Margaret atwood



Yüklə 2,13 Mb.
səhifə19/50
tarix26.10.2017
ölçüsü2,13 Mb.
#14331
1   ...   15   16   17   18   19   20   21   22   ...   50

lex Thomas portava una giacca marrone e pantaloni di flanella grigi, trop-

po pesanti per la stagione; e anche la cravatta, a puntini rossi su sfondo

blu. La camicia era bianca, il colletto troppo largo. Sembrava che si fosse

fatto prestare quei vestiti. Be', non si era aspettato di essere invitato a cena.

«Che casa incantevole» disse Winifred Griffen Prior con un sorriso po-

sticcio, mentre entravamo in sala da pranzo. «È così... così ben conservata!

Che fantastiche finestre di vetro colorato - proprio fin de siècle! Dev'essere

come vivere in un museo!»

Quello che intendeva era fuori moda. Mi sentivo umiliata: avevo sempre

pensato che quelle finestre fossero bellissime. Ma mi rendevo conto che il

giudizio di Winifred era il giudizio del mondo esterno - il mondo che sa-

peva come stavano le cose e pronunciava sentenze in conseguenza, quel

mondo in cui avevo così disperatamente desiderato entrare. Ora mi accor-

gevo di quanto fossi inadeguata a esso. Quanto fossi campagnola, grezza.

«Sono esempi particolarmente belli di una certa epoca» disse Richard.

«Anche i rivestimenti a pannelli sono di alta qualità». Nonostante la sua

pedanteria e il suo tono condiscendente, gli fui grata: non mi venne in

mente che stesse facendo un inventario. Riconosceva un impero barcollan-

te, quando ne vedeva uno: sapeva che eravamo pronti per andare all'asta, o

lo saremmo stati presto.

«Con museo intende polveroso?» chiese Alex Thomas. «O forse obsole-

to».

Mio padre aggrottò le ciglia. Winifred, gliene va dato atto, arrossì.



«Non dovresti punzecchiare chi è più debole di te» disse Callie in un bi-

sbiglio compiaciuto.

«Perché no?» replicò Alex. «Lo fanno tutti».

Reenie aveva fatto le cose in grande con il menù, almeno per quello che

potevamo permetterci a quel tempo. Ma aveva fatto il passo più lungo del-

la gamba. Crema di pomodoro, pesce persico à la provençale, pollo à la

Providence - arrivavano, una portata dietro l'altra, dispiegandosi in un'ine-

vitabile processione, come un'onda di marea, o una condanna. C'era un sa-

pore metallico nella zuppa e farinoso nel pollo, che era stato trattato in

maniera troppo grossolana e si era ristretto e indurito. Non era molto de-

coroso vedere tanta gente insieme in una stanza, intenta a masticare con

tanto impegno ed energia. Masticare era il termine esatto - non mangiare.

Winifred Prior disponeva il cibo nel piatto come se stesse giocando a

domino. Ero in collera con lei: ero decisa a mangiare tutto, perfino le ossa.

Non avrei tradito Reenie. Ai vecchi tempi, pensai, non sarebbe mai stata

cacciata in una simile situazione - presa alla sprovvista, messa alla berlina,

per mettere alla berlina anche noi. Ai vecchi tempi si sarebbe fatto ricorso

agli specialisti.

Accanto a me anche Alex Thomas faceva il suo dovere. Stava segando

come se fosse questione di vita o di morte; il pollo scricchiolava sotto il

suo coltello. (Non che Reenie gli fosse grata per il suo impegno. Teneva li-

ste su chi aveva mangiato che cosa, si può starne certi. Quell'Alex Come-

si-chiama aveva sicuramente un bell'appetito, fu il suo commento. C'è da

credere che l'abbiano fatto morire di fame in una cantina).

In quelle circostanze, la conversazione fu discontinua. Tuttavia ci fu un

momento di ripresa dopo il formaggio - il cheddar troppo molle e tremo-

lante, il formaggio fresco troppo vecchio, il bleu troppo forte - durante il

quale potemmo tirare un respiro, raccogliere le idee e guardarci intorno.

