La ricostruzione medico legale



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Sulle cause della morte




Sul mancato ritrovamento di resti o tracce d’inchiostro inerenti al rilievo delle impronte digitali sul cadavere di Roberto CALVI

In ordine a questo rilievo mosso dalla difesa vanno osservate le seguenti circostanze rilevanti.

L’inchiostrazione delle dita che per prassi si esegue quando si devono registrare le impronte digitali di un dato soggetto (anche allo stato di cadavere) coinvolge solo la cute dei polpastrelli. Quest’ultima, però, non è stata prelevata nel caso in questione, per le ragioni procedurali descritte nella perizia antropologica e connesse alla necessità procedurale di doversi (ove possibile) conservare la cute dei polpastrelli assieme al cadavere (vedi pagg. 197, 198 e 199, tras. ud. 25.01.2006, vedi all. n. 1).

Si riporta il relativo brano della deposizione del professore Luigi CAPASSO.


AVV. BORZONE: Senta, avete trovato tracce chimiche di inchiostro sui polpastrelli e sotto le unghie delle mani di CALVI ROBERTO?

.



INTERPRETE: sui frammenti di cute no.

AVV. BORZONE: ho chiesto anche sui polpastrelli e sotto le unghie.

CAPASSO L.: i polpastrelli non sono stati analizzati, perché nella procedura, diciamo così, che si mette in atto in questi casi, il prelievo delle lamine ungueali prevede una procedura standard che è quella di lasciare le impronte digitali della persona all’interno del corpo, quindi il nostro prelievo ha tenuto conto, questo lo abbiamo detto nel verbale di autopsia, anzi, era un incidente probatorio, quindi il prelievo delle lamine ungueale non è che sono state strappate le unghie, è stata praticata una sezione lungo la falange in modo tale da lasciare il polpastrello sul posto e prendere quindi soltanto la parte distale della parte dorsale del... dell’ultimo tratto del dito, quindi i polpastrelli non sono stati a posta, cioè perché noi cercavamo le tracce di impatti e che sono quelle più persistenti e che hanno minore... Maggiore probabilità di persistere nel tempo.

AVV. BORZONE: sa se a CALVI sono state prese dopo la morte le impronte digitali?

CAPASSO L.: sì, lo sappiamo, sono state prese le impronte digitali.

AVV. BORZONE: sui frammenti di cute, questa volta che avete esaminato c’erano tracce di inchiostro?

VOCI: (in sottofondo).

CAPASSO L.: sì, ma i frammenti vengono dalla parte palmare della... delle mani, quindi... e comunque non abbiamo trovato tracce di inchiostro.

AVV. BORZONE: sa, se dopo la assunzione di impronte digitali le mani vengano pulite o meno da parte di coloro i quali effettuano l’acquisizione delle impronte?

INTERPRETE: (...).

BRINKMANN B.: (...).

INTERPRETE: con le persone in vita sì.

AVV. BORZONE: quindi lei presuppone che le tracce... l’inchiostro sulle mani di CALVI sia ancora presente?

CAPASSO L.: sì, io guardi, non so se... cioè le nostre analisi non hanno trovato tracce di sostanze chimiche che possono fare riferimento ad inchiostro, perché evidentemente noi abbiamo analizzato parti che normalmente non sono inchiostrate, come la cute al centro del palmo della mano e quindi la parte centrale palmare che fa riferimento a reperti conservati a MILANO e le unghie e quindi le lamine ungueali e gli spazi subungueali, in queste... in questi materiali soprattutto sulle unghie noi abbiamo trovato tracce di materiali cristallini di tipo organico che richiamano a fosfati come è detto nella relazione peritali, questo fosfati sono però... potrebbero anche derivare da inchiostri, potrebbero anche derivare da inchiostri ma... ma molto più probabilmente derivano dall’azione, dall’interazione fra la formalina e alcune componenti organiche della cute e dei liquidi organici. Stiamo parlando di tracce naturalmente minimali, no?
Ne consegue che gli esami fatti nell’ambito della perizia antropologica del Prof. Luigi CAPASSO sono stati concentrati sugli spazi sub-ungueali e sulle lamine ungueali. Non vi è ragione di credere che queste regioni anatomiche siano venute a contatto con l’inchiostro e non sorprende, perciò, che tracce d’inchiostro non siano state trovate in dette regioni.

