Modello Amàrantos



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Ormai sembravo ripreso, ma le grinfie del bar centrale mi strapparono dalle pulizie di primavera per una bicchierata tra amici. L’atmosfera era sempre la stessa e naturalmente sempre piacevole. Non si faceva altro che parlare di stronzate e ridere per qualcosa che normalmente faceva piangere. Ad esempio i morti. Da bere non mancava e neppure il mio stordimento sembrava venire meno. Rapidamente la situazione iniziò però a sfuggirmi di mano. Andiamo. Dove. Qualcuno suona. Luci discoteca. Fumo rosso blu. Questo qua giallo odore di macchina. Nel bosco silenzio neve. L’antica osteria butta ancora no sì. Apri la porta.

Ed ero ancora in auto. L’ora era tarda, forse era ormai l’alba, ma il chiarore si nascondeva bene fuori dalla galleria. Il mio macchinario pesante andava quasi da solo; si trascinava come una foca morta tra i ghiacciai dell’autostrada. Flash. Ho vomitato fuori dalla discoteca. Stop. Lou mi parlava di qualcosa che aveva a che fare con la musica che stavamo ascoltando, tipo che c’era qualcuno che insultava qualcun’altro che suonava, non so se bene o male. Io non c’ero a quel concerto, sempre che fosse stato un concerto, e non potevo di certo esprimermi se non ero certo. Flash. Lou aveva cantato smoke on the water insieme ad un nano, sì il cantante era nano, o per lo meno molto basso, nano. Stop.

- tieni la destra, serpente porco

- tanto siamo in autostrada

- sì, ma stavi per andare contro le transenne...

Effettivamente mi stavo storcendo un po’ troppo, insieme a tutto il mio macchinario pesante. Lou tra l’altro vi era all’interno e mi sarebbe dispiaciuto ucciderlo. Io potevo anche morire, anzi ero già sulla buona strada. Mi sembrava di avere la testa piena di chiodi da venti centimetri; le articolazioni atrofizzate ed un senso di rigetto nei confronti di tutti i miei organi interni. Poi non riuscivo a stare sveglio. Le palpebre mi si chiusero diverse volte e spesso le riaprii solo dopo essermi goduto qualche attimo di torpore. Devo seguire le strisce tratteggiate, basta solo seguire le strisce. Canta. Tu di dà.

- io mi fermo a dormire

- no, porco due, va avanti!

- tanto tutti devono dormire

Feci per accostare il veicolo, ma il mio socio mi bloccò il volante. Ero al limite. Buttai la testa fuori dal finestrino per sentire in corpo la brezza e la pioggerellina di fine dicembre. Un colpo di agente atmosferico mi soffocò la gola e mi affondò un gancio nello stomaco, facendomi contorcere perfino il volto. Quel poco che avevo ancora in deposito mi schizzò fuori dalla bocca, come sempre, mezzo fuori e mezzo sul cruscotto. Stronzone, gira! Bava verde sulla plastica tenera di moquette. Liquido alcolico, aromatico, sambuchizzato, ma marcio; così marcio da farmi quasi vomitare di nuovo. Mi ingolfai un’altra volta l’esofago, ma ormai non avevo proprio più liquidi da espellere. Cazzo, dovevi girare! Le narici mi traboccavano di quello schifo, mentre la gola bruciava ed ardeva. Un dolore putrido, che sgusciò tagliente tra i succhi gastrici stagnanti, mi fece persino accelerare e distorcere il volante, nel tentativo di placarlo. Fortunatamente durò solo pochi istanti, così riuscii a contenermi tra le perfide corsie dell’autostrada. Lou bestemmiò in turco e con gli occhi quasi fuoriusciti dalla sua testa tentennante, mi disse:

- Giuda malvagio, dovevi uscire prima!

- retromarcia?

- In autostrada? Fanculo, fai manovra e girati, almeno hai una visuale migliore.

Combustibile

Dedicato ai figli di puttana che vengono a casa mia a guardarsi i porno sulla pay TV.

