Oscar fantascienza Isaac Asimov



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Il suo reggiseno era bianco, privo di imbottiture, ed
@~' era molto succinto.
«Signora« fece Linder. «Quello non è...« Rifletté un

attimo, poi si strinse nelle spalle. aVa bene, ce la cave-

remo.«
All'inizio, Seldon notò solo i computer e i macchina-

ri... tubature enormi, luci guizzanti, schermi che lam-


~ peggiavano.
E La luce complessiva dell'ambiente era relativamente
F scarsa, anche se alcune parti delle apparecchiature

erano illuminate. Seldon alzò lo sguardo nella semio-

scurità e chiese: aPerché la luce è cosl scarsa?«.
«E sufficiente... nei punti giusti« rispose Linder, par-

lando svelto, la voce ben modulata ma un po' aspra.

«L'illuminazione globale è volutamente bassa per ra

gioni psicologiche. Troppa luce, per la mente umana,

equivale a calore~ Se aumentiamo l'intensità della luce

si lamentano tutti, anche se facciamo scendere la tem-

peratura.«
Dors disse: «Sembra tutto ben computerizzato. Mi

pare che si potrebbero lasciare le operazioni intera-

mente ai computer. Un ambiente come questo è fatto

apposta per l'intelligenza artificiale«.


«Giustissimo« fece Linder. «Però dobbiamo tenere

presente il rischio di eventuali guasti. Ci serve della

gente sul posto, nel caso vada storto qualcosa. Il catti-

vo funzionamento di un computer può creare problemi

con ripercussioni anche a duemila chilometri di di-

stanza.«
«Anche l'errore umano, no?« disse Seldon.


«sa, ma impiegando sia le persone che i computer,

gli errori dei computer possono essere individuati tem-

pestivamente e corretti dall'uomo, e allo stesso modo,

gli errori umani possono essere corretti più in fretta

dai computer. Risultato, non può succedere niente di

serio, a meno che l'errore umano e l'errore del compu-

ter non avvengano contemporaneamente. E questo non

capita quasi mai.~ ~


«Quasi mai, non mai, eh?« fece Seldon.
«Già. I computer non sono più come un tempo, e

nemmeno le persone.«


«Si dice sempre cosl« commentò Seldon ridacchian-

do.
«No, no. Non sto parlando di chissà quali ricordi. !

Non sto parlando dei bei tempi andati. Io parlo di sta-

tistiche.«


Al che, Seldon si ricordò della fase di degenerazione

di cui gli aveva parlato Hummin.


«Guardate. Capite cosa intendo dire?« Linder abbas-

sò la voce. «C'è un gruppo di persone, livello C-3 a giu-


~icare dall'aspetto, e stanno bevendo. Nessuno è al

~roprio posto.«

.~ «Cosa bevono?« domandò Dors.
«Liquidi speciali per reintegrare la perdita di elet-

~troliti. Succhi di frutta «


«Non gliene farete una colpa, vero?« sbottb Dors in-
Edignata. aCon questo cald~ secco bisogna bere.«
~ «Lo sapete quanto riesce a tirare per le lunghe una

L bevuta, un C-3? E purtroppo non c'è niente da fare. Se

1 gli concedessimo pause di cinque minuti per bere e li

E: scaglionassimo per impedirgli di mettersi tutti in

gruppo, provocheremmo una rivolta.«
Stava avvicinandosi al gruppo, adesso. C'erano uo-
' mini e donne (quella di Dahl sembrava una società che

dava spazio a entrambi i sessi, più o meno), e tutti era-

no senza maglietta. Le donne portavano degli aggeggi
i che avrebbero potuto essere chiamati reggiseni, ma

E erano strettamente funzionali. Servivano a sollevare i

seni per favorire la ventilazione e limitare la traspira-

zione, ma non coprivano nulla.


Dors mormorò a Seldon: «Hanno ragione, Hari. So-
~ no bagnata di sudore in quel punto~.

g «Togli il reggiseno, allora« disse Seldon. «Non muo-

verò un dito per impedirtelo.«
«Già, immaginavo che l'avresti detto.« Dors lasciò il

reggiseno dov'era.


Erano ormai vicini al capannello di persone... una

t dozzina, circa.


Dors disse: «Se faranno qualche commento offensi-

vo, sopravviverò«.


