La vita e I miracoli



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7

Con il trascorrere del tempo, la posizione di Francesco Morcaldi a San Giovanni Rotondo diven­tava sempre più critica. I suoi amici cominciarono a dubitare di lui. Aveva fatto tante promesse, e con le sue iniziative aveva susci­tato tante speranze. Li aveva indotti a prendere decisioni gravi, a tradire la fiducia d’altri amici, ma non era accaduto niente. Nes­sun risultato positivo. Qualcuno pensava che Morcaldi, per interessi suoi personali, facesse il doppio gioco, che fingesse di sostenere la causa di Padre Pio ma in realtà fosse alleato dei potenti cardinali di Roma. Morcaldi sentiva questa diffidenza crescente. Ricevette delle let­tere anonime in cui veniva bollato come "traditore" e "venduto". "Questa non è più la mia patria" si disse amareggiato. E così i suoi viaggi a Roma si facevano sempre più frequenti, e i suoi sog­giorni nella città eterna sempre più lunghi. A Pasqua ricevette una lettera da Brunatto: l'amico gli annun­ciava che, per la fine d’aprile, sarebbe rientrato a Roma. Era una lettera breve e fredda. "Qualcuno ha provveduto ad avvertirlo di quanto è accaduto" pensò Morcaldi. Ne fu profondamente amareggiato, perché quel "qualcuno" doveva senz'altro appartenere al ristrettissimo grup­po di coloro che avevano collaborato con lui a consegnare libri e documenti al cardinale Rossi. "L’operazione è fallita" disse ancora fra sé Morcaldi "e adesso naturalmente danno tutta la colpa a Pazienza." Non se la sentiva di stare a Roma, nell'appartamento di via Tibullo, ad aspettare l'arrivo di Brunatto. Se ne andò. Prima a Na­poli, da alcuni parenti, poi a Campobasso. Ai primi di maggio, però, decise di tornare a Roma. "Ho combinato un guaio" si disse "ma in buona fede. Non de­vo scappare come un colpevole. Affronterò le mie responsabilità." Brunatto sapeva già tutto. Aveva gli occhi iniettati di sangue per la rabbia. Cominciò ad urlare e ad offendere. Morcaldi ascoltava pa­ziente, sapendo che l'amico aveva pienamente ragione. Ad un certo momento però si accorse che qualcosa non andava in quella sceneggiata. Tante volte aveva visto Brunatto in preda al furore, ma questa volta era diverso. Sembrava che la sua ira non fosse autentica. L'amico piangeva, imprecava, urlava, minacciava, sfoggiava un repertorio infinito d’offese, ma lo faceva con troppa baldanza. "Mi sta sicuramente nascondendo qualcosa" pensò Morcaldi. Sentiva che l'amico era molto arrabbiato, ma ancora pimpante, si­curo di sé. Non era disperato, sconfitto, come uno che ha perduto tutto. Era infuriato, ma consapevole d’avere ancora buone carte da giocare. Infatti, ad un certo punto della sua sfuriata, urlò con veemenza: - Vai, vai pure dai tuoi padroni e dì loro che io, nei miei archi­vi, ho ancora tanto di quel materiale che potrò riscrivere il libro, anzi, ne compilerò uno ancor più terribile, che questa volta farà veramente tremare il Vaticano. Quelle parole caddero come manna nella mente esausta di Morcaldi. I suoi occhi ebbero un lampo. Un'illuminazione folgorante accese la sua fantasia. "Ci siamo" pensò con un profondo senso d’orgoglio. "Mi ave­te fregato, ma è arrivato il vendicatore. Ora toccherà a voi fer­marlo, perché io non muoverò più un dito." Avrebbe voluto ringraziare l'amico, abbracciarlo, ma non era il caso. Se ne andò senza una parola, a testa bassa, fingendo di sen­tirsi straziato per il rimorso. In realtà, fremeva di soddisfazione. La matassa ingarbugliata degli avvenimenti si stava sciogliendo a suo favore. Lasciata la casa di Brunatto, Morcaldi si diresse alla chiesa di Santa Teresa per parlare con Padre Saverio. - Devo vedere subito il cardinale - gli disse concitato. - Perché? Che è successo? - domandò Padre Saverio. - Ho cose gravissime da comunicargli. - Le può dire a me. - Devo parlare direttamente con lui - tagliò corto Morcaldi con un tono che non ammetteva repliche. - Domani sera parto per San Giovanni. Se il cardinale è interessato à saperle, mi deve ricevere domattina. Questa notte dormirò alla pensione Sant'Anna, vicino al Vaticano. - E se ne andò. Al mattino presto, mentre stava facendo colazione alla pensione Sant'Anna, una persona gli portò un biglietto da parte di Padre Saverio. Morcaldi lo aprì subito e lesse: "L'appuntamento è fissa­to per mezzogiorno - Lei, Eminenza, non ha preso in considerazione le