Era una glaciale notte di gennaio e passando davanti al Grave vidi il termometro che sputava un triste meno quindici. Cazzo. Non ci pensai troppo però, dato che ero così ubriaco da non rendermi neppure conto di essere in maniche corte. Entrai in casa e buttai su qualcosa da mangiare, qualcosa di veloce ed economico, non ricordo cosa però. Non ero troppo in forma e non ci giurerei di essermi appisolato sul divano una mezz’ora, prima di uscire di nuovo. Era sabato sera. Non mi importava se fossi stanco o se stessi male o vattelapesca; l’unica cosa di cui ero sicuro in quel momento era che fosse sabato sera. Per me significava andare in giro a spaccarmi il fegato, fino a quando il mio fisico cedeva, senza altre limitazioni idiote di qualsiasi natura. Normalmente andava a finire che il giorno dopo mi svegliavo senza più ricordare un cazzo e la memoria mi riaffiorava lentamente nei giorni successivi, riempiendomi il cranio di ulteriori stronzate e storie di vita inutile. Quella stronzate però erano l’unica cosa che mi distingueva da un verme che vive e muore sotto terra.

Vagai tutta la notte tra un’osteria e l’altra, pisciando come un cane ad ogni albero, pensando e vivendo come una bestia. Le mie parole divennero sempre più simili a versi selvaggi e si impastavano l’un l’altra in una melodia ormai dimenticata. Da qualche locale mi buttarono fuori, altri li vidi chiudere al mio passaggio, così come la gente che se ne andò senza creare scalpore. Il resto della mia nottata fu solo alcol, neve e poesia, cielo e terra imprigionati nella mia testa in un valzer frastornato di colori.

Aprii gli occhi e mi resi conto di essere seduto, o meglio incastrato, tra una poltroncina ed il tavolo. Intorno a me era buio, si vedevano solo i led del pc che spesso dimenticavo acceso e così si atrofizzava andando in stand-by. Sentivo dei rumori strani, ma le orecchie mi fischiavano in maniera così farabutta da non distinguere più alcun suono. Probabilmente era mattina, se non addirittura pomeriggio ed ero così confuso e rincoglionito che per qualche minuto restai fermo, troppo stanco per pensare a cosa fare. Finalmente mi alzai ed accesi la luce. Sbarrai gli occhi e vidi contro il muro un tizio nudo completo, che si massaggiava il gingillo. Bestemmiai d’istinto, ma lui non fece una piega. Santiddio. In casa mia c’era un pazzo che si menava l’uccello. In piedi, dritto sopra i sui vestiti ammucchiati con il cazzo in mano, sudato come un cavallo, era un incubo mal riuscito.

Gli bestemmiai contro per circa mezz’ora e tirai quattro pugni contro il muro, giusto per non spaccargli la testa. Lui sembrava non vedermi e continuò a fare quello che stava facendo. Non potevo crederci. Mi sedetti a tavolo e mi scolai gli ultimi tre centimetri di bottiglia di whisky che era rimasta sul tavolo, insieme a tutta l’altra merda di piatti e lattine di birra. Il deficiente iniziò persino ad ansimare e a quel punto iniziai a ridere come un matto. Non so se era un così detto “ridere per non piangere” o se stavo impazzendo anch’io.

Erano passati dieci minuti quando riprovai a parlare con quel tizio, questa volta molto più pacatamente, quasi a fargli credere che volessi ragionare con lui. Utilizzai frasi del tipo “se hai qualche problema sono qui per aiutarti”; “non preoccuparti va tutto bene”. Fortunatamente mi resi conto che facendo così, oltre a non concludere un cazzo, mi stavo rendendo ridicolo quasi più di lui. Aprii la dispensa, mi presi una birra ed andai a bermela in un'altra stanza. Feci due sorsate, ma lo psicopatico iniziò ad ansimare così forte che decisi di andare a spaccargli la testa. Entrai nella cucina bestemmiando, ma quando lo vidi, là, eretto, in tutti i sensi e con gli occhi chiusi, mi misi a ridere un’altra volta. Non era possibile. Restai immobile a guardarlo. Era un ragazzo piuttosto robusto, moro, con un uccello tremendo ed un odore insopportabile. Come mi era capitato là non lo sapevo. Mi era successo in passato di svegliarmi alla mattina con qualche babusca nuda sul letto, magari anche marcia e sgualfara, ma un uomo in cucina che si masturbava aveva dell’inverosimile. Per quanto brutte possono essere state quelle donne, erano donne. Santiddio. Avevano la figa, larga, stretta, pelosa, rasata, ma la figa. Non una nerchia di trenta centimetri. “Chi cazzo è questa?” “Come cazzo ho fatto a portarmi a letto un cesso così?” Queste erano le mie classiche domande. Altro che “Chi cazzo è questo?” “Perché si sta facendo una sega?” “Perché non sente, non vede, non parla?” “Perché non l’ho ancora massacrato di scarpate nei coglioni?”. A pensare che normalmente mi girano le palle se mi sveglio insieme a qualche troia. Che cazzo dovrei fare adesso?

