La vita e I miracoli



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Monsignor Conti tornò a Roma sconfitto. Andò subito a riferire direttamente al Papa. Pio XI ascoltò e non fece commenti. Alludendo a Emanuele Brunatto, domandò: - Che farà adesso quel pazzo? - A quanto ne so, nei prossimi giorni presenterà alla stampa il suo nuovo libro. - Quando? - La conferenza è prevista per il 15 o 16 luglio. - Pensa che avrà veramente l'impudenza di fare una cosa del genere? - Ritengo di sì, Santo Padre. - Va bene. La delusione sul viso del Pontefice era palese. Monsignor Conti si sentiva in colpa, ma riteneva di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere. Pio XI convocò il cardinale Sbarretti. - Provveda a ritirare tutte le restrizioni a Padre Pio. - Santità, il Sant'Uffizio ha emesso un decreto. Non è mai accaduto che lo revocasse. Dobbiamo escogitare una formula con­veniente. - Escogiti quel che è necessario, ma faccia alla svelta. Non abbiamo più tempo. Vorrei che tutto avvenisse prima del 18 luglio. Il cardinale Sbarretti capì che il Papa era contrariato. Non volle approfondire, anche perché era perfettamente al corrente di quanto stava accadendo a Parigi. Tuttavia, prigioniero del ruolo che occu­pava, non voleva che nella storia del glorioso e severo Sant'Uffizio restasse la macchia di una ritrattazione. Si chiuse nel proprio ufficio con un paio di collaboratori. Pre­valse la formula della "grazia - Siamo nel 1933, e nella Chiesa è in corso uno speciale Anno Santo per ricordare i 1900 anni della morte di nostro Signore - suggerì uno dei collaboratori del cardinale Sbarretti. - Approfit­tando della circostanza straordinaria, si potrebbe concedere a Pa­dre Pio una grazia, un indulto. - È una buona idea - rispose il cardinale. - In questo modo aggireremo tutti gli ostacoli: non ci saranno ritrattazioni, cambia­menti, ricusazioni. La "grazia" si autogiustifica. - Tempo fa il Padre generale dei Cappuccini ci aveva inviato una lettera chiedendo un "addolcimento" della condizione di que­sto frate. Quella lettera potrebbe servire da pretesto. - No, a quella lettera abbiamo già dato una risposta. Prenda contatto con il Padre generale e lo solleciti a presentare subito una "supplica di grazia" motivata dall'Anno Santo. Il Generale dei Cappuccini, Padre Alfonso, si rallegrò a quella prospettiva, che gli apparve come una buona occasione per chiude­re la dolorosa vicenda. Non pensò a Padre Pio, quanto all'Ordine, che in seguito a quella grana era sulla bocca di tutti. Fece quanto gli era stato richiesto. - Bisogna agire in fretta - gli dissero. - Padre Pio deve ri­prendere la sua vita normale prima del 18 luglio. Mancavano pochi giorni. Il Generale telegrafò al Provinciale di Foggia convocandolo a Roma. "Appena arriva l'indulto di grazia, glielo consegno, e lui lo por­ta subito a destinazione" disse fra sé. In data 14 luglio 1933, il cardinale Sbarretti firmò la lettera messa a punto da uno dei suoi collaboratori. Era una lettera ufficiale, nu­mero di protocollo 255/9. Era stata scritta e riscritta come se si trat­tasse di un documento storico. La meticolosità della stesura non era dipesa tanto dall'importanza del contenuto, quanto piuttosto dal "come" bisognava dirlo. Non ci doveva essere neppure l'ombra di una possibile marcia indietro del Sant'Uffizio. Nemmeno una paro­la che potesse far pensare a un errore commesso, a una precedente valutazione sbagliata. Ogni termine, ogni aggettivo erano stati me­ticolosamente vagliati e soppesati. Reverendissimo Padre Ministro Generale, questa Suprema Sacra Congregazione, prendendo in benevola consi­derazione l'esposto e la domanda di Vostra Paternità Reverendissima, e tenuto presente la celebrazione dell'Anno Santo Straordinario della Redenzione, accorda alla medesima Paternità Vostra la facoltà di per­mettere al Padre Pio da Pietrelcina di celebrare la santa Messa nella Chiesa del convento di San Giovanni Rotondo, ove egli attualmente ri­siede, e di autorizzarlo altresì ad ascoltare le sacramentali confessioni dei religiosi fuori della Chiesa. È mente poi di questa Sacra Congregazione che Ella, con la sua nota prudenza, prenda le necessarie precauzioni per evitare sia false inter­pretazioni, sia inopportune manifestazioni pubbliche tanto in chiesa che fuori, e faccia tenere al Sant'Uffizio un'ampia relazione in