portarla e lei gli ha sorriso, un sorriso furtivo, i piccoli denti bluastri attor-
no ai bordi, come latte scremato. Di notte la mia macchina da scrivere vi
disturba? ha azzardato - alludendo al fatto che a quell'ora è sveglio, che li
sente. No, per niente. Sguardo vuoto, ottuso come quello di una giovenca.
Cerchi scuri sotto gli occhi, linee all'ingiù incise dal naso agli angoli della
bocca. Lui dubita che le attività notturne siano una sua idea. Sono troppo
veloci, tanto per cominciare - il tizio entra ed esce come un rapinatore di
banche. Lei porta scritto su tutta se stessa cavallo da soma; probabilmente
fissa il soffitto, pensa a lavare il pavimento.
La sua stanza è stata ricavata dividendone in due una più grande, il che
spiega l'inconsistenza della parete. Lo spazio è stretto e freddo: spifferi en-
trano dal telaio della finestra, il radiatore sferraglia e gocciola, ma non ri-
scalda. Un gabinetto nascosto in un angolo gelido, la tazza macchiata di un
arancione velenoso da vecchio piscio e ferro, e una cabina per la doccia
fatta di zinco, con una tenda di gomma sudicia per l'età. La doccia è un tu-
bo nero che corre su per la parete, con una cipolla rotonda di metallo fora-
to. Il rivolo d'acqua che ne esce è di un gelo polare. Un letto a scomparsa,
montato con poca perizia, cosicché deve fare i salti mortali per tirarlo giù;
un piano di lavoro di compensato messo insieme con chiodini, un tempo
dipinto di giallo. Un fornelletto a un fuoco. La tetraggine ricopre ogni cosa
come fuliggine.
In confronto a dove potrebbe essere adesso, è un palazzo.
Ha mollato i suoi compagni. Ha tagliato la corda, non ha lasciato indi-
rizzi. Non sarebbe dovuto occorrere tanto tempo per rimediare un passa-
porto, o i due passaporti di cui ha bisogno. Ha intuito che lo stavano te-
nendo in caldo come assicurazione: se qualcuno a loro parere più impor-
tante fosse stato preso, avrebbero potuto scambiarlo con lui. Forse stavano
pensando di consegnarlo comunque alla polizia. Sarebbe stato un magnifi-
co capro espiatorio: era sacrificabile, non aveva mai aderito veramente alle
loro idee. Un compagno di viaggio che non andava abbastanza lontano o
abbastanza in fretta. A loro non piaceva la sua erudizione, per quello che
valeva; a loro non piaceva il suo scetticismo, che scambiavano per superfi-
cialità. Solo perché Tizio ha torto non vuol dire che Caio abbia ragione,
aveva detto una volta. Probabilmente se l'erano segnato per ogni eventuali-
tà. Avevano le loro piccole liste.
Forse volevano il loro martire, il loro Sacco e Vanzetti in versione sin-
gola. Dopo che l'avranno messo in croce fino a farlo diventare un Rosso, la
sua faccia patibolare su tutti i giornali, riveleranno alcune prove della sua
innocenza - raccogliendo a proprio vantaggio lo sdegno dell'opinione pub-
blica. Guardate cosa fa il sistema! Un vero e proprio assassinio! Non c'è
giustizia! È questo il modo di pensare dei compagni. Come una partita di
scacchi. E lui è il pedone da sacrificare.
Va alla finestra, guarda fuori. Ghiaccioli come zanne brunastre pendono
al di là dei vetri, prendendo il colore dal tetto. Pensa al nome di lei circon-
dato da un'aura elettrica - eccitazione sessuale come neon blu. Dov'è? Non
prenderà un taxi, non fino a destinazione, è troppo sveglia per farlo. Os-
serva la fermata del tram, desiderando che si materializzi. Che scenda giù
facendo balenare una gamba, una scarpa con il tacco alto, meglio se costo-
sa. Fica sui trampoli. Perché pensa certe cose, visto che se un altro uomo
qualsiasi la chiamasse così picchierebbe quel bastardo?
Indosserà una pelliccia. La disprezzerà per questo, le chiederà di tenerse-
la addosso. Con la pelliccia dall'inizio alla fine.
