Modello Amàrantos



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Merda. Ancora da fuori della porta vidi l’orologio che mi derideva per l’ora e mezza praticamente due di ritardo. Non guardai in faccia nessuno e mi limitai ad ascoltare i soliti saluti provocatori.
Stranamente era venerdì. iniziai a discendere quelle fottute scale mobili dove circa un mese prima avevo maciullato il telefonino. Erano più lunghe del solito e mi fecero nevicare nella mente strani pensieri, non troppo felici, ma neppure da mettersi a piangere, o che ne so, a bastonarsi i coglioni con un tira tronchi.

Tutto sommato respiravo. Una posto per dormire lo avevo. Una macchina l’avevo, vecchia di mille anni, con freni frizione e santi dei da rifare. Uno stipendio decente me lo sognavo ed avevo ancora un mal di testa pazzesco per colpa della mina del giorno precedente. Era stata una serata un po’ particolare. Iniziò tutto come sempre, con la solita bicchierata di ombre a casa mia, si concluse con una bottiglia di whisky nel mio stomaco e tutto quel che ne conseguì. Pochi ricordi ma ben confusi. Tante risate, troppe, da sottrarle ad almeno tutta la settimana successiva.

Intanto finì la prima rampa di scale mobili, così imbarcai la seconda con una ginocchiata su uno spigolo e due bestemmie di getto.

Giornata di merda. E pensare che ieri sera era pieno di babusche ed ero così ubriaco da non focalizzare il mio cervello sulla figa. Pensavo a far macello e basta. Deficiente. Adesso ho il mal di testa, le scoregge eruttanti e al posto di farmi una dormita in autobus per risanarmi mi tocca star qua a pensare che ‘sta sera dovrò anche pagarmi il parcheggio. Col cazzo. Tenterò l’ennesima fuga abusiva. Bastava mettersi attaccati al culo di una macchina che stava uscendo in modo da varcare la fotocellula prima che la sbarra si abbassi. Un gioco da ragazzi. L’unica cosa era sperare che per qualche stronzo motivo il pivello davanti a te non inchiodasse o, forse ancora peggio, che improvvisamente non spuntasse un vigile od un suo simile. Fino ad adesso mi era andata bene. Ormai ci avevo fatto il callo. Anzi, per l’abitudine ho ripetuto la stessa tecnica in circostanze simili, ma tutt’altro che necessarie; infatti un paio di volte mi è capitato di dover oltrepassare il casello dell’autostrada senza prendere il biglietto. Cazzo. Ma perché oggi mi sto facendo mille paranoie sul possibile fallimento di questa tecnica?

Mentre queste stronzerie mi stavano zampettando nel teschio ero ancora a metà della seconda rampa della scala mobile e già mi accesi una sigaretta.

- Qua non si può fumare, lo sa?

- Sì.

- Allora? non la butta via?



- No.
Quello che mi capitò all’alba di quel giorno non fu nulla di scontato, neppure però qualcosa di tale spessore da dedicarne la mia attenzione.

La gola mi bruciava, come avessi mangiato del filo spinato o vattelapesca. Come se mi fossi ingoiato un chilo di chiodi da venti centimetri, ovviamente arrugginiti, o se avessi trascorso due mesi al polo nord, nudo con l’uccello al vento. Mi alzai la mattina con un certo pessimismo, ma un profondo ottimismo affogato tra i villi intestinali e quello che ci sta intorno. Tanto era un altro venerdì. Ma sì, vaffanculo, il mio giorno preferito da sempre. Forse perché di venerdì sentivo chiaramente il sabato che mi chiamava insieme a quella troia di sua sorella di domenica. Era bello sentirli lì ad un passo ma non averli ancora contaminati con le mie solite troiate, per quanto splendide che fossero. Il bello è nell’attesa dicono e forse è un po’ vero. È come quando stai per trombare e non pensi ad altro. La trombata è nell’aria, al 90%, e l’attendi come se stessi aspettando che da un momento all’altro crolli il mondo o crepi qualche ministro. Poi invece quando il primo millimetro inizia a separare le labbra è finita. Per quanto duri è sempre poco e non ti accorgi: ogni minuto passato viene cancellato dal successivo. Per sempre ed irreparabilmente. Quello che ti resta in mente - a meno che la tipa non ti abbia scotennato l’uccello - è ancora per il classico 90% un agglomerato di frustanti ed eccitanti emozioni pre trombata.


Erano le otto di sera, di venerdì. Presi le mie cose, indossai la mia solita giacca bimburlata e mi inviai fuori dal loculo con la faccia stanca ma felice. Scesi le scale con velocità, con una sorta di sesto senso oppressivo alle spalle che mi spingeva pesantemente. Ero troppo distrutto per accelerare il passo. Mi fermai sul primo pianerottolo delle scale, rovistai fino a trovare un pacchetto di sax blu e me ne accesi una.

Dovevo andare a una cena di amici. Tipo una serata tranquilla, un leggero mangia e bevi, bevi e mangia, senza risvolti particolari.

Una cena

Si stava avvicinando un’altra festa del cazzo, chiamata Pasqua, ed in quei giorni i cartabinieri, insieme ai loro burocrati di merda, stavano cercando di acciuffarlo, poiché ormai i suoi casini si stavano allargando in tutto il paese. Allora il demonio putrefatto entrò nel corpo del bastardo Principe, detto David, che era uno dei suoi dodici soci. Così lo stronzo andò a spifferare con il maresciallo e i metronotte il modo di inchiappettare Jim. Loro non aspettavano altro ed ovviamente si accordarono per un bel grumo di sesterzi tintinnanti. Così David si mise d’accordo ed aspettò l’occasione giusta per incularlo, magari senza creare troppo scalpore.


Arrivò finalmente la fottuta Pasqua, durante la quale si doveva ammazzare l’agnello, si mangiavano le uova e le solite puttanate. Jim chiamò così Eddie ed Kurt, dicendogli:

- Soci, preparate voi il festone. E mi raccomando: voglio anche da mangiare

I soci lo guardarono e gli chiesero:

- Jim, ma dove cazzo lo vuoi fare?

E lui rispose:

- Andate giù in piazza e vi verrà in contro un tipo con una bottiglia di Whisky, seguitelo fino a casa sua e quando arrivate, dite al padrone: Dove cazzo mangia Jim con tutti i suoi fottuti suoi soci? Lui vi mostrerà un locale al primo piano, fighissimo e bimburlato; là dentro preparerete il festone. Ok?

I due soci allora si inviarono e trovarono il posto come aveva detto Jim, poi imbastirono il cantiere.
All’ora giusta si trovarono tutti quanti a tavola e Jim si alzò in piedi:

- Ragazzi, ho voluto fare questo festone insieme a voi perché probabilmente sarà l’ultimo, finche in questo paese di merda non comanderò io

Vista la situazione, gli girarono un ceppo, poi lui, ringraziando, disse:

- Per favore, passatevelo e tirate tutti quanti, in mio onore, visto che non potrò più fumare erba finche non sarò il padrone di questo fottutissimo paese!

Poi preparò una striscia di bamba, la spezzò e la mostrò a tutti quanti dicendo:

- Questa è la mia vita e questa sera, con sacrificio, ve la offro. Tiratela tutta alla mia memoria, spinocchi!

Dopo aver cenato prese una bozza di rosso e disse più o meno la stessa cosa:

- Questo vino è il mio sangue e questa sera lo verserò per voi soma! Però ragazzi, lo so benissimo che il figlio di puttana che mi tradisce è qui in questa fottuta festa! Io sicuramente me ne andrò in gattabuia, ma anche quel merdoso traditore non la passerà liscia!

Tutti allora iniziarono a chiedersi chi fosse quel gran testa di cazzo e tanto per cambiare ci fu anche una mezza rissa per vedere chi di loro era il socio più duro.
Jim, sensibilmente scocciato, iniziò uno dei suoi discorsi del cazzo:

- Le nazioni sono governate dai presidenti e da bigi ministri, ma chi ha il vero potere in realtà sono gli strafottutissimi ricchi benpensanti! Spero che per voi soci non sia così, ma che il più duro di voi si adatti ad essere anche un idiota qualsiasi e chi comanda sia disposto persino a prenderlo nel culo. Per voi sono più duri: quelli che comandano o quelli che servono? Chi comanda, direte da stronzi, ma se mi guardate bene, vedrete che sto qua con voi e vi sto anche servendo da bere. Voi soci mi avete aiutato nei miei casini ed io vi ho preparato un nuovo mondo cinebrivido, così come mio padre o qualche stronzo l'ha preparato a me, perché così potete mangiare e bere a casa mia ed ognuno di voi potrà comandare un giorno i propri soci. Mick, Mick, non ridere, brutto coglione. Il demonio putrefatto ti stava per tagliare le gambe con la sua lisca, ma grazie a me hai ritrovato la tua forza; adesso che ti sei ripreso, fagliela vedere ai tuoi soci!


Eddie, evidentemente affascinato, gli disse:

- Jim, con un boss come te sono pronto a farmi ammanettare e perfino a farmi spaccare il teschio

Il capo, sdegnandolo, rispose:

- Eddie, per favore, non esagerare. Scommetto che domani mattina, prima che il mio gallo da battaglia si metta a cantare, mi avrai sputtanato almeno trenta volte.

Poi continuò dicendo:

- Quando vi ho mandato in giro senza portafogli, senza giacca e senza nemmeno una lisca, vi sembrava che vi mancasse qualcosa?

I soci risposero quasi in coro:

- No, no, niente, ma eravamo ubriachi

E lui continuò la sua lagna:

- Ma adesso, se volete, prendetevi pure il vostri fottuti portafogli, le vostre giacche del cazzo e chi non ha un coltello vada a vendere il culo e se ne compri uno. Ragazzi, dovete sapere che da qualche parte sta scritto: Jim farà la fine di un delinquente. Fanculo, tanto ormai tutto quello che dovevo fare l'ho fatto

A tal punto i soci si preoccuparono e gli porsero le armi:

- Jim, ecco qui due lische

Ma lui si incazzò e rispose:

- Basta santiddio!


Jim uscì e se ne andò come al solito sul colle di Avalon, ma anche la combriccola lo seguì. Arrivato in cima al prato si sgolò dicendo:

- Pregate soci, per non cambiare mai

Poi si allontanò rotolando come un sasso e vomitando gridò:

- Padre, santiddio, se vuoi butta via queste bottiglie di vino! Per una volta ti do ragione!

Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, dopo essersi rialzato, andò fino dai suoi soci e li trovò tutti incancariti per terra a causa della sbronza troppo triste. Ovviamente si imbestialì:

- Perché cazzo dormite? Alzatevi e pregate per non cambiare mai


Mentre parlava arrivò un macello di gente sfigata, preceduta da quello stronzo di David, uno dei suoi soci, che gli andò in contro per baciarlo. Jim restò immobile e gli disse:

- Figlio di puttana, oltre a tradirmi, ti comporti anche da frocio?

Tutti quelli della sua combriccola, vista la scena, tirarono fuori i coltelli dicendo:

- Jim, dobbiamo darci dentro di lama?

Uno dei soci non aspettò la risposta e staccò l'orecchio destro di un cartabiniere, con un colpo di lisca. Jim però intervenne subito:

- Basta, soci, lasciate stare!

E in un lampo gli tagliò anche il destro, guarendolo così da un’antiestetica asimmetria. Poi il maresciallo, i metronotte, qualche burocrate e dei vecchi decrepiti gli vennero addosso, così lui urlò:

- Bastardi! Siete arrivati qua con pistole e manganelli, come se fossi un delinquente? Ogni giorno ero con voi in osteria e non mi avete neanche mai pagato da bere, ma questa volta giuro che pagherete, è arrivata l’ora dell'impero delle tenebre!


Dopo averlo ammanettato lo portarono via e lo trascinarono in caserma. Eddie intanto lo seguiva da lontano, ma siccome di fronte all’edificio c'era la sagra del paese, si buttò nella folla. Una baldracca lo locchiò e fissandolo disse a qualche spinocchio:
- Anche questo ubriacone era con Jim!

Ma lui negò dicendo:

- Brutta puttana, io non frequento certi pazzi drogati.

Poco dopo un altro tizio lo vide e disse:

- Anche tu sei uno della combriccola!

Ma Eddie rispose autorevolmente:

- No, non sono mica una merda come loro.

Passata circa un'ora, un altro personaggio insisteva:

- In realtà anche questo è con Jim, è un drogato! Ma lui continuò a negare:

- Ehi, deficiente! Io non sono uno stronzo come Jim.

In quell'istante, mentre stava finendo quella frase, il gallo da battaglia vinse un torneo e cantò. Allora Jim, affacciato dalla finestrella sbarrata, guardò Eddie, facendogli così ricordare quello che gli aveva detto alla festa:

- Eddie, per favore, non esagerare. Scommetto che domani mattina, prima che il mio gallo da battaglia si metta a cantare, mi avrai sputtanato almeno trenta volte.

Dilaniato dall'alcool e dalla droga, il socio pianse amaramente.
Nel frattempo gli agenti che avevano in custodia Jim lo schernivano e lo schiaffeggiavano, lo bendavano e gli dicevano:

- Indovina: chi ti ha colpito, pezzo di merda?

E continuavano ad insultare lui e tutta la sua famiglia. La mattina seguente il maresciallo si riunì con i suoi burocrati e qualche vecchio decrepito del paese; lo portarono davanti al tribunale e gli dissero:

- Jim, dicci chi sei in realtà!

Lui rispose:

- Fottetevi stronzi. Anche se ve lo dico, non mi crederete e se ve lo chiedo, non aprirete di certo la bocca. Vi dico solo che da questo momento voi sporchi e sfigati uomini siete seduti di fronte alla potenza di Dio

Allora tutti esclamarono:

- Tu dunque sei il nostro Dio?

Ed egli disse loro:

- Lo dite voi stessi: io lo sono

Risposero:

- Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca.


Tutti quei figli di una brutta roia si alzarono e lo condussero dal sindaco e cominciarono ad insultarlo:

- Lo abbiamo trovato mentre spiegava a tutti come non pagare le tasse al governo spacciandosi per il nostro nuovo re.

Sindaco lo interrogò:

- Allora tu sei il nostro re?

E Jim rispose:

- Questo lo di ci tu

il sindaco allora disse ai cartabinieri e alla folla di stronzi vigliacchi:

- Scusate, ma per me Jim questa volta non ha fatto niente

Ma i succhia cazzi intorno insistevano:

- Jim sta esagerando, sta sparando stronzate in giro dappertutto, da Asgard fino a qui

Dopo aver sentito queste minchiate il sindaco, domandò se era da Asgard e dopo aver saputo che era della giurisdizione di Godheim, lo mandò dal magistrato, che in quei giorni bazzicava quei luoghi.

Vedendo Jim, Il magistrato si rallegrò come un coglione perché non lo vedeva più da quando avevano chiuso il night club e sperava di poterlo beccare mentre faceva qualche sua cazzata. Lo interrogò con molte domande ma Jim non rispose nulla. C’erano là anche i consiglieri comunali e i leccaculo del Comune che lo accusavano con insistenza.

Allora Il magistrato, con i sui ciccia cazzi, lo insultarono per il suo abbigliamento da drogato e lo rivestirono con un abito da cerimonia e lo rimandarono da Sindaco. In quel giorno Il magistrato e Sindaco divennero amici; prima infatti c’era stata inamicizia tra loro.

Il sindaco, riuniti il sui sbirri di merda e qualche lecca scroto, disse:

- Mi avete portato questo deficiente come un pericolo pubblico; ecco, l’ho esaminato davanti a tutti, ma eccetto l’alcol, non ho trovato nessuna sostanza stupefacente, e neanche il magistrato; infatti, ce lo ha rimandato. Ecco, possiamo anche sodomizzarlo, ma non merita la morte. Perciò dopo averlo severamente punito tornerò a buttarlo in mezzo ad una strada.
Ma tutti quanti si misero ad urlare:

- Uccidi questo stronzo, piuttosto libera Ozzy!

Ozzy era stato incarcerato per spaccio di eroina ed omicidio. Il sindaco provò ad insistere di nuovo per rilasciare Jim:, ma la folla insisteva:

- Uccidilo!, uccidilo!

Il sindaco ci provò per la terza volta:

- Ma che cazzo vi ha fatto questo tipo? Non ha fatto niente per meritarsi la morte. Lo arresterò per un po’ e poi lo rilascerò.

I merdosi però insistevano e sbraitavano, volevano che crepasse a tutti i costi e la loro bastardaggine cresceva.

Il sindaco allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.

Tenebre

Arrivai a casa.



Non ricordo se fossi o no ritornato in sede con la mia macchina, non ricordo quasi niente. Mi ci vollero diversi giorni per riprendermi, giorni e notti intere per rendermi conto che non c’era stato niente di reale in tutto quello che avevo visto e sentito, niente che si possa raccontare così come se fosse stato tangibile, concreto, corporeo. Non so dirvi se era giorno o notte. Non sono neppure più convinto di esservi stato effettivamente coinvolto. È troppo difficile capire qualcosa quando il sogno invade la realtà e viceversa.

In quell’occasione il falso si fece vero e di vero assurdo; quel poco di giudizio oggettivo che mi restava improvvisamente si fece schiavo della mia mente, per poi morire dopo poche ore logorato dal malvagio squilibrio della mia anima fottutamente perversa. Rischiai di impazzire definitivamente. Oramai di tutto quello che è forse successo mi restano solo pochi flashback soffocati da infinite paranoie. Tutto il resto si è sciolto come neve al sole e si è disperso in questa miriade di atomi e tempo, ingannandoli entrambi. Dopo questa sorta di allucinazione mi ritrovai con la faccia spiaccicata sullo specchio insieme a sette strati di occhiaie, straziato da un ronzio e da fottutissimi bagliori di oscurità.


Mi girai inzuppato di sudore e con la faccia sulle piastrelle lacrimai sugo dal naso. Andai in cesso per asciugarmi il truglio ed il sole mi colpì nell’iride con schegge roventi. Sputai catrame rosso verde e mi distesi sul divano. In pochi minuti i brividi mi avvinghiarono in una trappola tagliente e vibrante. La TV si spense e con lei il sole. Fissai per un momento la lunga tenda ingiallita dal fumo che copriva la finestra sempre più scura. Chiusi gli occhi. Gli riaprii quasi subito e vidi una persona immobile davanti alla fottuta tenda di piscio. Richiusi immediatamente le palpebre e affondai la testa tra i cuscini. Sono solo allucinazioni ipnagogiche, Jim, rilassati - Provai ad auto rassicurarmi. La pressione mi stava salendo. Agitavo gli arti per scaricare la tensione. Riaprii gli occhi. - Cazzo è ancora là - Era una bimba vestita con una tunica azzurra. - Fanculo Jim, questa volta hai esagerato - pensai con il cuore a metà esofago. Scattai in piedi e non vidi più nulla.

Accesi la luce e riaccesi anche la TV. Serpente di Giuda, Jim. Troppo alcol. Troppa droga. Troppe medicine. Troppo cibo. Troppo tutto. Mi tremava praticamente tutto il corpo. Mi feci un goccio per calmarmi, ma il mio stomaco a contatto con l’alcol si ribellò a suon di crampi e vomitai immediatamente quel poco che non avevo ancora vomitato. Succhi gastrici. Bave, benexol, malox, aulin, valium. Ok. Basta bere, per il momento.

Tornai a distendermi sul divano, con una pignatta e un rotolo di scottex a portata di mano. Normalmente quelle micro vomitate acide non mi capitavano mai da sole. Di solito mi perseguitavano per un’intera giornata, fino ad infiammarmi l’esofago ed atrofizzarmi i trapezi.

Inspiegabilmente dopo poco mi riaddormentai.

Vomito. Cazzo devo vomitare ma non riesco a muovermi. Sono sveglio ma non riesco neppure ad aprire gli occhi. Paralisi del sonno. Fanculo.

Paralisi del sonno. La prima volta che mi capitò questa merdosa paralisi del sonno credetti di esser morto. Poi un pezzo alla volta, con notevole sforzo tornai nel mondo dei vivi. Non fu una bella esperienza. La cosa più merdosa però era il fatto che quel disturbo, ogni volta che si ripresentava all’interno del mio organismo, con odiosa maleducazione, mi faceva riaffiorare spesso e volentieri quella maledetta primordiale sensazione di morte. Lo fece anche quella volta. Ogni volta era sempre la stessa cosa. La stessa sensazione di morte. Nonostante mie le ripetute esperienze di questa fottuta atrofizzazione il terrore non ne voleva sapere di diminuire la sua intensità. L’unico mio pensiero razionale, che sembrava migliorare di volta in volta, era il concetto dell’aumento delle mie probabilità di uscirne vivo. Quella volta però fu una paralisi estremamente lunga. Il mio corpo era là da qualche parte. Immobile. Anch’io mi trovavo là, all’interno di esso, chiuso nella mia povertà, solo con tutte le mie paranoie

Cazzo non riesco a muovermi. Fanculo, sto per vomitarmi addosso.

Probabilmente mi trovavo nell’angolo più buio della mia stanza, solo, contro il mio stesso corpo. Il mio bastardo corpo propenso al rigetto. Con un battito d’ali scossi il teschio e poi come una biscia riattivai armoniosamente le mie membra; fui gentilmente pervaso da una lenta e leggera scossa dalla testa ai piedi, che mi riportò in vita.

Vomitai per un ora di fila.
Erano tutti intorno a me, in un largo cerchio. Sette, dieci, undici, forse dodici. Uno. Uno di loro si scostò dal luminoso cerchio e venne verso di me. Dietro di lui tutti gli altri e poi alti pannelli bianchi, forse teli, lontani, vicini. Non era più alto degli altri, era solo più largo. La mandibola più squadrata, i capelli più corti, la giacca più beige. Forse mi sputò addosso.

- Hai ancora coraggio di avere ragione? - Blaterò il melcico con una voce stupida ma cavernosa

- Non serve coraggio per avere ragione.

Il tizio alzò le mani e mi strattonò le spalle.

- Ehi, rilassati, non serve alzare le mani.

- Non serve, non serve, hai ragione.

Il cerchio dei farabutti si strinse.

Non avevo paura. Solo l’adrenalina a mille. Ero eccitato. Ero troppo sbronzo per avere paura. In quel momento avrei riso in faccia perfino a satana.

- Comunque socio, quello che è successo è successo, adesso me ne vado.

- Te ne vai un cazzo! - Mi puntò ancora le mani addosso.

- Ehi, stronzo, ho detto che me ne vado. Non rompermi i coglioni o ti spacco la faccia.

- Avete sentito? Mi spacca la faccia! Ah, ah!

Al terzo spintone contraccambiai con una manata su una delle ante del signor giacca elegante.

- Santiddio!

Qualche stronzo del cerchio, forse due o tre, si erano infilati alle mie spalle e mi balzarono contro come velociraptor. Mi spiaccicai a terra, sul cemento polveroso. Una delle mie mani mi salvò la faccia, l’altra la nuca mentre i vigliacchi mi zappavano dappertutto.

Si fermarono quasi subito, forse qualcuno gli aveva richiamati all’ordine. Forse giacca da finocchio. Ero stordito. Fortunatamente senza ferite esposte. Qualche contusione. Nella norma. Ero ancora in ginocchio quando mi accorsi di non avere più gli occhiali addosso. Gli occhiali. Non sopportavo perdere o rompere gli occhiali. Anche perché i miei di scorta erano solitamente già rotti, se non addirittura già persi. Sicuramente questi froci saltimbanchi me li avranno già calpestati, realizzai asciugandomi un filo di sugo. Sono morti.

Alzai gli occhi e vidi un ombra beige venire verso di me. Con tutta la mia rabbia e la mia forza sbucai in piedi con un imprevedibile gancio destro. Il finocchio stava giusto, giusto abbassando la testa per locchiarmi e così si trovò disteso per terra con la faccia sgorgante di sugo. Tutti restarono in silenzio, eccetto lui che iniziò ad urlare.

Saluta il tuo setto nasale, coglione. Non feci neppure tempo a pensarlo che il mio istinto mi spinse a correre più veloce di quanto potessi realmente fare. Contemporaneamente una folla inferocita si districò dal torpore e dall’ilarità ed iniziò a seguirmi con violenza. Volai fuori dal capannone, dritto, poi corsi diretto lungo un bianco viale alberato, Sempre più buio. Dietro di me un probabile ospedale per fratture multiple avanzava sempre più veloce. Non ero un gran corridore. Il cuore mi tamburava drasticamente e i polmoni iniziarono a non farcela più. Lanciai una rapida occhiata alle spalle e vidi quello che non volevo vedere. Il gruppo stava abbastanza dietro, ma un fottuto spilungone era a portata di cazzotto. Se mi placava ero morto. Mi avrebbero trucidato. Ma era vicino. Inchiodai gli stivali al suolo, mi abbassai e gli sfondai un dritto nel ventre, poi via. Tirai un’altra occhiata. Era ancora attivo, ma troppo indietro per raggiungermi. Ce l’avevo quasi fatta. Iniziai a correre ancora di più, ormai ero in apnea e dovevo dare lo sprint finale per dileguarmi nel bosco.

Fanculo. Un cancello con il reticolato. Alto due metri. Non ho scelta.


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