Mentre mi ponevo questi sani interrogativi il tipo cacciò un grugnito e spruzzò mezzo litro di seme candido sopra la tavola. Mi imbrutalii a tal punto che gli tirai una gardana in testa a pugno chiuso, secca e nervosa, da stendere un bovino. Per il colpo il tizio inclinò leggermente il cranio, poi si girò lentamente e mi rispose con un pugno così rapido e tremendo che cadetti a terra e non mi rialzai più.

Quando aprii gli occhi ero disteso per terra, tra il corridoio e la cucina, con un mal di testa inverosimile. Per un attimo pensai di aver sognato tutto. Ipotizzai di esser stato così ubriaco da ribaltarmi sul pavimento e vattelapesca. Poi mi rialzai lentamente e vidi l’energumeno cazzuto ancora là nello stesso posto, quasi appoggiato al muro, che si trastullava l’enorme membro. Non avevo parole, se non bestemmie. Restai un momento in ginocchio a guardare quel triste spettacolo, poi balzai in piedi, afferrai una cadrega e gliela tirai addosso, ma lui si sveglio improvvisamente da quello stato di trance e riuscì a prenderla al volo, per poi buttarla in aria come fosse di cartapesta. La sedia si schiantò sulla tavola rovesciando tutto per terra, in un immensa nube di stronzerie. Due bicchieri si frantumarono in mille pezzi e in quell’istante l’imbecille riprese a in mano il suo pene.

Non sapevo più cosa fare. Presi l’aspirapolvere ed il moccio, una bottiglia di varechina e iniziai con malavoglia a pulire quella merda pervasa di sperma, probabilmente infetto. Era denso come vinavil e puzzava di più della bestia che l’aveva prodotto. L’odore della varechina era oro in confronto. Restai qualche secondo a sniffarla come fosse polvere bianca e ci provai gusto, poi mi passò la voglia di pulire e mi presi un’altra birra del discount. Quel figlio di puttana. Era ancora là ed ansimava come un ramapiteco. Lo stronzo. Perché era venuto da me. Ci sono dieci mila miliardi di case nel mondo ed era capitato nella mia. Come cazzo avevo fatto a farlo entrare? Non mi ero mai pentito così tanto di aver tirato su una sbronza colossale. Provai a pensare intensamente alla serata passata, ma oltre ad un testa coda con l’auto e qualche insulto ad una vecchia babusca non ricordavo niente. Niente. Forse lo avevo trovato al Grave. Può darsi. Ma chi c’era con me ieri sera? Kurt, sì Kurt. Ed Eddie. E… Qualcuno di sicuro lo avrà visto prima di me. O almeno insieme a me. Anzi, ricordo che c’era un po’ di gente qua da me, questa notte. Devo assolutamente telefonare a qualcuno. Stranamente trovai quasi subito il telefonino, lo infilai sotto carica e chiamai Kurt. Notai che l’idiota ogni tanto cambiava mano, ma il pisello era sempre quello. Ormai era viola, con le vene ingrossate. Risi un attimo al pensiero che quel deficiente potesse morire per colpa delle sue fottute seghe. Se lo meritava.

- Hei, Kurt, come va?

- Insomma, sono rincoglionito dalla sbronza di ieri notte…

- Consolati, io sto molto peggio… Santiddio

- Perché?

- Dopo ti racconto. Comunque volevo chiederti se ti ricordi un tipo strano che era con me ieri sera. Uno grosso, moro, con la faccia da deficiente…

- No, non mi sembra

- Porco due non mi ricordo una minchia di ieri sera. Per caso ci siamo visti?

- Cazzo. Non ti ricordi? Eravamo via al Grave… poi siamo andati a casa tua…

- Eravamo io, te, Eddie e…

- E Lou, Ozzy, e le solite roie

- E basta?

- Sì, perché?

- Sei sicuro che non ci fosse altra gente?

- Tipo chi, il moro deficiente che mi dicevi?

- Esatto


- Oh, santiddio, no, non c’era nessun deficiente, almeno mi sembra. Ma che cazzo hai fatto con ‘sto tipo? Una rissa, tanto per cambiare? O te lo ha messo nel culo?