L'ultima volta che l'ha vista aveva un livido sulla coscia. Aveva deside-
rato di averglielo fatto lui. Cos'è? Ho sbattuto contro una porta. Sa sempre
quando mente. O crede di saperlo. Pensare di saperlo può essere una trap-
pola. Un ex professore una volta gli aveva detto che aveva un intelletto du-
ro come diamante, e al tempo ne era stato lusingato. Ora considera la natu-
ra dei diamanti. Sebbene taglienti, scintillanti e utili per tagliare il vetro,
brillano soltanto di luce riflessa. Al buio non servono a niente.
Perché continua a venire? Lui è un suo gioco privato, è così? Non le farà
pagare niente, non si farà comprare. Da lui vuole una storia d'amore, per-
ché è questo che vogliono le ragazze, o almeno le ragazze del suo tipo, che
si aspettano ancora qualcosa dalla vita. Ma dev'esserci un altro punto di vi-
sta. Desiderio di rivincita, o di punizione. Le donne hanno modi curiosi di
ferire qualcun altro. Invece dell'altro, feriscono se stesse; oppure lo fanno
in modo che il tizio non venga neppure a sapere che è stato ferito, se non
molto più tardi. Poi lo scopre. Allora gli cade l'uccello. Nonostante quegli
occhi, la linea pura della sua gola, a volte coglie un barlume di qualcosa di
contorto, macchiato.
Meglio non inventarla in sua assenza. Meglio aspettare che sia davvero
qui. Poi potrà crearla dal vero.
Ha un tavolino da bridge, un vero pezzo da mercato delle pulci, e una
sedia pieghevole. Siede alla macchina da scrivere, si soffia sulle dita, infila
un foglio.
In un ghiacciaio situato sulle Alpi svizzere (o sulle Montagne Rocciose,
meglio, o in Groenlandia, ancora meglio), alcuni esploratori hanno trovato
- incastrato in una colata di ghiaccio diafano - un veicolo spaziale. Ha la
forma di un piccolo dirigibile, ma appuntito alle estremità come un baccel-
lo di okra. Ne fuoriesce uno strano bagliore, che brilla attraverso il ghiac-
cio. Di che colore è? Verde, è la cosa migliore, con una sfumatura gialla
come l'assenzio.
Gli esploratori sciolgono il ghiaccio, servendosi di cosa? Un cannello da
saldatori che per caso hanno con sé? Un grosso falò fatto con gli alberi lì
intorno? Se devono esserci alberi, meglio rispostare la scena sulle Monta-
gne Rocciose. Non ci sono alberi in Groenlandia. Forse si potrebbe usare
un grosso cristallo che ingrandisca i raggi del sole. I boy scout - di cui a-
veva fatto brevemente parte - gli avevano insegnato questo metodo per ac-
cendere il fuoco. Senza farsi vedere dal capogruppo, un gioviale uomo dal-
la lugubre faccia rosa entusiasta di canti e accette, avevano tenuto le loro
lenti d'ingrandimento puntate sulle braccia nude per vedere chi avrebbe re-
sistito più a lungo. Il quel modo avevano dato fuoco ad aghi di pino e a
pezzi di carta igienica.
No, il cristallo gigante sarebbe stato troppo improbabile.
Il ghiaccio viene gradualmente sciolto. X, che sarà uno scozzese burbe-
ro, li avverte di lasciar perdere, perché la cosa non fa prevedere nulla di
buono, ma Y, che è uno scienziato inglese, dice che è loro dovere accre-
scere il patrimonio della conoscenza umana, mentre Z, un americano, so-
stiene che hanno buone probabilità di fare milioni. B, che è una ragazza dai
capelli biondi e la bocca gonfia, come se fosse stata presa a pugni, dice che
è tutto molto eccitante. È russa e si presume che creda nel libero amore. X,
Y e Z non hanno ancora fatto la prova, sebbene ne abbiano tutti voglia - X
inconsciamente, Y con un senso di colpa e Z con volgarità.
