La ricostruzione medico legale


Sull’assenza di prove in ordine all’attività di riciclaggio svolta dal BANCO AMBROSIANO



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Sull’assenza di prove in ordine all’attività di riciclaggio svolta dal BANCO AMBROSIANO

Le argomentazioni difensive appaiono manifestamente inidonee a superare quanto riportato nell’atto d’appello e nel corpo della sentenza.




  1. Sull’assenza di prova del mandato di recuperare il denaro gestito da Cosa Nostra dato da CALO’ a CARBONI

La difesa ha rilevato che manca la prova del mandato conferito da CALO’ a CARBONI di recuperare il denaro investito da Cosa Nostra e che CARBONI ha utilizzato il denaro ricevuto dal banchiere “per se stesso”.

Invero, le risultanze probatorie consentono di dimostrare l’esistenza di tale mandato.

Silvano MARITAN ha riferito che, mentre si trovavano a Jesolo, in una casa dell’Avv. ACCORSI, nel corso dell’autunno del 1982, Nunzio GUIDA gli aveva detto, fra l’altro, di aver accompagnato ZAZA a due riunioni avvenute, la prima, in Sicilia, e, la seconda, in Calabria, in un paese di nome Africa o Africo, alle quali avevano partecipato uomini siciliani riconducibili a Luciano LIGGIO; tali riunioni erano volte a far sì che CALVI restituisse i soldi ricevuti per rinvestirli e per decidere cosa fare (vedi pag. 107 – 109, 118, 133, 134, 137, 140 e 147, trasc. 8.3.2006).

Nunzio GUIDA gli aveva detto che si erano rivolti a una persona fuori “dal contesto loro, ambientale” (vedi pag. 110, trasc. 8.3.2006) e che un sardo “si doveva interessare” per fargli recuperare i soldi che aveva dato (vedi pag. 110, trasc. 8.3.2006).

Il sardo” di cui Michele ZAZA e gli appartenenti alla mafia siciliana si sono avvalsi per il recupero del denaro e per contattare il banchiere, al fine di rientrare dei capitali investiti, si deve necessariamente individuare nell’imputato CARBONI, in considerazione del fatto che egli è sardo e aveva rapporti privilegiati con CALVI. Il fatto che sia stato scelto proprio il “sardo” implica che costui fosse consapevole dell’attività di riciclaggio svolta dal banchiere e pienamente inserito nel meccanismo che presiedeva alla sua attuazione (circostanza che viene provata, fra l’altro, da quanto affermato da MANNOIA, MANCINI e GIUFFRE’). In buona sostanza, non vi potevano essere altri sardi in grado di svolgere quel ruolo. L’interesse diretto di Michele ZAZA nella vicenda, derivante dalla necessità di recuperare anche proprie risorse finanziarie, induce a ritenere quest’ultimo qualificato porgitore di notizie attendibili. Del pari, Nunzio GUIDA, risultato inserito nel medesimo contesto delinquenziale e in diretto rapporto con ZAZA (vedi pag. 73 e 74, trasc. 8.3.20006, inerente alla dep. del Mar. Donato NIRO), rappresenta un idoneo veicolo di trasferimento delle stesse, tenuto conto del fatto che questi deve avere direttamente percepito quelle conoscenze, dal momento che ha accompagnato ZAZA alle due riunioni, svoltesi in Calabria e in Sicilia, nel corso delle quali si sono affrontate le problematiche connesse al recupero del denaro investito. Sicché Silvano MARITAN ha riferito, essendo risultato legato al GUIDA da comuni interessi criminali connessi al traffico di stupefacenti (vedi pag. 72, trasc. 8.3.2006, relativa alla dep. del Mar. Donato NIRO), informazioni in sé positivamente apprezzabili. Si tenga conto che, all’epoca della ricezione delle notizie (autunno 1982, sia pure con un margine di incertezza), sia MARITAN sia GUIDA erano liberi. Solo a fine Ottobre MARITAN era stato tratto in arresto (vedi pag. 72 e 73, trasc. 8.3.2006, relativa alla dep. del Mar. NIRO). Dunque, non esisteva alcuna causa ostativa acché i due si incontrassero in Jesolo. Non sono emersi elementi per ritenere che il suo apporto non possa considerarsi genuino. E, infatti, la circostanza che Nunzio GUIDA e Michele ZAZA siano deceduti (vedi pag. 130, trasc. 8.3.2006) non incide in alcun modo, atteso che, quand’anche fosse stato possibile escuterli sulle circostanze in questione per verificare le affermazioni di MARITAN, il loro atteggiamento sarebbe stato certamente di smentita, in quanto entrambi pienamente inseriti in una struttura di tipo mafioso permeata dall’omertà.