mie solleci­tazioni - esordì Morcaldi non appena si trovò nello studio del cardinale Rossi. - Pensava che io smaniassi per ragioni personali. Invece ero soltanto uno che sapeva vedere lontano. Adesso le cose sono cambiate. Io mi ritiro da questa vicenda, dirò ai miei amici di aver fallito. Ma ora lei dovrà vedersela con Brunatto. Aveva parlato rimanendo in piedi, entrando immediatamente in argomento, senza preamboli, con voce pacata ma triste. Il cardi­nale, colto di sorpresa, aveva nell'espressione del viso un senso di sconcerto e d’irritazione. - Si spieghi, per favore - disse freddo. - Non capisco che co­sa vuol dire. Mi esponga un argomento per volta. - È tornato il mio socio dalla Francia - spiegò calmo Morcaldi. - Ha saputo che le ho consegnato i libri e i documenti ed è andato su tutte le furie. Se ci fosse stata la liberazione di Padre Pio, come lei aveva promesso, tutto si sarebbe appianato, perché anche il mio amico si batte per lo stesso scopo. Ma la liberazione non c'è stata, e adesso le cose si mettono veramente male. - Mi dispiace molto per lei – commentò il porporato. - No, non deve dispiacersi per me, Eminenza. Deve dispiacersi per lei. - Che significa? - Lei non conosce Brunatto. Non può neppure immaginarselo. Si è arrabbiato con me, ma sa che io non c'entro. La sua vendetta sarà feroce contro di lei e contro il Vaticano. - Non vedo che cosa potrà fare - ribatté con sprezzante sicu­rezza il cardinale. - Lo saprà presto. Ieri sera, durante una tremenda sfuriata, tra insulti ed epiteti d’ogni genere, mi ha detto delle cose che forse potrebbero interessarla. Conoscendolo, sarei pronto a scommettere che le ha dette apposta perché io gliele riferissi. Mi ha urlato: "Vai, vai pure dai tuoi padroni e dì loro che io, nei miei archivi, ho ancora tanto di quel materiale che potrò riscrivere il libro, an­zi, ne compilerò uno ancor più terribile, che questa volta farà ve­ramente tremare il Vaticano". Lei, Eminenza, mi ha ingannato. Aveva promesso la liberazione di Padre Pio in cambio dei libri e dei documenti. Adesso dovrà vedersela con Brunatto. - È stato lei ad ingannare me - disse il cardinale Rossi alzando la voce. - Mi aveva giurato di avermi consegnato tutti i documenti. - Le ho consegnato tutto quello che avevo e di cui ero a cono­scenza. Ma Brunatto è più astuto di quanto pensassi. Non si è fi­dato neppure di me. Io non so che cosa abbia nascosto né dove lo custodisca. Ma è certo che possiede documenti in abbondanza. - Non ha più niente - insinuò il cardinale. - Finge, per otte­nere chissà che cosa. - Brunatto non finge - replicò Morcaldi. - Me ne sarei ac­corto. Era troppo sicuro di sé e per niente disperato. E un uomo molto pericoloso, se lo ricordi. - Intende minacciarmi? - Nessuna minaccia, Eminenza, solo qualche informazione, che probabilmente le sarà molto preziosa quando dovrà discutere con quel mio ex amico. - Comprendo la sua delusione - disse il cardinale cambiando tono - ma le assicuro che ho fatto di tutto per mantenere quanto le avevo promesso. È una pratica complessa, tuttora in corso, e sono certo di portarla a buon fine. - Sono esattamente sette mesi che me lo ripete. Mi auguro che arrivi presto in porto, soprattutto per Padre Pio. A me, a questo punto, non interessa più. L’operazione che abbiamo condotto in­sieme, con la consegna dei libri e dei documenti, è superata. Ades­so ne inizia un'altra che fa capo soltanto a Brunatto. Io non ci posso più fare niente. - Io conosco lei, ho preso impegni con lei e continuerò a trat­tare sulla base degli accordi che abbiamo raggiunto. Se insorge­ranno nuove difficoltà, le affronteremo a tempo debito. - La ringrazio della fiducia, però le consiglio di non pensare più a me, a quello che ci siamo detti, ma di tenere d'occhio Brunatto. - Mi sembra che lei abbia paura di questo suo amico. - Non ho paura: lo conosco e so di che cosa è capace. - La Chiesa non ha paura di nessuno. Tratteremo anche con lui - disse il cardinale. - Me lo auguro - rispose Morcaldi. - Così potrà apprezzare la mia onesta e assoluta devozione per la Chiesa. Morcaldi salutò cortesemente e se ne andò. Tornò nell'apparta­mento di via Tibullo. Brunatto non c'era. Raccolse le proprie co­se. Dopo quanto era accaduto, non poteva più vivere in quella ca­sa. Si fermò ancora una notte alla pensione Sant'Anna e il giorno dopo ripartì per San Giovanni Rotondo.