- Spero proprio di no. - In quel momento preferii mentire sulla realtà dei fatti e mi inventai una puttanata abbastanza credibile - No, dai, Kurt, è che sono andato in giro con questo melcico e probabilmente ho lasciato il cappello in macchina sua…

- Sei sempre il solito ubriacone del cazzo

- Vaffanculo Kurt

- La prossima volta legatelo sui coglioni quel cappello di merda! Sempre che lo ritrovi

- Ma… adesso provo a chiamare Eddie. Buono, dai, ci sentiamo

- Saiudi Jim

Appoggiai il telefono con un senso di disperazione. Era inutile chiamare Eddie. Kurt era l’unico di noi con un briciolo di memoria. E anche se Eddie l’avesse visto, non mi sarebbe stato di nessun aiuto. Eddie era un ubriacone dei miei coglioni, un buon ragazzo, sì, ma quando beveva troppo non stava più in sagoma, come me del resto. Degli altri due tizi non avevo neppure il numero. Fanculo. Ritornai a pulire.

Mi ero svegliato dal KO tecnico verso le sei di sera ed ormai erano quasi le sette. Avevo bevuto già mezza cassa di birra; quella sera mi andava giù come fosse acqua, al ritmo di una lattina ogni tre sorsate. Mi accesi una sax storta e guardai con gli occhi di vetro quell’enorme uomo con quell’enorme cazzo pieno di vene pulsanti. Faceva veramente schifo. Era tipo una melanzana marcia, farcita di muffa o sperma secco che si protraeva fino alla punta delle dita di quelle sue mani nodose e larghe. Ormai ero di nuovo ubriaco, comunque la sburra era disinfettata, i vetri raccolti e quel fottuto “John” era ancora là a menarsi il cazzo. Ogni tanto rallentava, poi accelerava di nuovo e sprigionava urli di sudore. Non potevo neppure guardare la tv perché quel folle si era piazzato proprio davanti e non mi andava di rischiare di prendermi altri pugni in testa. Bevevo birra, non mi restava altro. Quasi, quasi speravo che venisse qualcuno a trovarmi per renderlo partecipe di questa demenza, ma quel soggetto era talmente assurdo che non avevo idea di come avrebbe potuto reagire una qualsiasi altra persona. Però in due o tre avremo potuto portarlo fuori di lì. Ma. Non sembrava una cattiva idea. Anzi. Che stupido che sono stato, pensai, perché cazzo non ho detto niente al Kurt. Forse perché speravo di cavarmela da solo. Che arrogante che sono.

Provai allora a richiamare Kurt, poi le prime tre persone che mi saltarono in mente, ma in cambio ricevetti messaggi del tipo tim, vodafone, vattelapesca, il cliente non è al momento raggiungibile… Mi passò perfino per la testa l’idea di chiamare i cartabinieri, la pula o chi per loro, ma mi sembrò ancora più assurdo. Sarei finito in galera ancora prima di quel segaiolo. Avevo la casa piena di roba rubata, droga di qualche tipo in giro, che magari non sapevo neppure io di preciso dov’era. Poi, se non si accorgevano di quello, magari mi rompevano il cazzo perché ero ubriaco, avevo i documenti falsi della macchina e non pagavo nessun tipo di tassa da troppo tempo. No. L’unica soluzione era quella di aspettare che arrivasse qualche mio soma. Stronzi. Quando non servono a un cazzo, magari quando sto dormendo, mi suonano il campanello per mezz’ora, mentre oggi non mi cagano neppure dal buco della serratura. Stronzi. Teste di cazzo.

John, così chiamavo il Mr. sega, non dava nessun segno di cedimento. Anzi, più era incandescente il suo argano, più sembrava divertirsi. Accartocciai l’ultima birra con disperazione, ma in quel momento il telefonino fece uno squillo. Era David. Bene. Lo chiamai immediatamente e gli dissi di correre giù da me senza fare domande. Bene, bene. Adesso lo facevamo a pezzi quel pervertito. Per quanto grosso poteva essere saremo stati in due a massacrarlo, pensai, ed uno di noi due era perfino sobrio, non io ovviamente.

Il tempo sembrava essersi fermato, ma finalmente avevo un supporto tecnico per cacciare la bestia e mi sentivo rinato. Nel frattempo lui non demordeva, si masturbava inesorabilmente e tutto ciò ormai non mi faceva più nessun effetto. Bisognava punirlo. Oppure aspettare che cedesse. Dovrà pur mangiare o andare a pisciare o vattelapesca, pensai. Rabbrividii al solo pensiero che si mettesse a pisciare o a cagare lì e mi convinsi che ormai David era l’unica soluzione. Improvvisamente lo stronzone iniziò ad ululare come un forsennato, ad urlare come un mostro di Dirkinson ed eiaculò per la seconda volta.