  1. Sull’aver lasciato CARBONI il denaro ricevuto da CALVI su conti correnti a lui intestati o, comunque, a lui riconducibili

La difesa ha rilevato che se CARBONI avesse voluto uccidere Roberto CALVI non avrebbe lasciato tutto il denaro percepito sui conti, intestati a lui stesso e Manuela KLEINSIZIG. Ha affermato, poi, che le movimentazioni effettuate dopo la morte del banchiere sono una prova a suo favore, senza, peraltro, spiegarne le ragioni.

Tali affermazioni sono destituite di fondamento sia per quanto attiene all’oggettiva ricostruzione dei fatti che per quanto riguarda la logica interpretativa di quanto - realmente - accaduto.

La sentenza di bancarotta del Banco Ambrosiano ha inequivocabilmente stabilito, a seguito di puntuale analisi ricostruttiva (“ … Mai elemento oggettivo del reato fu accertato con Maggiore rigore e dovizia di prove che non in questo caso …” - si veda sentenza di I grado sui fatti di bancarotta BA SpA, emessa dal Tribunale di Milano, in data 16 Aprile 1992, pag. 2959), che mediante disposizioni di CALVI - che costituiscono distrazioni di fondi dal Gruppo Ambrosiano - perviene a Flavio CARBONI, tra il 17 Febbraio e il 3 Giugno 1982, la somma complessiva di 19.000.000,00 di Dollari statunitensi, con le seguenti modalità:



  • accredito di 4 milioni di Dollari, con valuta 17 Febbraio 1982, a favore del conto 677031 presso la UBS di Lugano intestato al predetto CARBONI;

  • accredito di 5 milioni di Dollari, con valuta 29 Aprile 1982, a favore del conto 347916, presso l’UBS di Ginevra formalmente intestato a Manuela Kleinszing e nella effettiva disponibilità di CARBONI;

  • accredito di 10 milioni di Dollari, con valuta 3 Giugno 1982, a favore del conto 756487, presso UBS di Zurigo, intestato al predetto CARBONI.

La già richiamata sentenza, sulla scorta dell’analisi svolta dai commissari liquidatori del Banco e delle diverse società del Gruppo BAH, stigmatizza inoltre la sussistenza di una complessa serie di transazioni che fanno immediato seguito ai suddetti accrediti (spostamenti di conto, prelevamenti in contanti, emissione di assegni, utilizzo di diverse società estere “schermo” - per lo più anstaalten, di diritto del Lichtenstein -, assistenza di vari consulenti e/o soggetti “fiduciari” - quali MOLINERIS, DE PIETRI, KUNZ, RIBONI, ANGELICI, etc.) che hanno, evidentemente, avuto la precipua finalità di far perdere traccia dell’originaria provenienza del denaro. Più in dettaglio:

  • il denaro sequestrato dalle autorità elvetiche nell’Agosto 1982 (circa 9,6 milioni di Dollari statunitensi), individuato dopo il trasferimento su diversi conti non già più intestati a CARBONI, ma a varie società estere di comodo (Maserip. Saranco, etc.), pronto, quindi a essere trasferito anche solo a mezzo di cessione della titolarità di tali strumenti societari;

  • le somme di denaro che non sono state oggetto di sequestro (9,4 milioni di Dollari) sono state anch’esse oggetto di reiterate operazioni di spostamento di conti e di prelievo in contanti, tanto da potersi affermare che - salvo una parte (2,8 milioni di Dollari) destinata a “esigenze” di consumo / investimento e /o comunque a pagamenti riferiti a soggetti individuati (tra i quali, non dimentichiamo, DIOTALLEVI) - somme complessivamente pari a circa 6,6 milioni di Dollari (all’epoca dell’Agosto 1982, pari a circa 8,9 miliardi di Lire) sono state deliberatamente “utilizzate” da CARBONI, direttamente e/o per il tramite di suoi “prestanome” e/o fiduciari, anche nel periodo (Giugno – Agosto 1982) successivo all’omicidio, con modalità tali da non consentire l’identificazione dei “beneficiari ultimi” dei denari in parola,



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