Margaret atwood



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portarla e lei gli ha sorriso, un sorriso furtivo, i piccoli denti bluastri attor-

no ai bordi, come latte scremato. Di notte la mia macchina da scrivere vi

disturba? ha azzardato - alludendo al fatto che a quell'ora è sveglio, che li

sente. No, per niente. Sguardo vuoto, ottuso come quello di una giovenca.

Cerchi scuri sotto gli occhi, linee all'ingiù incise dal naso agli angoli della

bocca. Lui dubita che le attività notturne siano una sua idea. Sono troppo

veloci, tanto per cominciare - il tizio entra ed esce come un rapinatore di

banche. Lei porta scritto su tutta se stessa cavallo da soma; probabilmente

fissa il soffitto, pensa a lavare il pavimento.

La sua stanza è stata ricavata dividendone in due una più grande, il che

spiega l'inconsistenza della parete. Lo spazio è stretto e freddo: spifferi en-

trano dal telaio della finestra, il radiatore sferraglia e gocciola, ma non ri-

scalda. Un gabinetto nascosto in un angolo gelido, la tazza macchiata di un

arancione velenoso da vecchio piscio e ferro, e una cabina per la doccia

fatta di zinco, con una tenda di gomma sudicia per l'età. La doccia è un tu-

bo nero che corre su per la parete, con una cipolla rotonda di metallo fora-

to. Il rivolo d'acqua che ne esce è di un gelo polare. Un letto a scomparsa,

montato con poca perizia, cosicché deve fare i salti mortali per tirarlo giù;

un piano di lavoro di compensato messo insieme con chiodini, un tempo

dipinto di giallo. Un fornelletto a un fuoco. La tetraggine ricopre ogni cosa

come fuliggine.

In confronto a dove potrebbe essere adesso, è un palazzo.

Ha mollato i suoi compagni. Ha tagliato la corda, non ha lasciato indi-

rizzi. Non sarebbe dovuto occorrere tanto tempo per rimediare un passa-

porto, o i due passaporti di cui ha bisogno. Ha intuito che lo stavano te-

nendo in caldo come assicurazione: se qualcuno a loro parere più impor-

tante fosse stato preso, avrebbero potuto scambiarlo con lui. Forse stavano

pensando di consegnarlo comunque alla polizia. Sarebbe stato un magnifi-

co capro espiatorio: era sacrificabile, non aveva mai aderito veramente alle

loro idee. Un compagno di viaggio che non andava abbastanza lontano o

abbastanza in fretta. A loro non piaceva la sua erudizione, per quello che

valeva; a loro non piaceva il suo scetticismo, che scambiavano per superfi-

cialità. Solo perché Tizio ha torto non vuol dire che Caio abbia ragione,

aveva detto una volta. Probabilmente se l'erano segnato per ogni eventuali-

tà. Avevano le loro piccole liste.

Forse volevano il loro martire, il loro Sacco e Vanzetti in versione sin-

gola. Dopo che l'avranno messo in croce fino a farlo diventare un Rosso, la

sua faccia patibolare su tutti i giornali, riveleranno alcune prove della sua

innocenza - raccogliendo a proprio vantaggio lo sdegno dell'opinione pub-

blica. Guardate cosa fa il sistema! Un vero e proprio assassinio! Non c'è

giustizia! È questo il modo di pensare dei compagni. Come una partita di

scacchi. E lui è il pedone da sacrificare.

Va alla finestra, guarda fuori. Ghiaccioli come zanne brunastre pendono

al di là dei vetri, prendendo il colore dal tetto. Pensa al nome di lei circon-

dato da un'aura elettrica - eccitazione sessuale come neon blu. Dov'è? Non

prenderà un taxi, non fino a destinazione, è troppo sveglia per farlo. Os-

serva la fermata del tram, desiderando che si materializzi. Che scenda giù

facendo balenare una gamba, una scarpa con il tacco alto, meglio se costo-

sa. Fica sui trampoli. Perché pensa certe cose, visto che se un altro uomo

qualsiasi la chiamasse così picchierebbe quel bastardo?

