Margaret atwood



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perché non ci fu nessuna spiegazione. Cosa avrei potuto dire che avesse un

minimo di senso, a una bambina di otto anni?

Port Ticonderoga era diversa adesso, la guerra aveva operato pesanti in-

terventi. Durante il conflitto parecchie delle fabbriche erano state riaperte -

donne in tuta avevano fabbricato spolette - ma ora stavano chiudendo di

nuovo. Forse sarebbero state convertite alla produzione del tempo di pace,

una volta stabilito cosa avrebbero voluto comprare esattamente i reduci per

le case e le famiglie che ora si sarebbero senza dubbio fatti. Intanto i di-

soccupati erano molti, c'era attendismo.

C'erano dei vuoti. Elwood Murray non dirigeva più il giornale: presto sa-

rebbe stato un nuovo nome scintillante sul Monumento ai Caduti, dal mo-

mento che si era arruolato in marina e si era fatto accoppare. È interessante

di quali degli uomini della città si diceva che erano stati uccisi e di quali si

diceva che si erano fatti ammazzare, come se fosse una prova di goffaggi-

ne o perfino un atto deliberato, anche se piuttosto trascurabile - quasi un

acquisto, come farsi tagliare i capelli. Comprare il biscotto, era il termine

locale per questo, usato di regola dagli uomini. C'era da chiedersi chi aves-

se cotto il biscotto.

Il marito di Reenie, Ron Hincks, non fu classificato tra questi occasiona-

li compratori di morte. Si disse con grande solennità che era rimasto ucciso

in Sicilia, insieme a un gruppo di altri ragazzi di Port Ticonderoga che si

erano arruolati nel Royal Canadian Regiment. Reenie aveva la pensione,

ma non molto altro, e affittava una stanza nella sua piccola casa; inoltre,

lavorava ancora al Betty's Luncheonette, sebbene dicesse che la schiena la

stava uccidendo.

Non era la schiena che la stava uccidendo, come avrei scoperto presto.

Erano i suoi reni, e finirono il lavoro sei mesi dopo il mio trasferimento. Se

stai leggendo, Myra, mi piacerebbe che tu sapessi che duro colpo fu. Ave-

vo contato sul fatto che lei fosse là - non c'era sempre stata? - e ora, tutt'a

un tratto, non c'era.

E poi ci fu sempre di più, perché di chi era la voce che sentivo quando

volevo una radiocronaca?

Andai ad Avilion, naturalmente. Fu una visita difficile. Il terreno era in

abbandono, i giardini coperti di vegetazione; la serra era in rovina, con i

vetri rotti e le piante secche, ancora nei loro vasi. Be', ce n'era qualcuna

così anche ai nostri tempi. Le sfingi di guardia erano ricoperte di varie

scritte del tipo John ama Mary; una era stata rovesciata. Lo stagno della

ninfa di pietra era intasato da piante ed erbacce secche. Quanto alla ninfa,

era sempre là, anche se le mancava qualche dito. Il suo sorriso però era lo

stesso: remoto, segreto, distaccato.

Non dovetti entrare in casa con la forza: Reenie era ancora viva allora, e

aveva sempre la chiave clandestina. La casa era in uno stato pietoso: pol-

vere ed escrementi di topo ovunque, macchie sui parquet ora opachi, dove

era colato qualcosa. Tristano e Isotta erano ancora lì, a sorvegliare la sala

da pranzo vuota, sebbene Isotta avesse riportato un danno alla sua arpa, e

una rondine o due avesse fatto il nido sopra la finestra di mezzo. Niente

vandalismi all'interno, però: l'alito del nome dei Chase soffiava intorno alla

casa, sebbene debolmente, e nell'aria doveva essersi mantenuta un'aura

sempre più fievole di potere e denaro.

Feci il giro di tutta la casa. L'odore di muffa era diffuso ovunque. Diedi

un'occhiata alla biblioteca, dove la testa della Medusa dominava ancora

sopra il caminetto. Anche la nonna Adelia era ancora al suo posto, sebbene

avesse cominciato a dare segni di cedimento: il suo viso adesso aveva u-

n'espressione di astuzia repressa ma gioiosa. Scommetto che avevi le tue

brave avventure, dopo tutto, le dissi tra me e me. Scommetto che avevi una

vita segreta. Scommetto che era grazie a essa che andavi avanti.