All'inizio chiama sempre i suoi personaggi con lettere, poi inserisce i
nomi. A volte consulta l'elenco telefonico, a volte le iscrizioni sulle lapidi.
La donna è sempre B, che sta per Bambina Bislacca, Bambolina o Bel
Bocconcino, a seconda del suo stato d'animo. O per Bella Bionda, natu-
ralmente.
B dorme in una tenda separata e ha l'abitudine di dimenticare le manopo-
le e di girare di notte, contrariamente agli ordini. Fa commenti sulla bel-
lezza della luna e sulle qualità armoniche degli ululati dei lupi; è in rappor-
ti di amicizia con i cani da slitta, a cui si rivolge in una parlata infantile
russa, e sostiene (nonostante il suo materialismo scientifico ufficiale) che
hanno un'anima. Sarà una seccatura se rimarranno senza cibo e dovranno
mangiarne uno, ha concluso X con il suo pessimismo scozzese.
La struttura scintillante simile a un baccello è liberata dal ghiaccio, ma
gli esploratori hanno solo pochi minuti per esaminare il materiale di cui è
fatta - una sottile lega di metallo sconosciuta all'uomo -, prima che si vola-
tilizzi, lasciando un odore di mandorle, o patchouli, o zucchero bruciato, o
zolfo, o cianuro.
Sotto gli occhi di tutti appare una sagoma di forma umanoide, chiara-
mente maschile, vestita in un abito attillato del colore blu verdastro delle
piume di pavone, con lo splendore delle ali degli scarabei. No. Fa pensare
troppo alle fate. Vestito in un abito attillato del blu verdastro della fiamma
del gas, con lo splendore della benzina versata nell'acqua. È ancora inca-
strato nel ghiaccio che si deve essere formato all'interno del baccello. Ha la
pelle verde chiaro, orecchie leggermente a punta, sottili labbra cesellate e
grandi occhi spalancati. Sono quasi tutti pupilla, come nei gufi. I capelli
sono di un verde più scuro, e sono raccolti in spesse crocchie sul cranio,
che è piuttosto a punta.
Incredibile. Un essere proveniente dallo spazio. Chissà quanto tempo è
giaciuto là? Decenni? Secoli? Millenni?
È sicuramente morto.
Cosa devono fare? Issano il blocco di ghiaccio che lo rinchiude e si im-
barcano in una discussione. (X dice che dovrebbero partire subito e chia-
mare le autorità; Y vuole sezionarlo lì per lì, ma gli viene ricordato che po-
trebbe volatilizzarsi, come l'astronave; Z è decisamente propenso a portar-
lo nel mondo civile su una slitta, quindi a impacchettarlo nel ghiaccio sec-
co e a venderlo al miglior offerente; B fa osservare che i cani da slitta
stanno dimostrando un inquietante interesse e hanno cominciato a uggiola-
re, ma non viene presa in considerazione a causa della sua maniera enfati-
ca, russa e femminile di mettere le cose). Finalmente - è ormai buio, l'au-
rora boreale si comporta in modo strano - viene deciso di metterlo nella
tenda di B. B dovrà dormire nell'altra tenda insieme ai tre uomini, il che
fornirà qualche opportunità di voyerismo a lume di candela, visto che B sa
certamente come riempire sia una tenuta da alpinista che un sacco a pelo.
Durante la notte monteranno guardie di quattro ore, avvicendandosi nei
turni. Di mattina tireranno a sorte per raggiungere la decisione finale.
Tutto va bene durante la guardia di X, Y e Z. Poi viene il turno di B. Di-
ce di avere una strana sensazione, l'impressione che non andrà tutto liscio,
ma lo dice sempre e viene ignorata. Appena svegliata da Z, che è stato lì a
guardarla con impulsi libidinosi mentre si è stiracchiata, si è sfilata a fatica
dal sacco a pelo e poi si è dimenata per entrare nella tuta imbottita, prende
il suo posto nella tenda insieme alla creatura congelata. Il tremolio della
candela le fa venir sonno; si ritrova a chiedersi come sarebbe l'uomo verde
in una situazione romantica - ha belle sopracciglia, anche se è così magro.
Si addormenta di colpo.