8

Francesco Morcaldi passo un estate orribile a San Giovanni Rotondo. Caldo, afa, noia e tanta tristez­za. Il suo morale era a terra. Sentiva di aver fallito nell'impresa più importante della sua vita. Aveva tradito la fiducia di un grande ami­co con il proposito di ottenere un vantaggio per Padre Pio, ma senza risultato. Il Padre continuava a vivere recluso. Morcaldi aveva chiesto di­verse volte al Guardiano di poterlo incontrare, ma la risposta era sempre la stessa: - Padre Pio dice che è meglio evitare. Ogni tanto si recava al convento. Passeggiava sul sagrato della chiesetta, che era tornato deserto e silenzioso come prima dell'arri­vo del Padre. I rari pellegrini che ancora si avventuravano fin lassù erano smarriti e incerti, come lui. Da Roma continuavano ad arrivare lettere di Padre Saverio e di Padre Bini con l'assicurazione che la pratica andava avanti. Morcaldi leggeva e sorrideva malinconico. "La pratica procede" com­mentava fra sé tristemente. "È da un anno che procede." Gli amici di San Giovanni Rotondo, a poco a poco, si resero con­to che Morcaldi era stato ingannato in buona fede. Non era affatto un "traditore", un "venduto", come spesso lo avevano bollato. Aveva giocato una partita rischiosa e gli era andata male. Ma forse era stata la scelta più saggia che si potesse fare. E poi avevano sapu­to che anche Padre Pio l'aveva approvata. Cercarono di coinvolgere Morcaldi in altre iniziative a favore del Padre. Lui dava la sua adesione, ma non aveva più voglia di lottare. Sentiva molto anche il dolore per aver perduto l'amicizia di Brunatto. Insieme avevano sofferto e si erano battuti per Padre Pio. E adesso non si parlavano, non si scrivevano più. Tutto finito. Matteo Merla e Antonio Massa desideravano ricucire lo strappo. Continuavano a tenere contatti epistolari con Brunatto a Parigi, ma con fatica. Brunatto era sospettoso. Non dava notizie di sé, del pro­prio lavoro. Invece chiedeva sempre informazioni su Padre Pio. Verso la metà di novembre del 1932 Brunatto inviò una lettera ad Antonio Massa. Con il pretesto di rispondere ad alcune osser­vazioni dell'amico, scopriva finalmente le proprie carte. Parlava di sé e di quello che stava combinando. Una lettera lunga, dettaglia­ta, perfino violenta. Era evidentemente un messaggio che Brunatto voleva far conoscere a tutti coloro che come lui si battevano per la causa di Padre Pio. E voleva farlo conoscere anche in Vati­cano, al Sant'Uffizio. Antonio Massa convocò gli amici e andò lui stesso a casa di Morcaldi per convincerlo a partecipare alla riunione. - Mi ha Scritto Emanuele, ma la lettera è indirizzata a tutti noi. È importante, devi venire. - Non ne ho voglia - rispose pigramente Morcaldi, ma in realtà la visita di Massa gli aveva fatto piacere e finì per promettere che quella sera sarebbe stato presente. - Questa lettera - esordì Massa mostrandola agli amici quan­do si trovarono come al solito a casa delle sorelle Serritelli - è un pò imbarazzante per noi. Dimostra che Emanuele ormai è deciso a pubblicare i suoi documenti a qualunque costo. Ma noi sappia­mo che Padre Pio non vuole gesti estremi, scandali, attacchi alla Chiesa. Nel mese d’aprile, quando Emanuele è venuto a Roma, il Padre gli ha inviato un biglietto per invitarlo a ripartire per Parigi. Temeva che, con le sue intemperanze, mandasse a monte le tratta­tive pacifiche che Francesco stava conducendo con il cardinale Rossi. - Trattative che non hanno mai dato frutti - lo interruppe tri­ste Morcaldi. - Ma che Padre Pio comunque aveva approvato. - Magra consolazione, visti i risultati. - In ogni caso, il discorso non è stato chiuso, e il cardinale continua a far sapere che intende mantenere le promesse. Io riten­go perciò che le intenzioni bellicose di Brunatto potrebbero essere assai nocive. - Facci sapere che cosa ha scritto, se vuoi che possiamo valuta­re - suggerì Matteo Merla. Antonio Massa prese la lettera e si mise a leggerla. Caro Antonio, stai diventando un coniglio. La tua lettera è un'altra prova della stu­pida arrendevolezza e della gretta mentalità che indusse Morcaldi a ce­dere, senza neanche il piatto di lenticchie, un patrimonio che era costato sacrifici incalcolabili ai barattieri, ai sodomiti che si annidano, o peggio, che trionfano, nella Chiesa di Cristo. Non vi è possibilità d'intenderci con voi e con i vostri morbidi sistemi. Da nove anni vado subendo mortificazioni, umiliazioni e diffama­zioni d’ogni genere per aver voluto troppo ascoltare i vostri consigli di prudenza! Ma adesso non mi sento di dover sopportare il peso della viltà e del­lo spergiuro. Ormai non sono più solo. Per sostenere questa