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- Ah, Jim, taci che non sei andato te in Vietnam, altrimenti faresti scoppiare mezzo paese!

- E il bello deve ancora venire: lo buttano giù dal treno, che gli dicono che va a 140 all’ora. Lui però non si demoralizza e come tutti quelli che sono dispersi nel bosco, trova in mezzo alle montagne una jeep nuova. Apre il cofano, e cosa vede? Due fili rossi già spellati! Li attacca Bzz, Bzz e via come un siluro su e giù per le nude rocce! Senza sapere la strada, in due minuti raggiunge il treno - che andava a 140 all’ora - e gli salta sopra con tutto il macchinario!

- Cazzo, voglio vederlo a tutti i costi! Rospo bestia, una troiata così ti manda fuori di testa!

Gufando alle spalle di Steven Segal il David aveva già farcito gli spaghetti che ormai, oltre ad essere usciti dalla pentola, stavano già affogando in un sugo di ragù e besciamella da masturbazione del palato. Eravamo piuttosto veloci a mangiare e in un attimo ci trovavamo già con la cicca in bocca ed io con la birra in mano. Durante i pasti infatti non bevevo quasi mai, ma mi rifacevo alla grande sia prima che dopo. Non mi andava di mescolare i liquidi con i solidi nel mio esofago. I miscugli preferivo farli a livello intestinale. Mangi un boccone di pasta e la mandi giù con un sorso di birra? Allora perché non prendi una tinozza e ci mescoli direttamente gli ingredienti?

Presi tutti i cazzi necessari e preparai una botta di caffè. Mentre degustavo la bevanda inzuppata di grappa David mi mostrò una foto sul PCpds. Era la donna di un nostro conoscente, un certo Pinco Pallino. Ovviamente non era molto vestita. Era lei, cazzo, sì era lei. Non c’erano dubbi. Anche la sua figa era così come me la immaginavo: rasata, di taglio corto, ma con labbra sostanziose e mielose. Da mangiare. Sì, come me la sarei mangiata. Con quello sguardo innocente da bambina, gli occhi grandi ed il sorriso sincero. I capelli biondi un po’ tinti a caschetto un po’ lungo. E la cosa che contava di più una perussola d’oro da mangiare e mangiare, leccare fino a consumarsi la lingua e la biffa. I suoi piccoli seni appuntiti e duri come il marmo; ed ancora quella impareggiabile fighetta da slurpare e sibilare piano con la punta di rubino della mia insaziabile nerchia. Se non ci fosse stato là il mio socio avrei tirato fuori il cazzo e me lo sarei menato fino a sburrare sul vetro del monitor.

Ritornai per un attimo nel mondo reale, ma ormai mi risultava piuttosto difficile per quello che avevo bevuto negli ultimi giorni e me la immaginai persino dal di dietro, mentre si piegava per raccogliermi il tappo della grappa. Quel culetto marmoreo, bianco e tondo, con un buchetto così stretto da strozzarti l’uccello e farti pronunciare formule magiche d’altri tempi. A questo punto ero fuso.

- Dai, David, andiamo a comprarci le sigarette, altrimenti va a finire che mi tira l’uccello
Dopo pochi minuti le nostre nerchie erano dentro in osteria, ed i nostri corpi lì con loro. Sparai d’istinto un paio di puttanate con le datate bariste del locale e non mi accorsi che nell’angolo dove c’erano le macchine mangia soldi bazzicavano stranamente i soliti miei soma: Mick, che era peloso e si cullava 3 pacchetti di Marlboro al giorno; Roy, che aveva le gambe storte e l’eiaculazione precoce, Kurt, che sparava puttanate e abbozzava canzoncine satiriche tutto il giorno; Ozzy, che era biondo e fumava le droghe ed Ben, un inguaribile romantico, amante della briscola. Quando ci si trovava quasi al completo era d’obbligo andare a farci un tour alcolico. La nostra idea infatti fu subito quella, ma prima restammo lì a tentare la fortuna in quei maligni macchinari e magari a degustare qualche birrozza. Io di solito non puntavo mai una sega e perciò mi limitai a comprare un cantiere di diana blu morbide. Non ero abbastanza convinto per vincere. Per vincere in quei fottutissimi video poker e roulette piene di zingari russi bisognava avere secondo me, oltre che l’immancabile colpo di culo, una certa arroganza nei confronti della macchina. Forse non ti aiutava a prender miliardi, ma almeno ti consentiva di giocare a colpo sicuro e di rischiare nei momenti più propizi, oltre che ad addolcirti le perdite. Io il 90% delle volte giocavo da sfigato: dicendo - ma, forse, sì, però - e mi inculavo con la mia stessa timidezza. Quando invece mi fissavo su un certo criterio di gioco e bestemmiavo convinto non vincevo lo stesso, ma almeno pareggiavo circa più o meno quasi i soldi spesi.

