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Valori pedagogici e spirituali emergenti



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1.2. Valori pedagogici e spirituali emergenti


Questi primi anni dell'attività pastorale di don Bosco so­no caratteristici perché in essi troviamo il giovane sacerdote che va affinando la sua formazione e insieme il pa­store e l'educatore già impegnato nel mettere a frutto e nell'e­laborare le intuizioni e le esperienze pedagogiche e spirituali acquisite.

I valori che emergono dalla lettura di questi anni stimolano sia quanti sono attenti alla propria crescita umana e cri­stiana, sia coloro che si dedicano alla missione pastorale ed e­ducativa.

L'elenco che presentiamo è soltanto un saggio della fecondi­tà di suggestioni ed insegnamenti che si possono cogliere nel confronto tra l'esperienza storica di don Bosco e l'attuale va­riegato contesto esistenziale.
- Continua ricerca e attento discernimento della volontà di Dio sulla propria vita e della missione che egli ci affida.
- Cura incessante della crescita personale a livello umano-relazionale, culturale, spirituale e professionale.
- Confessione frequente e direzione spirituale come momenti preziosi di confronto, revisione di vita, discernimento e occasione per ritemprare le energie spirituali.
- Consapevolezza della radicalità della scelta compiuta e conseguente dedizione incondizionata.
- Radicamento storico e fedeltà al proprio tempo; capacità di lettu­ra dei "segni dei tempi" e attenzione agli appelli che pro­vengono da avvenimenti e persone.
- Tempestività e concretezza nella risposta alle urgenze del momento e insieme ricerca intelligente di obiettivi e stra­tegie a lungo termine.
- Centralità della persona del ragazzo nell'integralità del­le sue varie dimensioni e attenzione alla singola personali­tà in formazione.
- Accostamento con preoccupazione "preventiva" al mondo gio­vanile.
- "Amorevolezza": volontà di intessere rapporti di amicizia, di familiarità e di simpatica comprensione tra educatore ed educandi.
- Importanza del valore religioso nella formazione della personalità: una religiosità semplice, razionalmente motiva­ta, liberamente accolta e progressivamente interiorizzata.
- Capacità di coinvolgimento di giovani ed adulti nel lavoro educativo e pastorale, nella convinzione che educazione e formazione sono opera di "comunità".
- Convinzione del ruolo decisivo giocato dalla formazione culturale e dalle idee nella maturazione della persona, in vista del suo inserimento operativo nella società e nella Chiesa.
- Allegria, gioco, festa come elementi irrinunciabili per la costruzione della personalità e di un ambiente formativo.


2. NOTE STORICO-GEOGRAFICHE E BIOGRAFICHE


2.1. I problemi sociali e pastorali di Torino negli anni '40

Il decennio 1840-1850 è connotato a Torino da due principali serie di problemi: l'una di carattere politico, l'altra di indole socio-economica, entrambe con notevoli risvolti pastorali.


I moti liberali verso una nuova concezione dello Stato e l'anelito all'unità nazionale evolvono una situazione che diver­sifica idealmente le posizioni delle parti. Ai fautori di nuovi indirizzi politici si contrappongono i conservatori e i reaziona­ri legati al mondo dell' ancien régime.

Con gli eventi del '48 crolla il mito neoguelfo e con esso le speranze di quanti vagheggiavano una soluzione statutaria e confederale del problema italiano che armonizzasse gli aneliti patriottici e l'auspicata riforma politica e sociale con i valori ideali cristiani. Anche fra i preti torinesi le idee e le scelte sono discordanti.

Per la diversa concezione di Stato e di società propugnata dalla classe politica emergente, d'ispirazione liberale, si ap­profondisce la frattura fra i due opposti schieramenti (quello liberale e quello cattolico, a loro volta internamente diversifi­cati) e si va preparando lo scontro frontale tra Stato e Chiesa. Questo scontro - manifestatosi inizialmente nell'opposizione di alcuni laici ed ecclesiastici, come ad esempio mons. Luigi Fransoni, su problemi di carattere contingente o sul punto nodale delle liber­tà sancite dallo Statuto albertino - giungerà ben presto a posi­zioni irreversibili con le leggi in materia ecclesiastica (1850 e 1855).
La grande crisi economica che aveva colpito l'Europa intera a partire dal 1815 viene lentamente superata alla fine degli an­ni Trenta e col 1840 si manifestano i primi segni di ripresa. An­che in Torino, la borghesia e le classi aristocratiche più aperte si impegnano in attività imprenditoriali, commerciali e finanzia­rie improntate su nuove basi, da cui scaturirà il futuro sviluppo industriale della città.

Di conseguenza va modificandosi con l'assetto economico an­che quello urbano e sociale. L'inurbamento delle masse rurali, già manifestatosi per la crisi agricola, acquista dimensioni sempre crescenti. Prima è un fenomeno prevalentemente stagionale, poi, verso la fine del decennio, diventa migrazione definitiva e porta ad un rapido sviluppo demografico. Le tradizionali struttu­re civili e parrocchiali cittadine si trovano impreparate e non riescono ad integrare nel loro tessuto le prime ondate migrato­rie. Si constata con preoccupazione il calo nella percentuale di chi soddisfa il precetto festivo e pasquale, la diserzione dei catechismi parrocchiali, il dilagare della bestemmia, il diffon­dersi dell'alcolismo, l'aumento degli illegittimi.