proposi­to. Con i sensi di distintissima stima, mi pregio riaffermarmi di Vostra Paternità Reverendissima devotissimo cardinale Donato Sbarretti Nel pomeriggio del 14 luglio la lettera fu consegnata a mano alla Curia generale dei Cappuccini. Il Generale la lesse ai collaboratori. - Non è proprio una liberazione - commentò - ma se non altro il Padre torna a celebrare in Chiesa, e in questo modo, alme­no esteriormente, le cose cominciano a rientrare nella norma. Fece ricopiare il documento in vari esemplari, li vidimò con un suo intervento personale e ne consegnò due a Padre Bernardo, che attendeva in Curia. Quest'ultimo partì per Foggia il giorno suc­cessivo, al mattino presto. Arrivò a destinazione alle 13,30 e qual­che ora dopo prese la corriera per San Giovanni Rotondo. - Ci siamo - annunciò gioioso al Guardiano del convento, Padre Raffaele. - Tutto finito? - domandò il Guardiano con il cuore gonfio di commozione. - Sì, tutto finito. Il nostro Padre generale ha presentato una supplica di grazia", e il Sant'Uffizio l'ha accolta. All'ora di cena, nel refettorio dei frati si respirava una strana aria di attesa. L'arrivo improvviso del Provinciale lasciava inten­dere che c'erano novità. I religiosi non ne erano contenti: da anni, ormai, le novità a San Giovanni erano sempre brutte, portatrici di castighi, punizioni, rimproveri. - Chissà che cosa ci imporranno questa volta - si domanda­vano i confratelli di Padre Pio. Era sceso in refettorio anche il Padre. Da tempo non cenava più: mentre i suoi confratelli si intrattenevano in refettorio, lui se ne stava in coro a pregare. Quella sera, però, il Guardiano lo ave­va pregato di scendere con gli altri. Era seduto al suo posto. Non aveva cenato, stava lì con gli occhi bassi. Anche lui, come i confratelli, si chiedeva per quale motivo il Provinciale fosse arrivato all'improvviso. Era certo che il motivo di quella visita riguardava, come sempre, la sua persona, ma non vole­va pensarci. Ormai si era distaccato dagli avvenimenti esterni. Aveva subito angherie di ogni genere. Non sperava più niente dagli uomini. Alla fine della cena il Padre provinciale prese la parola. - Sono lieto di essere qui, in questa comunità, per certi versi tanto provata negli ultimi anni - esordì. - Sono lieto perché questa volta vengo a portarvi una buona notizia. I frati trassero un sospiro di sollievo e si guardarono in faccia sorridenti. Il Provinciale tolse dalla tasca del saio una lettera. - Questa proviene dalla Congregazione del Sant'Uffizio - dis­se mostrandola, e sulla comunità piombò di nuovo un pesante si­lenzio. Era bastato quel nome, "Sant'Uffizio", per raggelare il sangue dei religiosi. - Ieri ero a Roma, convocato d'urgenza dal nostro Reverendissi­mo Padre generale - continuò il Provinciale. - E la ragione della convocazione riguardava proprio questa comunità. La Sacra Con­gregazione del Sant'Uffizio, accogliendo una supplica del nostro Reverendissimo Padre generale, ha concesso a Padre Pio di tornare a celebrare la Santa Messa in chiesa, come faceva un tempo. Permaneva un silenzio glaciale. I religiosi non si aspettavano una comunicazione del genere, e la sorpresa li aveva come paralizzati. - Suvvia - suggerì il Provinciale. - Facciamo un applauso al nostro confratello, che vede chiudersi un doloroso periodo della sua vita. I frati applaudirono; un applauso dapprima timido, incerto, che nel giro di qualche secondo però divenne caloroso, irrefrenabile. Era come se avessero preso coscienza dell'importanza di quella decisione per Padre Pio, e manifestavano al confratello la loro gioia. Il Padre, invece, continuava a restare immobile, al suo po­sto, con gli occhi bassi Il suo viso però era diventato rosso per la commozione. L’applauso continuava. Allora Padre Pio si alzò, andò dal Pro­vinciale, si inginocchiò davanti a lui per baciargli la mano. Ma Pa­dre Bernardo lo rialzò prontamente e lo abbracciò. Padre Pio scoppiò a piangere. Tutti i frati erano commossi. Il Padre tornò al suo posto, asciu­gandosi gli occhi in modo impacciato, con le sue mani piagate, servendosi di un grande fazzoletto. - Ringraziamo il Signore - disse Padre Bernardo. - Noi non conosciamo i disegni della Provvidenza. Sappiamo che è nostro do­vere obbedire alla Chiesa, e mi sembra che questa comunità lo ab­bia fatto, anche in situazioni difficili, con rassegnazione e