Mio padre girò il suo unico occhio blu su Alex Thomas. «Dunque, gio-

vanotto» disse, in quello che forse credeva un tono cordiale, «cosa la porta

nella nostra bella città?» Sembrava il capo famiglia di una noiosa comme-

dia vittoriana. Abbassai lo sguardo sul tavolo.

«Sono venuto a trovare degli amici, signore» rispose Alex piuttosto edu-

catamente. (Avremmo sentito Reenie, più tardi, sul tema della sua educa-

zione. Gli orfani avevano buone maniere perché le buone maniere erano

state loro inculcate negli orfanotrofi. Solo un orlano poteva essere così si-

curo di sé, ma questa loro disinvoltura nascondeva un'indole vendicativa -

sotto sotto, erano come tutti gli altri. Be', certo che erano vendicativi, con-

siderato come ci si era sbarazzati di loro. La maggior parte degli anarchici

e dei rapitori erano orfani).

«Mia figlia mi dice che si sta preparando al sacerdozio» disse mio padre.

(Né io né Laura avevamo fatto parola al riguardo - doveva essere stata Re-

enie, e com'era prevedibile, o forse a bella posta, aveva leggermente frain-

teso).


«Era così, signore» disse Alex. «Ma ho dovuto rinunciare. Non era quel-

la la mia strada».

«E adesso?» chiese mio padre, che era abituato ad avere risposte concre-

te.


«Ora mi ingegno come posso» rispose Alex. Sorrise, quasi a mostrare

una scarsa considerazione di sé.

«Deve essere dura, allora» mormorò Richard, e Winifred rise. Ero sor-

presa: non gli avevo attribuito quel genere di spirito.

«Forse vuol dire che fa il cronista per un giornale» disse lei. «C'è una

spia tra noi!»

Alex sorrise di nuovo, e non replicò. Mio padre aggrottò le ciglia. Per

quanto lo riguardava, i cronisti erano feccia. Non solo mentivano, ma vi-

vevano alle spalle dei guai altrui - mosche carnarie, era il termine che usa-

va per loro. Faceva un'eccezione per Elwood Murray, perché ne aveva co-

nosciuto la famiglia. Venditore di frottole era la cosa peggiore che potesse

dire su Elwood.

Poi si passò a parlare del più e del meno - politica, economia - nel modo

in cui lo si faceva di solito in quei giorni. Per mio padre, andavamo sempre

peggio; per Richard, stavamo per uscire dal tunnel. Era difficile capire co-

sa pensare, disse Winifred, ma lei certamente sperava che si sarebbe riusci-

ti a tenere le cose a freno.

«Tenere a freno cosa?» chiese Laura, che fino a quel momento non ave-

va detto una parola. Fu come se si fosse messa a parlare una sedia.

«I possibili disordini sociali» rispose mio padre in tono di rimprovero,

dando a capire che non avrebbe dovuto più aprire bocca.

Alex disse che ne dubitava. Era appena tornato dai campi, disse.

«I campi?» domandò mio padre, perplesso. «Quali campi?»

«I campi per i disoccupati, signore» disse Alex. «I campi di lavoro di

Bennett. Dieci ore al giorno e magri guadagni. I ragazzi non ne sono trop-

po entusiasti - direi che stanno diventando irrequieti».

«I mendicanti non possono permettersi di scegliere» disse Richard. «È

sempre meglio che vivere di espedienti. Ricevono tre pasti abbondanti, che

è più di quanto possa avere un operaio con una famiglia da mantenere, e

mi hanno detto che il cibo non è male. Verrebbe da pensare che dovrebbe-

ro essere contenti, ma quel genere di persone non lo è mai».

«Non sono di nessun genere particolare» disse Alex.

«Mio Dio, un rosso da salotto» commentò Richard. Alex abbassò lo

sguardo sul piatto.

«Se lo è lui, lo sono anch'io» disse Callie. «Ma non credo che sia neces-

sario essere un rosso per rendersi conto...»

«Cosa facevate là?» domandò mio padre, interrompendola. (Lui e Callie

negli ultimi tempi discutevano molto. Lei voleva che abbracciasse il mo-

vimento sindacale. Lui diceva che Callie voleva che due più due facesse

cinque).