Indosserà una pelliccia. La disprezzerà per questo, le chiederà di tenerse-

la addosso. Con la pelliccia dall'inizio alla fine.

L'ultima volta che l'ha vista aveva un livido sulla coscia. Aveva deside-

rato di averglielo fatto lui. Cos'è? Ho sbattuto contro una porta. Sa sempre

quando mente. O crede di saperlo. Pensare di saperlo può essere una trap-

pola. Un ex professore una volta gli aveva detto che aveva un intelletto du-

ro come diamante, e al tempo ne era stato lusingato. Ora considera la natu-

ra dei diamanti. Sebbene taglienti, scintillanti e utili per tagliare il vetro,

brillano soltanto di luce riflessa. Al buio non servono a niente.

Perché continua a venire? Lui è un suo gioco privato, è così? Non le farà

pagare niente, non si farà comprare. Da lui vuole una storia d'amore, per-

ché è questo che vogliono le ragazze, o almeno le ragazze del suo tipo, che

si aspettano ancora qualcosa dalla vita. Ma dev'esserci un altro punto di vi-

sta. Desiderio di rivincita, o di punizione. Le donne hanno modi curiosi di

ferire qualcun altro. Invece dell'altro, feriscono se stesse; oppure lo fanno

in modo che il tizio non venga neppure a sapere che è stato ferito, se non

molto più tardi. Poi lo scopre. Allora gli cade l'uccello. Nonostante quegli

occhi, la linea pura della sua gola, a volte coglie un barlume di qualcosa di

contorto, macchiato.

Meglio non inventarla in sua assenza. Meglio aspettare che sia davvero

qui. Poi potrà crearla dal vero.

Ha un tavolino da bridge, un vero pezzo da mercato delle pulci, e una

sedia pieghevole. Siede alla macchina da scrivere, si soffia sulle dita, infila

un foglio.

In un ghiacciaio situato sulle Alpi svizzere (o sulle Montagne Rocciose,

meglio, o in Groenlandia, ancora meglio), alcuni esploratori hanno trovato

- incastrato in una colata di ghiaccio diafano - un veicolo spaziale. Ha la

forma di un piccolo dirigibile, ma appuntito alle estremità come un baccel-

lo di okra. Ne fuoriesce uno strano bagliore, che brilla attraverso il ghiac-

cio. Di che colore è? Verde, è la cosa migliore, con una sfumatura gialla

come l'assenzio.

Gli esploratori sciolgono il ghiaccio, servendosi di cosa? Un cannello da

saldatori che per caso hanno con sé? Un grosso falò fatto con gli alberi lì

intorno? Se devono esserci alberi, meglio rispostare la scena sulle Monta-

gne Rocciose. Non ci sono alberi in Groenlandia. Forse si potrebbe usare

un grosso cristallo che ingrandisca i raggi del sole. I boy scout - di cui a-

veva fatto brevemente parte - gli avevano insegnato questo metodo per ac-

cendere il fuoco. Senza farsi vedere dal capogruppo, un gioviale uomo dal-

la lugubre faccia rosa entusiasta di canti e accette, avevano tenuto le loro

lenti d'ingrandimento puntate sulle braccia nude per vedere chi avrebbe re-

sistito più a lungo. Il quel modo avevano dato fuoco ad aghi di pino e a

pezzi di carta igienica.

No, il cristallo gigante sarebbe stato troppo improbabile.

Il ghiaccio viene gradualmente sciolto. X, che sarà uno scozzese burbe-

ro, li avverte di lasciar perdere, perché la cosa non fa prevedere nulla di

buono, ma Y, che è uno scienziato inglese, dice che è loro dovere accre-

scere il patrimonio della conoscenza umana, mentre Z, un americano, so-

stiene che hanno buone probabilità di fare milioni. B, che è una ragazza dai

capelli biondi e la bocca gonfia, come se fosse stata presa a pugni, dice che

è tutto molto eccitante. È russa e si presume che creda nel libero amore. X,

Y e Z non hanno ancora fatto la prova, sebbene ne abbiano tutti voglia - X

inconsciamente, Y con un senso di colpa e Z con volgarità.