La scelta di analizzare proprio gli spazi sub-ungueli e le lamine ungueali è stata dettata proprio dal sapere che – in linea teorica, ma anche nell’esperienza pratica, lavaggi e nettature delle estremità tendono ad asportare le sostanze con le quali le nostre mani entrano in contatto nel corso dei normali processi di manipolazione, ma queste sostanze permangono anche dopo lavaggi ripetuti proprio negli spazi sub-ungueali.

In detti spazi sub-ungueali e sulle lamine ungueali stesse non sono state trovate tracce di sostanze estranee al corpo di Roberto CALVI e pertinenti a:

1) la ruggine dell’impalcatura;

2) le vernici (di cinque tipi diversi) presenti sull’impalcatura;

3) il cemento che incrostava parte dei tubolari dell’impalcatura stessa;

4) nessuna delle “pietre” rinvenute nelle tasche della giacca, in quelle dei pantaloni nel cavallo dei pantaloni di Roberto CALVI (in realtà, trattavasi di due frammenti di calcare, due frammenti di mattoni e un frammento di roccia basaltica). Tutte queste sostanze che, nell’ipotesi suicidiaria, CALVI avrebbe maneggiato nell’imminenza della morte non sono state trovate né negli spazi sub-ungueali, né sulle lamine ungueali, nonostante ciascuna di queste sostanze abbia una composizione molto caratteristica e facilmente riconoscibile. Da ciò possono effettivamente effettuarsi due deduzioni ugualmente probabili, vale a dire:


    • o le suddette sostanze sono state allontanate a causa di lavaggi e trattamenti ai quali il cadavere è stato sottoposto;

    • o la persona ancora in vita effettivamente non maneggiò e non entrò mai in contatto con nessuna di dette sostanze.

La prima delle due precedenti ipotesi deve escludersi, in quanto sulle lamine ungueali del cadavere di Roberto CALVI è stata trovata una sostanza, chimicamente chiamata fillosilicato di magnesio, volgarmente nota come “pietra serpentina”, la quale è completamente estranea allo scenario e al contesto nel quale il cadavere di CALVI è stato trovato.

Allora la questione che si pone conclusivamente è la seguente: non è possibile ammettere che lavaggi e nettamenti del cadavere (e, in particolare, delle mani) siano serviti ad allontanare tutte le sostanze e le tracce di sostanze inerenti le “pietre” e l’impalcatura (incluse le vernici a essa aderenti), mentre, al contempo, gli stessi lavaggi abbiano consentito la persistenza sul cadavere di una sostanza che non era presente nel circondario del cadavere stesso.

Stante queste osservazioni, l’unica spiegazione compatibile è che CALVI non maneggiò mai nessuna delle “pietre” e non entrò mai in contatto con l’impalcatura; invece, le sue mani entrarono in contatto con elementi caratteristici di un cantiere edile, come sono proprio i frammenti di pietra serpentina, una pietra ornamentale molto usata come rivestimento di zoccolature in ambienti comuni (ingressi di palazzi e simili).


Sulla possibilità che le lesioni ungueali del cadavere di Roberto CALVI derivino da impatti passivi con il supporto/pavimento sul quale il cadavere fu adagiato subito dopo il suo recupero

In ordine a questo rilievo mosso dalla difesa vanno osservate le seguenti circostanze rilevanti.

Non c’è dubbio che lesioni riscontrate sulle lamine ungueali di Roberto CALVI si siano realizzate passivamente. Dimostrano quest’asserzione le seguenti considerazioni:

1) le lesioni non sono prevalenti a carico della mano prevalente (CALVI era mancino e se le lesioni ungueali fossero state causate da attività di manipolazione volontaria, sarebbero più frequenti a sinistra, mentre sono presenti con uguale frequenza nei due lati, vedi pag. 27, trasc. ud. 24.11.2006, deposizione del prof. Luigi CAPASSO - vedi all. n. 2);

2) nessuna lesione attraversa il margine libero ungueale (vedi pag. 26, trasc. ud. del 24.1.2006 - vedi all. n. 2), il che dimostra che esse non si sono prodotte a causa d’impatti volontari con substrato duro, ma per trascinamenti delle unghie su substrati duri;

3) le lesioni non sono prevalenti nelle dita coinvolte nelle azioni di presa (pollice, indice e medio), ma coinvolgono anche anulare e mignolo, dita non coinvolte nelle azioni di presa volontaria.