La città in questi anni vede il sorgere di periferie popola­ri, l'impiantarsi di piccole aziende artigianali e dei primi opi­fici industriali, lo sviluppo di imprese commerciali di vario ge­nere.

Cresce numericamente il ceto povero ed infimo della popolazione, fatto di manovali ed operai dipendenti non qualificati, per la maggior parte giornalieri, relegato nelle zone più misere di Borgo Van­chiglia e Borgo Dora, in abitazioni malsane, costretto a condi­zioni di vita penose.

L'orario di lavoro, a seconda delle stagioni e del tipo di attività manifatturiera, dura dalle 11 alle 14 ore giornaliere ed anche più, in momenti di punta; la retribuzione è misera ed ob­bliga all'impiego prematuro dei fanciulli in lavori spesso bru­tali, con conseguenze fisiche e morali disastrose.

L'alimentazione è povera e insufficiente; l'igiene nulla, con esiti funesti: epidemie ricorrenti ed alto tasso di mortalità infantile. Gli unici mezzi di sollievo sono costituiti dalla fre­quentazione di osterie e bettole, dal vino, dal gioco e dallo sfogo sessuale.

Bande di ragazzi e giovani, manovali o apprendisti, nei giorni festivi si riversano sulle piazze, nelle strade e sui pra­ti delle periferie, sporchi, totalmente abbandonati, analfabeti, precocemente iniziati all'alcolismo, al furto e all'immoralità, destinati ad un triste avvenire.
La situazione è percepita con drammaticità da uomini di go­verno, da ecclesiastici e da esponenti delle classi medio-alte più attenti alle problematiche popolari. Alcuni sono preoccupati delle conseguenze sociali, altri di quelle politiche, altri anco­ra di quelle religiose e morali. Si riflette, si avanzano propo­ste e ci si impegna nella ricerca di soluzioni immediate e a lun­go termine. Beneficenza privata e pubblica, alfabetizzazione, i­struzione popolare, qualificazione professionale, cura religiosa, iniziative sociali e prime esperienze cooperativistiche caratte­rizzano gli interventi di quanti, prevalentemente ma non unica­mente in ambito cattolico, tentano risposte operative, mentre a livello legislativo ancor nulla si muove.
In questo contesto, il problema dell'istruzione popolare assume un rilievo singolare. Due elementi vengono a convergere: da una parte la convinzione di molti che la scolarizzazione sia il rimedio più efficace ai mali sociali sopra richiamati, dall'altra l'anelito popolare ad emergere socialmente attraverso l'istruzione. Di qui l'intensificarsi di iniziative, sia private sia pubbliche, che affondano le loro radici già nell'Illuminismo e nell'epoca rivoluzionaria e che qualche frutto hanno già dato nei decenni precedenti. Dal 1835 al 1847 si assiste ad esempio al moltiplicarsi di una copiosa pubblicistica in favore dell'istru­zione popolare; nascono associazioni per la diffusione degli asi­li infantili e l'alfabetizzazione delle classi rurali; nel 1844 l'abate Aporti tiene all'Università le sue celebri lezioni di Me­todo didattico; nel 1845 inizia la pubblicazione del periodico l'Educatore primario, espressione di un vivace gruppo di pedagogisti torine­si; negli stessi anni vengono avviate scuole domenicali e serali per lavoratori.

Di fronte a questo fermento anche l'autorità statale si in­teressa più direttamente del problema. I vari presidenti che si succedono al Magistrato della Riforma (cioè l'organismo addetto all'istruzione pubblica), ordinano una serie di inchieste e cen­simenti per avere un quadro esatto della situazione scolastica. Emanano poi frequenti disposizioni ed Istruzioni per gli inse­gnanti, soprattutto elementari. Finalmente, il 30 novenbre del 1847 viene istituita la Segreteria di Stato per la Pubblica I­struzione, il cui Ministro, Carlo Boncompagni, ottiene l'approva­zione di una notevole riforma dell'organismo scolastico statale (4 ottobre 1848).


Don Bosco arriva a Torino nel 1841, proprio mentre stanno e­mergendo i primi sintomi delle problematiche politiche, sociali e religiose suaccennate. Li interpreta con la sua mentalità prati­ca, la sensibilità dell'educatore nato, la preoccupazione pasto­rale e la grande carica affettiva che lo caratterizzano. Si sente immediatamente spinto ad agire, a dare risposte concrete e ad in­ventare mezzi di redenzione e di prevenzione che a quei ragazzi offrano la possibilità - come già avvenne per lui stesso adole­scente - di emergere, di costruirsi un futuro dignitoso e confor­me alle loro aspirazioni.

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