Frugai tra i libri. Aprii i cassetti della scrivania. In uno c'era una scatola

di campioni di bottoni dei tempi del nonno Benjamin: i dischetti di osso

bianco che erano diventati d'oro nelle sue mani ed erano rimasti d'oro per

tanti anni, ma che ora si erano di nuovo trasformati in osso.

In soffitta trovai il nido che Laura doveva essersi fatta lassù, dopo aver

lasciato la Clinica Bella Vista: le trapunte tirate fuori dai bauli, le coperte

del suo letto di sotto - un indizio lampante della sua presenza, se qualcuno

avesse ispezionato la casa in cerca di lei. C'era qualche buccia d'arancia

secca, un torsolo di mela. Come sempre non aveva pensato a mettere via

nulla. Nascosta nell'armadio di quercia c'era la busta di cianfrusaglie che

aveva riposto qui, quell'estate dell'Ondina: la teiera d'argento, le tazze e i

piattini di porcellana, i cucchiai con il monogramma. Lo schiaccianoci a

forma di alligatore, un gemello di madreperla spaiato, l'accendino rotto,

l'oliera senza il contenitore per l'aceto.

Sarei tornata in seguito, mi dissi, e avrei preso altre cose.

Richard non si presentò di persona, il che era un segno (per me) della

sua colpa. No, mandò Winifred. «Sei impazzita?» fu la sua salva iniziale.

(Questo in un séparé del Betty's Luncheonette: non la volevo nella mia ca-

sa in affitto, e non la volevo in nessun posto vicino ad Aimee).

«No» risposi, «e non lo era neppure Laura. O non tanto come voi pre-

tendevate che fosse. So cosa ha fatto Richard».

«Non so di cosa tu stia parlando» disse Winifred. Indossava una stola di

visone composta di lucide code, e si stava liberando dai guanti.

«Suppongo che quando mi sposò immaginasse di aver fatto un affare -

due al prezzo di una. Ci ha avute per una miseria».

«Non essere ridicola» disse Winifred, sebbene apparisse scossa. «Le

mani di Richard sono assolutamente pulite, qualunque cosa abbia detto

Laura. È immacolato come la neve. Hai fatto un grave errore di giudizio.

Vuole che ti dica che è pronto a passarci sopra - su questa tua aberrazione.

Se torni, è pienamente disposto a perdonare e dimenticare».

«Ma io no» ribattei. «Può anche essere immacolato, ma non come la ne-

ve. È tutta un'altra sostanza».

«Tieni la voce bassa» sibilò. «La gente ci guarda».

«Guarderebbe comunque» dissi, «con te in ghingheri come il cavallo di

Lady Astor. Sai, quella sfumatura di verde non ti dona affatto, soprattutto

alla tua età attuale. In realtà non ti ha mai donato. Ti dà un'aria biliosa».

Questo colpì nel segno. Winifred stava trovando difficile andare avanti:

non era abituata a questo mio nuovo aspetto velenoso. «Cosa vuoi, esatta-

mente?» disse. «Non che Richard abbia fatto assolutamente nulla. Ma non

vuole scandali».

«Gliel'ho detto, esattamente» risposi. «Gliel'ho detto a chiare note. E ora

vorrei l'assegno».

«Vuole vedere Aimee».

«Non esiste che io permetta una cosa del genere» dissi. «Ha una gran

voglia di ragazze giovani. Tu lo sapevi, l'hai sempre saputo. Perfino a di-

ciotto anni io mi avvicinavo al limite massimo. Avere Laura nella stessa

casa era una tentazione troppo forte per lui, ora lo capisco. Non poteva te-

nere le mani lontane da lei. Ma non le metterà su Aimee».

«Non essere disgustosa» disse Winifred. Ora era molto arrabbiata: sotto

il trucco si era coperta di macchie. «Aimee è sua figlia».