Le osservazioni di cui al punto precedente ci dimostrano che CALVI si procurò le gravi lesioni traumatiche delle sue unghie in maniera passiva e non attiva. Dunque, non manipolò oggetti più duri delle sue unghie, come sono necessariamente le strutture dell’impalcatura o le cosiddette “pietre”.

Le osservazioni suddette, che sono tutte di ordine topografico (cioè posizione delle lesioni nell’ambito della singola lamina, nell’ambito delle dita della mano e nell’ambito relativo delle due mani), indicano la passività della loro origine, ma non danno alcuna informazione sulla loro cronologia. Infatti, nessuna delle osservazioni precedenti fornisce indicazioni in ordine a quando le lesioni si produssero; per ottenere queste indicazioni, occorre considerare gli ulteriori seguenti fatti.

Le lesioni traumatiche si presentano come profondi graffi sul dorso delle lamine ungueali (vedi pag. 24 – 28, trasc. ud. 24.1.2006 - vedi all. n. 2). Quando si verificano graffi del genere, come a esempio nel caso in cui una nostra unghia impatti accidentalmente con un corpo più duro, allora si crea una sorta di graffio profondo i cui margini sono netti, circondati da laminette di sostanza ungueale acuminate, triangolari. Da questo momento i margini di questi graffi tendono ad arrotondarsi per abrasione. Infatti, le normali attività quotidiane nelle quali le nostre mani sono coinvolte, tendono a smussare i margini dei graffi. Il lavaggio delle mani, il loro strofinio anche con materiali morbidi, come tessuti e altra cute, tende ad arrotondare i margini delle lesioni. Ecco perché è possibile con certezza calcolare quanto tempo prima della morte si sono prodotti questo genere di graffi. Le lesioni osservate sulle unghie di CALVI si produssero poco tempo prima della sua morte, proprio perché non vi sono tracce di abrasione dei margini. Ciononostante, è anche possibile che le lesioni traumatiche delle unghie si siano prodotte anche nelle circostanze della morte, ovvero anche dopo la morte. Pertanto, l’obiezione che suppone che le descritte lesioni si siano prodotte per trascinamento del cadavere su un supporto duro, o anche su un pavimento rugoso di materiale duro (cemento, metallo), è un’obiezione astrattamente pertinente, anche se essa non è, in concreto, ammissibile a causa della circostanza rappresentata al punto successivo.

Sul fondo di una delle citate lesioni, infatti, è stata documentata una diatomea (vedi pag. 25 e 26, trasc.ud. 24.1.2006 - vedi all. n. 2): microrganismo vivente tipicamente nell’acqua dolce fluviale (peraltro, proprio le diatomee sono state impiegate per stabilire quale livello avesse raggiunto l’acqua del Tamigi a contatto dei pantaloni indossati dal cadavere). La presenza della diatomea indica con chiarezza che l’unica sequenza possibile è la seguente: lesione traumatica delle lamine ungueali; contatto delle mani con l’acqua del Tamigi; prelievo del cadavere e suo trascinamento all’asciutto. E’ per questo motivo che, pur ammettendo per assurdo che le lesioni traumatiche ungueali siano state causate dal trascinamento del corpo su un pavimento duro (come si vede in una celebre foto del cadavere adagiato su un supporto nell’immediatezza del suo rinvenimento), non si spiegherebbe in questo caso come e per quale motivo l’acqua del Tamigi abbia poi potuto venire a contatto con le mani del cadavere portato all’asciutto. Inoltre, avverso questa fantasiosa ricostruzione, sta anche il fatto che nessuna traccia di cemento o di ferro o di altra materia dura è stata trovata nelle lesioni, mentre nelle lesioni (come ricordato in precedenza) sono state trovate tracce di pietra serpentina, un materiale nobile e pregiato, impiegato per rivestimenti murali di ambienti lussuosi e frequentemente impiegato nella costruzione di palazzi del centro londinese.