- Andiamo, ragazzi. Solite tappe - Con quella frase presi le redini del gruppo per trasportarlo nel mezzo di una missione pericolosa e molto, molto alcolica. Partimmo in cento, giovani e forti e tornai da solo, ubriaco marcio.


Alla fine del tour dei bar la mia situazione infatti stava diventando seria ed irreversibile.

La gente mi salutava, ma a me non ne poteva fregare di meno in quel momento. Andai a pisciare e picchiai la testa due volte contro il muro, poi quando uscii dal cesso vidi tutto diverso, non c’era quasi più nessuno e l’unico che mi salutò mi scambiò per un altro. Non mi demoralizzai ed ordinai qualcosa da bere, poi vidi David e mi ritornò in mente ciò che avevo fatto prima: avevo dimenticato tutto.

Per un attimo mi sentii ristabilizzato e con il mio soma andammo nuovamente a comprare le sigarette. Probabilmente le avevo perse o regalate dolcemente una alla volta, o forse anche fumate tutte, ma tutto ciò non mi importava. Dentro all’osteria c’era Lou, dondolante al bancone del bar. Sembrava nervoso e tentava di sfogare la sua indole baruffante contro un altro ubriacone, soprannominato Heineken, per ovvi motivi. Io e David restammo là a guardarli per un po’, mentre si accusavano a vicenda di essere froci, comunisti, fascisti, negri e non so quante altre stronzerie. Quei due si comportavano sempre alla stessa maniera. Bevevano a contratto; Lou barcollante e Heineken solidamente ancorato al bancone, dall’alto della sua prestanza fisica. Improvvisamente, dopo un paio di battute sulla figa, iniziavano sempre ad insultarsi, a schernirsi e chissà quante altre puttanate. Alla fine, poi, tornavano amici ed andavano a farsi un giro insieme.

- Lou, quando si impegna, è un po’ rompi coglioni - mi sussurrò David

- Ma, non preoccuparti, fra dieci minuti andranno via contenti come due vecchi alpini

David non fu troppo convinto delle mie parole e torse il naso. Mi alzai ed andai al bancone per ordinare qualcosa per massacrarmi il fegato, ma la vecchia babusca mi disse:

- Ubriacone! Guarda come sei preso, io non ti do più da bere

- Va beh, dammi un po’ di acqua - Io risposi così, tanto sapevo che non l’avrebbe mai fatto. Un’acqua costava bo, mezzo sesterzo ed un buon drink pesante almeno cinque volte tanto. Invece mi sorprese e mi portò un bicchiere di roba trasparente. Lo buttai giù in due sorsate e mi accorsi solo alla seconda che era una grappa di quelle potenti. A quel punto iniziai a preoccuparmi sulla mia apparente lucidità e feci bene, dato che dopo dieci minuti inciampai per terra.

- boia Giuda, andiamo via, non ti vedo troppo in forma…

- sì, va beh, beviamo un’altra ombra poi filiamo in discoteca…

Ed eccoci in discoteca. La mia auto probabilmente se ne stava nel parcheggio sotto casa di David e la mia testa alle Hawaii rintronata tra due mulatte in calore. Quando entrai vidi subito Heineken e Lou che brindavano come due lupi di mare e li indicai a David, che commentò con un classico: - cazzo, avevi ragione, socio

Più di loro però non vidi molta altra gente, non che non ce ne fosse, ma mi sembrava tutta un unico corpo in movimento. Una marea di persone frusciavano, ballavano e si contorcevano tra luci di colori che solcavano l’oscurità invadente. Mi buttai anch’io in mezzo e fui subito assorbito dall’enorme organismo che dominava le nostre notti.

La prima cosa che feci fu quella di piazzarmi al banco e scroccare un paio di drink al vecchio Heineken, ma per colpa della mia stupidità dopo due birre la situazione si capovolse. Non so come i miei soci mi avevano imbrigliato e fui costretto a pagare un giro di super intrugli a tutti quanti, compresi un paio di melcichi che penso fossero usciti da un qualche uovo di pasqua. Ogni volta che buttavo giù un sorso di quella roba costosissima mi immaginavo lungo i corridoi luridi del discount, allegro e spensierato, a comprare le stesse bevande per mille volte meno. Porci dine. Non era accettabile, eppure a noi deficienti andava bene. Un po’ di succo di vattelapesca, vodka Wyborowa, qualche altra stronzeria tipo Gin o Martini, Mascara o Rimmel, ed ecco dieci sesterzi andati in figa. Con quei soldi al discount mi compravo una bottiglia per ogni ingrediente, e forse mi restava anche qualcosa per una cassa di birra fink brau. Infondo pero, se lo facevo voleva dire che un motivo c’era, forse troppo complicato per poterlo capire.

L’ora ormai era tarda, io David ce ne stavamo su un tavolino a ingurgitare i nostri fottuti drink da un milione di dollari. Notai, senza troppo stupore, che in tutto il locale ci saranno state effettivamente una decina di persone in tutto, più o meno ubriache e più o meno sorridenti. Mentre si discorreva sul più o meno quasi, locchiai una tipa, non fighissima, anzi mediocre, ma con l’aria fortemente da puttana. Non puttana però come le vere puttane, quelle cioè che la danno via per soldi. Credevo piuttosto che fosse una di quelle sgualfare che ululavano quando glielo mettevi in culo. Tutto qua. Puttana in senso artistico e non professionale. Perso tra il mio drink ed il culo ululante della babusca iniziai a canticchiare un motivetto di un qualcosa che non ricordo con precisione, so solo che fece girare la quaglia verso di me. Zampettò proprio da troia e si buttò sul nostro tavolo insieme a un discorso del cazzo, che se fosse stato pronunciato da una qualche non puttana le avrei sicuramente sputato sul truglio.

- Come ti chiami, bel maschione? - Mi chiese la puttana, facendomi sorgere qualche dubbio in merito alla sua vera natura. Poi, dopo aver avuto come risposta un nome tipo John, portò il suo culo sul tavolino vicino e mi strizzò l’occhio come un limone marcito.

- Bel maschione. Che cazzo dice. Porco due, non ha visto che sono alto un metro e settanta e ho una distilleria al posto della biffa. O è veramente puttana e mi vuole spillare gli ultimi sesterzi, oppure è proprio in calore come una vacca

- Spera che sia la seconda che hai detto…- Ghignò David, con due fessure al posto degli occhi

La troia tornò verso di noi e questa volta mi arpionò la nerchia con una mano vogliosa. Io mi girai d’istinto e le piazzai una slinguazzata in bocca. Le battone non si fanno quasi mai slinguazzare, pensai con l’ultimo lampo d’ispirazione che mi venne quella notte. Al 90% non vuole soldi, bene. Ero quasi contento. Poi, sempre la quaglia, continuò il suo tour incastrandosi tra me e David e dandosi da fare con tutte e due le mani in poderosi massaggi. Senza parlare se ne andò un’altra volta, piazzandosi su un tavolino con altri due melcichi.

- ‘Cazzo facciamo socio? La prendiamo e via?

- No, lascia stare, andiamo a casa, io sono distrutto e non mi tira neanche l’uccello

- Forse hai ragione, andiamo a dormire

E così facemmo. Io mi buttai sulla panca, ancora con gli stivali e David andò a prendere un paio di birre. Quando buttai giù il primo sorso mi accorsi che ero proprio fulminato, visto che non scese niente, poiché non l’avevo ancora stappata. Restai là disteso sul legno a ingurgitarmi quell’ultima birra insieme al cane del mio socio, che sinceramente sembrava più rincoglionito di me, almeno in apparenza. Il mio soma invece si piazzò davanti al computer con la buona prospettiva di formattare tutto.

- che cazzo ti metti a formattare alle sei di mattina?

- eh, così per domani è pronto…sai, ‘sti cazzi di windows si sputtanano ogni due giorni…

- ma… non sei mica a posto con la testa. Beh, io dormo, anzi prima mi scolo un’altra birra

Ricordo solo che questa volta la stappai e la appoggiai sopra la credenza per poter togliermi la giacca. Il resto fu solo una bestemmia contro il cane che mordeva qualcosa e poi sonno, profondo sonno.


Era domenica.

Pasqua, dicevano in giro. Ero in cesso con l’uccello in mano per svuotare i postumi. Mi lavai alla meno peggio, mi cambiai le mutande, visto che ne avevo in abbondanza e le circostanze mi costrinsero a cambiami anche i calzini. Erano tutti bucati e mangiati da quell’essere bastardo che girava per la casa. Mangiai una buona dose di dentifricio ed una piccola razione la feci scintillare tra i ponti nella mia bocca, mi diedi una veloce rasata di truglio e poi da brava persona sciacquai il lavello dalle nefandezze. Quando scesi trovai lungo le scale quel porco due di una cane maligno, che muoveva la sua sottospecie di coda da 18 mm e mi guardava come per dire: - ehi, socio, bella giornata, vero? - Bella, bella, pensai, forse è meglio se butto su una buona botta di caffè. Arrivato in cucina vidi con piacere che David mi aveva anticipato e la moca stava già scoreggiando.

- Butta, butta, non risparmiare sul caffè!

- Jim, ma secondo te, potevamo scoparcela la tipa di ieri?

- Per scoparcela non c’era problema, ma per me ci chiedeva anche lei un grumo di sesterzi…

- No, non penso. Non aveva l’aria di chi la vende. Per me era solo una vogliosa verginaccia

- Verginaccia in senso di puttana?

- Sì, ma per passione, non a scopo di lucro. Serpente mastino. Potevamo proprio ingropparcela…

- Beh, eravamo troppo stanchi, per me abbiamo fatto meglio ad andare a dormire

Non ero troppo convinto di questa sua ultima conclusione, ma non risposi perché quell’idiota di cane saltò sopra la poltrona e si appese ai miei capelli, ringhiando come fosse idrofobo. Questa volta per cacciarlo mi fu sufficiente qualche bestemmia, non delle più silenziose ovviamente. Dopo qualche minuto di riflessione ed un paio di sigarette decisi che avrei buttato su io il mangiare. Erano avanzate giuste due braciole e due luganeghe, un po’ di salsa trita - budella e c’erano un casino di spezie e stramberie. Buttai la padella a scaldare con una nerchietta di burro, poi ci infinocchiai dentro tutta la roba, con sale, rosmarino, salvia e un paio di robe che mi sembravano potenti. Per un attimo ebbi l’illusione di preparare una gran puttanata, ma le prime vampate di super-aroma mi fecero sperare in bene. La carne saltò in aria un paio di volte con scioltezza, così, dopo l’ultima scottata, feci la divisione dei pani e dei pesci tra me ed il socio. Non era per niente male, anzi, fui perfino sorpreso di me stesso e dopo pranzo festeggiai affogandomi dentro un paio di birrozze. David invece continuò a non bere, non che fosse astemio, ma ci dava dentro molto raramente. Questo suo atteggiamento in un certo senso mi consolava, in particolar modo nelle situazioni in cui io non ricordavo un bel cazzo. Mentre ingurgitavo il mio succo di malto e luppolo il soma preparò una specie di intruglio di latte, carciofi e pane per la fottuta bestia. Forse i carciofi non c’erano, ciò nonostante ho reso l’idea di quanto mi ispirasse quella pozione. Il cane di ceppo ignorante, invece, sembrò apprezzare la sbobba e la divorò circa allo stesso modo in cui inglobava i calzini.


Quando entrai in osteria erano circa le quattro e mezza. Mi venne una vampata di scazzataggine e restai tutto il giorno lì a bere birre rosse, senza parlare con nessuno. Verso sera iniziai a gufare in maniera incontrollabile, neanche mi fossi sparato in vena due litri di gas esilarante. Ridendo e scherzando non mi accorsi che era arrivata una qualche band che suonava roba tipo Queen ed altre cover di gente degli stessi anni. Erano bravi, o almeno così si diceva, ma a me sinceramente non davano una chissà che bella impressione; forse anche perché ero troppo ubriaco per poterli apprezzare. C’era una mostruosità infinita di persone, considerato che il locale non era per niente enorme. Andavo avanti su e giù, prendendomi spintoni da tutti e contraccambiando il più delle volte solo con qualche insulto. Non era di certo quella che definisco festa ideale, ma sempre meglio che niente. Mi feci un varco e riuscii a piazzarmi sul mio amato bancone del bar, dove trovai un fossilizzato Lou insieme ad un insulso che filosofeggiavano urlando come bestie, per riuscire a capirsi in mezzo al casino.

- Cosa bevi socio? - Sussurrò il vecchio Lou.

- Cosa? non capisco? hai detto “cosa bevi”? io bevo un rosso -

Mi stai uccidendo, ma domani te la farò pagare una volta per tutte. Sei un egoista bastardo. Ti farò morire.

Quel vino faceva cagare. Lo finii solo per il fatto che me l’aveva offerto un amico. Faceva veramente schifo, basti pensare che di solito, quand’ero in quelle condizioni, riuscivo a bere anche nafta. In quel momento, una faccia non nuova, riuscì a sgusciare fuori dalla ressa e ad arpionarsi al solido bancone.

- Ehi!, che cazzo hai fatto in tutto il giorno? - Era David.

- Niente.

- Sei ubriaco?

- Circa.

- Io ho già mangiato, e te?

- Sono a dieta. Ma una birra la bevo volentieri.

Il mio socio sventolò allora una banconota e da brava persona si fece portare immediatamente due birre schiumose.

- Bevi anche te sta sera? - Chiesi con stupore.

- Circa.


Mi stai uccidendo, ma domani te la farò pagare una volta per tutte. Sei un egoista bastardo. Ti farò morire.

Buttai giù l’ennesimo bicchiere e questa volta mi provocò anche un leggero bruciore allo stomaco, ma niente di grave. Iniziò anche a mancarmi l’aria e decisi perciò dia andarmene da tutto quel trambusto, per rilassarmi e smaltire le sbronza in santa pace. All’uscita trovai Lou insieme a una tipa che ogni tanto mi scopavo. Barcollai fino da loro e li trascinai via da quell’assurdo ed inutile casino. Chiamai anche David. Sinceramente mi sentivo a pezzi, con la testa fracassata e gli organi interni in metastasi, ma ci infilammo ancora una volta al dopolavoro dove ordinai un pezzo da novanta.

- Per me una Sambuca. Agli altri porta quel cazzo che vogliono, tanto se lo pagano.

Dissi così tanto per scherzare, ma ero sicuro che avrebbe segnato tutto sul mio conto. Troia. Presi il bicchiere in mano e ruotandolo mi accorsi di tremare di più del mio solito, ma non mi sembrava niente di grave e buttai giù di gusto.

Mi stai uccidendo, ma domani te la farò pagare una volta per tutte. Sei un egoista bastardo. Ti farò morire.

Pensai fermamente che quel drink fu il colpo di grazia, la botta definitiva, l’inesorabile e l’ultimo K.O. per sempre. A quel punto allora mi incazzai e ne ordinai un altro. Vidi tutto girare, i tavoli, il bancone, le persone, le case e i pianeti. Scesi per terra poi risalii a spirale verso il soffitto ed il tempo si smantellò come mai aveva fatto.

Ero in auto con la tipa, David era probabilmente a casa e tutto ciò mi diede un senso di scopata. Era troppo banale era troppo scontato ero troppo ubriaco per accettare i normali canoni di vita. Qualcosa mi mancava e sinceramente non stavo troppo bene, non che mi sentissi male, ma…

- Bene, adesso che cazzo facciamo? Siamo io e te, come cazzo vuoi che vada a finire? Per me va a finire che scopiamo

- No, cosa dici, ma io…

- Va beh, non vuoi scopare, allora fammi un pompino

Non so perché mi comportai con tale arroganza, fatto sta che feci sgusciare la nerchia ed il resto venne da se. Non ricordo se sburrai e se lei ingoiò o se io me ne andai o vattelapesca. Ero fulminato. Ricordo solo che afferrai il volante con forza e restai concentrato per mantenere la destra, mentre un martello pneumatico mi percorreva il corpo senza sosta. Entrai in casa di David bestemmiando e sbattendo su tutti gli spigoli, poi mi rilassai un attimo distendendomi sulla mia panca di legno.

- Però socio, ti vedo un po’ sciupato questa notte. Se vuoi c’è ancora mezza birra avanzata lì sul davanzale…

Presi allora una sigaretta da un pacchetto sopra la credenza, poi, senza farmelo ripetere, presi il barattolo ed iniziai a slurparlo lentamente.

Mi stai uccidendo, ma domani te la farò pagare una volta per tutte. Sei un egoista bastardo. Ti farò morire.


Era lunedì.

Aprii faticosamente gli occhi come se avessi avuto le palpebre incollare e mi resi conto in un solo momento di non stare per niente bene. David stava ancora dormendo, con il suo cane sul petto e dalla finestra socchiusa filtrava un sole perfido. Probabilmente era mezzogiorno o un’ora simile, tipo 12.10, 11.41 e via discorrendo. Mi alzai per locchiare l’orologio, il quale mi sputò le dieci e trenta. Presto, cazzo, pensai. Troppo presto. Io non mi alzo mai a quest’ora nei giorni di festa, e tanto meno dopo una mega mina, come quella di ieri. Chiusi gli occhi.

- Tutto bene, ragazzi?

- Mangiate con noi o andate via?

- Ma, forse questa sera, ma oggi…Ieri sera siete andati anche voi via alla pub centrale? Mi hanno detto che c’era un sacco di gente. C’era anche John ubriachissimo. Si è anche capottato per terra

Chi cazzo fosse non lo sapevo, forse la sorella di David con suo moroso o forse qualcun altro, bo. Ero talmente scazzato da non riuscire neppure ad alzarmi o per lo meno ad aprire gli occhi. Ciao, ciao, dissi anch’io. Mi arrotolai sulla coperta e tornai a russare, ma un dolore allo stomaco mi svegliò quasi subito. Mi alzai in piedi di scatto e corsi verso il lavandino, inciampando sul cane che mi si attaccò alle braghe come una sanguisuga. Mi piegai a novanta ed in quel momento qualcuno che non era David aprì la porta di scatto:

- Ehi, Jim, come va? - Mi disse la sorella del David, con un sorriso smagliante, tipico di chi aveva scopato come una bestia per tutta la notte, magari con qualche arnese particolare.

- Ma, sostanzialmente bene… - Non fui più in grado di continuare il discorso, ma fortunatamente squillò il telefono e la quaglia se ne andò di corsa scusandosi con il sottoscritto.

- Vai, vai - gli dicevo - Vai pure santiddio! - Un colpo secco sul ventre mi fece piegare di nuovo sul lavello ed iniziai a rigurgitare uno schifo verde. Ogni volta che gettavo mi assaliva un dolore talmente forte che per deconcentrarmi battevo il piede per terra, quasi per scandirmi il ritmo delle vomitate. La porta nel frattempo si aprì di nuovo, ma questa volta era David e si mise a bestemmiare in allegria.

- Jim, porco due, come cazzo sei preso?

Alzai lo sguardo verso di lui, asciugandomi la brodaglia con la manica, ed in quel momento rientrò sua sorella, ancora più sorridente e ci salutò con brio:

- Ciao, ragazzi, io vado via... Jim, ti vedo un po’ pallido…su con la vita!

- Ciao, ciao - Probabilmente se ne stava tornando dal suo tipo per un altro sano up and down. Io invece mi ripiegai di nuovo per motivi di salute. Mi distesi allora sulla mia panca, a faccia in giù, ma una serie di crampi tremendi mi sorprese e mi fece scattare. Non riuscivo a stare eretto e nemmeno disteso. L’unica posizione che mi rendeva sopportabile il dolore era quella dei novanta gradi. Stavo in piedi, ma piegato come un frocio e facevo “oh, oh”, giusto per accompagnare i crampi e rendere meglio l’idea. Era umiliante, ma d’altra parte non mi andava di star disteso a sentire coltellate lungo tutto il busto. Verso l’una David si preparò qualcosa da mangiare e vi giuro, non ricordo cosa. Preparò anche una tisana per vostro nonno, ma ero in una condizione di tale rincoglionimento da non riuscire neppure ad inglobare l’acqua, fredda o calda che fosse.

- Non ti ho mai visto così...- mi disse a malincuore David. - Quasi, quasi chiamo il nostro amico farmacista…

- Ma, boia mastino, aspetta ancora un’ora prima di chiamarlo

- Perché vuoi aspettare? Non crederai mica che ti passi? Hai vomitato merda verde. Sei giallo e non stai in piedi

- No, dico, aspetta almeno un’ora, adesso starà ancora mangiando… Poi, che cazzo intendi col discorso che sono giallo e non sto in piedi? vuoi forse dire che assomiglio ad un fottuto cinese sulla sedia a rotelle? Anzi, fammi un piacere serio, va a prendermi un container che se devo vomitare almeno non ti smerdo in giro...

- Va beh, intanto vado a prenderti un catino


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