L'essere imprigionato nel ghiaccio comincia a emettere bagliori, dap-
prima deboli, poi più intensi. L'acqua cola silenziosamente sul pavimento
della tenda. Ora il ghiaccio è scomparso. Si mette seduto, poi si alza. Sen-
za un solo rumore si avvicina alla ragazza addormentata. I capelli verde
scuro sulla sua testa si agitano, crocchia dopo crocchia, quindi si allunga-
no, tentacolo - perché è questo che sono - dopo tentacolo. Un tentacolo si
attorciglia attorno alla gola della ragazza, un altro attorno alle sue abbon-
danti forme, un terzo le copre la bocca. Lei si sveglia come da un incubo,
ma non è di un incubo che si tratta: il viso dell'essere spaziale è vicino al
suo, i suoi freddi tentacoli la tengono in una morsa implacabile; la sta os-
servando con un desiderio e una bramosia senza precedenti, esprimendo
bisogno puro e semplice. Nessun uomo mortale l'ha mai guardata con tale
intensità. Lotta brevemente, poi si arrende al suo abbraccio.
Non che abbia molta scelta.
La bocca verde si apre, scoprendo delle zanne. Si avvicinano al suo col-
lo. La ama al punto da assimilarla - da fame parte di sé, per sempre. Lui e
lei diventeranno una cosa sola. La ragazza lo capisce senza bisogno di pa-
role, perché tra l'altro questo signore ha il dono della comunicazione tele-
patica. Sì, sospira.
Si fa un'altra sigaretta. Lascerà che B venga mangiata e bevuta in questa
maniera? O i cani da slitta si accorgeranno della brutta situazione in cui si
trova, spezzeranno le funi, faranno irruzione attraverso la tela, sbraneranno
il tizio tentacolo dopo tentacolo? Oppure uno degli altri - lui preferisce Y,
il freddo scienziato inglese - verrà a salvarla? Seguirà una lotta? Potrebbe
andare. Sciocco! Avrei potuto insegnarvi tutto! trasmette telepaticamente
l'alieno a Y appena prima di morire. Il suo sangue sarà di un colore non
umano. Arancione andrebbe bene.
O forse il tizio verde scambierà liquidi venosi con B, e lei diventerà co-
me lui - una versione verdastra di se stessa. Poi i due agiranno insieme, ri-
durranno gli altri in gelatina, decapiteranno i cani e muoveranno alla con-
quista del mondo. Le città ricche e tiran niche dovranno essere distrutte,
quelle povere e virtuose lasciate libere. Noi siamo il Flagello del Signore,
annuncerà la coppia. A quel punto saranno in possesso del Raggio della
Morte, messo insieme con le conoscenze dello spaziale e un po' di chiavi e
cardini rubati in un vicino ferramenta, perciò chi oserà protestare?
Oppure l'alieno non berrà affatto il sangue di B - si inietterà dentro di
lei! Il suo corpo si accartoccerà come un acino, la sua pelle secca e rugosa
si trasformerà in nebbiolina, e al mattino non rimarrà traccia di lui. I tre
uomini andranno da B strofinandosi gli occhi assonnati. Non so cosa sia
successo, dirà lei, e siccome non lo sa mai, le crederanno. Forse abbiamo
avuto tutti un'allucinazione, diranno. È il nord, l'aurora boreale - confonde
i cervelli degli uomini. Il sangue si condensa per il freddo. Non coglieran-
no il verde bagliore alieno superintelligente negli occhi di B, che erano
comunque verdi fin dall'inizio. Ma i cani lo capiranno. Annuseranno il
cambiamento. Ringhieranno con le orecchie all'indietro, ululeranno in tono
lamentoso, non vorranno più esserle amici. Cos'è preso a questi cani?
Le possibilità sono talmente tante.
La lotta, il combattimento, la salvezza. La morte dell'alieno. E nel frat-
tempo i vestiti verranno strappati via. Succede sempre così.
Perché sforna certe porcherie? Perché ne ha bisogno - altrimenti sarebbe
del tutto al verde, e cercare un'altra occupazione in quella situazione lo
porterebbe allo scoperto più di quanto sarebbe minimamente prudente.