«Grazie« disse Linder. «Non posso garantirvi che si

controlleranno... Ma dovrò presentarvi. Potrebbero

scambiarvi per due ispettori, e vedendovi in mia com-

pagnia si agiterebbero. Gli ispettori devono girare da

L soli, senza nessuno della direzione che li controlli.«
Alzò le braccia. «Cistermisti, devo presentarvi due

persone. Abbiamo visite da fuori... due stranieri, due

~; studiosi. Sul loro mondo sono a corto di energia e sono ~

venuti a vedere cosa facciamo qui a Dahl. Sperano di ~,

~ imparare qualcosa.«

L ·~Impareranno a sudare!« gridò un cistermista, e ci 3

g furono delle risate rauche.

«Quella il petto l'ha già sudato« sbraitò una donna.

«Coperto così.«

Dors ribatté a voce alta: «Me lo toglierei, ma il mio,

non può competere col vostro«. Le risate divennero bo-

narie.


Ma un giovanotto si fece avanti, fissando Seldon con

un paio di occhi intensi e infossati, la faccia serissima.

«Vi conosco. Siete il matematico.«

Poi avanzò di corsa, studiando il volto di Seldon con

espressione smaniosa e solenne. Automaticamente,

Dors si portb di fronte a Seldon, e Linder si mise da-

vanti a lei urlando: «Indietro, cistermista. Attento ai

modi che usi«.

«Aspettate!« esclamò Seldon. «Lasciatelo parlare

con me. Perché mi venite tutti davanti?«

Linder disse sottovoce: «Se una di queste persone vi

si avvicina, vi accorgerete che non profumano di fiori«.

«Non morirò certo« replicò brusco Seldon. «Giova-

notto, come vi chiamate?«

«Amaryl. Yugo Amaryl. Vi ho visto all'olovisione.«

«Può darsi, e allora?«

«Non ricordo il vostro nome.«

«Non è necessario che lo ricordiate.«

«Avete parlato di una cosa chiamata psicostoria.«

«E vorrei proprio non averlo fatto.«

«Come?«

«Nulla. Cosa volete da me?«



«Voglio parlarvi. Per poco tempo. Adesso.«

Seldon guardò Linder, che scosse la testa. «Non

quando è di turno.~

aQuando inizia il vostro turno, signor Amaryl?«

chiese Seldon.
F`

~, Alle sedici.~


«Possiamo incontrarci domani alle quattordici?~-
«Certo. Dove?«
Seldon si rivolse a Tisalver. «Posso riceverlo a casa

~ostra?«
Tisalver non sembrava per nulla entusiasta. «Non

l~ni pare il caso... è solo un cistermista.~
se~ Seldon insisté. «Ha riconosciuto il mio viso. Sa qual-

L~osa di me. Non pub essere solo un cistermista o che so

@~o... Lo riceverò nella mia stanza.« E vedendo che Ti-

~alver manteneva un'espressione cupa aggiunse: «La

nia stanza, che è stata affittata pagando. E voi sarete

l lavoro, fuori dall'appartamento«.


Tisalver fece a bassa voce: «Non si tratta di me, si-

gnor Seldon. E mia moglie, Casilia. Lei si opporrà«.


«Le parlerò io« disse Seldon arcigno. «Dovrà accet-

tare.«
Casilia Tisalver spalancò gli occhi. «Un cistermista?

Non nel mio appartamento.~
«Perché no? E poi, verrà nella mia stanza~ protestò

Seldon. aAlle quattordici.«


«Non lo permetterò. Ecco cosa succede a scendere

nelle cistermiche. Jirad è stato uno sciocco.~-


«Niente affatto, signora Tisalver. Sono stato io a

chiedere di andarci, ed è stata un'esperienza affasci-

nante. Devo vedere questo giovanotto... è necessario

per il mio lavoro di studioso.~


«Mi dispiace se è importante per voi, ma niente da

fare.~.
Dors alzò la mano. «Hari, lascia che me ne occupi io.