Non c’è dubbio, quindi, che le lesioni ungueali siano passive, siano intervenute nelle circostanze dell’omicidio e si siano verificate prima che le mani del cadavere prendessero contatto con l’acqua del Tamigi e non quando il cadavere fu portato all’asciutto.

Sull’impronta di tubo rinvenuta sotto le scarpe riferita da FACEY

Con riferimento a tale profilo posto a sostegno delle argomentazioni difensive va rilevato quanto segue. Innanzitutto, va sottolineato che quanto riferito da FACEY conduce al ridicolo e dimostra ancora una volta l’approssimazione degli accertamenti svolti in Gran Bretagna.



Questi solo in dibattimento ha ricondotto, in via ipotetica, i danneggiamenti del fiosso sulle suole delle scarpe al contatto con un tubo o sbarra. Si tratta di una corbelleria perché sono superfici lisce che non lasciano impronte. Ha, però, evidenziato, sulla suola delle scarpe, danneggiamenti ricondotti all’aver percorso un terreno accidentato. Va, in proposito, riportato il brano della deposizione:
PRESIDENTE: no, perché l’Interprete ha parlato, ha detto ad un certo punto, appunto, anche di un tubo, un tubo o sbarra.

AVV.DE CATALDO: e va bene, ma se abbiamo l’opportunità di chiarirlo questo chiariamolo subito Presidente.

P.M. TESCAROLI: però io chiedo...

PRESIDENTE: è questo che stavo cercando di fare.

P.M. TESCAROLI: ...io chiedo però che intanto venga fatta la contestazione così come è stata presentata dal Pubblico Ministero, e che se il teste ricorda quello che gli è stato letto, se ci dà delle spiegazioni in ordine a quello che ha dichiarato.

INTERPRETE: okay! (...).

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: sì.

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: la cosa importante in questa mia aggiunta...

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: ...gli è stato chiesto di lavorare di più su quello che lui diceva otto o nove anni prima.

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: e la questione che aveva bisogno di elaborazione era questa...

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: ...il danno effettivamente alla suola della scarpa.

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: perché questo danno ha dimostrato che il Signor CALVI aveva camminato su terreno irregolare.

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: l’altro danno vicino al tacco...

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: ...non sembrava importante in quel momento.

P.M. TESCAROLI: sì, ma il problema è che lei ha dichiarato queste cose che le ho contestato dopo che le è stato richiesto di fare l’approfondimento, quindi lei non ha mai parlato nel corso delle sue indagini di questa possibile riconducibilità dei danneggiamenti sulle suole all’aver posto la scarpa su un tubo.

INTERPRETE: (...).

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: no, perché questo non era importante.

PRESIDENTE: sì, ma ce lo chiarisca adesso, dico, ha parlato di tubo effettivamente, cioè è possibile che quei danni siano stati provocati da un tubo, cioè il tubo inteso come simile a quello dell’impalcatura, insomma, cioè ad una superficie rotonda?

INTERPRETE: (...).

FACEY O. E.: (...).

INTERPRETE: sì, è possibile, poteva essere provocato appunto dal camminare su questo, mettendo i piedi su questo tubo.

P.M. TESCAROLI: guardi, queste scarpe, io le dico questo, che quanto lei dice appare inverosimile, ma anche sotto il profilo logico...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...ma al di là di questo, io le debbo dire che queste scarpe sono state esaminate da un Collegio di Periti...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...e i Periti hanno visto che vi sono una serie di graffi in corrispondenza...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...del fiosso...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...che lei non ha evidenziato, non ha segnalato nelle sue dichiarazioni...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...ed hanno posto in rilievo che questi numerosi... queste numerose lesioni che sono state riscontrate sulle suole delle scarpe, sono riconducili a movimenti rotatori di questo tipo, veda il gesto delle mie mani...

INTERPRETE: (...).

P.M. TESCAROLI: ...e quindi da uno sfregamento di questo tipo, certamente non questa cosa, questi danneggiamenti non sono possibili con riferimenti a corpi lisci, ma solo con riferimento a corpi ruvidi che possono cagionare questo tipo di lesioni e che sono ben altri rispetto a quelle... a quel segno di cui sta parlando lei adesso.

INTERPRETE: (...).

AVV. BORZONE: però Presidente, scusi! Questa non è la verità assoluta, diciamo, questo voglio dire...