Proprio allora fece la sua entrata la bombe glacée. Ormai avevamo un

frigorifero elettrico - lo avevamo comprato prima del Crollo - e Reenie, per

quanto sospettosa del suo scomparto per la congelazione, ne aveva fatto

buon uso per la serata. La bombe aveva la forma di un pallone, era di un

verde brillante e dura come la selce, e per un po' assorbì tutta la nostra at-

tenzione.

Mentre veniva servito il caffè cominciò lo spettacolo dei fuochi d'artifi-

cio, giù ai Campeggi. Uscimmo tutti sul pontile a guardare. Era un bello

spettacolo, perché si vedevano non solo i fuochi d'artificio ma anche i loro

riflessi sul fiume Jogues. Fontane di rosso e giallo e blu ricadevano a ca-

scata nell'aria - stelle che esplodevano, crisantemi, salici piangenti fatti di

luce.


«I cinesi hanno inventato la polvere da sparo» disse Alex, «ma non

l'hanno mai usata per le armi. Soltanto per i fuochi d'artificio. Tuttavia non

posso dire che mi piacciano veramente. Assomigliano troppo all'artiglieria

pesante».

«È un pacifista?» chiesi. Sembrava il tipo di cosa che avrebbe potuto es-

sere. Se avesse detto di sì, intendevo mostrarmi in disaccordo con lui, per-

ché volevo la sua attenzione. Parlava per lo più a Laura.

«Non sono un pacifista» rispose Alex. «Ma i miei genitori sono stati uc-

cisi entrambi durante la guerra. O almeno credo».

Ora ci toccherà la storia dell'orfano, pensai. Dopo tutto il chiasso che ha

fatto Reenie, spero proprio che sia una bella storia.

«Non ne è sicuro?» chiese Laura.

«No» rispose Alex. «Mi è stato detto che sono stato trovato seduto su un

mucchio di macerie carbonizzate, in una casa incendiata. Tutti gli altri era-

no morti. A quanto pare mi ero nascosto sotto una tinozza da bucato o sot-

to un pentolone - un recipiente di metallo di qualche tipo».

«Dov'è successo? Chi l'ha trovata?» sussurrò Laura.

«Non è chiaro» disse Alex. «Non lo sanno con esattezza. Non in Francia

o in Germania. Più a est - in una di quelle piccole nazioni. Devo essere

passato di mano in mano; poi la Croce Rossa si è presa cura di me in un

modo o nell'altro».

«Se lo ricorda?» chiesi.

«Non proprio. Qualche dettaglio si è perduto strada facendo - il mio no-

me e così via - e poi sono finito con i missionari, che hanno intuito che tut-

to considerato per me dimenticare sarebbe stata la cosa migliore. Erano

presbiteriani, un gruppo scrupoloso. Fecero rasare la testa a tutti, per i pi-

docchi. Ricordo la sensazione di ritrovarsi all'improvviso senza capelli -

che freddo faceva. È in quel momento che iniziano davvero i miei ricordi».

Sebbene cominciasse a piacermi di più, mi vergogno di ammettere che

ero più che leggermente scettica riguardo a quella storia. C'era troppo me-

lodramma - troppa fortuna, sia buona che cattiva. Ero ancora troppo giova-

ne per credere nelle coincidenze. E se stava cercando di fare impressione

su Laura - era così? -, non avrebbe potuto scegliere modo migliore.

«Deve essere terribile» osservai, «non sapere chi si è veramente».

«Lo pensavo anch'io» disse Alex. «Ma poi mi è balenato che chi sono

veramente è qualcuno che non ha bisogno di sapere chi è veramente, come

si intende di solito. Cosa vuol dire, in ogni caso - l'origine famigliare e via

dicendo? La gente la usa per lo più come scusa per il proprio snobismo, o

per i propri difetti. Io sono libero dalla tentazione, ecco tutto. Sono libero

da vincoli. Nulla mi tiene legato». Disse qualcos'altro, ma il cielo fu scosso

da un'esplosione e non riuscii a sentirlo. Ma Laura sentì; annuì gravemen-

te.


(Cosa disse? Lo scoprii più tardi. Disse: Almeno non si ha mai nostalgia

di casa).

Un soffione di luce esplose sopra di noi. Alzammo tutti lo sguardo. È

difficile non farlo, in certi momenti. È difficile non starsene là a bocca spa-

lancata.