Signora Tisalver, se il dottor Seldon deve vedere qual-

cuno nella sua stanza oggi pomeriggio, questa persona

in più comporta naturalmente una maggiorazione del-

l'affitto. Ce ne rendiamo conto. Dunque, per oggi, l'af- '~

fitto della stanza del dottor Seldon sarà doppio.«
La Tisalver rifletté. «Be', gentile da parte vostra... ~

ma non è solo una questione di crediti. Bisogna pensa- `

re ai vicini. Un cistermista sudato e puzzolente...«
«Dubito che sarà sudato e puzzolente alle quattordi- ~

ci, signora Tisalver, ma lasciatemi proseguire. Dato,

che il dottor Seldon deve vederlo, se non potrà vederlo

qui dovrà vederlo altrove, ma noi non possiamo corre-

re di qua e di là. Sarebbe troppo scomodo. Quindi, do-

vremo trovare una stanza altrove. Non sarà facile, e,

non vorremmo farlo, però saremo costretti a farlo.,

Quindi, vi pagheremo l'affitto fino a oggi e ce ne andre-

mo, e naturalmente dovremo spiegare al signor Hum-

min come mai abbiamo dovuto cambiare la sistema-

zione che lui tanto gentilmente aveva trovato per noi.«
«Aspettate.« La Tisalver cominciò a fare mentalmen-

te dei calcoli, pensosa. «Non vorremmo essere scortesi

con il signor Hummin... né con voi due. Quanto do-

vrebbe fermarsi quel tipo?«


«Viene alle quattordici. Dev'essere al lavoro alle se-

dici. Resterà qui per meno di due ore, forse molto me-

no. Lo aspetteremo fuori tutti e due, e lo porteremo

nella stanza del dottor Seldon. I vicini che ci vedranno,

penseranno che sia un nostro amico straniero.«
La Tisalver annul. «D'accordo, allora. Un giorno di

affitto doppio per la stanza del signor Seldon, e il ci-

stermista Yerrà solo questa volta.«
«Solo questa volta.«
Più tardi, quando Seldon e Dors sedevano nella stan-

za di lei, Dors chiese: «Perché devi vederlo, Hari? An-

che un colloquio con un cistermista è importante per la

psicostoria?« .


A Seldon parve di cogliere una sfumatura di sarca-

smo nella voce di Dors, e rispose acido: «Non devo ba-

sare ogni cosa su questo mio enorme progetto, in cui

tra l'altro ho pochissima fiducia. Sono anche un essere


l~nano, con curiosità umane. Siamo stati alle cistermi-

he per ore, e hai visto com'era la gente che lavorava

tte persone rozze, incolte... individui di basso li-

lello, e non è un gioco di parole... eppure, uno di loro

hi ha riconosciuto. Deve avermi visto all'olovisione in

~ccasione del Convegno Decennale e ha ricordato la

~arola "psicostoria". Mi sembra un tipo insolito... fuori

~osto, non so perché... e mi piacerebbe parlargli«.


«Perché soddisfa la tua vanità il fatto di essere cono-

~ciuto perfino tra i cistermisti di Dahl?«

r7 «Be'... forse. Però stuzzica anche la mia curiosità.«
«E chi ti dice che non sia stato istruito apposta e il

~uo scopo sia quello di attirarti nei guai come è già suc-

~esso prima?«
~ Seldon ebbe un sussulto. «Starò in guardia. In ogni

Fcaso, siamo più preparati adesso, no? E sono sicuro che

~tu sarai accanto a me. Insomma, mi hai lasciato salire

~da solo sulla Faccia superiore, mi hai lasciato andare

~a solo alle microcolture con Gocciadipioggia Quaran-

~tatré, e immagino che tu non abbia più intenzione di

~iasciarmi solo, vero?«

E~l «Questo è garantito« rispose Dors.


«Be', allora parlerò con il nostro giovanotto e tu sta-

l rai attenta che non ci sia qualche tranello. Hai tutta la

~mia fiducia.«
Amaryl arrivò poco prima delle quattordici, guardan-

dosi attorno circospetto. Aveva i capelli puliti e i baffi

pettinati e girati leggermente all'insù alle estremità.

Indossava una maglietta bianca immacolata. Un odore

in effetti lo aveva, ma era un odore di frutta... probabil-

mente aveva esagerato un po' col profumo. Aveva con

sé una borsa.

Seldon, che lo stava aspettando all'esterno, gli strin-

se piano un gomito, mentre Dors gli stringeva l'altro, e '

insieme s'infilarono svelti nell'ascensore. Giunti al li-

vello giusto, attraversarono l'appartamento ed entra-

rono nella stanza di Seldon. '


Parlando a bassa voce, I'aria abbattuta, Amaryl esor-

dl dicendo: «Nessuno in casa, eh?