Ero sul punto di dire: «No, non lo è», ma sapevo che sarebbe stato un er-

rore tattico. Legalmente, era sua figlia; non avevo modo di provare il con-

trario, non avevano ancora inventato tutti quei geni e compagnia bella, non

ancora. Se Richard avesse saputo la verità, sarebbe stato ancora più ansio-

so di strapparmi Aimee. L'avrebbe tenuta in ostaggio, e io avrei perso tutto

il vantaggio guadagnato fino ad allora. Era un'insidiosa partita di scacchi.

«Non si fermerebbe davanti a niente» dissi, «neanche davanti ad Aimee.

Poi la spedirebbe in qualche fabbrica di aborti clandestini, come ha fatto

con Laura».

«Vedo che non ha senso continuare la discussione» disse Winifred, rac-

cogliendo i guanti, la stola di visone e la borsa di rettile.

Dopo la guerra, le cose cambiarono. E cambiarono il nostro aspetto. Gli

smorzati grigi granulosi e le mezzetinte scomparvero. Furono sostituiti dal-

la piena luce accecante del mezzogiorno - sgargiante, primitiva, senza om-

bre. Rosa caldi, blu violenti, palloni da spiaggia rossi e bianchi, il verde

fluorescente della plastica, il sole che ardeva come un proiettore.

Intorno alle periferie delle città grandi e piccole i bulldozer si scatenaro-

no e gli alberi vennero abbattuti; furono scavate grandi buche nel terreno,

quasi vi fossero state fatte cadere delle bombe. Le strade erano tutte ghiaia

e fango. Apparvero spiazzi di nuda terra in cui erano stati piantati sottili

alberelli: erano popolari le betulle piangenti. C'era fin troppo cielo.

C'era la carne, grandi pezzi e fette e tocchi ne scintillavano nelle vetrine

dei macellai. C'erano arance e limoni luminosi come il sorgere del sole, e

mucchi di zucchero e montagne di burro giallo. Tutti non facevano altro

che mangiare. Si rimpinzavano di tutta la carne in technicolor e di tutto il

cibo in technicolor che potevano procurarsi, come se non ci fosse un do-

mani.


Ma un domani c'era, non c'era altro che il domani. Era lo ieri a essere

svanito.


Ora avevo abbastanza denaro, da Richard e anche dal patrimonio di Lau-

ra. Avevo comprato la mia casetta. Aimee era ancora risentita con me per

averla strappata alla sua vita precedente, notevolmente più ricca, ma sem-

brava essersi calmata, sebbene di tanto in tanto cogliessi una sua occhiata

fredda: stava già decidendo che come madre ero deludente. D'altra parte

Richard aveva raccolto i vantaggi della distanza, e negli occhi di Aimee

c'era molto più che una scintilla nei suoi confronti, adesso che non era più

presente. Tuttavia, il flusso di regali da parte sua si era rallentato fino a di-

ventare un gocciolio, perciò non le rimanevano molte scelte. Temo di aver-

la giudicata più stoica di quanto non fosse.

Intanto, Richard si stava preparando al bastone del comando, su cui -

stando ai giornali - aveva quasi messo le mani. È vero, io ero un impedi-

mento, ma le voci di una separazione erano state stroncate. Si diceva che

ero «in campagna», il che non era male, finché ero disposta a rimanerci.

A mia insaputa, erano state lasciate trapelare altre voci: che ero mental-

mente instabile; che Richard mi manteneva finanziariamente, nonostante la

mia stravaganza; che Richard era un santo. Non c'è niente di male in una

moglie matta, se si sa trattarla come si deve: ciò rende le spose dei potenti

tanto più favorevoli alla causa di qualcuno.

A Port Ticonderoga vivevo abbastanza tranquillamente. Ogni volta che

uscivo, mi muovevo attraverso un mare di rispettosi bisbigli che si smor-

zavano quando arrivavo a portata di voce, per poi ricominciare. Mi veniva

riconosciuto che, qualunque cosa fosse successa con Richard, ero io la par-

te offesa. Mi era capitata la pagliuzza corta, ma siccome non c'era nessuna

giustizia e pochissima pietà, non si poteva fare nulla per me. Questo prima

che apparisse il libro, naturalmente.

