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Sulla mancata conferma alle dichiarazioni “de relato” dei collaboratori di giustizia da parte della fonte che ha alimentato le conoscenze dei collaboratori di giustizia



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Sulla mancata conferma alle dichiarazioni “de relato” dei collaboratori di giustizia da parte della fonte che ha alimentato le conoscenze dei collaboratori di giustizia

Per dimostrare l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Francesco Marino MANNOIA, Tommaso BUSCETTA, Claudio SICILIA, le difese si sono basate sul fatto che i loro informatori, rispettivamente Ignazio e Giovanbattista PULLARA’, Gaetano BADALAMENTI e Corrado IACOLARE non hanno confermato il loro racconto.

In proposito, va osservato che, in tema di valutazione della prova, “le dichiarazioni de relato rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’art. 12 cod. proc. pen. e non confermate dal soggetto indicato come fonte d’informazione, possono costituire elemento indiziario idoneo a fondare la dichiarazione di colpevolezza soltanto se confortate, ai sensi dell’art. 192, comma III, cod. proc. pen., da riscontri estrinseci certi, univoci, specifici, individualizzanti, tali da consentire un collegamento diretto ed obiettivo con i fatti contestati e con la persona imputata” (vedi sentenza C. Cassazione, VI Sez., nr. 1639 del 12.11.2002 ud., motivazione dep. il 15.1.2003, pres. SANSONEL., estens. IPPOLITO, imp. DOLCETTI G. ed altri, PM FEBBRARO G.).

Non si richiede la conferma della fonte di conoscenza, che non può esserci, perché la regola sovrana in seno alle associazioni di tipo mafioso è l’omertà e il silenzio. Sicché la smentita è scontata da parte dell’uomo d’onore e del camorrista.

Ne deriva, pertanto, che il rilievo difensivo è destituito di fondamento. Va, poi, richiamato quanto esposto in requisitoria e nel corpo dell’atto d’appello.

  1. Sull’inattendibilità di Antonino GIUFFRE’

Si è sostenuto che è un “mascalzone” che ha aperto il primo interrogatorio del 4.12.2002, dicendo di non sapere nulla dell’omicidio e di aver riferito del ruolo di CALO’. Si assume che “nessuna parola su CARBONI” abbia detto e che abbia inserito un suo ruolo il 6.3.2003, esplicitandolo in dibattimento. Se ne ricava l’inattendibilità dall’avere il collaborante identificato, nell’ambito del procedimento relativo all’omicidio SCEUSA, una persona, il sig. PEDONE, sebbene la foto ritraesse altro soggetto e, per errore, tale foto fosse stata attribuita proprio a PEDONE.

Le suddette argomentazioni non appaiono idonee a compromettere l’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di GIUFFRÉ. Si impone, al riguardo, di evidenziare quanto segue.

Premessa

Il 16 Aprile 2002 veniva tratto in arresto Antonino GIUFFRE’, latitante sin dal 1994, già componente della c.d. Commissione di Cosa Nostra, capo del mandamento di Caccamo, da sempre vicinissimo a Bernardo PROVENZANO, indiscusso capo di tale sodalizio mafioso, dopo l’arresto di Salvatore RIINA, avvenuto il 15 Gennaio 1993.

Sorpreso nelle prime ore della mattina in una masseria in località Massariazza del Comune di Vicari, GIUFFRE’ veniva trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa e di materiale cartaceo, tra cui una copiosa corrispondenza con altri capimafia, anche latitanti, risalente, tra l’altro, agli ultimissimi giorni antecedenti all’arresto (una delle missive recava la data del 15 Aprile 2002).

Antonino GIUFFRE’ era attivamente ricercato perché già condannato in via definitiva alla pena unificata di anni tredici, mesi due e giorni undici di reclusione a seguito di cumulo di diverse sentenze con le quali era stato condannato per il reato di partecipazione, con funzioni direttive, all’associazione mafiosa Cosa Nostra in relazione a condotte commesse fino a tutto il 15 Luglio 1998. Inoltre, GIUFFRE’era al momento destinatario di numerosi provvedimenti restrittivi della libertà, tredici ordinanze di custodia cautelare in carcere, in relazione a gravissimi fatti, anche omicidiari, fatti per alcuni dei quali GIUFFRE’ risultava già condannato, anche se non ancora in via definitiva.

Già indicato come uomo d’onore dai primi storici collaboratori di giustizia, GIUFFRE’ ha progressivamente accresciuto il proprio ruolo e il proprio peso nell’ambito dell’organizzazione mafiosa: da mero gregario di Francesco INTILE, capo del mandamento di Caccamo, GIUFFRE’ si è progressivamente affermato fino a prenderne il posto quale capo del mandamento e di divenire uno degli elementi del gruppo che, sotto la guida di PROVENZANO, ha guidato Cosa Nostra..

Gli elementi di prova raccolti nei confronti di GIUFFRE’ in numerosi contesti investigativi avevano già evidenziato di quale rete di fiancheggiatori il medesimo avesse potuto fruire fino al momento dell’arresto e quale ruolo avesse esercitato nella gestione dei lavori pubblici e in quella dei relativi subappalti, attraverso una rete di imprenditori legati tra loro e a lui vicini in forza di vincoli di natura affaristico - mafiosa. Né era apparso certamente di minore rilievo il ruolo dal medesimo esercitato nella sistematica imposizione del “pizzo” e delle forniture di materiali a tutti gli imprenditori impegnati nell’esecuzione di lavori pubblici nel territorio da lui stesso controllato.

Più recenti acquisizioni investigative – costituite in particolare dagli esiti di complesse e prolungate attività di intercettazione effettuate sul territorio palermitano – avevano peraltro già consentito di delineare il ruolo in ultimo esercitato da GIUFFRE’ non soltanto nella gestione e nella distribuzione dei proventi delle attività illecite (e, in particolare, il “pizzo” imposto alle imprese) condotte non soltanto nel mandamento di Caccamo, ma anche e, soprattutto, quale attuale punto di riferimento decisionale per tutti i componenti delle famiglie mafiose operanti nella zona, anche attraverso assidui e personali contatti assolutamente significativi con gli altri elementi di vertice dell’organizzazione, primo tra tutti proprio PROVENZANO, come chiaramente dimostrato dal contenuto di alcune delle missive rinvenute in possesso dello stesso GIUFFRE’ il 16 Aprile 2002.

In data 19 Giugno 2002, Antonino GIUFFRE’ ha manifestato l’intenzione di collaborare con la giustizia, intenzione concretizzatasi fin dal primo interrogatorio reso dinanzi a magistrati appartenenti alla procura della Repubblica di Palermo e svoltosi nella stessa giornata del 19 Giugno 2002.

In quello e nei successivi interrogatori, GIUFFRE’ ha sin da subito reso piena confessione di numerosi e gravissimi fatti, per molti dei quali non era neppure sottoposto a indagine e ha fornito preziosissime indicazioni che, disvelando gli equilibri di vertice di Cosa Nostra e le dinamiche che attraversavano tale sodalizio, hanno permesso, per un verso, di aprire inediti fronti investigativi su fatti e soggetti non ancora sufficientemente “esplorati” da parte delle forze di polizia e, per altro verso, di porre in correlazione logica tra di loro circostanze e soggetti che, sia pure evidenziati dalle attività di indagini, all’apparenza non si presentavano con quelle specifiche valenze criminali dalle quali sembrano, invece, essere connotati.

Il quadro probatorio in tal modo delineato si è, poi, ulteriormente arricchito grazie all’acquisizione della documentazione sequestrata in ben due distinte occasioni: la prima, il 16 Aprile 2002, al momento dell’arresto del GIUFFRE’, al quale veniva rinvenuto un certo numero di lettere e bigliettini, la seconda, il 4 Dicembre 2002, quando, questa volta a seguito delle specifiche indicazioni fornite dallo stesso GIUFFRE’, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, veniva rinvenuta ulteriore documentazione, un vero e proprio archivio della corrispondenza che l’allora capomandamento di Caccamo intratteneva, tra gli altri, da un lato, con PROVENZANO e, dall’altro, con i capifamiglia del suo mandamento, da Salvatore RINELLA a Rosolino RIZZO.

La lunga e consolidata appartenenza, e con un ruolo di assoluto rilievo, di GIUFFRE’ allo stesso contesto mafioso del quale sono partecipi anche gli altri soggetti chiamati in causa, è tale da giustificare in termini di chiara evidenza l’elevato livello delle conoscenze acquisite.

Sotto lo stesso profilo, deve, poi, aggiungersi che il contributo collaborativo offerto da GIUFFRE’ è già stato valutato positivamente da diversi organi giurisdizionali, sia in sede di riesame avanti il Tribunale che in sede dibattimentale, sia da Corti di Assise, in primo e secondo grado, sia da sentenze divenute definitive.



Al riguardo, giova sottolineare che il tribunale di Palermo, sezione per il riesame, ha finora confermato i provvedimenti restrittivi a sostegno dei quali sono state prodotte (anche) dichiarazioni rese da Antonino GIUFFRE’: da quelli che hanno riguardato Salvatore RINELLA e gli altri soggetti già indagati nel procedimento n. 7106/02 R.G.N.R. DDA, a quelli con i quali sono state applicate misure cautelari a importanti appartenenti, anche in posizione di spicco, a Cosa Nostra, quali, tra gli altri, Giuseppe GUTTADAURO, i fratelli Francesco e Placido PRAVATA’ (poi, condannati alla pena di anni sei di reclusione ciascuno per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. con sentenza del GUP presso il tribunale di Palermo in data 21 Novembre 2003), i fratelli Antonino e Saverio MARANTO e i fratelli Domenico e Rodolfo VIRGA, tutti imputati in stato di custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra e per tale reato recentemente condannati (vedi sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, II Sezione, in data 16.3.2005, depositata in cancelleria il 25.5.2005, nell’ambito del proc. pen. nr. 2594/2004 NG, nr. 7826/2002 N.R., nr. 943 R. Sent., nei confronti di Antonio e Saverio MARANTO e Domenico e Rodolfo VIRGA e altri). La Corte di Assise di Appello di Palermo, per parte sua, ha poi valutato il contributo collaborativo offerto da Antonino GIUFFRE’ con la sentenza con la quale, in data 11 Dicembre 2002, ha definito in secondo grado il processo per l’omicidio dei fratelli SCEUSA. La Corte, utilizzando proprio le dichiarazioni rese dal GIUFFRE’, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, condannando alla pena dell’ergastolo imputati già assolti e ha riconosciuto al collaboratore, imputato egli stesso, la speciale circostanza attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203/1991. Tale sentenza è stata annullata con rinvio, per motivi di carattere meramente procedurale, dalla Corte di Cassazione (vedi sentenza emessa dalla Corte Suprema di Cassazione, I sezione penale, in data 9.3.2004, depositata in cancelleria il 9.3.2004, nr. 344/04, avverso la sentenza della Corte d’Assise di Palermo dell’11.12.2002, relativa all’omicidio dei fratelli SCEUSA), che ha invece confermato la concessione dell’art. 8 L. n. 203/1991 in favore del GIUFFRE’, la cui condanna è, pertanto, definitiva e, dunque, anche la positiva valutazione del suo contributo è divenuta accertamento passato in giudicato. Quest’Ufficio non intende ignorare la produzione, da parte della difesa dell’imputato Flavio CARBONI, della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, II sezione, del 18.4.2005, che ha giudicato in sede di rinvio, sull’omicidio dei fratelli SCEUSA. Dalla lettura della motivazione della pronuncia, non ancora passata in giudicato, emerge un positivo apprezzamento del suo apporto con riferimento alla genesi del duplice omicidio (vedi pag. 265) e alle varie chiamate in correità effettuate nell’udienza dell’Ottobre 2002 e ribadite nel Dicembre del 2004 (vedi pag. 271, e da 274 a 316), fatte salve alcune indicazioni con riferimento ai due BIONDO, ai TROIA e a Giovanni BATTAGLIA (vedi pag. 255 – 262), rese nel corso di quest’ultima occasione (udienza del 17 Dicembre 2004). Si noti che egli ha lanciato accuse, sin dalla prima deposizione, nei confronti di Salvatore BIONDINO, Rosolino RIZZO, Salvatore BIONDO, Antonino TROIA e Giuseppe BIONDOLILLO e che costoro sono stati nuovamente condannati in sede di rinvio dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello prodotta dalla difesa. E non si deve mai dimenticare che GIUFFRE’ è stato condannato per il duplice delitto, come s’è detto, con riconoscimento della speciale attenuante di cui all’art. 8, Legge 203 del 1991. In ogni caso, v’è da dire che il giudicante ha semplicemente posto in rilievo “insuperabili incertezze sulla genuinità delle indicazioni integrative del Dicembre 2004” (segnalando una possibile reticenza sulla sua personale avversione contro gli SCEUSA, un’anomala indicazione di Michelangelo PEDONE e una tardiva accusa nei confronti di un omonimo Salvatore BIONDINO, Antonio Erasmo TROIA e di Giovanni BATTAGLIA), che, secondo la Corte, non sono state idonee a “comprometterne in via generale, l’attendibilità del GIUFFRE’ con specifico riguardo alle dichiarazioni con cui ha rassegnato lo svolgimento dell’omicidio dei fratelli SCEUSA e ne ha, in particolare, indicato i responsabili” (vedi pag. 311). Sicché alcun “vulnus” deriva per l’attendibilità della collaborazione di Antonio GIUFFRE’.

Tutte le altre sentenze acquisite hanno, invece, riconosciuto una notevolissima attendibilità al suo apporto. Si fa riferimento al processo nei confronti di Pietro AGLIERI e altri, imputati di numerosissimi omicidi commessi nell’ambito di “guerre di mafia” - antiche e recenti – che hanno segnato le dinamiche di Cosa Nostra: ebbene, anche in tal caso, il contributo fornito nella fase di appello da Antonino GIUFFRE’ – imputato egli stesso nel processo – è stato positivamente apprezzato dalla Corte di Assise di Appello di Palermo che ha concesso allo stesso GIUFFRE’ le circostanze attenuanti generiche e quelle speciali ex art. 8 L. n. 203/1991 per la sua collaborazione, utilizzando le sue dichiarazioni per condannare all’ergastolo imputati che, invece, in primo grado erano stati assolti (vedi sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo in data 20 Novembre 2003).

GIUFFRE’, nella veste di imputato di reato connesso, ha reso dichiarazioni in alcuni importanti processi recentemente definiti con l’affermazione della penale responsabilità degli imputati, tra l’altro, chiamati in correità proprio dallo stesso GIUFFRE’. Al riguardo, si segnalano2, in particolare:

1.- la sentenza della Corte di Assise Sezione I in data 29 Luglio 2003 contro Rosario CASELLA e altri, imputati di gravissimi fatti delittuosi commessi nell’ambito della cruentissima “guerra di mafia” che, nell’ambito delle vicende inerenti al mandamento di Misilmeri, ha visto opposto il gruppo capeggiato dal CASELLA alla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzano, guidata da Benedetto SPERA: la Corte ha utilizzato (anche) le dichiarazioni rese dal GIUFFRE’ per ricostruire puntualmente i termini di tale conflitto, protrattosi nel corso degli anni ’90 e sfociato nella commissione di diversi omicidi, tra il 1992 ed il 2000. La pronuncia è stata confermata dalla sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Appello di Palermo, II sezione, in data 19.7.2004, depositata in cancelleria il 22.9.2004, nell’ambito del proc. pen. nr. 1948/99 NR, nr. 02/2004 RG, nr. 41/2004 R.Sent., nei confronti di Rosario CASELLA ed altri;

2.- la sentenza in data 27 Febbraio 2003 con la quale la Corte di Appello di Palermo, confermando (in punto di responsabilità) la condanna di Nicolò LA BARBERA per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra, quale appartenente alla famiglia mafiosa di Mezzojuso, ha riconosciuto piena attendibilità e ha attribuito significativa rilevanza alle dichiarazioni con le quali GIUFFRE’, nel ricostruire ruolo e attività del LA BARBERA quale “punto di riferimento” operativo, almeno fino al momento dell’arresto (30 Gennaio 2001), della latitanza di Benedetto SPERA e di Bernardo PROVENZANO, ha specificamente riferito dei rapporti da lui stesso intrattenuti sia con lo SPERA che con PROVENZANO, indicando luoghi, modalità, tempi e oggetto delle numerose riunioni tenutesi in territorio di Mezzojuso tra lo stesso GIUFFRE’, SPERA, PROVENZANO e altri importanti capimafia, tra i quali Tommaso CANNELLA e Giuseppe LIPARI, condannati entrambi proprio di recente, anche sulla scorta delle dichiarazioni rese dallo stesso GIUFFRE’ (rispettivamente con sentenze del GUP presso il Tribunale di Palermo, in data 4 Giugno 2003 e 12 Dicembre 2003) per il reato di cui all’art. 416 bis, comma secondo, c.p., avendo svolto funzioni direttive per l’organizzazione Cosa Nostra;

3.- la sentenza in data 21 Novembre 2003 con la quale il GUP presso il Tribunale di Palermo, a seguito di giudizio abbreviato, ha inflitto la pena di anni sei di reclusione ai fratelli Placido e Francesco PRAVATA’, ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 416 bis c.p., riconoscendo anche in tal caso piena attendibilità e significativa rilevanza alla chiamata in causa del GIUFFRE’ (e di Ciro VARA, oltre che di Salvatore FACELLA), che aveva, tra l’altro, indicato i due fratelli di Roccapalumba come parti essenziali del proprio sistema di comunicazioni mafiose e di tutela della propria latitanza (vedi anche sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, IV Sezione, in data 15.10.2004, depositata in cancelleria il 29.10.2004, nell’ambito del proc. pen. 6928/2002 NR, nr. 1030/2004 R.G., nr. 2687/2004 R. Sent., nei confronti di PRAVATA’);

4.- la sentenza in data 12 Dicembre 2003 con la quale il GUP presso il Tribunale di Palermo, a seguito di giudizio abbreviato, ha definito il processo nei confronti di Giuseppe LIPARI e altri, ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 416 bis c.p., riconoscendo anche in tal caso piena attendibilità e significativa rilevanza alla chiamata in causa del GIUFFRE’, che aveva, tra l’altro, riferito sul ruolo e sulle attività di Giuseppe LIPARI nell’ambito di quel ristretto gruppo di soggetti che, sotto le direttive del PROVENZANO, ha guidato l’organizzazione mafiosa dopo l’arresto di Salvatore RIINA e il fallimento della scelta stragista, vedi anche la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, IV Sezione, in data 8.6.2005, depositata in cancelleria il 15.12.2005, nell’ambito del proc. pen. nr. 3157/1998 NR, nr. 2679/2004 R.G., nr. 1998/2005 R. Sent., nei confronti di Vito ALFANO, Giuseppe LIPARI ed altri;

5.- la sentenza con la quale in data 12 Dicembre 2003 il Tribunale di Palermo Sezione IV ha ritenuto responsabile del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ex artt. 110, 416 bis c.p. l’imprenditore Salvatore GERACI, indicato come il soggetto che, dopo l’arresto del SIINO del 1991, ne aveva svolto le funzioni nell’ambito dell’illecito sistema di controllo dei lavori pubblici da parte di Cosa Nostra, vedi anche la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, III Sezione, in data 3.7.2006, depositata in cancelleria il 7.7.2006, nell’ambito del proc. pen. nr. 3295/1996 NR, nr. 2957/2004 RG, nr. 2054/2006 R. Sent., nei confronti di Salvatore GERACI ed altri.;

6.- la sentenza in data 13 Gennaio 2004 con la quale il GUP presso il Tribunale di Palermo ha condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. Antonio MARANTO, Saverio MARANTO, Domenico VIRGA, Rodolfo VIRGA, Francesco BONOMO, Carmelo FAZIO e Gioacchino SPINNATO, appartenenti alle famiglie operanti nel territorio di San Mauro Castelverde, vedi anche la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, II Sezione, in data 16.3.2005, depositata in cancelleria il 25.5.2005, nell’ambito del proc. pen. nr. 2594/2004 NG, nr. 7826/2002 N.R., nr. 943 R. Sent., nei confronti di Antonio e Saverio MARANTO e Domenico e Rodolfo VIRGA ed altri;

7.- la sentenza in data 27 Febbraio 2004 con la quale il GUP presso il Tribunale di Palermo ha condannato per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra e concorso in estorsione aggravata Diego RINELLA ed altri, appartenenti alle famiglie operanti nei territori di Trabia e di Termini Imerese, vedi anche la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, IV Sezione, in data 11.2.2005, depositata in cancelleria il 14.6.2005, nell’ambito del proc. pen. nr. 7106/2002 NR, nr. 2229/2004 RG, nr. 510 R Sent., nei confronti di Balsamo SANTI, Diego RINELLA ed altri.;

8.- la sentenza in data 29 Gennaio 2004 con la quale il GUP presso il Tribunale di Palermo ha condannato per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra i rappresentanti e diversi componenti di spicco delle famiglie mafiose operanti nella provincia di Agrigento, tutti tratti in arresto in flagranza di reato in occasione del summit di mafia tenuto il 14 Luglio 2002 in territorio di S. Margherita Belice e interrotto a seguito dell'intervento della Squadra Mobile di Agrigento.


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