«Sono tutti occupati« rispose evasivo Seldon, indi-

cando l'unica sedia della stanza, cioè una specie di cu-

scino direttamente sul pavimento.
«No« disse Amaryl. «Non ne ho bisogno. Può usarla

uno di voi.« E si accovaccib sul pavimento, abbassan

dosi con un movimento fluido.
Dors imitò quel gesto aggraziato, sedendosi sul bor-

do del materasso di Seldon (sempre posato sul pavi-

mento), mentre Seldon si lasciava cadere piuttosto gof-

fo, aiutandosi con le mani e senza riuscire a trovare

una posizione comoda per le gambe.
«Bene, giovanotto, perché avete voluto vederrni?«

chiese Seldon.


«Perché siete un matematico. Siete il primo mate-

matico che vedo... da vicino... cosl vicino da poterlo

toccare...~-
«I matematici sono fatti di carne come tutti gli altri

uomini.,
«Non per me, dottor... Seldon?«


«Esatto.«
Amaryl parve soddisfatto. «Finalmente ho ricorda-

to... Vedete, anch'io voglio diventare un matematico.


«Benissimo. Cosa ve lo impedisce?~
Di colpo Amaryl si accigliò. «Parlate seriamente?«.
«Immagino che qualcosa ve lo impedisca. Si, parlo

seriamente.~-


«Il problema è che sono un Dahlita, un cistermistadi

Dahl. Non ho il denaro per studiare, e non posso procu-

rarmi i crediti necessari per l'istruzione. Una verai-

struzione. Mi hanno insegnato s~olo a leggere, a fare i

calcoli, e a usare un computer, quanto bastava per es-
F~"'''
~re un cistermista. Ma io volevo di più. Cosi ho impa-

~to da solo.«


«Per certi versi, è il miglior tipo di insegnamento.

ome avete fatto?«


` «Conoscevo una bibliotecaria. Mi ha aiutato lei. Era

~a donna molto buona e mi ha insegnato a usare i

~omputer per l'apprendimento dellà matematica. E ha

~preparato un programma che mi permetteva di colle-

~armi ad altre biblioteche. Io andavo là nei giorni libe-

~i e la mattina dopo il turno. A volte lei mi chiudeva

~ella sua stanza privata perché la gente non mi distur-

~4asse, o mi faceva entrare quando la biblioteca era

~;hiusa. Non conosceva la matematica, però cercava di

~iutarmi il più possibile. Era anziana, una vedova. For-

Ee mi considerava una specie di figlio. Lei non aveva

~ambini.«


( Forse c'entrava qualche altro sentimento, rifletté

~un attimo Seldon, ma accantonò il pensiero. Non erano

ari suoi.)
~ «Mi piaceva la teoria numerica« continuò Amaryl.

F«HO ricavato qualcosa da quello che ho imparato dal

~computer e dai videolibri matematici. Ho trovato certe

~cose nuove che nei videolibri non c'erano.«


~ Seldon inarcò le sopracciglia. «Interessante. Per

|Iesempio?«


«Vi ho portato alcuni miei studi. Non li ho mai mo-

strati a nessuno. Le persone attorno a me...« Amaryl

scrolla le spalle. «Avrebbero riso o si sarebbero secca-

te. Una volta ho provato a dirlo a una ragazza che co-

noscevo, ma lei ha detto che ero un tipo strano e non ha

più voluto vedermi. Nulla in contrario se li mostro a

t voi?«
«Assolutamente. Credetemi.l~
Seldon tese la mano, e dopo una breve esitazione

Amaryl gli porse la borsa che aveva con sé.


Seldon esaminò a lungo gli studi del giovanotto. Un

lavoro estremamente ingenuo, però Seldon si guardò

t ~r
bene dal sorridere. Segui le dimostrazioni, tutte piut

tosto datate e di scarsa rilevanza, naturalmente.


Ma non aveva importanza.
Seldon alzò lo sguardo. «Avete fatto tutto da solo?~
Amaryl, l'aria abbastanza spaventata, annui.`
Seldon estrasse diversi fogli. «Questo, come vi è ve-,

nuto in mente?~ E fece scorrere il dito lungo una riga '

di calcoli.
Amaryl guardò, corrugò la fronte, rifletté, poi spiegò

il proprio ragionamento.