Il tempo passava. Facevo giardinaggio, leggevo e così via. Avevo già

avviato - in maniera modesta, cominciando con qualcuno dei gioielli a

forma di animale che mi aveva regalato Richard - il commercio di oggetti

di seconda mano che mi sarebbe stato molto utile nei decenni a venire. Era

stata impiantata una parvenza di normalità.

Ma le lacrime non versate possono far diventare rancidi. Lo stesso la

memoria. Lo stesso mordersi la lingua. Stavano cominciando le mie brutte

notti. Non riuscivo a dormire.

Ufficialmente, Laura era stata messa in ombra. Ancora pochi anni e sa-

rebbe stato come se non fosse mai esistita. Non avrei fatto voto di silenzio,

mi dissi. Cosa volevo? Ben poco. Solo un ricordo di qualche tipo. Ma cos'è

un ricordo, a ben guardare, se non una commemorazione di ferite sopporta-

te? Sopportate, e detestate. Senza memoria, non può esserci vendetta.

Per non dimenticare. Ricordatemi. A voi con deboli mani passiamo. Le

grida dei fantasmi assetati.

Nulla è più difficile che capire i morti, ho scoperto; ma nulla è più peri-

coloso che ignorarli.

Il mucchio di macerie

Spedii il libro. A tempo debito, ricevetti una lettera di riscontro. Le ri-

sposi. Gli avvenimenti seguirono il loro corso.

Arrivarono le copie per l'autore, prima della pubblicazione. Sul risvolto

di copertina c'era una toccante nota biografica:

Laura Chase ha scritto L'assassino cieco prima di compiere

venticinque anni. Era il suo primo romanzo; sfortunatamente sarà

anche l'ultimo, dal momento che è morta in un tragico incidente

automobilistico nel 1945. Siamo fieri di presentare l'opera di que-

sta giovane e dotata scrittrice nella sua prima, sorprendente fiori-

tura.


Sopra c'era la foto di Laura, una brutta riproduzione: la faceva sembrare

coperta di escrementi di mosca. Ciò nonostante, era sempre qualcosa.

Quando il libro uscì, sulle prime fu accolto dal silenzio. Dopotutto era

un libro piuttosto piccolo, e non certo materia da best-seller: per quanto

bene accolto negli ambienti letterari di New York e Londra, non fece mol-

to scalpore quassù, non all'inizio. Poi i moralisti se ne impadronirono, co-

loro che battevano i pugni sul pulpito e le donnette del luogo entrarono in

azione, e cominciò il chiasso. Una volta che le mosche carnarie ebbero

stabilito il legame - Laura era la cognata morta di Richard Griffen - si but-

tarono tutti sulla storia come una valanga. A quel tempo Richard aveva la

sua scorta di nemici politici. Le insinuazioni cominciarono a circolare.

La storia che Laura si era suicidata, soffocata tanto efficacemente a suo

tempo, venne di nuovo a galla. La gente parlava, non solo a Port Ticonde-

roga, ma anche nei circoli che contavano. Se l'aveva fatto, perché? Qual-

cuno fece una telefonata anonima - ma chi sarà mai stato? - ed entrò in

scena la Clinica Bella Vista. La testimonianza di un vecchio impiegato

(ben pagato, si disse, da uno dei giornali) portò a una minuziosa inchiesta

sulle pratiche più squallide che vi venivano condotte, e in conseguenza di

ciò si scavò nel cortile sul retro e tutta la baracca venne chiusa. Ne studiai

le fotografie con interesse: prima di diventare una clinica era stata la resi-

denza di un grande industriale del legname, e si diceva che nella sala da

pranzo aveva alcune belle finestre con vetri colorati, sebbene non belle

come quelle di Avilion.

Particolarmente dannose si rivelarono alcune lettere tra Richard e il di-

rettore.

Di tanto in tanto Richard mi appare, negli occhi della mente o in sogno.

È grigio, ma con una lucentezza iridescente tutt'intorno, come olio su una

pozzanghera. Mi lancia un'occhiata equivoca. Un altro fantasma pieno di

rimprovero.