- Santiddio, figlio di puttana, va fuori dal cazzo te e la tua sburra di merda! Te e tua madre quella troia che ti ha partorito dal buco del culo! Figlio di puttana!

Dal nervoso mi buttai contro di lui e lo presi per il collo, ma il segaiolo mi stese in tempo zero con uno schiaffo che mi fece urlare e bruciare la faccia. - Drin… Drin - Mi accasciai per terra contorto dal dolore - Drin…Drin - David? - Mi rialzai incredibilmente, spinto dalla disperazione, e barcollando aprii la porta.

- Come vedo lei è ancora ubriaco…

David un cazzo, era il vecchio filibustiere, il mio padrone di casa.

- Eh, mi scusi…

- Lei ha poco da scusarsi, ha capito? È da questa mattina alle sei che c’è un casino inammissibile!

- Ho visto gente che andava e veniva a quell’ora, ma cos’è questa? Una casa o un bordello? E dopo è tutto il giorno che sento urla, colpi e bestemmie? Ma è impazzito? Si ricorda cosa mi ha detto l’ultima volta?

- Sì, Sì, comunque ho risolto tutto, arrivederci.

Gli chiusi la porta praticamente in faccia, ma il vecchiaccio barbuto si attaccò al campanello, così fui costretto a riaprire la porta.

- Mi dispiace, guardi, non succederà più...

- Speriamo, speriamo. Questo è il mio ultimo avviso, alla prossima cazzata, Jim, lei è fuori. Arrivederci.

Fanculo, pensai, ma nonostante fossi sbronzo, mi trattenni da dirlo. Tornai in cucina e non mi sorpresi nel vedere la stessa scena che mi ossessionava ormai da troppe ore. David non arrivava più. Decisi di richiamarlo ma non trovavo più il telefono. Fanculo, fanculo, e come se non bastasse il vecchio tirchio era furibondo.

Mi attaccai ad una bottiglia di Sambuca che tenevo per i momenti estremi e ne abusai a tal punto che il mio cervello non resse il ritmo degli altri organi, così pisciai oltre il davanzale e mi spiaccicai sul pavimento.
Mi svegliai più rintronato del solito, in un post-sbronza colossale, frastornato da decine di incubi che mi avevano assalito nella notte, sudato e marcito, ma conscio del nostro amico John. Era ancora lì, sopra i suoi vestiti ammucchiati che si massaggiava gli enormi testicoli, forse tre, ma non potrei giurarlo. Non dorme mai quello stronzo? Se almeno dormisse lo butterei a sua insaputa giù per il fosso. Non mangia? Non caga? Beh, forse è meglio. Mi alzi e fissai la sveglia: le otto. Avevo dormito parecchio, forse ne avevo bisogno, ma non mi sentivo affatto meglio. Forse David aveva provato a suonare ma non avevo sentito il campanello. Merda. E come se non bastasse dovevo andare a lavorare per forza. Era il mio primo impiego dopo tre mesi di disoccupazione, durante i quali per poco non ho domandato l’elemosina per comprarmi le sigarette. Dovevo andare a lavorare, era il mio primo giorno di lavoro, dovevo, dovevo. Lavoravo in un loculo che non era molto male, ma era comunque un lavoro, un must. Non potevo rischiare di mandare a puttane tutto quanto per colpa di un fottuto segaiolo, che puzzava tra l’altro. Magari se me ne andavo se ne andava anche lui. Pensai bene allora di lasciare aperta la porta verso la balaustra che era collegata alle scale dell’uscita. Forse me la sarei cavata con poco. Almeno speravo. Prima di uscire di casa lo fissai ancora un momento mentre si continuava a dare da fare con il suo carciofo e mi accorsi che ormai non mi faceva più alcun effetto. Se non un senso di vomito.