Anche perché lo sa fare. Ha il bernoccolo. Non tutti ce l'hanno: molti han-
no provato, molti hanno fallito. Una volta aveva ambizioni più grandi, più
serie. Scrivere la vita di un uomo com'è veramente. Scendere terra terra, al
livello delle paghe da fame e del pane e dello stillicidio e delle prostitute
da quattro soldi con la faccia da troia e dei calci in bocca e del vomito nei
rigagnoli. Mettere in mostra i meccanismi del sistema, il macchinario, il
modo in cui ti mantiene in vita soltanto finché ti rimane un po' di forza, ti
esaurisce, ti trasforma in un dente dell'ingranaggio o in un ubriacone, ti
schiaccia in una maniera o nell'altra il viso nella merda.
Ma il lavoratore medio non leggerebbe quel genere di cose - il lavoratore
che secondo i compagni ha una nobiltà tanto innata. Quel che vogliono
quei ragazzi è la sua robaccia. Economica, al prezzo di un centesimo, azio-
ne veloce, con un sacco di tette e di culi. Non che si possano stampare le
parole «tette» e «culi»: i libri da quattro soldi sono sorprendentemente pu-
ritani. Seni e sederi è il massimo a cui arrivano. Sangue e pallottole, budel-
la e urla e contorcimenti, ma niente nudità esplicita completa. Niente be-
stemmie. Forse non è puritanesimo, forse semplicemente non vogliono che
li facciano chiudere.
Si accende una sigaretta, si muove furtivo, guarda fuori della finestra.
Ceneri oscurano la neve. Un tram passa stridendo. Si gira, si muove furti-
vo, con in testa parole disposte a scatole cinesi. Controlla l'orologio: è di
nuovo in ritardo. Non verrà.
VII
Il baule da nave
L'unico modo per scrivere la verità è presumere che quanto annoti non
verrà mai letto. Da nessun'altra persona, e neanche da te in epoca successi-
va. Altrimenti cominci a giustificarti. Deve sembrarti che lo scritto fuorie-
sca come un lungo ghirigoro d'inchiostro dall'indice della tua mano destra;
deve sembrarti che la tua mano sinistra lo cancelli.
Impossibile, naturalmente.
Io faccio scorrere la mia riga, faccio scorrere la mia riga, questo filo nero
che sto dipanando attraverso la pagina.
Ieri è arrivato un pacco per me: una nuova edizione dell'Assassino cieco.
È una copia di pura cortesia: non ne risulterà alcun guadagno, almeno per
me. Il libro è ormai fuori diritti e chiunque può pubblicarlo, perciò il pa-
trimonio di Laura non vedrà nulla dei profitti. È ciò che succede un dato
numero di anni dopo la morte dell'autore: si perde il controllo dell'opera. È
là fuori nel mondo, e si moltiplica in Dio sa quante forme, senza nessun
avallo da parte mia.
Artemisia Press, si chiama questa casa editrice; è inglese. Credo siano
quelli che mi hanno chiesto di scrivere un'introduzione, cosa che ho rifiuta-
to, è ovvio. Probabilmente gestita da un gruppo di donne, con un nome del
genere. Mi chiedo quale Artemisia abbiano in mente - la generalessa per-
siana descritta da Erodoto, che se la diede a gambe quando la battaglia si
mise male per lei, o la matrona romana che mangiò le ceneri del marito
morto, in modo che il suo corpo ne diventasse il sepolcro vivente? Proba-
bilmente la pittrice rinascimentale violentata: è l'unica che venga ricordata
oggigiorno.
Il libro è sul tavolo della cucina. Capolavori dimenticati del ventesimo
secolo, è scritto in corsivo sotto il titolo. Laura era una «modernista», ci
viene detto nel risvolto interno. Era «influenzata» dai gusti di Djuna Bar-
nes, Elizabeth Smart, Carson McCullers - autrici che so per certo che non
aveva mai letto. Il disegno sulla copertina non è troppo male, però. Sfuma-
ture di un viola brunastro sbiadito, uno stile fotografico: una donna in slip,
a una finestra, vista attraverso una tenda a rete, il viso in ombra. Dietro di
lei, uno spicchio d'uomo - il braccio, la mano, il dietro della testa. Abba-
stanza appropriato, credo.