Poco prima che i giornali annunciassero il suo ritiro dalla politica uffi-

ciale, ricevetti una sua telefonata, la prima dalla mia partenza. Era furioso,

e anche agitato. Gli era stato detto che a causa dello scandalo non poteva

più essere considerato un candidato alla leadership, e ora gli uomini che

contavano non rispondevano alle sue chiamate. Era stato trattato fredda-

mente. Era stato preso in giro. L'avevo fatto di proposito, disse, per rovi-

narlo.


«Fatto cosa?» chiesi. «Non sei rovinato. Sei ancora ricco».

«Quel libro!» disse. «Mi hai boicottato! Quanto hai dovuto pagarli per

farlo pubblicare? Non credo che Laura abbia scritto quello sporco... quel

mucchio di immondizia!»

«Non vuoi crederci» replicai, «perché eri stordito da lei. Non puoi sop-

portare l'eventualità che durante tutto il tempo in cui hai avuto la tua picco-

la e squallida storia con lei, lei debba essere entrata e uscita dal letto di un

altro uomo - uno che amava, a differenza di te. O almeno presumo che sia

questo che voglia dire il libro - no?»

«Era quel rosso, vero? Quel fottuto bastardo del picnic!» Richard dove-

va essere molto turbato: di regola, imprecava di rado.

«Come faccio a saperlo?» dissi. «Non la spiavo. Ma hai ragione, proba-

bilmente è iniziato al picnic». Non gli dissi che c'erano stati due picnic con

Alex: uno con Laura e un secondo, un anno più tardi, senza di lei, dopo

che mi ero imbattuta in lui quel giorno in Queen Street. Quello a base di

uova sode.

«Lo faceva per dispetto» disse Richard. «Si stava solo vendicando di

me».


«Non mi sorprenderebbe» feci. «Deve averti odiato. Perché non avrebbe

dovuto? L'hai praticamente violentata».

«Non è vero! Non ho fatto nulla senza il suo consenso!»

«Consenso? È così che lo chiami? Io lo chiamerei ricatto».

Mi attaccò il telefono in faccia. Era una caratteristica di famiglia. Quan-

do poco prima aveva chiamato per inveirmi contro, Winifred aveva fatto lo

stesso.

Poi Richard scomparve, e poi fu trovato sull'Ondina - be', sai tutto. Do-



veva essere scivolato furtivamente in città, scivolato nei terreni di Avilion,

scivolato sulla barca, che tra parentesi era nella rimessa, e non legata al

pontile come dissero erroneamente i giornali. La cosa venne insabbiata: un

cadavere in una barca in acqua è abbastanza normale, ma uno in una ri-

messa per barche è strano. Winifred non avrebbe voluto che si pensasse

che Richard fosse andato fuori di testa.

Cosa successe realmente allora? Non ne sono sicura. Una volta che ven-

ne rinvenuto, Winifred prese in mano la situazione e fece buon viso a cat-

tivo gioco. Un colpo - fu la sua versione. Fu trovato con il libro accanto,

però. Questo lo so, perché Winifred mi telefonò in uno stato di isteria e mi

disse così. «Come hai potuto fargli questo?» disse. «Hai distrutto la sua

carriera politica, e poi hai distrutto i suoi ricordi di Laura. Lui l'amava!

L'adorava! Non ha potuto sopportare quando è morta!»

«Sono contenta di sentire che provava un po' di rimorso» osservai fred-

damente. «Non posso dire di averlo mai notato al tempo».

Winifred mi diede tutta la colpa, naturalmente. Dopodiché, fu guerra a-

perta. Mi fece la cosa peggiore che potesse venirle in mente. Si prese Ai-

mee.


Suppongo che ti sia stato insegnato il vangelo secondo Winifred. Nella

sua versione, io sarò stata un'ubriacona, una donnaccia, una sciattona, una

cattiva madre. Col passare del tempo sulla sua bocca sono diventata senza

dubbio una sudicia strega, una vecchia sgualdrina pazza, una venditrice

ambulante di vecchie cianfrusaglie da discarica. Tuttavia, dubito che ti ab-

bia mai detto che ho ucciso Richard. Se te l'avesse detto, avrebbe dovuto

dire anche come mai le era venuta in mente quell'idea.