lotta improba e co­lossale mi sono dovuto associare con altri amici di provata fedeltà e d’indiscusso valore giornalistico e politico. Siamo legati da un giuramen­to sacro, che porterebbe le più gravi conseguenze a chi dovesse infran­gerlo, e il lavoro vedrà comunque la luce. Lutero, di cui tu vorresti farmi emulo, mirava a scardinare la Chiesa di Cristo. Noi miriamo a purificarla da quelli che la insozzano e la stupra­no. Nessuna scomunica potrà farci paura. L'universalità dei fedeli giudi­cherà al lume di documenti inconfutabili. Avrei puntualmente mantenuto la promessa fatta al cardinale Rossi nella mia lettera del mese d’agosto scorso, se non avessi dovuto provve­dere a tradurre il testo nelle diverse lingue. Ma il tempo perduto sarà largamente compensato dalla maggior diffusione in edizioni popolari ed economiche e dalla perfezione dell'opera, in cui vedranno la luce altri documenti (in confronto dei quali quelli sottratti sono balocchi sfuggiti provvidenzialmente alla vostra razzia. Un'importante casa editrice mi ha fatto proposte molto vantaggiose per acquistare l'opera. Non ho ceduto, temendo che volesse deliberata­mente monopolizzare il lavoro per sottrarlo alla circolazione. Caro Antonio, lontano dalla patria e dai miei, volontariamente esilia­to in terra straniera, sento la nostalgia dei giorni trascorsi nella tranquil­la serenità dell'eremo di San Giovanni, vicino al buon Padre che seppe rinnovare e trasformare il mio spirito sommerso nelle miserie della vita. Sia questa per te come la confessione di un morente. Non infrangere il segreto neanche con il Padre. Da circa dieci anni mi vado battendo perché dall'autorità ecclesia­stica sia fatta giustizia intorno ai fatti accertati dalla visita apostolica a San Giovanni Rotondo. Purtroppo, non solo i colpevoli rimangono impuniti, ma, anzi, per quanto ho ultimamente appreso, i sacerdoti de­linquenti amnistiati vengono premiati dal nuovo arcivescovo di Man­fredonia. Se finalmente giustizia sarà fatta, e inoltre all'Innocente e al Giusto verrà dato pieno apostolato e non gli saranno più recate molestie di sor­ta, la mia opera, che pure costa tante fatiche, rimarrà occulta in omag­gio alla giustizia finalmente resa. Ma se, come tutto fa supporre, ciò dovesse ritardare, nessuna po­tenza umana arresterà il corso fatale della storia. Questa è la condizione imposta dai miei amici. Con immutato affetto ti abbraccio. Emanuele - Bisogna portare quanto prima questa lettera al cardinale Rossi - disse Morcaldi come uscendo da un letargo. - Emanuele mi raccomanda il segreto - obiettò Massa. - Di­ce che non devo parlarne neppure con il Padre.- Emanuele ha scritto a te con l'evidente intenzione che tu fac­cia leggere la lettera a me e che io la porti al cardinale. Vuole far sapere che è pronto a divulgare il libro, ma è cosciente che si trat­ta di un gesto estremo che solleverà un grave scandalo. E quindi tenta un'ultima mediazione. La conclusione della lettera è chiara: offre ancora una trattativa. Dice di essere disposto a fermarsi se verrà concessa la libertà al Padre. Dobbiamo portare la lettera al cardinale per due ragioni: impedire le pubblicazione di quel libro e tentare ancora una volta di ottenere la liberazione di Padre Pio. - Forse hai ragione - disse Massa. - Certo che ho ragione - ribatté deciso Morcaldi. - Lo cono­sco bene Emanuele. - Chi porta la lettera al cardinale Rossi? - Ci vado io, devo andarci io - precisò Morcaldi. - Il cardi­nale ha una trattativa aperta con me, e chissà che, riprendendo i contatti, non si decida a mantenere le promesse fatte. Francesco Morcaldi aveva una gran voglia di tornare in attività dopo mesi di delusioni e di pigrizia. La tristezza del fallimento lo aveva come paralizzato, e aveva trascorso tutti quei mesi vittima di un'abulia patologica. Certi giorni non si faceva neppure la bar­ba. Ora le sferzate della lettera di Brunatto lo avevano risvegliato e si sentiva pieno d’energie come un tempo. Si organizzò per tornare a Roma. Sapeva che doveva disporre al­meno di una settimana, perché la burocrazia vaticana era lenta. Per ottenere un appuntamento con un cardinale, s6prattutto se titolare di una Sacra Congregazione, bisognava aspettare giorni e giorni. Faceva già freddo. Certe mattine erano rigide. Ricordò che un anno prima, più o meno negli stessi giorni, era stato a Roma per incontrare il cardinale, e in quell'occasione l'illustre porporato gli aveva detto: - Stia tranquillo, ho promesso e manterrò. Era tornato da lui nel mese d’aprile, dopo lo scontro con Brunatto. Allora aveva riferito al porporato le parole minacciose dell'amico adirato. Adesso gli avrebbe riferito l'esito di quelle minacce. Du­rante l'estate Brunatto si era dato da fare per organizzare e realiz­zare quanto promesso. Morcaldi prese alloggio alla pensione Sant'Anna, che era diven­tata il suo quartier generale nella capitale. Andò subito da Padre Sa­verio e gli consegnò una copia della lettera di Brunatto dicendogli: - Deve farla avere con urgenza a sua Eminenza, e gli dica che voglio parlargli al più presto anch'io. Padre Saverio lesse la lettera. - È terribile - commentò mettendosi le mani nei capelli. Morcaldi poi prese contatto con Padre Bini, Don Orione e il dottor Festa. A tutti mostrava una copia della lettera. Voleva che la notizia di quella nuova iniziativa si diffondesse, seminasse il pa­nico. Diceva a tutti che il nuovo libro di Emanuele era veramente spaventoso. La voce circolò veloce negli ambienti giusti provocando l'effetto desiderato. Ingigantita dalla fantasia di coloro che la riferivano, decise di ricevere Morcaldi, che, tramite Padre Saverio, da giorni gli aveva chiesto udienza. Il nuovo incontro di Morcaldi con il cardinale Rossi fu piutto­sto imbarazzante. Sua Eminenza si sentiva a disagio. Capiva di es­sere in torto. Era trascorso molto tempo dalle sue promesse, e non le aveva ancora mantenute. Morcaldi, tuttavia, non fece alcun ac­cenno a vicende che ormai appartenevano al passato. Gli sviluppi della situazione erano assai più importanti. - Come avevo previsto - disse Morcaldi - Brunatto ha rea­lizzato quanto aveva minacciato a suo tempo. - Ho letto la lettera - rispose il cardinale. - Dunque si è reso conto che sta per scoppiare la bomba. - Secondo lei, quello che lascia intendere ha un fondamento di realtà? - La lettera è stata scritta perché fosse portata in Vaticano – rispose Morcaldi. - Ma è abitudine di Brunatto parlare soltanto quando ha già realizzato i suoi piani. - Quindi il nuovo libro cui accenna esisterebbe già. - È pronto per essere divulgato. - Che cosa può avere di nuovo in mano il signor Brunatto? - domandò il cardinale visibilmente preoccupato. - A quanto ho potuto sapere in questi mesi - rispose Morcaldi con una certa baldanza, soddisfatto di vedere il cardinale a di­sagio - possiede molti altri documenti legati alla vicenda di Pa­dre Pio che non mi aveva dato per scrivere Lettera alla Chiesa. Documenti, quindi, di cui neppure io conosco l'esistenza e che Brunatto aveva nascosto all'estero. - Saranno più o meno gli stessi che abbiamo ritirato noi. -.Non sembra proprio - obiettò Morcaldi con l'intenzione di spaventare Sua Eminenza. - Brunatto non aveva voluto utilizzarli in quel libro giudicandoli lui stesso troppo deleteri per l'immagine della Chiesa. Adesso li tira fuori perché è esasperato. - Si sa qualcosa di più preciso circa questo nuovo libro? - Si conosce il titolo: Gli anticristi nella Chiesa di Cristo. È un grosso volume diviso in due parti; la prima si intitola "I fatti", la se­conda "I documenti". È stato stampato da una casa editrice costi­tuita allo scopo che si chiama "Aldana". Brunatto lo ha firmato con lo pseudonimo di John Willoughby. È già pronta la prima edi­zione in cinque lingue. Sotto il titolo, in copertina, si legge: "Tre­cento documenti originali che sfidano ogni velleità di smentita co­stituiscono l'armatura di questo formidabile atto di accusa". - Quante cose conosce! Perché non me ne ha parlato prima? - Lei era diventato latitante. - Che cos'altro sa? -Mentre nella mia Lettera alla Chiesa venivano attaccate le persone implicate nelle calunnie a Padre Pio, in questo libro la de­nuncia si allarga. I documenti riportati riguardano. anche alte per­sonalità della Chiesa che non hanno niente a che fare con Padre Pio. Lei sa bene che nel 1927 Brunatto ricevette l'incarico ufficiale scritto dal cardinale Gasparri, allora segretario di Stato, di esegui­re, per espresso desiderio del Papa, delicatissime indagini su una grave vicenda che coinvolgeva importanti ecclesiastici. Mentre svolgeva quel lavoro gli capitarono per le mani documenti estre­mamente riservati. Ha tirato fuori tutto inserendolo nel suo libro. - A quale scopo? - Dimostrare appunto che all'interno della Chiesa operano a volte anche persone abiette. - Una faccenda davvero preoccupante - commentò il cardinale. - Che l'azione di Brunatto sia dettata dalla rabbia - prosegui Morcaldi - lo dimostra anche un altro dettaglio. Della Lettera alla Chiesa aveva fatto stampare solo 1000 copie in lingua italiana. Di questo sono già pronte l'edizione di lusso in cinque lingue e le edi­zioni economiche. Intende raggiungere un vasto pubblico interna­zionale. L’intera operazione costerà certamente un patrimonio: è evidente che ha trovato dei finanziatori, e non credo che siano de­voti di Padre Pio, quanto piuttosto nemici della Chiesa di Roma. - Devo parlare con il Papa - disse ancora il cardinale. - Si ricordi, Eminenza, c'è un solo modo per fermare Brunatto: la liberazione di Padre Pio. Qualunque altra proposta non farebbe che aumentare la sua ira. - So che lei ha ragione. Però, mi creda, se non è già stato raggiun­to l'obiettivo che noi due ci eravamo proposti un anno fa, la colpa non è mia. Ho fatto il possibile per mantenere le mie promesse. An­che perché agivo a nome del Santo Padre. Gli ostacoli che ho incon­trato sono risultati imprevedibili e mi hanno veramente sconcertato. - Capisco - disse Morcaldi. - Comunque, da quanto ha visto e constatato può intuire la grandezza di Padre Pio. Non si combatte una persona con tanto accanimento se questa non ha un ruolo im­portantissimo da svolgere nella storia della Chiesa. I nemici del Pa­dre non sono i cardinali, i vescovi, i prelati, cioè coloro che lo osta­colano. Il suo nemico è il Maligno che si serve di quelle persone. - È una lettura del "caso" assai suggestiva, e potrebbe anche essere esatta. In ogni caso ci vedremo al termine delle feste di Na­tale, e spero con buone notizie. Mi permetta di farle gli auguri. Morcaldi sentì che il cardinale Rossi era sincero e, nonostante tutto quello che era accaduto tra di loro, provò per lui un senti­mento di simpatia. Gli andò incontro e baciò devotamente la ma­no che il cardinale gli aveva porto per stringere la sua. Il cardinale Raffaello Rossi approfittò della pausa concessa dal­le feste natalizie e di fine anno per studiare attentamente il conte­nuto della lettera di Emanuele Brunatto ad Antonio Massa e ri­flettere su quanto gli aveva riferito Morcaldi. Cercò di ottenere, - attraverso canali riservati, anche informazioni da Parigi, che con­fermarono quanto ormai sapeva. La situazione stava prendendo una brutta piega. Per fortuna evolveva lentamente, in quanto Brunatto attendeva sempre segna-li distensivi. Terminate le feste natalizie, alla ripresa dell'attività in Vaticano, il cardinale Rossi volle incontrare il cardinale Sbarretti, segretario del Sant'Uffizio, il dicastero responsabile del "caso Padre Pio". - Lo scorso anno abbiamo evitato la pubblicazione di un libro dannoso per noi - esordì - ma adesso ne è in arrivo uno assai più imbarazzante. - E gli fece leggere la lettera di Brunatto. - Dobbiamo fermare questo pazzo scatenato - disse Sbarretti. - Sembra che non sia un tipo malleabile. - Bisogna ricorrere a Padre Pio - affermò deciso il cardinale Sbarretti. - Questo Brunatto è un fanatico, e come tutti i fanatici agisce per far piacere al proprio leader. Se Padre Pio gli dà un or­dine, obbedisce ciecamente. Ci penso io, stia tranquillo. Tra qual­che settimana non si parlerà più di questo nuovo libro. - Non sarebbe più semplice concedere a Brunatto ciò che chie­de? - azzardò il cardinale Rossi. - Il Sant'Uffizio non può scendere a patti con un qualsiasi laico sconosciuto, un malfattore da quattro soldi, a quanto mi hanno ri­ferito - rispose il cardinale Sbarretti con disprezzo, guardando sor­preso l'illustre collega che aveva osato avanzare una proposta del genere. - Nella sua lunga storia Il Sant'Uffizio non ha mai ritirato un proprio decreto. Il Sant'Uffizio è la Chiesa: non sbaglia mai, non può sbagliare. Il cardinale Rossi rimase sbalordito da tanta sicurezza. Non con­divideva quell'atteggiamento intransigente, ma capì che non pote­va permettersi di criticare, perché erano questioni appartenenti a un dicastero su cui non aveva giurisdizione. - Siamo nel ventesimo secolo e non nel Medioevo - borbottò tra i denti andandosene. Il cardinale Sbarretti era sicuro che un intervento diretto di Pa­dre Pio avrebbe fermato la spregiudicata iniziativa di Brunatto a Parigi. Costringere il religioso a scrivergli era la cosa più facile di questo mondo. Bastava ordinarglielo per "obbedienza". Non vol­le tuttavia esercitare brutalmente la propria autorità. - Meglio le vie diplomatiche - diceva sempre. Convocò Monsignor Luca Pasetto, vescovo Cappuccino, dunque appartenente allo stesso Ordine religioso di Padre Pio. Gli spiegò la vicenda e lo mandò a San Giovanni Rotondo, allo scopo di convincere il Padre a scrivere a Brunatto per proibirgli di pubblicare il nuovo libro. - Si rende conto che la diffusione di quel libro sarebbe molto dannosa, oltre che per la Chiesa, anche per Padre Pio? - domandò il cardinale a Monsignor Pasetto. - Certo, Eminenza. - Glielo spieghi bene a quel suo confratello - continuò il cardi­nale parlando con estrema decisione. - Gli dica che