Fu l'inizio, quella sera - sul pontile di Avilion, con i fuochi d'artificio che

abbagliavano il cielo? Difficile dirlo. Gli inizi sono improvvisi, ma anche

insidiosi. Ti scivolano addosso di traverso, si tengono nell'ombra, si na-

scondono senza farsi riconoscere. Poi, più tardi, saltano su.

I ritocchi

Le oche selvatiche volano a sud, stridendo come cardini angosciati; lun-

go la riva del fiume le candele dei sommacchi bruciano di un rosso opaco.

È la prima settimana di ottobre. La stagione degli indumenti di lana tolti

dalla naftalina; di nebbie notturne e rugiada e gradini scivolosi, e di luma-

che intente in un'ultima passeggiata; di tardivi sprazzi di bocche di leone;

di quei cavoli ornamentali, increspati, rosa e viola, che una volta non esi-

stevano ma adesso sono dappertutto.

La stagione dei crisantemi, i fiori dei funerali; quelli bianchi, cioè. I

morti devono esserne talmente stanchi.

La mattina era pungente e bella. Ho raccolto un piccolo mazzo di bocche

di leone gialle e rosa dal giardino sul davanti e l'ho portato al cimitero. Vo-

levo deporlo sulla tomba di famiglia, per i due angeli pensierosi sul loro

cubo bianco: almeno avrebbero avuto qualcosa di diverso, ho pensato. Una

volta là ho eseguito il mio piccolo rituale - la circonlocuzione del monu-

mento: la lettura dei nomi. Credo di farlo in silenzio, ma una volta ogni

tanto colgo il suono della mia voce, che borbotta come un gesuita che reci-

ti il breviario.

Pronunciare il nome dei morti è farli vivere di nuovo, dicevano gli anti-

chi egizi: cosa che non sempre è da augurarsi.

Dopo aver fatto il giro completo del monumento, ho trovato una ragazza

- una giovane donna - inginocchiata davanti alla tomba, o meglio davanti

al posto che vi occupa Laura. Aveva la testa piegata. Era vestita di nero:

jeans neri, T-shirt e giacca nere, un piccolo zaino nero, di quelli che adesso

si portano invece delle borse. Aveva lunghi capelli scuri - come quelli di

Sabrina, ho pensato con un improvviso batticuore: Sabrina è tornata, dal-

l'India o da dovunque sia stata. È tornata senza avvertire. Ha cambiato idea

sul mio conto. Voleva farmi una sorpresa, e adesso gliel'ho rovinata.

Ma quando ho guardato più da vicino, ho visto che la ragazza era un'e-

stranea: una studentessa inquieta, senza dubbio. In un primo momento a-

vevo pensato che stesse pregando, ma no, stava deponendo un fiore: un so-

lo garofano bianco, il gambo avvolto nella stagnola. Quando si è alzata, ho

visto che stava piangendo.

Laura commuove la gente. Io no.

Dopo il picnic della fabbrica di bottoni, ci fu la solita specie di resoconto

sull'Herald and Banner - quale bambino aveva vinto il concorso per il

Bambino Più Bello, chi aveva vinto quello per il Miglior Cane. Anche il

contenuto del discorso di mio padre, molto abbreviato: Elwood Murray

mise una patina di ottimismo su tutto, in modo da farlo sembrare perfetta-

mente normale. C'erano anche alcune foto - il cane vincente, una sagoma

scura che ricordava una scopa di filacce; il bambino vincente, grasso come

un puntaspilli, con una cuffietta ornata di gale; i ballerini di danze irlandesi

che sollevavano un gigantesco trifoglio di cartone; mio padre sul podio.

Non era una bella foto: aveva la bocca semiaperta, e sembrava che stesse

sbadigliando.

Una delle fotografie ritraeva Alex Thomas con noi due - me alla sua si-

nistra, Laura alla destra, come reggilibri. Entrambe lo guardavamo sorri-

dendo; anche lui sorrideva, ma aveva sollevato la mano davanti a sé, come

facevano i criminali della malavita per proteggersi dai flash al momento

dell'arresto. Tuttavia, era riuscito a nascondere solo metà del viso. La dida-

scalia diceva: «La signorina Chase e la signorina Laura Chase intrattengo-

no un Visitatore di Fuori Città».