Cianfrusaglie era un insulto. È vero che compravo a poco e rivendevo a

molto - chi non lo fa, nel giro dell'antiquariato? - ma avevo un buon occhio

e non ho mai costretto nessuno. C'è stato un periodo in cui ho bevuto trop-

po - lo ammetto - ma non prima che Aimee se ne fosse andata. Quanto agli

uomini, ce ne fu qualcuno anche di quelli. Non fu mai una questione di

amore, era più una sorta di fasciatura periodica. Ero tagliata fuori da tutto

ciò che mi circondava, incapace di raggiungerlo, di toccarlo; nello stesso

tempo mi sentivo scorticata. Avevo bisogno del conforto di un altro corpo.

Evitavo qualsiasi uomo della mia precedente cerchia sociale, sebbene al-

cuni di loro si fecero vivi, come moscerini sulla frutta, non appena ebbero

sentore che ero sola e forse a pezzi. Uomini come quelli avrebbero potuto

essere istigati da Winifred, e senza dubbio lo erano. Mi limitavo esclusi-

vamente agli estranei, raccolti nelle mie incursioni nelle vicine città grandi

e piccole in cerca di quelli che oggi chiamano oggetti da collezione. Non

davo mai il mio vero nome. Ma Winifred si rivelò troppo ostinata per me,

alla fine. Tutto quello che le serviva era un uomo, ed è quello che ottenne.

Le foto della porta della stanza di un motel, chi entrava e chi usciva; le

firme false nel registro; la testimonianza del proprietario, che aveva accet-

tato di buon grado i contanti. Potrebbe battersi in tribunale, mi disse il

mio avvocato, ma glielo sconsiglierei. Cercheremo di strappare il diritto

alle visite, è tutto quello che ci si può aspettare. Ha fornito loro del mate-

riale e loro lo hanno usato. Anche lui mi disapprovava, non per la mia tur-

pitudine morale ma per la mia goffaggine.

Nel suo testamento Richard aveva nominato Winifred tutrice di Aimee,

nonché unica curatrice del suo non trascurabile conto vincolato. Perciò a-

veva anche questo a suo favore.

Quanto al libro, Laura non ne scrisse neppure una parola. Ma devi averlo

capito da un pezzo. L'ho scritto io, durante le mie lunghe sere da sola,

mentre aspettavo che Alex tornasse, e poi, una volta saputo che non lo a-

vrebbe fatto. Non pensavo che stavo scrivendo - scrivevo e basta. Quanto

ricordavo, e anche quanto immaginavo, che è anch'esso la verità. Pensavo

a me stessa come a qualcuno che registra. Una mano senza corpo che sca-

rabocchia su un muro.

Volevo una commemorazione. È così che cominciò. Per Alex, ma anche

per me stessa.

Da questo ad attribuire la paternità del libro a Laura il passo fu breve.

Potresti stabilire tu se a ispirarmi fu la viltà o la fragilità nervosa - non mi

sono mai piaciuti i riflettori. O la semplice prudenza: il mio nome mi a-

vrebbe assicurato la perdita di Aimee, che persi comunque. Ma ripensan-

doci si trattò semplicemente di fare giustizia, perché non posso dire che

Laura non abbia scritto una parola. In senso stretto è esatto, ma in un altro

senso - che Laura avrebbe chiamato spirituale - si potrebbe dire che colla-

borò con me. La vera autrice non è nessuna delle due: un pugno è più della

somma delle sue dita.

Ricordo Laura all'età di dieci o undici anni, seduta alla scrivania del

nonno, nella biblioteca di Avilion. Aveva davanti un foglio di carta, ed era

impegnata a disporre i posti in Paradiso. «Gesù siede alla destra di Dio»

disse, «perciò chi siede alla sua sinistra?»

«Forse Dio non ha una sinistra» risposi per prenderla in giro. «Le mani

sinistre hanno fama di essere cattive, perciò forse lui non dovrebbe averne

una. O forse gli era stata mozzata in una guerra».


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