Seldon ascoltò e chiese: «Avete mai letto un libro di,

Anat Bigell?,..


«Sulla teoria numerica?«
« S'intitola Deduzione Matematica. Non è proprio sul-

la teoria numerica.«


Il giovanotto scosse la testa. aMai sentito quel nome.

Mi spiace.«


«Bigell ha dimostrato questo vostro teorema trecen-

to anni fa.«


Amaryl parve avvilito. «Non lo sapevo.~
«Non ne dubito. La vostra è una dimostrazione più

intelligente, però. Non è rigorosa, ma...«


«In che senso, "rigorosa"?«
«Non importa.« Seldon riun~ i fogli, li ripose nella

borsa e disse: «Fate parecchie copie di tutto quanto.

Prendete una copia, fatela datare da un computer uffi-

ciale e mettetela in custodia computerizzata. La mia,

amica, la signora Venabili, può farvi entrare all'Uni-

versità di Streeling gratuitamente, con qualche borsa

di studio. Dovrete partire dall'inizio, e frequentare cor-

si di altre materie che non siano la matematica, ma...«.


Amaryl stava trattenendo il respiro. «All'Università

di Streeling? Ma non mi accetteranno...,-


«Perché no? Dors, puoi provvedere a tutto, no?~-
«Credo proprio di sl.«
«No, non potete« insisté il giovanotto, infervorando-

si. «N~n mi vorranno. Sono un Dahlita.«


~F~,F
~-«Be'?J~

"~ «Non la prendono la gente di Dahl.«

F~ Seldon guardò Dors. «Di che sta parlando?~
Dors scosse il capo. «Non ne ho idea.~
Amaryl disse: «Siete una straniera, signora. Da

~uanto siete a Streeling?«.

~ «Poco più di due anni, signor Amaryl.«
F' «Avete mai visto dei Dahliti, là... bassi, capelli neri
~ricci, grandi baffi?«
F.. «ci sono studenti di ogni tipo.«
F~i «Ma niente Dahliti. Guardate bene la prossima volta

~che siete là.~


«Perché no?l~ chiese Seldon.
«~gli altri, non andiamo a genio. Abbiamo un aspet-

to diverso. I nostri baffi non piacciono.«


«Potete sempre tagliar...~ Seldon s'interruppe no-
~ tando l'occhiata furiosa di Amaryl.
L~ «Mai. Perché dovrei farlo? I miei baffi sono la mia vi-
I `rilità.~
Ei «Vi radete la barba, però. Anche quella è un simbolo

virile.«
·~Per la mia gente, sono i baffi.~


Seldon tornò a guardare Dors e mormorò: «Teste cal-
,1 ve, baffi... questa e pazzia«.
«Cosa?« sbottò rabbioso Amaryl.
'~ «Nulla. Sentiamo, che altro non piace dei Dahliti?«
«Inventano delle cose per disprezzarci. Dicono che

puzziamo. Che siamo sporchi. Che rubiamo. Che siamo

violenti. Che siamo ottusi.~
«Perché dicono tutte queste cose?«
«Perché è facile dirlo, e li fa sentire migliori, superio-

ri. Certo, se lavoriamo nelle cistermiche ci sporchiamo


k e puzziamo. Se siamo poveri e oppressi, alcuni di noi

rubano e diventano violenti. Ma non siamo tutti cosl. E

quei testa gialla alti del Settore Imperiale che credono

di possedere la Galassia... no, che possiedono la Galas-

sia? Loro t~r~l sono mai violenti? Loro non rubano mai?

Se facessero il mio lavoro, puzzerebbero come me. Se

dovessero vivere come devo vivere io, si sporcherebbe-

ro anche loro.«


«In ogni posto c'è gente di ogni genere. Chi lo nega?«

fece Seldon.


«D'accordo. Ma per gli altri siamo cosl e basta, è

scontato. Signor Seldon, devo andare via da Trantor.