P.M. TESCAROLI: ma ci sono questi segni che non ha evidenziato.

AVV. BORZONE: voglio dire, non...

PRESIDENTE: cerchiamo anche di ragionare con buonsenso, perché se no veramente andiamo completamente fuori il binario logico. E’ mai possibile, o ci dice che ci sono dei punti dell’impalcatura che hanno dei pezzoni di metallo sporgenti?

P.M. TESCAROLI: no, non traduca però.

AVV. BORZONE: perché non deve tradurre, non ho capito.

PRESIDENTE: sì, adesso poi gliela riformula la domanda, sto cercando di spiegare, è chiaro che non può un danno di quel genere... (vedi pag. 22-25, trasc. 10.5.2006 - vedi all. n. 3).


Sul livello delle maree e sulla pretesa assenza di un sopralluogo sul luogo teatro del delitto

Con nota del 22 Luglio 1982, il funzionario addetto ai rilievi idrografici del Port of London Autority, comunicava all’Ispettore investigativo WHITE che: “ l’ultima rilevazione in zona è stata fatta nel 1976. Sulla base di tali informazioni, è improbabile che il fondo del fiume vicino al muro sotto il ponte sia stato scoperto. La profondità dell’acqua sarà stata dell’ordine dei 0,8 metri.



Sottolineo che questa stima si basa su dati vecchi di circa sei anni. Per accertare i livelli dell’acqua effettivamente raggiunti il 18 Giugno sarebbe necessario svolgere dei sopralluoghi in zona e fare un’analisi più dettagliata dei livelli di marea tra i misuratori di marea del Molo Tower e quelli di Chelsea.” (vedi all. n. 4).
Il difensore di Flavio CARBONI ha rilevato che non è mai stato effettuato un sopralluogo, laddove era posizionata l’impalcatura ove venne rinvenuto il cadavere di Roberto CALVI. La circostanza non risponde al vero. Infatti, l’agente di polizia John Charles CUBBON, in organico all’ufficio Disegni della Stazione di polizia di Wood Street, ha dichiarato (v. pag. 12 e seguenti – 1^ inchiesta condotta dal Coroner - vedi all. n. 5) di essersi recato sul posto più volte quando vi era la bassa marea e di aver constatato che il livello dell’acqua arriva sino alla sponda del fiume (si veda la cartina del 13.7.1982, dallo stesso predisposta - vedi all. n. 6), sicché è evidente che sono stati effettuati dei controlli mirati sul luogo di interesse. In particolare, il teste ha riferito: “ il livello dell’acqua con la bassa marea come l’ho trovata quando mi sono recato sul posto durante la bassa marea”…. “la profondità del fiume misurata da me con un filo a piombo” …..” il livello dell’acqua durante la bassa marea dalla cima del muro 26 piedi (circa 7, 92 metri) e la profondità del fiume, la profondità dell’acqua misurata da me fu trovata pari a 27 piedi (circa 8,22 metri). Di fatto, ancora una volta, in base alle informazioni ricevute, l’impalcatura va più giu di tanto.” (pag. 14)…”tutte le volte che io sono stato sul posto non affiora completamente in quel piccolo tratto.” (pag.17) …”D: così il livello dell’acqua durante la bassa marea, arriva fino alla sponda del fiume? R: Sì, Signore, fino al muro del fiume. Si, Signore.” (vedi all. n. 5)

Al riguardo, va evidenziato quanto già esposto in sintesi a pag. 26 della Memoria del 26.3.2010: “La causa della morte di Roberto CALVI”.


Il teste Sindney JAMES HALL, in data 22 Giugno 1982, ha dichiarato, anche consultando la tavola delle maree, che il 17 Giugno 1982, attorno all’impalcatura e alla scala metallica vi era sempre stata l’acqua del Tamigi con un minimo di 3 piedi (ogni piede equivale a 30,48 cm, quindi, 91,44 cm). Testualmente, ha riferito:” posso dire che lavorando lì, il 17 Giugno 1982 anche con la marea più bassa l’area intorno all’impalcatura e al metallo indelmagliabile, non ha mai avuto un’acqua più bassa di 3 piedi.” (v. pag. 2 - vedi all. n. 7)