All'inizio chiama sempre i suoi personaggi con lettere, poi inserisce i

nomi. A volte consulta l'elenco telefonico, a volte le iscrizioni sulle lapidi.

La donna è sempre B, che sta per Bambina Bislacca, Bambolina o Bel

Bocconcino, a seconda del suo stato d'animo. O per Bella Bionda, natu-

ralmente.

B dorme in una tenda separata e ha l'abitudine di dimenticare le manopo-

le e di girare di notte, contrariamente agli ordini. Fa commenti sulla bel-

lezza della luna e sulle qualità armoniche degli ululati dei lupi; è in rappor-

ti di amicizia con i cani da slitta, a cui si rivolge in una parlata infantile

russa, e sostiene (nonostante il suo materialismo scientifico ufficiale) che

hanno un'anima. Sarà una seccatura se rimarranno senza cibo e dovranno

mangiarne uno, ha concluso X con il suo pessimismo scozzese.

La struttura scintillante simile a un baccello è liberata dal ghiaccio, ma

gli esploratori hanno solo pochi minuti per esaminare il materiale di cui è

fatta - una sottile lega di metallo sconosciuta all'uomo -, prima che si vola-

tilizzi, lasciando un odore di mandorle, o patchouli, o zucchero bruciato, o

zolfo, o cianuro.

Sotto gli occhi di tutti appare una sagoma di forma umanoide, chiara-

mente maschile, vestita in un abito attillato del colore blu verdastro delle

piume di pavone, con lo splendore delle ali degli scarabei. No. Fa pensare

troppo alle fate. Vestito in un abito attillato del blu verdastro della fiamma

del gas, con lo splendore della benzina versata nell'acqua. È ancora inca-

strato nel ghiaccio che si deve essere formato all'interno del baccello. Ha la

pelle verde chiaro, orecchie leggermente a punta, sottili labbra cesellate e

grandi occhi spalancati. Sono quasi tutti pupilla, come nei gufi. I capelli

sono di un verde più scuro, e sono raccolti in spesse crocchie sul cranio,

che è piuttosto a punta.

Incredibile. Un essere proveniente dallo spazio. Chissà quanto tempo è

giaciuto là? Decenni? Secoli? Millenni?

È sicuramente morto.

Cosa devono fare? Issano il blocco di ghiaccio che lo rinchiude e si im-

barcano in una discussione. (X dice che dovrebbero partire subito e chia-

mare le autorità; Y vuole sezionarlo lì per lì, ma gli viene ricordato che po-

trebbe volatilizzarsi, come l'astronave; Z è decisamente propenso a portar-

lo nel mondo civile su una slitta, quindi a impacchettarlo nel ghiaccio sec-

co e a venderlo al miglior offerente; B fa osservare che i cani da slitta

stanno dimostrando un inquietante interesse e hanno cominciato a uggiola-

re, ma non viene presa in considerazione a causa della sua maniera enfati-

ca, russa e femminile di mettere le cose). Finalmente - è ormai buio, l'au-

rora boreale si comporta in modo strano - viene deciso di metterlo nella

tenda di B. B dovrà dormire nell'altra tenda insieme ai tre uomini, il che

fornirà qualche opportunità di voyerismo a lume di candela, visto che B sa

certamente come riempire sia una tenuta da alpinista che un sacco a pelo.

Durante la notte monteranno guardie di quattro ore, avvicendandosi nei

turni. Di mattina tireranno a sorte per raggiungere la decisione finale.

Tutto va bene durante la guardia di X, Y e Z. Poi viene il turno di B. Di-

ce di avere una strana sensazione, l'impressione che non andrà tutto liscio,

ma lo dice sempre e viene ignorata. Appena svegliata da Z, che è stato lì a

guardarla con impulsi libidinosi mentre si è stiracchiata, si è sfilata a fatica

dal sacco a pelo e poi si è dimenata per entrare nella tuta imbottita, prende

il suo posto nella tenda insieme alla creatura congelata. Il tremolio della

candela le fa venir sonno; si ritrova a chiedersi come sarebbe l'uomo verde

in una situazione romantica - ha belle sopracciglia, anche se è così magro.

Si addormenta di colpo.