Salii rapidamente le scale, ma giunto sul marciapiede ripensai un attimo su quello che stavo facendo. Anche se era tardi non potevo lasciare là così quello psicopatico, nudo e crudo, in mezzo a tutta la mia preziosa roba. Non che avessi molto, ma in quella stanza avevo tutto quello che normalmente una persona normale ha sparso su un intero appartamento: computer, tv, cd, microonde, pannelli vari, lavatrice, un tostapane, decoder, casse acustiche, casse di birra, bottiglie di Sambuca. Non mi andava di lasciare le uniche cose che avevo in balia di quel deficiente. Tornai quindi indietro di corsa e pensai bene di spostare il tutto in camera da letto. Nel giro di pochi minuti spostai il tutto con grande foga, lasciando la stanza priva di qualsiasi roba di un qualche valore. Non mi restò neppure il tempo per un caffè, così chiusi a doppia mandata la porta che collegava la cucina dal resto della casa, e mi assicurai che quella verso la terrazza fosse effettivamente aperta, poi volai via. Uscendo salutai John come fosse un mio vecchio socio, ma lui era intento nei suoi mestieri e non mi prestò neppure la minima attenzione. Fluttuai rapidamente verso la fermata dell’autobus e nonostante tutto il casino riuscii ad anticiparlo di un paio di minuti. Ecco perché. A causa della neve arrivo con un ritardo di più di mezz’ora.

Quando salii sul mezzo mi resi conto di aver dimenticato l’abbonamento, il telefonino, i soldi e chissà quanta altra roba. Non potevo farci niente, allora mi buttai infondo sul divano da cinque, abbassai il frontino del cappello e chiusi gli occhi. L’ultima immagine che vidi davanti a me fu una bella bionda che si masturbava, tutta nuda nella mia cucina e non faceva altro che pregarmi di incularla.

- Jim, Jim, svegliati!

- Eh, Dio belva, siamo già arrivati?

- ti vedo in coma questa mattina, hai bevuto anche ieri?

- lasciamo perdere…

Scesi dal mezzo in uno stato di rincoglionimento totale, salutando quel tizio che gentilmente mi aveva svegliato, ma che mi stava talmente sul cazzo che gli augurai una morte atroce all’istante. Avevo ancora sonno, forse era lo stress, forse l’alcol che mi stava uccidendo una volta per tutte, forse il freddo che faceva, oppure il caldo che c’era in Brasile.

Bruciai così una sigaretta per farla salire al cielo ed abbassai la testa per non guardare troppo il mondo. Camminai come un fantasma attraverso la città costernata di gente demente, tutta uguale con sciarpe e giacconi, tutta con l’identica espressione, esseri tristi e finti contenti, blocchi scuri di pietra che si staccavano dai palazzi. Mi fermai in un bar in angolo, uno dei tanti in tanti angoli, poi presi un caffè nero di lunedì e me ne andai pagando insieme alla neve.

L’ascensore era fuori uso e salii a piedi, bestemmiando e sbadigliando, con un unico pensiero in testa, peccato però che non riuscissi a trovarlo.

La giornata mi passò sostanzialmente male. Non riuscivo a concentrarmi neppure se pensavo a puttanate assurde. Era il mio sesto giorno di lavoro e stavo facendo una figura di merda dietro l’altra, anzi non facevo proprio nessuna figura, visto che non riuscivo a fare un bel cazzo. A mezzogiorno non andai neppure a mangiare, dato che non mangio mai a mezzogiorno. Verso le due e mezzo mi venne fame e sete contemporaneamente, ma visto l’enorme quantità di denaro che possedevo riuscii solamente a scroccare un caffè corretto ed un goccio di acqua dal rubinetto del cesso. Sempre meglio che una scarpata sui coglioni, dicevo sempre. Non per essere mostruosamente arrogante, ma avevo ragione. Era una giornata assurda. L’unica cosa positiva era che avevo ancora qualche sigaretta ed ogni tanto staccavo il cantiere per andare sul poggiolo a fumarmela. Stavo lì per cinque minuti in paranoia e non ne cavavo un ragno dal buco del culo.

Che cazzo faccio. Probabilmente è già andato via. Che imbecille che sono, ho lasciato tutta la roba da mangiare e da bere là, a disposizione di quel coglione. Magari accende il gas, lo lascia aperto e mi fa scoppiare la casa. Così muore lui ed il vecchiaccio di merda. No, probabilmente ha deciso di suicidarsi a furia di seghe e non smetterà fino all’ultimo respiro. Oppure mi sta prendendo in giro e viene solo quando sono a casa io per rompermi le palle. Forse si è drogato troppo, è in una specie di trance. Che cazzo avrei fatto se fosse morto? Basta. Basta. Non me ne frega un cazzo di trovare spiegazioni, non voglio neanche più pensarci. L’unico mio pensiero deve essere quello di buttarlo fuori dal cazzo. Ok.

Spensi il mozzicone con cattiveria sul ferro della ringhiera e tornai in postazione per l’ultima mezz’ora di lavoro, prima di andare a sistemare un conto con un mio vecchio amico pippaiolo.


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