Il teste Donald Alfred BARTLIFF ha posto in rilievo che CALVI per arrivare all’impalcatura, camminando lungo il greto “avrebbe dovuto camminare nell’acqua” (vedi pag. 49, pag. 61 trascrizione italiana - vedi all. n. 8). Sempre lo stesso teste ha aggiunto che il livello dell’acqua nel momento di bassa marea, alle ore 5:24 del 18.6.1982, aveva una profondità di 3 piedi e un pollice (ogni pollice equivale a 2,54 cm, quindi, 93,99 cm) (vedi pag. 3, verb. 28.6.1982 - vedi all. n. 9). In particolare, ha così riferito:” le previsioni di marea del porto di Londra per le successive 24 ore al London Bridge erano le seguenti: giovedì 17 Giugno 1982 bassa marea alle 4,45 del pomeriggio, profondità 4 piedi e 8 poliici; alta marea alle 10,59 del pomeriggio, profondità 19 piedi e 9 pollici. Venerdì 18/6/82, bassa marea alle 5,24 del mattino, profondità 3 piedi e 1 pollice.” (v. pagg. 2 e 3 - vedi all. n. 9) .




Sull’essere EKBLOM consulente della famiglia CALVI e come tale non meritevole di attenzione



Laurence Thomas John EKBLOM era topografo idrografico Senior presso le autorità portuali di Londra, che si occupava delle maree del Tamigi da 25-30 anni e che aveva prestato la sua opera di esperto anche alle nazioni Unite. Il fatto che egli abbia effettuato la rilevazione sul posto nell’ambito della seconda inchiesta non può considerarsi di per sé idoneo a ritenere inaffidabili le sue indicazioni. E’ sufficiente ricordare che la difesa CARBONI non ha effettuato nemmeno nel corso della seconda inchiesta una verifica da parte di altri per contestare quanto da egli sostenuto, che ha, peraltro, trovato numerosi elementi di conferma, come riportato nella memoria relativa alle cause della morte.

Detto ciò va evidenziato che, nel corso della seconda inchiesta inglese, ha spiegato di aver stabilito i dati delle maree al Black Friars Bridge, predisponendo anche un’apposita piantina, (vedi all. n. 10), con il seguente metodo “mediante un procedimento di interpolazione utilizzando misuratori in perfette condizioni ubicati al ponte Tower e l’altro all’altezza di Chelsea e mediante un processo di interpolazione, che è un metodo ben collaudato e che dà ottimi risultati, è possibile stabilire il livello della marea in questo punto” (vedi pag. 41 versione italiana e 33 versione inglese - vedi all. n. 11). E’ importante segnalare che il margine di errore stimato per i dati forniti relativi al livello dell’acqua è di circa tre pollici (vedi pag. 42 versione italiana - vedi all. n. 11). Ha aggiunto che intorno all’impalcatura vi era sempre un grande quantitativo d’acqua tra la mezzanotte e le cinque e che a 25 piedi (circa otto metri) a Est affiora una piccola lingua dal Tamigi.

Vi è, poi, un dato obiettivo di assoluta evidenza. Dalla foto scattata alle ore 22 del 22.6.1982 (foto nr. 13), che riprende l’impalcatura e il livello delle acque del Tamigi sottostante, dimostra che vi è acqua in abbondanza. Quel giorno il livello di bassa marea, come si può evincere dalla carta delle maree previste al London Bridge per il Giugno 1982, era previsto per le ore 22.10 e in quel momento era più basso rispetto a quello del 18 Giugno (vedi pag. 45, trasc. 4.4.2006, relativa alla deposizione del CT del PM, prof. Paolo PROCACCIANTI, - vedi all. n. 12 - vedi pag. 4 – 6, trasc. 22.3.2006, relativa alla deposizione del Detective Superintendent Trevor Richard SMITH - vedi all. n. 13). Sicché il 18 Giugno, al momento di minima bassa marea al Blackfriars Bridge (si tenga conto che la differenza tra il London Bridge e il Blackfriars Bridge è di 10 minuti) vi era un livello di acqua Maggiore rispetto a quanto si può apprezzare visivamente dalla suddetta foto. Si noti come non ha pregio il rilievo difensivo, basato su un’assoluta contraddittorietà, in forza del quale i dati della cartina (vedi all. n. 14) sono inaffidabili perché basati su rilievi vetusti. Invero, per un verso, la difesa utilizza i dati della piantina per stabilire l’orario della bassa marea del 18 Giugno, alle ore 5,24, per altro verso, nega che sia affidabile con riferimento al 22 Giugno. Non si può scegliere quando i dati siano affidabili o meno in virtù delle esigenze. Se sono affidabili lo sono sempre, se non lo sono, non lo possono mai essere. Inoltre, va rilevato che la disamina della piantina attiene specificatamente alle maree a London Bridge per il Giugno 1982. E’ pur vero che vi è una tabella basata sulle registrazioni delle maree per gli anni dal 1936 al 1940, tuttavia il riferimento attiene a un profilo diverso rispetto alle rilevazioni del Giugno 1982 che sono collocate nella prima parte della tabella, come si può agevolmente apprezzare visionando la piantina in allegato.