L'essere imprigionato nel ghiaccio comincia a emettere bagliori, dap-

prima deboli, poi più intensi. L'acqua cola silenziosamente sul pavimento

della tenda. Ora il ghiaccio è scomparso. Si mette seduto, poi si alza. Sen-

za un solo rumore si avvicina alla ragazza addormentata. I capelli verde

scuro sulla sua testa si agitano, crocchia dopo crocchia, quindi si allunga-

no, tentacolo - perché è questo che sono - dopo tentacolo. Un tentacolo si

attorciglia attorno alla gola della ragazza, un altro attorno alle sue abbon-

danti forme, un terzo le copre la bocca. Lei si sveglia come da un incubo,

ma non è di un incubo che si tratta: il viso dell'essere spaziale è vicino al

suo, i suoi freddi tentacoli la tengono in una morsa implacabile; la sta os-

servando con un desiderio e una bramosia senza precedenti, esprimendo

bisogno puro e semplice. Nessun uomo mortale l'ha mai guardata con tale

intensità. Lotta brevemente, poi si arrende al suo abbraccio.

Non che abbia molta scelta.

La bocca verde si apre, scoprendo delle zanne. Si avvicinano al suo col-

lo. La ama al punto da assimilarla - da fame parte di sé, per sempre. Lui e

lei diventeranno una cosa sola. La ragazza lo capisce senza bisogno di pa-

role, perché tra l'altro questo signore ha il dono della comunicazione tele-

patica. Sì, sospira.

Si fa un'altra sigaretta. Lascerà che B venga mangiata e bevuta in questa

maniera? O i cani da slitta si accorgeranno della brutta situazione in cui si

trova, spezzeranno le funi, faranno irruzione attraverso la tela, sbraneranno

il tizio tentacolo dopo tentacolo? Oppure uno degli altri - lui preferisce Y,

il freddo scienziato inglese - verrà a salvarla? Seguirà una lotta? Potrebbe

andare. Sciocco! Avrei potuto insegnarvi tutto! trasmette telepaticamente

l'alieno a Y appena prima di morire. Il suo sangue sarà di un colore non

umano. Arancione andrebbe bene.

O forse il tizio verde scambierà liquidi venosi con B, e lei diventerà co-

me lui - una versione verdastra di se stessa. Poi i due agiranno insieme, ri-

durranno gli altri in gelatina, decapiteranno i cani e muoveranno alla con-

quista del mondo. Le città ricche e tiran niche dovranno essere distrutte,

quelle povere e virtuose lasciate libere. Noi siamo il Flagello del Signore,

annuncerà la coppia. A quel punto saranno in possesso del Raggio della

Morte, messo insieme con le conoscenze dello spaziale e un po' di chiavi e

cardini rubati in un vicino ferramenta, perciò chi oserà protestare?

Oppure l'alieno non berrà affatto il sangue di B - si inietterà dentro di

lei! Il suo corpo si accartoccerà come un acino, la sua pelle secca e rugosa

si trasformerà in nebbiolina, e al mattino non rimarrà traccia di lui. I tre

uomini andranno da B strofinandosi gli occhi assonnati. Non so cosa sia

successo, dirà lei, e siccome non lo sa mai, le crederanno. Forse abbiamo

avuto tutti un'allucinazione, diranno. È il nord, l'aurora boreale - confonde

i cervelli degli uomini. Il sangue si condensa per il freddo. Non coglieran-

no il verde bagliore alieno superintelligente negli occhi di B, che erano

comunque verdi fin dall'inizio. Ma i cani lo capiranno. Annuseranno il

cambiamento. Ringhieranno con le orecchie all'indietro, ululeranno in tono

lamentoso, non vorranno più esserle amici. Cos'è preso a questi cani?

Le possibilità sono talmente tante.

La lotta, il combattimento, la salvezza. La morte dell'alieno. E nel frat-

tempo i vestiti verranno strappati via. Succede sempre così.

Perché sforna certe porcherie? Perché ne ha bisogno - altrimenti sarebbe

del tutto al verde, e cercare un'altra occupazione in quella situazione lo

porterebbe allo scoperto più di quanto sarebbe minimamente prudente.

Anche perché lo sa fare. Ha il bernoccolo. Non tutti ce l'hanno: molti han-

no provato, molti hanno fallito. Una volta aveva ambizioni più grandi, più

serie. Scrivere la vita di un uomo com'è veramente. Scendere terra terra, al

livello delle paghe da fame e del pane e dello stillicidio e delle prostitute

da quattro soldi con la faccia da troia e dei calci in bocca e del vomito nei

rigagnoli. Mettere in mostra i meccanismi del sistema, il macchinario, il

modo in cui ti mantiene in vita soltanto finché ti rimane un po' di forza, ti

esaurisce, ti trasforma in un dente dell'ingranaggio o in un ubriacone, ti

schiaccia in una maniera o nell'altra il viso nella merda.

Ma il lavoratore medio non leggerebbe quel genere di cose - il lavoratore

che secondo i compagni ha una nobiltà tanto innata. Quel che vogliono

quei ragazzi è la sua robaccia. Economica, al prezzo di un centesimo, azio-

ne veloce, con un sacco di tette e di culi. Non che si possano stampare le

parole «tette» e «culi»: i libri da quattro soldi sono sorprendentemente pu-

ritani. Seni e sederi è il massimo a cui arrivano. Sangue e pallottole, budel-

la e urla e contorcimenti, ma niente nudità esplicita completa. Niente be-

stemmie. Forse non è puritanesimo, forse semplicemente non vogliono che

li facciano chiudere.

Si accende una sigaretta, si muove furtivo, guarda fuori della finestra.

Ceneri oscurano la neve. Un tram passa stridendo. Si gira, si muove furti-

vo, con in testa parole disposte a scatole cinesi. Controlla l'orologio: è di

nuovo in ritardo. Non verrà.

VII


Il baule da nave

L'unico modo per scrivere la verità è presumere che quanto annoti non

verrà mai letto. Da nessun'altra persona, e neanche da te in epoca successi-

va. Altrimenti cominci a giustificarti. Deve sembrarti che lo scritto fuorie-

sca come un lungo ghirigoro d'inchiostro dall'indice della tua mano destra;

deve sembrarti che la tua mano sinistra lo cancelli.

Impossibile, naturalmente.

Io faccio scorrere la mia riga, faccio scorrere la mia riga, questo filo nero

che sto dipanando attraverso la pagina.

Ieri è arrivato un pacco per me: una nuova edizione dell'Assassino cieco.

È una copia di pura cortesia: non ne risulterà alcun guadagno, almeno per

me. Il libro è ormai fuori diritti e chiunque può pubblicarlo, perciò il pa-

trimonio di Laura non vedrà nulla dei profitti. È ciò che succede un dato

numero di anni dopo la morte dell'autore: si perde il controllo dell'opera. È

là fuori nel mondo, e si moltiplica in Dio sa quante forme, senza nessun

avallo da parte mia.

Artemisia Press, si chiama questa casa editrice; è inglese. Credo siano

quelli che mi hanno chiesto di scrivere un'introduzione, cosa che ho rifiuta-

to, è ovvio. Probabilmente gestita da un gruppo di donne, con un nome del

genere. Mi chiedo quale Artemisia abbiano in mente - la generalessa per-

siana descritta da Erodoto, che se la diede a gambe quando la battaglia si

mise male per lei, o la matrona romana che mangiò le ceneri del marito

morto, in modo che il suo corpo ne diventasse il sepolcro vivente? Proba-

bilmente la pittrice rinascimentale violentata: è l'unica che venga ricordata

oggigiorno.

Il libro è sul tavolo della cucina. Capolavori dimenticati del ventesimo

secolo, è scritto in corsivo sotto il titolo. Laura era una «modernista», ci

viene detto nel risvolto interno. Era «influenzata» dai gusti di Djuna Bar-

nes, Elizabeth Smart, Carson McCullers - autrici che so per certo che non

aveva mai letto. Il disegno sulla copertina non è troppo male, però. Sfuma-

ture di un viola brunastro sbiadito, uno stile fotografico: una donna in slip,

a una finestra, vista attraverso una tenda a rete, il viso in ombra. Dietro di

lei, uno spicchio d'uomo - il braccio, la mano, il dietro della testa. Abba-

stanza appropriato, credo.

