Modello Amàrantos



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Mi sbrandellai mezzi vestiti, caddi a terra con la faccia nella sabbia, ma riuscii a varcarlo. Dietro di me ancora urla feroci. Non ero ancora salvo. Corsi fino alla porta del casolare che era racchiuso tra questo demoniaco filo spinato e bussai alla porta con tutta la mia disperazione e tutto il mio fiato corto.


Mi ripulii il truglio dalle bave secche e mi distesi sul letto. Al buio, senza tv, senza musica, solo per dormire. Dovevo dormire. Ero sveglio da troppo tempo. Mi erano rimaste troppe poche ore per poterle trascorrere in piedi. Chiusi gli occhi ed il letto iniziò ad inclinarsi abbassandosi sul lato del cuscino.

Adesso la pendenza sarà del 20%. Ma sta aumentando. Cazzo se sta aumentando. Mi sto spiaccicando contro testiera del letto.

Sbarrai gli occhi. Ero perfettamente orizzontale, con la testa incassata contro la fottuta testiera del letto. Forse era stato solo un incubo. Sicuramente era stato solo un marcissimo incubo.

Spensi di nuovo i fanali. Dovevo dormire. Cazzo se dovevo dormire.

Paralisi del sonno. Centesimo fanculo. Quella volta fu terribile. Nel mio stato di atrofizzazione mi sentivo perfino lievitare dal letto. Salire lentamente, poi fermarmi a mezz’aria, poi discendere fino a farmi urtare il cuore contro le molle aguzze del vecchio materasso.

Terrore. Non riesco a svegliarmi. E se mi sveglio e mi trovo a mezz’aria? Non vedo dove sia il problema. Concettualmente non dovrebbe essere un dramma... ma ho paura.

Caddi rovinosamente dal mio metro sopra il piano d’appoggio e mi di colpo mi svegliai, con mezzo corpo informicolito.

- Sono qui...

Seguii queste lente sillabe con il cuore alla gola e i miei occhi si affacciarono ancora contro la ragazzina celestiale.

- Ah, basta cazzo! - Balzai in piedi urlando come uno psicopatico. Non c’era nessuno lì con me. Nessuno. Probabilmente neanche io ero completamente lì. Sicuramente una parte di me se stava al di fuori del mio stesso corpo. Me lo sentivo ma non riuscivo a spiegarmelo. Avevo sempre di più la sensazione di percepire qualcosa standomene al di fuori della mia carne già corrosa.

Mi sistemai su una poltrona con un bicchiere di tè fumante e un cartone animato scacciapensieri sparato dal satellite. Perfino quei pupazzi colorati che sparavano cazzate dentro alla scatola luminosa mi angosciavano terribilmente. Stavo tutt’altro che bene. Le forme si inseguivano sui miei occhi lucidi sempre più gommose e complicate. Fuoriuscivano una dall’altra sprigionate da voci insulse e inutili, mentre le lancette sul muro avanzavano tremolanti come le Marlboro tra le mie dita. Un circolo vizioso di fumo pesante soffiato dalle narici mi assopì finalmente nel sonno.
La notte piangendo mi portò consiglio

ingoiandosi il sole laborioso di falsi sorrisi

sprigionando i suoi autentici istinti

spaccando la luce con un’ascia gelida

mi imprigionò in una cella umida

la notte una notte

inutili sfoghi di santa violenza

semi di percezione ingoiati con forza

vago e divago per non pensare
Quando uscii dal casolare era ancora buio pesto. Probabilmente quella notte non sarebbe mai finita, così come tutte quelle cose che non hanno mai avuto un principio. L’inizio infatti non riuscivo a ricordarlo, forse non c’era mai stato un punto di partenza, forse il tutto stava nel vagare e nel non farsi inutili paranoici interrogativi. Uscii dal retro, attraversai una strada di cupo e arido asfalto e mi incamminai per la via più irta, stretta e tortuosa. Intrapresi così una salita senza apparente sbarco, una grigia lingua sinuosa aggredita da alberi intricati.

Avanzai con passo deciso e incalzante, liberando pian piano la pesantezza. Ad un certo punto iniziai ad ingoiare la strada metro dopo metro come se stessi cavalcando. L’alba rubò i primi centimetri alle tenebre e i raggi del sole più vergini mi avvolsero come cellofan intorno alla carne fredda e sanguinolenta.