Elwood Murray non era riuscito a rintracciarci quel pomeriggio, per

scoprire il nome di Alex, e quando aveva chiamato a casa aveva trovato

Reenie, che aveva detto che i nostri nomi non avrebbero dovuto essere

messi in giro insieme a quelli di Dio sa chi, e si era rifiutata di rivelarglie-

lo. Lui aveva comunque pubblicato la fotografia, e Reenie si sentì offesa,

sia da noi che da Elwood Murray. Pensava che quella foto rasentasse l'in-

decenza, sebbene le nostre gambe non fossero in mostra. Pensava che a-

vessimo tutte e due degli sciocchi sguardi maliziosi sul viso, come oche

che si struggano per amore; con le bocche spalancate a quel modo poteva-

mo benissimo sbavare. Avevamo dato un penoso spettacolo di noi stesse:

tutti in città ci avrebbero riso dietro per aver fatto gli occhi dolci a un gio-

vane mascalzone che sembrava un indiano - o peggio, un ebreo -, con le

maniche rimboccate a quel modo, e per giunta comunista.

«Quell'Elwood Murray andrebbe preso a schiaffi» disse. «Pensa di esse-

re tanto furbo». Strappò il giornale e lo infilò nella cassetta della legna per

il fuoco, in modo che mio padre non lo vedesse. Dovette vederlo comun-

que, giù in fabbrica, ma non fece commenti.

Laura telefonò a Elwood Murray. Non lo rimproverò, né ripeté nulla di

quanto Reenie aveva detto sul suo conto. Invece gli disse che voleva di-

ventare fotografa, come lui. No: non avrebbe detto una simile bugia. Que-

sto è solo ciò che lui dedusse. Ciò che Laura disse veramente fu che voleva

imparare a sviluppare foto dai negativi. Ed era la pura verità.

Elwood Murray fu lusingato da quel segno di favore dalle altezze di

Avilion - per quanto dispettoso, era un pavido snob - e acconsentì a farsi

aiutare da lei nella camera oscura tre pomeriggi alla settimana. Poteva

guardarlo mentre stampava le fotografie che eseguiva oltre alla normale

routine, di matrimoni e cerimonie di consegna dei diplomi e così via. Seb-

bene il quotidiano fosse composto e stampato da un paio di uomini nella

stanza sul retro, Elwood faceva quasi tutto il resto per quanto riguardava il

settimanale, incluso lo sviluppo delle sue foto.

Forse avrebbe potuto insegnarle anche i ritocchi a mano, disse: era un'at-

tività promettente. La gente portava le sue vecchie stampe in bianco e nero

per riaverle più vivide grazie all'aggiunta di colore che restituisse loro vita.

Questo veniva fatto sbiancando le aree scure con un pennello, poi trattando

la stampa con un bagno color seppia per darle una sfumatura di fondo rosa.

Dopodiché veniva la coloritura. Le tinte erano in tubetti e bottigliette, e

dovevano essere applicate con gran cura con piccoli pennelli, eliminando

meticolosamente le quantità in eccesso. Ci voleva gusto e abilità nel me-

scolare, in modo che le guance non sembrassero cerchi rossi, o la pelle una

stoffa beige. Ci voleva buona vista e mano ferma. Era un'arte, diceva El-

wood - un'arte che era molto orgoglioso di conoscere a fondo, modestia a

parte. Conservava un espositore girevole con una scelta di queste foto ri-

toccate in un angolo della vetrina del giornale, una sorta di pubblicità. Va-

lorizzate i Vostri Ricordi, diceva il cartello scritto a mano che aveva messo

lì accanto.

Giovanotti in antiquate uniformi della Grande Guerra erano i soggetti

più frequenti; anche spose e sposi. Poi c'erano foto di diplomi, prime co-

munioni, solenni gruppi di famiglia, bambini in abiti da battesimo, ragazze

in vestiti da cerimonia, bambini in tenute da ricevimento, gatti e cani. C'era

l'occasionale animaletto eccentrico - una tartaruga, un'ara - e, raramente,

un bambino in una cassa da morto, con il viso cereo, circondato da gale.

