa vuoi da me, Karoll Rufirant?--disse Gen-
dibal.
--E a te che titolo ti sta, tedioso?
--Ha importanza? Puoi continuare a chiamarmi stu-
dioso.
--Se chiedo, importa che rispondi, piccolo tedioso con
la puzza sotto il naso.
--E va bene. Mi chiamo Stor Gendibal, e adesso inten-
do andarmene per i fatti miei.
--Che fatti?
Gendibal si sentì accapponare la pelle sulla nuca. C'
erano altre menti, lì intorno. Non aveva bisogno di vol-
tarsi per sapere che alle sue spalle si trovavano altri tre
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