Sull’illuminazione del luogo teatro del delitto e sulla distanza del Black Friars Bridge dalla stazione fluviale di Waterloo Pier

Nella zona dell’impalcatura vi era una scarsa visibilità.

Si riporta il brano della deposizione del detective Trevor Richard SMITH:
INTERPRETE: per quanto riguarda l’illuminazione, quindi lungo l’argine, questa veniva soltanto dalla regolare illuminazione stradale e quindi la passerella o passeggiata lungo il TAMIGI veniva illuminata esclusivamente dalle luci stradali.

SMITH T.: (...).

INTERPRETE: sul ponte stesso vi erano alcune luci, però soltanto a scopo di agevolare la navigazione fluviale dell’imbarcazione.

SMITH T.: (...).

INTERPRETE: ma la zona intorno all’impalcatura era relativamente buia.

SMITH T.: (...).

INTERPRETE: ho risposto alle domande?

P.M. TESCAROLI: sì, servono solo due piccole precisazioni, vorrei che spiegasse meglio il concetto di relativamente buio di cui ha parlato con riferimento al grado di illuminazione presente ove vi era l’impalcatura.

INTERPRETE: (...).

SMITH T.: (...).

INTERPRETE: sarebbe in altre parole un termine che indica difficoltà di vedere in corrispondenza di questa zona, quindi scarsa, limitata visibilità (vedi pag. 9, trasc.ud. 21.3.2006 - vedi all. n. 15).
Il Ten Col. Giovanni BEVACQUA ha riferito che sotto il ponte era buio, per aver effettuato un sopralluogo nel 2003, con una pilotina di circa 15 metri. Ha precisato che le condizioni di illuminazione erano analoghe a quelle esistenti nel 1982, secondo quanto riferitogli dai poliziotti di Londra (vedi pag. 12 trascrizione udienza 2.12.2005 - vedi all. n. 16).

La stazione fluviale di Waterloo Pier dista 0,8 miglia (circa 1.300 metri) dal ponte di Black Friars Bridge e non 250 – 300 metri, come asserito dalla difesa. Anche sul punto va richiamato quanto riferito dal detective Trevor Richard SMITH :



P.M. TESCAROLI: …. Ecco, può dire quanto dista la stazione di WATERLOO FRIAR dal ponte BLACK FRIAR BRIDGE?

INTERPRETE: (...).

SMITH T.: (...)

INTERPRETE: allora la distanza è espressa in miglia, circa 0,8 miglia, non saprei convertirlo in chilometri (vedi pag. 56, trasc. ud. 21.3.2006 - vedi all. n. 15).

Sull’assenza di danneggiamenti negli abiti e sulla riconducibilità delle tracce di paraffina

L’affermazione è smentita dalle risultanze obiettive. Basta leggere la perizia BRINKMAN. Lo ha, fra l’altro, ricordato il prof. PROCACCIANTI, il quale ha segnalato, nel corso della deposizione, i danneggiamenti sia sulla giacca, sia sui pantaloni (si veda pag. 60, trasc. 4.4.2006 - vedi all. n. 17).