I colori non risultavano mai chiari, come avrebbero fatto su un pezzo di

carta bianca: avevano un che di indistinto, come se fossero visti attraverso

della mussola. Non facevano sembrare le persone più reali; queste diventa-

vano piuttosto ultrareali: cittadini di uno strano paese a metà, dai colori vi-

vaci e al tempo stesso smorzati, che non aveva niente a che fare con il rea-

lismo.


Laura mi disse dei suoi incontri con Elwood Murray; lo disse anche a

Reenie. Mi aspettavo proteste, scenate; mi aspettavo che Reenie le dicesse

che si stava degradando, o che si stava comportando in maniera scorretta e

compromettente. Chi poteva dire cosa sarebbe potuto accadere in una ca-

mera oscura, tra un giovanotto e una ragazza a luci spente? Ma secondo

Reenie non era come se Elwood pagasse Laura per lavorare per lui: le sta-

va piuttosto insegnando, ed era tutta un'altra cosa. Questo lo metteva alla

stregua di un dipendente. Quanto al fatto che Laura stesse nella camera o-

scura con lui, nessuno ne avrebbe pensato male, perché tanto Elwood era

un invertito. Sospetto che Reenie fosse segretamente sollevata nel vedere

che Laura si dimostrava interessata in qualcosa che non fosse Dio.

Laura si dimostrava certamente interessata, ma come al solito esagerò.

Sgraffignò alcuni dei materiali per i ritocchi di Elwood e li portò a casa.

Lo scoprii accidentalmente: ero in biblioteca a curiosare a caso tra i libri,

quando notai le fotografie incorniciate del nonno Benjamin, ognuna con un

primo ministro diverso. Il viso di Sir John Sparrow Thompson era adesso

di un delicato color malva, quello di Sir Mackenzie Bowell di un verde bi-

liare, quello di Sir Charles Tupper di un arancione pallido. La barba e le

basette del nonno Benjamin erano state colorate di un cremisi chiaro.

Quella sera la colsi sul fatto. Là sulla sua toletta c'erano tubetti e piccoli

pennelli. E anche il ritratto ufficiale di noi due con i nostri vestiti di velluto

e le Mary Janes. Laura aveva tolto la foto dalla cornice e mi stava coloran-

do di blu chiaro. «Laura» dissi, «in nome del cielo, cosa stai facendo? Per-

ché hai colorato quelle foto? Quelle in biblioteca. Papà sarà furioso».

«Stavo solo facendo pratica» disse. «Comunque, quegli uomini avevano

bisogno di una ritoccatina. Secondo me adesso hanno un aspetto migliore».

«Hanno un aspetto strano» ribattei. «O molto malato. Nessuno ha la fac-

cia verde! O malva».

Laura era imperturbabile. «Sono i colori delle loro anime» disse. «Sono i

colori che avrebbero dovuto avere».

«Finirai in grossi guai! Capiranno chi è stato».

«Nessuno le guarda mai» disse. «A nessuno importa».

«Be', farai meglio a non toccare neanche con un dito la nonna Adelia»

l'avvertii. «E neanche gli zii morti! Papà vorrebbe la tua pelle!»

«Volevo farli in oro, per mostrare che sono nella gloria celeste. Gli zii,

non la nonna. Lei l'avrei fatta color grigio acciaio».

«Non osare! Papà non crede nella gloria celeste. E faresti meglio a ren-

dere quei colori prima di essere accusata di furto».

«Non ne ho usati granché» disse Laura. «Comunque, ho portato a Elwo-

od un vasetto di marmellata. È un buono scambio».

«La marmellata di Reenie, suppongo. Presa dalla cantina fredda - glie-

l'hai chiesta? Lei conta le marmellate, lo sai». Presi la foto di noi due.

«Perché io sono blu?»

«Perché sei addormentata» rispose Laura.

I materiali per i ritocchi non furono le uniche cose che sgraffignò. Una

delle incombenze di Laura era sistemare i negativi. A Elwood piaceva te-

nere l'ufficio bene in ordine, e anche la camera oscura. I suoi negativi era-


Yüklə 2,13 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   15   16   17   18   19   20   21   22   ...   50




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin