La ricostruzione medico legale


Sull’inattendibilità di Francesco DI CARLO



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Sull’inattendibilità di Francesco DI CARLO

La difesa ha sostenuto che il suo racconto é frutto di fantasie e che la sua versione non è veridica, perché ha riferito di essere stato a Roma nel Giugno del 1982 per ragioni di svago. Poi, ha richiamato la pianificazione di un traffico di droga, assumendo di aver dimostrato che la circostanza non è vera perché la nave che trasportava lo stupefacente era già “arrivata qualche giorno precedente”.

I rilievi difensivi appaiono contraddittori, fondati su una non chiara cognizione delle indicazioni fornite dal collaborante e del tutto prive di qualsiasi pregio.

  1. Sull’inattendibilità di Angelo SIINO

Si è motivata la sua inattendibilità sul rilievo che si era pentito nel 1996, senza avere mai detto nulla dell’omicidio, sostenendo che deriva dalle previsioni della Legge del 2001.

La tesi difensiva è semplicistica e destituita di qualsiasi fondamento. Occorre prendere le mosse dalle spiegazioni fornite da SIINO, prima di affrontare l’eccezione già proposta nel giudizio di primo grado con riferimento alla normativa del 2001, che impone di riferire, a coloro che assumono lo status di collaboratore di giustizia, entro i 180 giorni, tenendo presente che SIINO ha iniziato la sua collaborazione nel 1997.

Sulle ragioni per le quali ha riferito quanto a sua conoscenza sull’omicidio di Roberto CALVI solo nel Febbraio del 2004.


SIINO ha articolato il suo racconto al riguardo nei seguenti termini.

Nessuno “del processo CALVI” glielo aveva chiesto in precedenza (si tratta di una circostanza pacifica). Quando gli veniva chiesto aveva risposto. Non gli era demandata la valutazione sull’importanza di quanto a sua conoscenza sul fatto e non era a conoscenza dell’esistenza della Legge del 2001 che imponeva l’obbligo di dire quanto a sua conoscenza entro un certo periodo di tempo (e non poteva esserlo). Conosceva molte cose che nessuno gli aveva mai chiesto. Aveva raccontato la storia della sua vita, riempiendo centinaia di pagine di verbale, e certamente la morte di CALVI non era il fatto principale della sua collaborazione, per cui, quando il pubblico ministero TESCAROLI glielo aveva chiesto, aveva cercato di dare il suo contributo. A domanda specifica dell’avv. OLIVIERO sul “come sapeva il dottor TESCAROLI” di quelle che erano le sue conoscenze sul punto, rispondeva dicendo che vi erano alcuni PM di altre città che gli erano andati a chiedere se sapesse qualcosa di alcune cose ed evidentemente significa che il magistrato “pensava che io potessi sapere qualcosa, e io mi sono messo a disposizione del dottor TESCAROLI e della giustizia” (vedi pag. 108 e 110, trasc. 28.3.2006).


In ordine all’eccezione sollevata dal difensore dell’imputato Giuseppe CALO’, in persona dell’avv. OLIVIERO, nel corso dell’udienza del 28.3.2006 (richiamata in qualche modo da uno dei difensori di CARBONI), sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Angelo SIINO oltre i 180 giorni dall’inizio della collaborazione, si osserva.

L’art. 25 della Legge 13.2.2001, nr. 45, estende le disposizioni di cui ai capi II, II bis e II ter del Decreto Legge 15.1.1991, nr. 8, anche alle persone che hanno manifestato la volontà di collaborare prima della data di entrata in vigore della normativa. Ne deriva che anche l’art. 14 della suddetta Legge del 2001 va applicato al caso di specie. Il comma 9 dell’art. 14 della Legge 13.2.2001, nr. 45, prevede che le dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, oltre il termine previsto dallo stesso comma 1 (vale a dire 180 giorni dalla manifestazione di volontà di collaborare e, per coloro che già hanno intrapreso tale scelta nel momento di entrata in vigore della legge, da tale data) non possono essere valutati ai fini della prova dei fatti in esse affermati contro le persone diverse dal dichiarante, salvo i casi di irreperibilità. La norma prevede l’inutilizzabilità con specifico riferimento alle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria e non per il caso di deposizione resa in dibattimento da chi assume lo status di collaboratore di giustizia nel contraddittorio delle parti. La sanzione in questione, disciplinata dall’art. 191 c.p.p., non può essere estesa a casi non previsti. Ne deriva, pertanto, che il comma 9 dell’art. 14 potrà essere applicato durante la fase delle indagini preliminari (così, a esempio, ai fini dell’applicazione di misure cautelari personali o reali, ovvero dell’instaurazione di nuovi procedimenti penali o della richiesta di intercettazioni, o dell’emissione di decreti di perquisizione o sequestro), ma non in fase dibattimentale. D’altro canto, vi è una differenza ontologica tra le indicazioni raccolte in fase d’indagine, che costituiscono elementi di prova, e l’esame che si compie in dibattimento del collaboratore di giustizia. Solo in tale ultimo caso il dichiarante viene sottoposto a una forma di pressione in virtù del contraddittorio e l’imputato può esercitare il proprio diritto di difesa, ponendo ogni tipo di domanda per verificare l’attendibilità del proprio accusatore. È, perciò, del tutto razionale una diversità di trattamento tra le indicazioni rese al p.m. e alla p.g. in fase d’indagine rispetto a quelle raccolte innanzi al giudice del dibattimento. Tale interpretazione viene corroborata dal principio del libero convincimento del giudice che permea la valutazione della prova nel processo. E, infatti, i limiti alla formazione del libero convincimento, che pongono i commi II e III dell’art. 192 c.p.p., sono eccezionali e non suscettibili di applicazione analogica. Mentre è stato stabilito per legge che gli elementi di prova ricavabili da chiamate in correità e in reità non siano autosufficienti e necessitino, quindi, di valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, alcun limite viene fatto derivare dalla tempistica con cui tali chiamate sono state acquisite.

In definitiva, la dichiarazione resa oltre 180 giorni dall’entrata in vigore della Legge del 2001 da chi riveste lo status di collaboratore può essere, dunque, utilizzata dal giudice ai fini della decisione nel suo potere di apprezzamento del materiale probatorio.


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