Le tracce di paraffina sono state rinvenute nei pantaloni all’altezza dei glutei e dei polpacci (vedi pag. 96 della relazione predisposta dal Prof. B. BRINKMAN - vedi all. n. 18 - e pag. 61 e 62, trasc. ud. 4.4.2006 - vedi all. n. 17), vale a dire proprio in corrispondenza delle parti ove ci si siede. Non sono spiegabili con lo strofinamento sull’argine, con le modalità illustrate nelle immagini mostrate in aula dalla difesa.

Sulle tracce di vernice quali testimonianza di un contatto passivo

In ordine a tale aspetto va richiamato l’approfondito esame effettuato nella perizia BRINKMAN. Va detto che non sono state trovate tracce di vernice inserite profondamente nel materiale della suola (lo ha ricordato anche il Prof. PROCACCIANTI, vedi pag. 70 e 71, trasc. ud. 4.4.2006 - vedi all. n. 19).



Sulla piantina artefatta utilizzata dal prof. FIORI

Si allega la piantina artefatta dal consulente CARBONI - che non è quella mostrata in video attribuita a BRINKMAN -, nella quale viene scritto che “La marea scopre completamente l’impalcatura” e il livello minimo della marea viene collocato, su larga parte dell’impalcatura, al livello della base (vedi all. n. 20).



Sull’assenza di tracce di afferramento sul corpo appartenente in vita a Roberto CALVI e sulla necessità della presenza di 3 – 4 uomini per strozzare una persona

È stato individuato, nel corso dell’esame autoptico del 1998 un ematoma del lato flessorio del polso destro (vedi pag. 101 dell’elaborato di consulenza della perizia BRINKMAN dell’11.10.2002 - vedi all. n. 21) che consente di ritenere che CALVI sia stato immobilizzato. Può essere stato imbavagliato, minacciato, neutralizzato con sostanze chimico tossicologiche non ricercate. È, dunque, evidente che il richiamo alle modalità di MANNOIA per strozzare una persona è inconferente per escludere l’omicidio. A riprova di ciò, va ricordato che Cosa Nostra ha ucciso il padre del collaboratore di giustizia Gioacchino LA BARBERA, simulando il suicidio mediante impiccamento, obbligandolo a impiccarsi, per mascherare l’omicidio. Nessuna traccia di afferramento è stata individuata dai periti medico legali, che avevano concluso per il suicidio con certezza. Si aggiunga che BADALAMENTI è stato condannato con sentenza passata in giudicato per aver fatto assassinare Giuseppe IMPASTATO, delitto che venne camuffato in un suicidio, come segnalarono gli investigatori; tale camuffamento ha resistito per moltissimi anni, sino all’intervento di dichiarazioni di collaboratori di giustizia.



Sull’essersi CALVI al momento della morte posto il problema dell’assicurazione sulla vita prima di suicidarsi

Il difensore di CARBONI, quello che dice di fare il “lavoro sporco”, con fare serioso e riflessivo, ha detto, secondo me “CALVI si era posto il problema dell’assicurazione sulla vita prima di suicidarsi”.

Immaginate la scena.

Di notte, al buio, CALVI passeggia nel fiume, del quale non conosce la profondità, non vede la riva perché l’acqua arriva all’argine. Entra nel letto del fiume, con un salto, posto che da giovane aveva fatto il militare nei cavalleggeri e saliva sugli alberi, come avrebbe dichiarato un presunto giardiniere in un articolo stampa. Siccome sa che ci sono pietre di tipo diverso nel letto – evidentemente, era solito prendere il bagno quando andava nella City, spostandosi in periferia in una zona dove non c’era nessuno di notte, come ci dice il teste James JOHNSON, il quale vede quella notte una persona, rassomigliante a Giuseppe CALO’, che non è CALVI sul ponte, che si muoveva con circospezione – mette la mano e il braccio nell’acqua, nera come la pece, di cui non vede il fondale e mette proprio quella in cui ha l’orologio da polso (ove vi entra dell’acqua). Poi, cammina. L’acqua che gli arriva ai polpacci è un po’ freddina. Gli viene in mente che ha la polizza sulla vita e allora si dice:” eh no! Facciamo qualcosa di più raffinato e utile: simulo un suicidio, così è sicuro che la mia famiglia beneficerà di un significativo indennizzo, dal momento che la polizza non copre il suicidio”.

La difesa è proprio disperata! Cerca di sostenere l’inverosimile contrario a ogni logica.


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