Su Trantor non ho sbocchi, nón posso guadagnare, non

posso istruirmi, non posso diventare un matematico...

posso solo diventare quello che secondo loro sono...

una inutile nullità.« Le ultime parole di Amaryl erano

colme di frustrazione e di disperazione.
Seldon cercò di ragionare. «La persona che mi affitta

questa stanza è un Dahlita. Ha un lavoro "pulito". E

istruito «
«Oh, certo« sbott~ Amaryl. «Alcuni lo sono. Ad alcu-
· ni permettono di emergere, perché si possa dire che

non è una cosa impossibile. E questi privilegiati vivono

bene, finché restano a Dahl. Provino a uscire e vedran-

no come li trattano. E qui a loro volta per sentirsi mi-

gliori trattano il resto di noi altri come spazzatura, co-

sì hanno l'impressione di essere superiori, di essere te-

ste gialle. Come ha reagito la brava persona che vi af-

fltta questa stanza quando gli avete detto che avreste

portato qua un cistermista? Come mi ha descritto?

Non c'è nessuno in casa, adesso... già, non vogliono tro-

varsi nello stesso posto con uno come me.«
Seldon si umettò le labbra. «Non mi dimenticherò

di voi. Farò in modo che lasciate Trantor e veniate

alla mia università, su Helicon... quando sarò tornato

a casa.«
«Me lo promettete? Ho la vostra parola d'onore?

Anche se sono un Dahlita?«
«Il fatto che siate Dahlita non ha alcuna importan-

za per me. L'importante è che siete già un matemati-

co! Ma stento ancora a capacitarmi di quello che sta-

te raccontando. Mi pare impossibile che esistano sen-


inenti di ostilità cosi irragionevoli verso della gente

l~ocua.«
~Amaryl fece amareggiato: «E perché non avete mai


E~to occasione di interessarvi di queste cose. Finché

cosa non tocca direttamente, si può averla proprio

Stto gli occhi e non accorgersi di nulla«.
~ Dors disse: «Signor Amaryl, il dottor Seldon e un

hatematico come voi e a volte ha la testa tra le nuvole.

~ovete capirlo. Io invece sono una storica. So che non è

i~solito che un gruppo di individui guardi con disprez-

lpo e superiorità un altro gruppo. Esistono odii partic~

Lari quasi ritualistici che non hanno alcuna giustifica-

~one razionale e che possono avere serie influenze st~

t~che. Peccato«


«Facile dire ';peccato"« replicb Amaryl. aDite di di-

~pprovare, quindi siete una brava persona, ma poi po-

.~ete pensare ai fatti vostri e non interessarvi più. "Pec-

~ato"? No, e molto peggio. E qualcosa di indecente e di

~ontrario alla natura. Siamo tutti uguali, teste gialle e

~teste nere, alti e bassi... Orientali, Occidentali, Meri-

~dionali e stranieri. Voi, io, perfino l'Imperatore, discen-

~:diamo tutti dalla gente della Terra no?«


«Discendiamo da che?« chiese Seídon, e si girò verso

Dors spalancando gli occhi.


«Dalla gente della Terra!« gridò Amaryl. «Il pianeta

su cui hanno avuto origine gli esseri umani.


«Un pianeta? Un solo pianeta?«

L' «Un unico pianeta. Certo. La Terra.«


«Quando dite Terra intendete dire Aurora, vero?«
«Aurora? E cosa sarebbe... Intendo dire "Terran. Mai

sentito parlare della Terra?«


«No« rispose Seldon. «A dire il vero, no.«
«E un mondo mitico che...« iniziò Dors.
aNon è mitico. Era un pianeta vero.«
Seldon sospirò. «L'ho già sentita tutta questa storia.

Be', risentiamola un'altra volta. C'è un libro dahlita

che parli della Terra?«

«Cosa?«
«Del materiale computerizzato, allora?«


«Non capisco.«
«Giovanotto, dove avete sentito parlare della Ter-~

ra?«
«Me ne ha parlato mio padre. E un argomento che

tutti conoscono.«
«C'è qualcuno che lo conosce in modo particolare?

Lo insegnano a scuola?«


«Mai sentita una parola sulla Terra a scuola.«
«Allora, com'è che la gente sa?«
Amaryl scrollò le spalle, e a giudicare dall'espressio-

ne sembrava che lo stessero tormentando inutilmente

per una sciocchezza. «Lo sanno tutti, e basta. Se vi in-

teressano delle storie sulla Terra, c'è Mamma Rittah.,

Dovrebbe essere ancora viva.«
«Vostra madre? E non sapete se...
«Non è mia madre. La chiamano semplicemente co~


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