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3.5.2. La chiesa di san Filippo


Si tratta di un ampio ed armonico edificio barocco iniziato nel 1664, terminato nel 1673 e consacrato nel 1681. L'interno è dell'architetto tici­nese Antonio Bettino (che lavorò a Torino nella seconda metà del 1600), mentre la facciata esterna, su via Vittorio Emanuele, fu costruita posteriormente su disegno dell'architetto e incisore Mario Ludovico Quarini (1736-1800).

Sul primo altare a destra si trovava un bel dipinto di Claudio France­sco Beaumont (1694- 1766) rappresentante san Francesco di Sa­les di fronte alla Vergine con Bambino; era legato ad una confraternita dedicata al santo vescovo, molto attiva tra XVIII e XIX sec., che in questa chiesa si radunava per gli eser­cizi di pietà. Il quadro oggi si trova nella sacrestia del duomo. Il secondo altare è dedicato a san Filippo Neri, con tela del milanese Stefano Maria Legnani detto il Legnanino (1660-1715). Domina l'altar maggiore una splendida pala raffi­gurante Maria Immacolata, a cui è dedicata la chiesa, di Daniel Seyter (1649-1705). La sacrestia è arredata da pregevoli mobili settecente­schi intagliati da artigiani chieresi.

Sotto il presbitero, a sinistra presso la balautra, nella cripta funeraria, fu sepolto il chierico Luigi Comollo. Nell'au­tunno del 1986, per interessamento del cav. Secondo Caselle e del parroco del duomo mons. Gianni Carrù, si è riportato alla luce il luogo della sepoltura. Ora, attraverso una lastra di cristal­lo, si possono intravedere i resti del seminarista.
Nell'Ottocento un corridoio metteva in comunicazione chiesa e seminario. Di lì, ogni mattina durante il tempo della colazio­ne, passava il chierico Bosco con altri compagni, per ricevere dal rettore di san Filippo la Comunione. Infatti solo col per­messo del confessore si poteva accedere all'Eucaristia, e perse­verava l'usanza di distribuire la comunione ai seminaristi sol­tanto alla prima Messa della domenica (cf MO 93).

I seminaristi attendevano alla preghiera e alle celebrazio­ni liturgiche in una cappella interna, dedicata a Maria Immacolata, di fianco alla chiesa di san Filippo. Qui il chierico Bosco svolse il compito di sacrestano. L'ambiente esiste tutt'ora, ampliato però nella parte absidale verso la fine del secolo scorso. Dal tempo della chiusura del convitto salvatoriano è usato per conferenze e mostre. Vi si accede dal corridoio che collega l’edificio con il portale che dà su corso Vittorio Emanuele (numero civico 63).




3.6. PIAZZA MAZZINI E ADIACENZE


Risalendo per via san Filippo, sul lato sinistro della chie­sa, si fiancheggia la bella facciata seicentesca in cotto (modi­ficata nel 1780) dell'ex convento filippino e si giunge in piazza Mazzini, anticamente piazza san Guglielmo.

Questo luogo nella prima parte dell'Ottocento era il cuore della cittadina. Vi si trovava il municipio ed era animato da un vivace mercato settimanale e dalle due fiere annuali dei santi Basilissa e Giuliano e di san Leonardo.

Sulla piazza si affacciano alcuni edifici legati al ricordo della permanenza di Giovanni Bosco a Chieri: la chiesa di san Gu­glielmo, la casa del teologo Maloria, la casa dove egli abitò presso Lucia Matta, il palazzo di città, il laboratorio del fale­gname Barzochino.

3.6.1. Chiesa di san Guglielmo


La chiesa che dava il nome alla piazza è una costruzione di origini remote, più volte rifatta; l'attuale sistemazione risale al 1837. Anticamente era sede della Confraternita dei Disciplina­ti dello Spirito Santo, che aveva anche lo scopo di assistere gli ebrei convertiti al cristianesimo.

Nel 1833-1834 Giovanni Bosco, che si trovava ospite al caffè Pianta, fece amicizia con il giovane ebreo Giona, pseudonimo di Giacobbe Levi, e lo aiutò nel cammino di conversione. La prepara­zione al Battesimo fu curata dai padri Gesuiti di sant'Antonio. Il 10 agosto 1834 Giona, accompagnato processionalmente in duomo dai membri della Confraternita e da numeroso popolo, fu battezza­to e prese il nome di Luigi e il cognome Bolmida, in onore del padrino Giacinto Bolmida, banchiere. Madrina fu la signora Otta­via Maria Bertinetti. Secondo l'uso e gli statuti, la Confrater­nita dello Spirito Santo ascrisse tra i suoi membri il neo-convertito e gli assegnò un sussidio di 400 lire, dal momento che egli veniva espulso dalla comunità ebraica.

Rettore della chiesa di san Guglielmo era don Placido Valim­berti (don Bosco nelle MO lo chiama Eustachio), il primo sacerdote incontrato da Giovanni al suo arrivo in Chieri. “Egli - scrive don Bosco - mi diede molti buoni avvisi sul modo di tenermi lontano dai pericoli; mi invitava a servirgli la messa, e ciò gli porgeva occasione di darmi sempre qualche buon suggerimento. Egli stesso mi condusse dal prefetto delle scuole, mi pose in conoscenza cogli altri miei professori” (MO 56). Abitava nella casa a fianco della chiesa, al numero civico 4.

Don Valimberti era anche insegnante della Quinta. E Giovanni se lo ritrovò come professore quando, a due mesi dall'inizio dell'anno scolastico, venne promosso a quella classe. Due anni dopo il sacerdote gli affiderà le ripetizioni al fratello Luigi, studente di Latinità. In questo, come in altri simili casi, gli esiti furono tanto lusinghieri che la famiglia Valimberti, rico­noscente, considerò Giovanni come uno di casa, invitandolo ogni domenica a pranzo (cf MB 1, 358-360).



3.6.2. Casa del teologo Maloria (piazza Mazzini, n. 8)


Di fronte alla chiesa, in casa Golzio, abitava il teologo Giuseppe Maria Maloria (1802-1857), dotto ecclesiatico, canoni­co del duomo. Aveva solo ventinove anni quando, nel 1835, venne scelto da Giovanni Bosco come confessore. Il giovane studente continuerà a confessarsi regolarmente dal teologo Maloria per tutto il tempo della sua residenza in Chieri, anche durante gli anni di seminario.

Giovanni aveva di lui una grande stima. Leggiamo nelle Memo­rie dell'Oratorio:


“La più fortunata mia avventura fu la scelta di un con­fessore stabile nella persona del teologo Maloria, canonico della collegiata di Chieri. Egli mi accolse sempre con gran­de bontà ogni volta che andava da lui. Anzi mi incoraggiava a confessarmi e comunicarmi colla maggior frequenza. Era cosa assai rara a trovare chi incoraggiasse alla frequenza dei sacramenti. Non mi ricordo che alcuno de' miei maestri mi abbia tal cosa consigliata. Chi andava a confessarsi e a co­municarsi più d'una volta al mese era giudicato dei più virtuosi; e molti confessori nol permettevano. Io però mi credo debitore a questo mio confessore se non fui dai com­pagni strascinato a certi disordini che gli inesperti gio­vanetti hanno purtroppo a lamentare nei grandi collegi” (MO 64).

Tuttavia, per motivi che sfuggono a don Bosco e a noi, don Maloria non gli fu di aiuto quando si trattò di decidere la scel­ta della propria vocazione (cf MO 84 e 85).




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