Ho deciso che era ora di telefonare al mio avvocato. Cioè, non al mio

vero avvocato. Quello che consideravo mio, quello che si è occupato della

faccenda con Richard, che si è battuto tanto strenuamente contro Winifred,

anche se invano - quello è morto parecchi decenni fa. Da allora in poi sono

stata passata di mano in mano all'interno dello studio, come una teiera

d'argento eccessivamente decorata che viene rifilata come regalo di nozze

a ogni nuova generazione, ma che nessuno adopera mai.

«Il signor Sykes, per favore» ho detto alla ragazza che ha risposto. Una

delle segretarie, suppongo. Ho immaginato le sue unghie, lunghe, rosso

scuro e a punta. Ma forse quello non è il tipo di unghie giusto per una se-

gretaria di oggi. Forse sono blu ghiaccio.

«Spiacente, il signor Sykes è in riunione. Di chi devo dire?»

Potrebbero benissimo usare dei robot. «La signora Iris Griffen» ho ri-

sposto, nella mia voce più tagliente. «Sono una delle sue più vecchie clien-

ti».

Questo non mi ha aperto nessuna porta. Il signor Sykes era sempre in



riunione. È un ragazzo occupato, a quanto pare. Ma perché penso a lui co-

me a un ragazzo? Deve essere sui cinquantacinque - nato, forse, nello stes-

so anno in cui è morta Laura. È davvero morta da tanto tempo, il tempo

che ci è voluto a far crescere e maturare un avvocato? È un'altra di quelle

cose che devono essere vere perché tutti gli altri sono d'accordo nel trovar-

le tali, sebbene a me non lo sembrino.

«Posso dire al signor Sykes di cosa si tratta?» ha chiesto la segretaria.

«Del mio testamento» ho risposto. «Sto considerando l'idea di scriverne

uno. Lui mi ha consigliato spesso di farlo». (Una bugia, ma volevo incul-

care nel suo cervello sicuramente svagato che il signor Sykes e io siamo

amici per la pelle). «Si tratta di questo, e di qualche altra faccenda. Dovrei

venire a Toronto al più presto, per consultarlo. Forse potrebbe chiamarmi,

quando ha un minuto libero».

Ho immaginato il signor Sykes che riceveva il messaggio; ho immagina-

to il piccolo brivido che gli sarebbe corso dietro al collo mentre provava a

dare un senso al mio nome, e poi ci riusciva. Avrebbe sentito la morte pas-

sargli accanto. È quello che si prova - succede perfino a me - quando ci si

imbatte in quei trafiletti di giornale su persone un tempo famose o bellis-

sime o tristemente note, e per lungo tempo ritenute morte. E invece a

quanto pare continuano a vivere, in qualche forma raggrinzita, oscura, in-

crostati dagli anni, come scarafaggi sotto un sasso.

«Naturalmente, signora Griffen» ha detto la segretaria. «Mi assicurerò

che la richiami». Devono prendere lezioni - lezioni di dizione - per ottene-

re esattamente la giusta miscela di considerazione e disprezzo. Ma perché

mi lamento? È un'arte in cui una volta ero esperta anch'io.

Ho messo giù il telefono. Ci sarà senza dubbio qualche occhiata sorpresa

tra il signor Sykes e i suoi compari, uomini dall'aspetto giovanile che co-

minciano a perdere i capelli, guidano Mercedes e hanno pance paffute: Co-

sa può mai avere da lasciare in eredità la vecchia befana?

Cosa, cioè, di cui valga la pena parlare?

In un angolo della mia cucina c'è un baule da nave pieno di etichette

strappate. È una parte del set di bagagli coordinati del mio corredo - un

tempo vitello giallo chiaro, ora scurito, le rifiniture in acciaio rovinate e

sporche. Lo tengo chiuso a chiave, la chiave affondata ben bene in fondo a

un barattolo a chiusura ermetica pieno di crusca. I barattoli del caffè e del-

lo zucchero sarebbero troppo ovvi.


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