Ho deciso che era ora di telefonare al mio avvocato. Cioè, non al mio
vero avvocato. Quello che consideravo mio, quello che si è occupato della
faccenda con Richard, che si è battuto tanto strenuamente contro Winifred,
anche se invano - quello è morto parecchi decenni fa. Da allora in poi sono
stata passata di mano in mano all'interno dello studio, come una teiera
d'argento eccessivamente decorata che viene rifilata come regalo di nozze
a ogni nuova generazione, ma che nessuno adopera mai.
«Il signor Sykes, per favore» ho detto alla ragazza che ha risposto. Una
delle segretarie, suppongo. Ho immaginato le sue unghie, lunghe, rosso
scuro e a punta. Ma forse quello non è il tipo di unghie giusto per una se-
gretaria di oggi. Forse sono blu ghiaccio.
«Spiacente, il signor Sykes è in riunione. Di chi devo dire?»
Potrebbero benissimo usare dei robot. «La signora Iris Griffen» ho ri-
sposto, nella mia voce più tagliente. «Sono una delle sue più vecchie clien-
ti».
Questo non mi ha aperto nessuna porta. Il signor Sykes era sempre in
riunione. È un ragazzo occupato, a quanto pare. Ma perché penso a lui co-
me a un ragazzo? Deve essere sui cinquantacinque - nato, forse, nello stes-
so anno in cui è morta Laura. È davvero morta da tanto tempo, il tempo
che ci è voluto a far crescere e maturare un avvocato? È un'altra di quelle
cose che devono essere vere perché tutti gli altri sono d'accordo nel trovar-
le tali, sebbene a me non lo sembrino.
«Posso dire al signor Sykes di cosa si tratta?» ha chiesto la segretaria.
«Del mio testamento» ho risposto. «Sto considerando l'idea di scriverne
uno. Lui mi ha consigliato spesso di farlo». (Una bugia, ma volevo incul-
care nel suo cervello sicuramente svagato che il signor Sykes e io siamo
amici per la pelle). «Si tratta di questo, e di qualche altra faccenda. Dovrei
venire a Toronto al più presto, per consultarlo. Forse potrebbe chiamarmi,
quando ha un minuto libero».
Ho immaginato il signor Sykes che riceveva il messaggio; ho immagina-
to il piccolo brivido che gli sarebbe corso dietro al collo mentre provava a
dare un senso al mio nome, e poi ci riusciva. Avrebbe sentito la morte pas-
sargli accanto. È quello che si prova - succede perfino a me - quando ci si
imbatte in quei trafiletti di giornale su persone un tempo famose o bellis-
sime o tristemente note, e per lungo tempo ritenute morte. E invece a
quanto pare continuano a vivere, in qualche forma raggrinzita, oscura, in-
crostati dagli anni, come scarafaggi sotto un sasso.
«Naturalmente, signora Griffen» ha detto la segretaria. «Mi assicurerò
che la richiami». Devono prendere lezioni - lezioni di dizione - per ottene-
re esattamente la giusta miscela di considerazione e disprezzo. Ma perché
mi lamento? È un'arte in cui una volta ero esperta anch'io.
Ho messo giù il telefono. Ci sarà senza dubbio qualche occhiata sorpresa
tra il signor Sykes e i suoi compari, uomini dall'aspetto giovanile che co-
minciano a perdere i capelli, guidano Mercedes e hanno pance paffute: Co-
sa può mai avere da lasciare in eredità la vecchia befana?
Cosa, cioè, di cui valga la pena parlare?
In un angolo della mia cucina c'è un baule da nave pieno di etichette
strappate. È una parte del set di bagagli coordinati del mio corredo - un
tempo vitello giallo chiaro, ora scurito, le rifiniture in acciaio rovinate e
sporche. Lo tengo chiuso a chiave, la chiave affondata ben bene in fondo a
un barattolo a chiusura ermetica pieno di crusca. I barattoli del caffè e del-
lo zucchero sarebbero troppo ovvi.
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