Pian piano il fiato e le forze iniziarono a prendermi a scarpate nel truglio, così le mie gambe si accasciarono anonime per terra, infine le mie braccia strinsero forte la strada che acconsentì il mio sonno. L’asfalto lentamente mi risucchiò trai sui sassolini squadrati baciandomi il cuore palpitante.
Sonno

i sensi si smarriscono tra i respiri

uomini e stelle si fondono insieme

i sassi prendono forma animale

ed il cielo si fa duro d’ebano

la nebbia densa prende voce

mentre assaporo il vuoto

l’oscuro balza sopra i monti

le pianure si fanno infinite

e discendono fluide

folle di uomini camaleontici

sorgono dal fango

luoghi che reinventano sé stessi

una sinfonia diversa

nello stesso punto in tutti i punti

dentro e fuori uguale

l’ignoto esplode ogni volta più cupo

tenebre confuse

suonano note mai inventate
Il sole iniziò a scuotermi con costanza, lui ed un’altra persona. Quando mi girai ne intravidi un’altra ancora, poi scorsi un’auto sfocata. La prima persona che ebbi visto si delineò sul mio naso, sul suo, lungo, vecchio, rugoso. Blaterò qualcosa con un linguaggio arcaico e mi indicò all’altro tizio, che era vestito di bianco, più giovane, ma non per questo meno vecchio. Mentre mi rialzavo il giovane vecchio mi si scagliò contro sfocandosi come la sua auto e gufò in merito alla salute di qualcuno. Vattene Stronzo. Mi tirò per la manica e così lo strattonai a terra, fregandomene altamente di lui e di tutta la sua stirpe di rompi cazzi. Con il melcico bello disteso ed un vecchio imprecante alle mie spalle iniziai a correre verso l’alto. Snobbai la strada, ero rincoglionito ma sapevo che loro avevano una macchina ed io solo due gambe sfinite. Falciai l’erba alta di un prato e sbarcai in cima ad un colle, folgorai un’inutile discesa verde, poi di nuovo in salita, in un bosco di abeti verdi smeraldo.

Ancora una volta corsi in preda al panico, braccato da nemici che non avrei mai più saputo riconoscere, ancora una volta in salita. Imboccai casualmente un sentiero, poi rallentai il passo e iniziai a camminare velocemente, sempre con il fiato tirato per il collo. Ormai era fatta. Li avevo seminati. Ero imprendibile. Ero uno spettro ero un tutt’uno con il vento, ero la virtù di Eolo.

Parecchio dopo sbucai su una striscia d’asfalto. Finalmente una strada, una vera strada di catrame. Semi deserta, pervasa da una lontana probabile presenza. Piccola, ma calda. Una tortuosa vipera che mi avrebbe riportato a casa. Ero quasi convinto di sapere dov’ero finito. Quella fu l’unica pseudo certezza di tutto il mio ricordo.
Il sonno mi lasciò solo il tempo di accorgermi che qualcosa era penetrato tra le mie vene. Uno, due, tre... Piccoli, non molto piccoli, grossi, enormi vermi stavano invadendo il mio apparato circolatorio. Ne bloccai uno che stava per attraversare la aorta. Era grosso come un topo. Una sanguisuga che si dimenava sulla mia arteria rigonfia. Mentre mi preoccupavo di quello altri enormi parassiti mi attraversavano il corpo sempre più velocemente. Potevo vederli, scuri, malformati molli che si facevano strada tra i miei avambracci.

Sinceramente non mi stavano facendo molto male, ma sapevo che prima o poi mi avrebbero ucciso. Mi avrebbero sgretolato dall’interno, mi avrebbero lentamente disossato per farmi crepare nella maniera più lunga dolorosa che potesse esistere. Cazzo se lo sapevo. Mi avrebbero divorato senza pietà, ignorando le mie grida atroci, ignorando che la mia morte sarebbe stata anche la loro. L’unica cosa da fare era anticiparli. Dovevo assolutamente prendere una lisca seria e recidermi i condotti per farli uscire. Ansimai fino all’armadio delle cianfrusaglie, spalancai tutte e due le ante, presi il mio pugnale da rissa e iniziai con il polso destro. Le vene si aprirono come cannoli alla crema e colarono fuori litri di sugo. Le bestie non uscivano. Dilaniato dal dolore mi tagliai, profondamente, anche l’altro avambraccio e caddi in ginocchio, con i palmi al cielo e gli occhi rivoltati, mentre i demoni continuavano a girare caoticamente tra le vene secche. Il mio sangue ribollì per tutta la stanza ed il mio corpo si offrì in pasto ai parassiti.

- Jim, Jim, guardami Jim, guardami.

Cazzo era un sogno. Qualcuno mi sta chiamando. Questo non è un sogno. Dilatai le pupille e realizzai di essere effettivamente sulla mia poltrona, assieme alla mia TV con tutti i suoi stupidi cartoni animati colorati.

- Dai, guardami...

Mi voltai e la vidi ancora. La ragazzina di prima e di prima ancora. Cazzo. Era nuda e piena lividi

- Jim. Non riesci neanche ad ucciderti? Io ci sono riuscita...

Il sangue le gocciolava blu da tutte le sue sottili labbra. Il panico mi face rullare il cuore. Cacciai un urlo e bestemmiai fino a bruciarmi la gola. Ero di nuovo solo.


Dopo questa sorta di allucinazione mi ritrovai con la faccia spiaccicata sullo specchio insieme a sette strati di occhiaie, straziato da un ronzio e da fottutissimi bagliori di oscurità.

Indice


11 33 Centimetri

27 IceFive

58 Il mio nemico

86 La ricerca

103 Il prezzo delle Grolsch

133 La festa degli specchi

139 Viaggio di vomito

161 Combustibile

192 Calcoli statistici

212 Non succede niente

221 Una cena

229 Tenebre




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