quel libro, in un certo senso, lo ha provocato lui. Se sarà pubblicato, n’avrà sulla coscienza le conseguenze, lo scandalo, il danno che subirà la Chiesa. Glielo dica chiaramente. Deve riuscire a fermarne la pubblicazione! Monsignor Pasetto era schiacciato dalla personalità imponente del cardinale Sbarretti. Si sentiva smarrito in quell'ufficio severo e immenso, e quando poté andarsene trasse un sospiro di sollievo. Intuì che l'incarico era un pò sporco. In sostanza sarebbe dovuto andare a ricattare Padre Pio, imponendogli di scrivere una lettera che forse non avrebbe gradito scrivere. Pensò di farsi accompagnare da una persona che il Padre conosceva e stimava: Monsignor Bevilacqua, il vescovo che nel 1927 aveva avuto il coraggio di condurre un'inchiesta smascherando i calunniatori del Padre. "Vedendomi in compagnia di Bevilacqua, forse si fiderà un pò di più" si disse. I due prelati arrivarono al convento di Santa Maria delle Grazie la sera del 28 marzo 1933. Andarono insieme a salutare Padre Pio, poi Monsignor Pasetto rimase a colloquio con lui. - Il cardinale Sbarretti le chiede di fermare Brunatto, che sta compiendo un'altra delle sue vergognose iniziative ai danni della Chiesa. - Sono pronto a fare tutto quello che mi si chiede - rispose Padre Pio. - Dovrebbe scrivere una lettera a quell'individuo. - Non so quanto potrà servire. - È un suo "figlio spirituale", dovrà ascoltarla. - È un figlio ribelle. Non mi ascolterà. - Lei scriva, poi ci pensiamo noi. Così ha stabilito il cardinale Sbarretti. - Se è stabilito, obbedisco - mormorò Padre Pio. Rimase qualche secondo a riflettere e poi domandò: - In concreto, che cosa dovrei dirgli? - Deve disapprovare quanto sta facendo, spiegargli che è in­giusto mettersi contro la Chiesa, che lei si dissocia. Poi faccia per­venire la lettera al Padre provinciale a Foggia: ci penserà lui a spe­dirla al signor Brunatto. Padre Pio stette ancora a lungo in silenzio. Poi disse: - Lo farò. Ma non creda che si riesca ad ottenere qualcosa da quella testa matta: scatenerà un pandemonio. I due prelati rimasero a pranzo. Pasetto confidò al Guardiano di essere rimasto molto colpito dall'umiltà e dalla calma di Padre Pio. Nella serata ripartirono. Dovevano fermarsi a Foggia per parlare con il Provinciale. Nei giorni successivi Padre Pio si dedicò a quella dolorosa ini­ziativa. Scrivere una lettera era una cosa semplice. Si rallegrava all'idea di far giungere ad Emanuele un suo scritto. Però avrebbe voluto scrivergli con il cuore, raccomandargli d’essere cauto, pru­dente. Ripetergli quel che gli aveva detto tante volte: "Bisogna ba­ciare sempre la mano dolce della Chiesa, anche quando ti percuo­te". Invece era costretto a scrivergli per ottenere qualcosa. Una lettera che non aveva un'origine d'amore, spontanea, e ciò provo­cava nel cuore di Padre Pio un senso di disagio. Egli disapprovava quanto Brunatto stava facendo. Lo aveva sempre disapprovato, ma era diverso scrivergli d'istinto, per un impulso di sollecitudine, e invece farlo per un'imposizione d’estranei. Padre Pio sapeva che, al solo sentir nominare il Sant'Uffizio, Brunatto si sarebbe ar­rabbiato ancor di più. Comunque, obbedì. Scrisse, ripetendo in pratica quanto gli era stato suggerito da Monsignor Pasetto. La lettera fu portata a Foggia, com’era stato stabilito. Il Pa­dre provinciale la èsaminò e poi, in data 31 marzo, la spedì a Parigi. Quattro giorni dopo, il 4 aprile, dalla capitale francese arrivò un espresso indirizzato a Padre Pio. Era la risposta di Brunatto. Come il Padre aveva previsto, si trattava di un netto rifiuto di obbedire. Era il grido di rabbia e di dolore di un uomo irato che non intende­va trattare con persone che disprezzava e odiava. Brunatto, inoltre, aveva capito che il Padre era stato costretto dal­l'obbedienza a scrivere quella lettera. Fin dal 1923, infatti, Padre Pio aveva ricevuto la proibizione assoluta di tenere corrispondenza con chiunque, e mai avrebbe preso la penna per scrivergli di sua ini­ziativa. E nella sua risposta volle precisare che, questa volta, non avrebbe obbedito neppure se la lettera fosse stata scritta liberamen­te dal Padre, perché era convinto di battersi per una giusta causa. Venerato e amatissimo Padre, ho ricevuto la sua lettera datata 28 marzo da San Giovanni Roton­do e spedita il 31 da. Foggia, in una busta che porta il mio indirizzo battuto dalla macchina della Casa provincializia. Grande è la mia me­raviglia! Iddio sa quanto ho sospirato, inutilmente, per anni, un suo scritto! Ma, ora, ne debbo dedurre che, se ella mi ha scritto diretta­mente, malgrado il noto e crudele divieto, lo ha fatto perché