diligenza. "Come vi dicevo, ieri mi trovavo a Roma. Questa mattina ho preso un treno molto presto per arrivare da voi in giornata e darvi la lieta notizia. Domani il nostro confratello riprenderà a celebrare normalmente in chiesa. Però, mi raccomando: questa informazione deve restare segreta fino a domani. I laici non devono sapere niente. È importante. Sappiamo che in passato le notizie trapelavano. Ab­biamo attribuito la colpa alla presenza in convento di certi laici, che, grazie a Dio, ora non ci sono più. In ogni caso, quelle fughe di notizie sono sempre state interpretate dal Sant'Uffizio come una mancanza di disciplina di questa comunità. Cerchiamo quindi di non rovinare tutto. So che la popolazione di questo paese vuole molto bene a Padre Pio e sarà felice di apprendere che la sua segre­gazione è finita. Ma voglio essere io stesso a dare la notizia domani, in modo che non nascano interpretazioni partigiane e scorrette. "Assieme alla lettera che concede la grazia, sono pervenute an­che alcune disposizioni dettate dal Sant'Uffizio per far sì che tutto proceda bene in questa comunità. Ma di questo parlerò domani con il vostro Superiore, e sarà lui poi a riferirvi che cosa dovrete fa­re. Intanto, godiamoci questa buona notizia con un pò di ricrea­zione. Se il Padre guardiano me lo permette, vi dispenso dal silenzio, e magari possiamo brindare con un bicchiere di vino, se il no­stro Economo lo passa." Risero tutti e guardarono verso il Padre economo, che fece cen­no al fratello addetto al refettorio di andare in cantina a prendere qualche buona bottiglia. I frati erano contenti. Osservavano Padre Pio che, trovandosi al centro dell'attenzione, si sentiva imbarazzato. La loro gioia era sincera, perché volevano molto bene al confratello. Soprattutto in quegli anni di sofferenza, era stato per loro un grande esempio. E si rallegravano con tutto il cuore nell'apprendere che la punizione era finalmente finita. Padre Pio era inquieto, aveva il batticuore. Conclusa la ricrea­zione, andò in coro e vi rimase a lungo. Come sempre, nelle occa­sioni tristi e in quelle liete, trascorreva ore e ore davanti al taber­nacolo. Pregava e si confidava con il Signore. Quella "Presenza" invisibile, che per fede sapeva essere là, in modo reale, costituiva il centro della sua esistenza. Tutto il suo tempo, tutte le sue azioni, tutti i suoi pensieri vi ruotavano intorno. - Domani, Signore, torno a vedere la gente - disse. Si sof­fermò a riflettere su quella frase, che gli era venuta in mente d'istinto. "Vedere la gente." Uomini, donne, bambini, vecchi: que­gli strani esseri che popolano la terra, che litigano, peccano, si pentono, hanno tanto bisogno di amore. A quelle persone, tutte uguali per lui, tutte importanti, aveva consacrato la propria vita. Per loro soffriva, pregava, in mezzo a loro voleva vivere. "Tra poche ore tornerò a vederli da vicino" si disse. Amici, cono­scenti, ragazzi, curiosi, disperati, sofferenti. Avrebbe potuto guar­darli in faccia, fissare i loro occhi, parlare con loro. Da quanto tem­po non faceva tutto questo? Da tre anni, ma gli pareva un'eternità. "Signore, è stata dura. Incredibilmente dura. Tu mi hai chiama­to per affidarmi un gregge. Non puoi pretendere che io lo guidi re­standogli lontano. Aveva obbedito all'imposizione di restare segregato, ma prega­va in continuazione perché quell'esilio potesse finire. E quel mo­mento stava per arrivare. "Signore, ti ringrazio. Sono tanto felice. Sapevo che mi avresti ascoltato." Si alzò dal banco per avviarsi verso la cella, ma si fermò ancora, in piedi, fissando il tabernacolo. "Sì, Signore, lo sai: se me lo chiedi, sono pronto a rinunciare al­la mia libertà, a tornare ancora prigioniero, per amore tuo e dei miei fratelli. Lo so che non vi è amore più grande di quello di chi sacrifica la propria vita per gli altri." Adesso si sentiva più tranquillo. La gioia provata all'annuncio della ritrovata libertà gli era sembrata quasi colpevole. "Non bisogna ricercare la propria felicità" si disse "ma quella degli altri. Tu hai fatto così, quando eri su questa terra, e io voglio fare come te." Per tutta la notte non riuscì a chiudere occhio. Il suo cuore ga­loppava, non riusciva a calmarlo. Il 16 luglio 1933 era domenica. Da quando Padre Pio viveva "segregato", i frequentatori della chiesetta di Santa Maria delle Grazie erano diminuiti. Negli ultimi tempi non si vedevano più fo­restieri. Durante la settimana, il convento e la chiesetta erano de­serti, come prima dell'arrivo del Padre. Solo alla domenica alcune persone raggiungevano il convento per ascoltare la Messa delle 9. C'erano sempre le "figlie spirituali" di Padre Pio e quegli estima­tori sinceri che, con la loro presenza, desideravano far sapere al Padre quanto gli volevano bene. Sapevano che dal coro lui li vede­va. E sapevano che la loro presenza gli era gradita. Anche la mattina del 16 luglio, alle nove la chiesetta era quasi pie­na. Le solite persone silenziose e tristi, raccolte in preghiera sui banchi di legno. La consegna del silenzio, chiesta dal Padre provinciale la sera prima ai religiosi della comunità, era stata rispettata. Nessuno sospettava niente. Alle nove in punto il Provinciale si presentò alla balaustra dell'altare. - Sono Padre Bernardo d'Alpicella, il Superiore provinciale - esordì. - Sono qui per comunicarvi una bella notizia: Padre Pio è torna­to tra noi e da questa mattina riprenderà a celebrare la Messa in questa chiesa. Ci fu un brivido di commozione tra i presenti. Alcuni non riu­scirono a trattenere le lacrime. Soprattutto le "figlie spirituali" del Padre, che occupavano i primi banchi. - Dobbiamo essere riconoscenti al Padre generale che ha otte­nuto la grazia - continuò il Provinciale. - E raccomando a tutti la massima compostezza, ordine e serietà, evitando quindi qua­lunque manifestazione, sia in chiesa sia fuori. Questo è quanto chiedono i Superiori maggiori. Poco dopo, Padre Pio con i paramenti sacri uscì dalla sacrestia e si avviò all'altare. La commozione divenne più intensa. Nella chiesa regnava un silenzio profondissimo. C'era nell'aria una ten­sione fortissima. Il Padre appariva dimagrito e quasi diafano. Pro­cedeva ad occhi bassi. Il suo volto era luminoso. Ai piedi dell'alta­re, con voce calma ma che tradiva l'emozione, cominciò il rito: - Introibo ad altare Dei... La notizia che Padre Pio aveva celebrato la Messa in chiesa si diffuse in paese. Molti cominciarono a salire al convento: voleva­no vedere il Padre. Il Guardiano li aspettava sul sagrato, spiegava loro che Padre Pio aveva chiesto di restarsene in cella e raccoman­dava la calma, la tranquillità. A mezzogiorno arrivarono le auto­rità, con il sindaco, il segretario politico, i rappresentanti delle as­sociazioni. Venivano a felicitarsi. - Vogliamo organizzare una grande festa per celebrare il lieto evento - annunciò il podestà. - Non è il caso - rispose il Padre guardiano. E con prudenza, misurando le parole, spiegò che a Roma quelli del Sant'Uffizio non capivano certe manifestazioni d'affetto. Le giudicavano male, e quindi ripeterle era pericoloso. - Organizzare una festa per noi è segno di gioia - protestò il podestà. - Facciamo musica, i fuochi d'artificio, ma anche una Messa solenne. - Comprendo bene - rispose Padre Raffaele. - Io sono di queste parti. A Roma però hanno un'altra mentalità. Una festa del genere potrebbe essere interpretata come una rivolta contro di lo­ro e provocare il ritiro della concessa libertà a Padre Pio. - Per carità, allora non pensiamoci più - disse il podestà. Nel pomeriggio arrivarono molte persone anche dai paesi vici­ni, ma il Padre rimase sempre nel coro e al termine della funzione si ritirò nella sua cella. Intanto, a Parigi c'era grande fermento. Brunatto si preparava al lancio del suo libro. I corrispondenti dei più importanti giorna­li avevano già ricevuto una copia del volume, ed erano iniziate ad uscire le prime recensioni. Il 19 luglio "El Liberal", un influente quotidiano spagnolo, pubblicò un lungo articolo. Nei giorni suc­cessivi seguirono altri giornali in Francia, Germania, Inghilterra e perfino in America. L'argomento che illustravano suscitava una profonda impressione. Lo scandalo dilagava. Ma fu questione di pochi giorni. Brunatto, appena seppe che Padre Pio era tornato libero, bloccò l'operazione. Dimostrando ancora una volta di essere un ribelle, sì, ma di parola, chiese agli amici giornalisti di non pubblicare più niente e sospese la diffusio­ne del volume. I suoi soci se ne lamentarono. - Non c'è niente da recriminare - rispose deciso. - Questi era­no i patti. Volevo la liberazione del Padre: è arrivata. Lo scopo è sta­to ottenuto. Salderò personalmente tutte le pendenze economiche.

11

Sembrava che tutto fosse tornato normale, al convento di Santa Maria delle Grazie. La gente aveva ripreso a frequentare la chiesetta per vedere Padre Pio che celebrava la Messa. Erano ripresi anche i pellegrinaggi. Quasi ogni giorno giungevano gruppi di fedeli da varie città d'Italia, tut­ti con il desiderio di vedere il Padre e di potergli parlare. Terminata la Messa, i pellegrini accorrevano verso la sacrestia, ma erano fermati dal Padre guardiano. - Vogliamo confessarci - gli dicevano. - Accomodatevi ai confessionali - rispondeva lui. - Vi man­do subito un sacerdote. - Vogliamo Padre Pio. - Non è possibile. - Siamo venuti da lontano per confessarci da lui. - Mi dispiace, non è proprio possibile. Insistevano, e Padre Raffaele cercava di convincerli. Padre Pio, dalla sacrestia, sentiva tutto. Gli si stringeva il cuore e gli veniva da piangere. Quelle persone cercavano la sua parola di sacerdote, erano anime che gli mandava il Signore, e lui non poteva fare niente per loro. Finiva di togliersi i paramenti sacri e poi, sconsolato e triste, sa­liva in coro per fare il ringraziamento. La normalità, quindi, era solo apparente. In realtà per Padre Pio era cambiato ben poco: la prigionia, in pratica, continuava. Adesso aveva il permesso di celebrare la Messa in chiesa, e non più nella piccola cappella all'interno del convento, ma tutte le al­tre restrizioni erano rimaste: non poteva confessare, non poteva incontrare la gente, e nemmeno svolgere l'apostolato della dire­zione spirituale delle anime. - Che genere di libertà gli hanno concesso? - si domandava­no quelli del "Comitato per la difesa di Padre Pio", che tanto tem­po, tante energie, tante iniziative avevano dedicato al Padre nei tre anni della sua "segregazione" - Questa supposta libertà è solo un pretesto per tenere tranquilla la gente, per fermare le iniziative di Brunatto - si lamentavano. - Dovete avere pazienza - ripeteva anche a loro Padre Raf­faele. - Le autorità ecclesiastiche hanno l'abitudine di procedere lentamente, per gradi. Adesso hanno concesso al Padre di tornare a celebrare la Messa in chiesa; tra poco potrà anche confessare, parlare con i pellegrini eccetera. Il più sarcastico e impaziente era l'ex sindaco di San Giovanni Rotondo, l'avvocato Francesco Morcaldi. Con Emanuele Brunat­to era stato il più attivo, tra i laici, nell'organizzare iniziative e manifestazioni a favore del Padre in quei tre anni di "segregazio­ne". Ma i risultati lo deludevano profondamente. Un giorno si recò al convento per cercare di avere un quadro preciso della situazione. - Come sta il bambino? - domandò al Padre guardiano, con il quale aveva molta confidenza. - Quale bambino? - fece meravigliato Padre Raffaele. - Padre Pio. - Perché lo chiami "bambino"? - Perché lo tenete sotto controllo come un neonato. - Ah, ho capito - disse il Guardiano comprendendo il signifi­cato ironico della battuta di Morcaldi. - Io vorrei sapere - domandò l'ex sindaco - in che cosa con­siste la libertà concessa al Padre. - È meglio che non parliamo di questo argomento - si schermi Padre Raffaele. - Padre Pio è tornato a celebrare la Messa in chie­sa, lui è contento, la gente anche. Lasciamo che le cose procedano lentamente, e tutto si sistemerà. - In concreto, che cosa è stato concesso a Padre Pio? - insi­stette di nuovo Morcaldi. - Di tornare a celebrare la Messa in chiesa. Prima non poteva farlo, adesso si. - E confessare? - Per ora solo i religiosi, cioè i suoi confratelli. - Ci sono persone che affrontano viaggi di centinaia di chilo­metri nella speranza di potersi confessare da lui. - Pazienza. Non può farlo. Il Sant'Uffizio non glielo ha con­cesso. Speriamo in futuro. Noi siamo dei religiosi, dobbiamo ob­bedire, non discutere. - Perché almeno non scende a parlare con la gente come un tempo? - Lo farà. - Tutto al futuro. -Le autorità ecclesiastiche gli hanno raccomandato di tenersi lontano dalla gente per non fomentare fanatismo e dare adito a manifestazioni esagerate, come del resto è già accaduto in passato. - Le sue "figlie spirituali" sono molto tristi. Nessuna di loro fi­nora è riuscita neppure a salutarlo. - Quelle dovranno soffrire un pò di più. Nelle disposizioni giunte assieme alla grazia, c'era scritto che "il Padre non deve parlare con donne né dare loro da baciare la mano - Ecco perché quelle povere ragazze non riescono ad avvici­narlo. Padre Pio non può parlare con le donne! Ma perché? Cosa temono? Lo ritengono un pervertito? - Avvocato, non fare certi discorsi. - È importante, invece. Sai bene quante accuse sono State mosse al Padre su questo punto. Abbiamo dimostrato che si trattava di ca­lunnie, e le autorità ecclesiastiche hanno anche scoperto i colpevoli. Ma in pratica a Roma continuano a dar credito a quelle accuse. - Ti ripeto: noi siamo religiosi. Se vogliamo essere dei buoni frati, dobbiamo obbedire alle disposizioni dei Superiori senza cri­ticare, investigare, discutere. Padre Pio, in questo, è sempre stato di esempio a tutti. - Lui è un santo, io no. La gente di questo paese, sapendo che sono amico di Padre Pio, continua a rivolgermi domande, e io vorrei sapere che cosa posso rispondere. - Ora Io sai, ti ho detto tutto. È importante tenere calmi gli animi, non organizzare manifestazioni, proteste. Queste cose sa­rebbero deleterie per Padre Pio. - Prima hai parlato di grazia. Che genere di grazia? - Quella concessa a Padre Pio. - Non capisco. - Il Padre generale ha inviato una supplica al Sant'Uffizio chie­dendo la grazia per Padre Pio in occasione dell'Anno Santo che stiamo celebrando. In pratica, ha chiesto che fossero tolte le proibizioni cui era stato sottoposto, e il Sant'Uffizio ha accolto la supplica. Almeno in parte. - La grazia! - esclamò Morcaldi sgranando gli occhi. - Ma la grazia è concessa ai colpevoli, a coloro che sono stati con­dannati e stanno scontando una giusta pena! Padre Pio era vittima di calunnie, non ha mai commesso niente di male. Che grazia si può concedere a un innocente? - Gli erano state comminate delle pene, e ora sono state sospese. - Ma erano pene ingiuste! - Che ne saccio io? - È obbrobrioso, inconcepibile, inammissibile. - Avvocato, stai tranquillo, non peggiorare le cose. Tutto si si­stemerà, ma a poco a poco. Lasciamo che il Sant'Uffizio salvi la faccia, poi tutto tornerà come prima. - Non credo alle mie orecchie - ripeteva l'avvocato muoven­dosi a passetti nervosi per il sagrato. - Se Brunatto viene a sapere una cosa del genere diventa matto. La grazia a Padre Pio! All'in­nocente per eccellenza! Prima lo hanno ingiustamente condanna­to, e poi, invece di riconoscere l'obbrobrio commesso, gli hanno concesso la grazia. Doppiamente beffato. Incredibile... - Avvocato, non mettermi nei guai. Se vuoi bene al Padre, stai zitto, aspettiamo tempi migliori. Capisco il tuo stato d'animo. Non voglio rivelarti il mio. Comunque, bisogna fare di necessità virtù, accontentarsi. - Sai che cosa ti dico? Che a volte mi vergogno di essere catto­lico. Di fronte a fatti del genere, vorrei diventare musulmano, buddista, scintoista, protestante, qualunque cosa. Che altro gli hanno imposto da Roma? - Uh, nient'altro, cosucce... - E quali sarebbero queste cosucce? - La sacrestia è diventata luogo di clausura, quindi non più ac­cessibile alle donne. Quando il Padre scende per la Messa, deve prendere la scala interna, in modo che non possa essere avvicinato da estranei. Non deve, al termine della Messa, fermarsi a parlare con la gente. Nelle ricorrenze importanti, la Messa solenne sarà sempre celebrata dal Superiore, e non da Padre Pio. La sua Messa deve durare mezz'ora, e non un'ora o due come un tempo. - Chiamale cosucce! Lo trattano proprio come un bambino. Lo tengono lontano dalla gente perché potrebbe seminare scandalo e non gli permettono di confessare perché potrebbe traviare i peniten­ti. Controllano anche i suoi colloqui con il Signore, misurano le pa­role che dice a Dio. Povero Padre! Sta quasi peggio di prima... - Godiamocelo, invece di criticare - cercò d'insistere Padre Raffaele. - Vedrai che il Signore metterà tutto a posto. - Beati voi che avete la forza di pensare al Signore. Io mi rodo. Comunque, ho capito che conviene stare buoni, tanto quelli di Ro­ma trovano sempre il modo di fregarti. Da quando conosco Padre Pio, non finisco di scoprire aspetti inediti e impensabili della buro­crazia ecclesiastica, che non avrei mai potuto immaginare. Padre Raffaele si copri con le mani le orecchie come per dire che non voleva sentire quei ragionamenti. Fingeva di essere scandaliz­zato, ma nel profondo del suo cuore dava ragione a Morcaldi. "Anche in quest’occasione" si diceva Padre Raffaele "Padre Pio è stato veramente trattato come un malfattore. Gli hanno usato in­giustizie vergognose. L’Osservatore Romano e il periodico eccle­siastico”Acta Apostolicae Sedis”avevano sempre riportato le noti­zie delle condanne al Padre. Sulla sua liberazione, nessun accenno. Probabilmente perché, come dice Morcaldi, non è affatto una”liberazione', ma solo una sospensione della pena. La condanna, e quindi la colpa, restano. Il giudizio della Chiesa non è mutato. Pa­zienza. Preghiamo il Signore che ci aiuti a sopportare." Padre Pio ricevette il permesso di confessare gli uomini il 25 marzo 1934, mentre dovette attendere fino al 12 maggio dello stesso anno per avere la facoltà di confessare anche le donne. Ogni volta che gli era fatta qualche concessione, si coglieva anche l'occasione per ribadire le varie disposizioni restrittive. "Potrà" gli scrisse il Provinciale il 25 marzo 1934 "ascoltare le sacramentali confessioni degli uomini in sacrestia, prima della Messa e subito dopo, e nei grandi corridoi anche nel pomeriggio, previo il consenso del Superiore locale. Capitando qualche uomo nel resto della giornata, potrà confessarlo in coro o nella saletta. Resta a lui sempre proibito di parlare, senza una speciale autoriz­zazione del Superiore maggiore, con qualsiasi donna." In occasione della concessione della facoltà di confessare le don­ne, il Padre generale scrisse al Provinciale: "Vostra Paternità, nel­l'atto di comunicare quanto prima a Padre Pio questa buona notizia, vorrà intimargli per ordine della Congregazione del Sant'Uffizio, e anche a nome nostro, che per confessare i fedeli si rechi direttamente al confessionale e, finite le confessioni, si ritiri subito in convento senza fermarsi per nessun motivo". Il 10 agosto 1935 ricorrevano venticinque anni dall'ordinazio­ne sacerdotale del religioso di Pietrelcina. Si trattava delle sue noz­ze d'argento con Cristo, un'importante ricorrenza che doveva es­sere festeggiata. - Che facciamo? - domandò il Guardiano incontrando, qualche giorno prima di quella data, il Superiore provinciale a Foggia. - Bella domanda! - rispose Padre Bernardo. Da tempo era stanco dell'assurda situazione in cui si trovava. Era un Superiore "straniero" a Foggia, imposto come punizione a cau­sa dello stato di emergenza provocato da Padre Pio. Erano esatta­mente undici anni che ricopriva quell'incarico, e da undici anni la maggior parte del suo tempo, delle sue preoccupazioni e dei suoi problemi aveva riguardato Padre Pio. Padre Bernardo era assolutamente convinto della straordinaria bontà del confratello, ma doveva continuare a fare il "gendarme", per far osservare le continue disposizioni che arrivavano da Roma. - Lo sa bene che il Generale e quelli del Sant'Uffizio controlla­no tutto - disse a Padre Raffaele. - Se facciamo qualcosa che non rientra nelle loro indicazioni, ci mettiamo nei guai. E mettia­mo nei guai anche Padre Pio. Quindi, niente festeggiamenti, nien­te Messa solenne, niente canto del Te Deum, niente inviti o pran­zi, insomma, nessuna festa. Purtroppo, togli questo, togli quello, si finisce per rendere quel giorno uguale a tutti gli altri. Cerchere­mo di stare vicini al Padre con tanto affetto. Verrò a San Giovanni anch'io e porterò il Vicario. Faremo venire il suo confessore, Pa­dre Agostino, cui è tanto affezionato. - Povero confratello, mi fa pena. - Anche a me. Mi suggerisca lei qualcosa di concreto che non scateni i soliti rimproveri, le solite lettere di protesta. - È bene pensarci prima, stabilire chiaramente che cosa si vuoi fare per evitare inconvenienti. Ricordo la festa del suo onomasti­co, lo scorso anno, la prima che celebrava dopo i tre anni di "se­gregazione". Una delle sue "figlie spirituali", che è maestra, a mia insaputa aveva insegnato ai suoi alunni dei canti da eseguire du­rante la Messa, credendo fosse cosa lecita e conveniente. Ma io, sentendo quelle musiche e pensando ai divieti del Sant'Uffizio, mi sono preoccupato e sono corso a fermare tutto. Immagina il dolo­re di quella ragazza, dei bambini, e dello stesso Padre Pio. - Capisco, capisco. Mi piange il cuore. Possiamo invitare a pranzo, in refettorio con i frati, il papà e il fratello del Padre, in mo­do che si senta in famiglia. È molto attaccato ai familiari, e sarà per lui cosa molto gradita. - Faremo così. Anche quel giorno tanto importante trascorse per Padre Pio senza alcuna solennità. Ma lui non se ne rammaricò. Ormai era abituato a tutto e distaccato da ogni esteriorità. Gradì molto poter pranzare con papà Grazio e il fratello Michele e si intrattenne con loro conversando affettuosamente. Nel pomerig­gio trascorse alcune ore con il proprio confessore, Padre Agostino. - Ti vedo preoccupato - gli disse quest'ultimo quando furono soli nella cella di Padre Pio. - È un periodo difficile, Padre spirituale. - Ce ne sono stati tanti altri, figliolo, fatti coraggio. - Questo sembra non finire mai. Padre Pio era proprio demoralizzato. In refettorio aveva riso, scherzato, si era mostrato felice. Ma adesso, a quattr'occhi con il confessore, svelò il suo vero stato d'animo: aveva il morale a ter­ra. Le sofferenze dei tre anni di "segregazione", anche se soppor­tate con fede e rassegnazione, avevano certamente lasciato un se­gno indelebile nel suo spirito, provocando disturbi non lievi, forse malattie psicosomatiche. Accusava infatti fortissime emicranie, inappetenza continua, insonnia, febbri improvvise. E un grave sta­to di insicurezza. - Il peggio è passato - disse Padre Agostino cercando di fargli coraggio. - Ormai hai ripreso la tua esistenza normale. - Restano le difficoltà interiori. Quell'aridità, quella freddez­za, quei dubbi nei confronti di Dio di cui le ho parlato tante volte, vanno aumentando. E il dolore che ne provo è indicibile. - I tuoi "amici invisibili" sono sempre latitanti? - Da anni ormai. Non vedo e non sento più né Gesù né la Madonna. Lunico che mi è vicino è l'Angelo Custode, ma anche lui non si fa vedere. - Cos'è che ti provoca maggiormente disagio in questo stato di aridità, come lo hai chiamato? - L’incertezza di essere in grazia di Dio, non sapere se le mie azio­ni sono buone o cattive. Se riesco a compierle per amore di Dio o se sono soltanto frutto di egoismo, di cattiveria. Preferirei mille croci a questo stato d'animo. Anzi, qualsiasi croce sarebbe dolce e leggera per me, se non covassi questo dubbio. Comincio perfino ad avere paura della morte, perché penso che, se dovessi morire ora, finirei all'inferno. A volte mi sembra di impazzire. Un tempo, quando face­vo dei fioretti, pregavo, mi sacrificavo, accettavo le umiliazioni, le sofferenze, "sapevo" di compiere qualche cosa che piaceva al Signo­re, che serviva alla salvezza delle anime. Ma da anni ormai questa certezza non ce l'ho più. E sono perseguitato dal pensiero che le mie azioni siano inutili, in quanto io non sono in grazia di Dio. È come se fosse stato strappato il filo che mi lega a Dio, e mi sento sperduto, in balia delle forze del male. È terribile, Padre spirituale. - Ti capisco, figliolo. È una prova grande, te l'ho già detto al­tre volte. Ma se il Signore te la impone ha uno scopo preciso. Non dimenticare che Dio ti è "Padre", ti ama in modo sublime, e quin­di agisce per il tuo bene. - Lo so, me lo ripeto in continuazione, ma non "sento" niente. Anzi, provo nausea, avversione, per questi pensieri. Speriamo che il Signore abbia misericordia di me e ponga fine a questa prova.

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