glielo hanno ordinato. È questo che è cagione di ancor più grande meraviglia. Se tali ordini provengono dalla Casa generalizia, vi è davvero da restare edificati che il Generale dei Cappuccini, anziché far valere i suoi diritti di padre contro i persecutori del proprio figlio innocente, si associ alle spie per consegnare la sua testa nelle mani del carnefice, mentre il suo primo dovere è di difenderlo a costo della vita. Io non esito a qualificare sacrilega una tale azione, e per di più inu­tile, poiché se si vuole il nostro silenzio non vale tentare di ricattarci, nel nostro amore e nella nostra venerazione per lei, non altrimenti che invano si sono fatte risuonare alle nostre orecchie ogni sorta di ridico­le minacce. Il prezzo del nostro silenzio, il prezzo del libro, è noto: la liberazione del Giusto e l'allontanamento del colpevole. A questo atto di giustizia vi è un solo impedimento: il diabolico orgoglio dei giudici. La lettera fu inviata a Roma e consegnata in Vaticano. Il cardina­le Rossi, intanto, aveva ricevuto una copia del libro Gli anticristi nella Chiesa del Cristo. La portò al Papa. Pio XI era contrariato. - Possibile che non si riesca a risolvere pacificamente questo problema? - domandò con tono amareggiato. - Non stiamo mica trattando un affare di Stato. - Questo Brunatto è uno strano individuo - rispose il cardinale. - Me ne rendo conto - replicò il Papa mostrando al cardinale Rossi la lettera che Brunatto aveva inviato a Padre Pio. - Il cardina­le Sbarretti pensava che avrebbe obbedito a quello che ritiene sia il suo "Padre spirituale". Perciò gli aveva fatto scrivere invitandolo a desistere dalla sua iniziativa. Ma, come vede, non ne vuoi sapere. - A quanto mi è stato detto, è un individuo dal passato molto turbolento. Non teme niente, neppure la scomunica. E fissato con questa idea della liberazione di Padre Pio, - Mi sembra che avevamo già parlato un anno fa di questa faccenda, e in un anno non si è trovata la formula adatta per arri­vare ad una conclusione indolore? - Il Sant'Uffizio resta irremovibile nelle sue decisioni. - Sono tutti irremovibili, intrattabili, che pretendono? Che sia sempre il Papa a cedere? Pio XI era proprio di cattivo umore. Il cardinale se ne stette zit­to. Sapeva che quando il Papa aveva la luna di traverso diventava scontroso. Non gli andava mai bene niente. Meglio starsene zitti. Dopo un lungo silenzio Pio XI disse: - Mi cerchi Monsignor Enrico Conti, quel giovane lombardo amico del compianto cardinale Merry Del VaI. A suo tempo aveva seguito il "caso Padre Pio". Forse potrebbe darci ancora un valido contributo. - Lo farò subito, Santità. Il cardinale baciò la mano del Pontefice e tornò nei propri uffici. Monsignor Conti non era più tanto giovane. Gli anni erano pas­sati anche per lui. Tuttavia, coloro che lo avevano conosciuto se lo ricordavano sempre con quel suo aspetto che sprizzava energia e ottimismo. Il cardinale Rossi Io fece cercare. Era a Istanbul per una missio­ne riservata. Prima di morire, Merry Del Val lo aveva raccoman­dato al Papa. "È giovane, ma bravo" gli aveva detto. E Pio XI, che aveva sempre avuto una grande stima di Merry Del Val, aveva tenuto conto di quelle parole. In seguito, infatti, aveva nominato Conti vescovo affidandogli incarichi molto delicati e im­portanti. Il cardinale Rossi, attraverso i canali diplomatici, gli fece perve­nire un messaggio con cui lo sollecitava a rientrare al più presto a Roma. E quando Conti arrivò in Vaticano gli fece ottenere subito un incontro con il Papa. - Ho bisogno del suo aiuto immediato - gli disse il Papa salu­tandolo con cordialità Si ricordò di averlo conosciuto a Milano, all'inizio degli anni Venti, quando era direttore della Biblioteca Ambrosiana. A quel tempo aveva apprezzato la viva intelligenza di quel giovane sacerdote e lo aveva segnalato al cardinale perché lo inviasse a Roma, a perfezionarsi negli studi presso le Università del­lo Stato Pontificio. Pensava di farne un professore, ma poi Conti era stato trattenuto nella città eterna dal cardinale Merry Del Val. Pio XI spiegò al Monsignore le vicende del libro di Brunatto. - Deve andare a Parigi e fermare la divulgazione di quel volu­me - disse. - Conosco Emanuele Brunatto - rispose Conti. - Temo che il mio viaggio a Parigi non porterà risultati positivi. - Anche lei ha paura di quell'individuo? Ma chi è mai? - Forse un fanatico, o forse solo un romantico. Comunque, uno che quando ha un'idea in testa non la cambia per nessuna ragione. - Tentiamo - disse il Papa. - Parto questa sera stessa - rispose Monsignor Conti.

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