3.1.3. L'edificio del 1856 (ex casa Pinardi)
Sul principio del 1856, nonostante che una sua domanda di prestito fatta al Ministero degli Interni avesse ricevuto risposta negativa a causa del perdurare della crisi economica, don Bosco mise mano al completamento del nuovo edificio.
“Fece pertanto chiamare un certo sig. Giovenale Delponte, che faceva da ingegnere e da impresario, e gli domandò se avesse danaro per le prime spese.
- No rispose quegli.
- E nemmeno io, soggiunse don Bosco.
- E come facciamo?
- Cominciamo egualmente, conchiuse D. Bosco, e prima che sia tempo di pagare gli operai, il Signore qualche soldo ci manderà.
Era questa la solita frase che D. Bosco ripeté ai costruttori ogni volta che incominciava una delle tante sue fabbriche. - È necessario questo nuovo edifizio; io non ho denari; ma intanto incominciamo e facciamo presto. - Si era calcolato che per quei lavori fossero necessarie 40.000 lire, e Villa Giovanni udì più volte D. Bosco esclamare: - D. Bosco è povero, ma tutto possiamo in Dio; la Provvidenza farà tutto” (MB 5, 455-456).
Con questa fiducia diramò lettere e appelli ad amici, benefattori ed enti pubblici e nel mese di marzo si iniziarono i lavori. Demolita casa Pinardi, furono scavate le fondamenta. In cinque mesi la casa venne terminata e coperta. Anche in questo caso, però, un incidente aggravò i costi.
Già finestre, porte e invetriate venivano messe in opera quando il 22 agosto verso le 10 del mattino, mentre un operaio disarmava l'ultimo piano, un travicello cadde di punta sulla volta forandola. Questa crollò sfondando tutte le volte dei piani inferiori fino alle cantine. Rimasero in piedi solo i muri perimetrali.
La fede in Dio e l'entusiasmo per la propria missione fecero superare a don Bosco ogni scoraggiamento ed egli volle che si riprendessero immediatamente i lavori. Così all'inizio di ottobre (1856) tutto era terminato.
I due edifici, quello del 1853 e il nuovo, formavano un corpo unico, dall'aspetto caratteristico, con elementi mutuati dall'edilizia popolare torinese del tempo, che sfruttava tutti gli spazi: gli abbaini per rendere abitabili le soffitte e i lunghi ballatoi esterni onde accedere alle stanze senza bisogno di corridoi interni.
“Riuscì quale ei lo volle, della massima semplicità. Non ammise scialo di locali, disapprovò corridoi e scaloni troppo ampli; e i costruttori fecero tali passaggi che non permettessero l'inoltrarsi più d'una persona alla volta (...).
E D. Bosco faceva dar sesto all'intera casa, ed a ciascuna stanza assegnava la destinazione” (MB 5, 539).
Distribuzione degli ambienti (cf MB 5, 539-540)
Negli scantinati furono dislocati cucina e refettori; vi rimarranno fino al 1927.
Al piano terra l'ambiente dell'attuale cappella Pinardi venne diviso in due parti: quella verso la chiesa di san Francesco, occupante lo spazio di due finestre, era destinata a sacrestia; il resto, nelle sere d'inverno, accoglieva i ragazzi per le preghiere e la Buona Notte; più tardi, servirà da refettorio per don Bosco e i suoi collaboratori.
Sulla destra della scala nell'edificio del 1853 (= casa don Bosco) tre stanzoni adicenti ospitarono i laboratori di calzoleria, di legatoria e quello di falegnameria, accanto al quale un largo vano, sotto la biblioteca e la camera di don Bosco, era adibito a deposito dei legnami.
Al primo piano, partendo dalla chiesa, nelle due file di stanze, trovarono posto il laboratorio dei sarti, alcune aule scolastiche, l'ufficio del Prefetto don Alasonatti, la saletta di ricevimento per i forestieri, un'ampia sala di studio (rivolta a mezzogiorno, sul porticato) e una camerata per gli artigiani, proprio sotto la camera di don Bosco.
Al secondo piano, in una stanza ricavata sopra la cappella della Madonna, si collocò la scuola di musica vocale, affidata al Cagliero. Sul fronte sud della casa erano disposte (da sinistra) la scuola di musica strumentale, la dispensa, l'infermeria, l'abitazione di mamma Margherita e delle sue aiutanti e una stanza per la biancheria della comunità. Sul fronte nord furono collocati alcuni dormitori.
Anche nelle soffitte, illuminate e arieggiate con gli abbaini che ancora vediamo, si erano ricavati dei dormitori sul lato nord, e una fila di cellette per gli insegnanti e i chierici più anziani, sul lato sud.
Sotto il lungo porticato che collega la chiesa con il braccio delle Camerette don Bosco fece dipingere da Pietro Enria una serie di scritte bibliche latine con traduzione italiana: le nove frasi riportate nelle lunette degli archi costituivano quasi una catechesi sul sacramento della Penitenza; quelle stilate su ciascun pilastro si riferivano ai dieci comandamenti. Oggi ci sono delle lapidi in marmo, collocate intorno al 1965, con citazioni scritturistiche che solo in parte riproducono quelle originali (cf MB 5, 542.547 e F. Perrenchio, L’utilizzazione della Bibbia da parte di don Bosco nell’educazione dei giovani alla fede, in “Bollettino di collegamento dell’Associazione Biblica salesiana”, n. 10 [1993] 159-165).
Su uno dei pilastri una piccola lapide ci ricorda anche il posto esatto in cui stava la cattedra dalla quale don Bosco al termine delle preghiere dava la Buona Notte (oggi è conservata nel Museo delle Camerette)
Sulla parete verso la chiesa, in una nicchia, venne collocata la statua della Madonna, di fronte alla quale, nella bella stagione, gli studenti si raccoglievano per le preghiere della sera. In occasione del mese di maggio e delle principali feste mariane la statuetta, diversa da quella che vediamo oggi, era ornata di drappi e di lumi. Su un quadretto appeso lì accanto si esponevano i fioretti e le giaculatorie proposte giorno per giorno in simili circostanze.
Accanto alla nicchia vediamo oggi un affresco del Crida che riproduce il disegno della primitiva casa Pinardi lasciatoci dal pittore Bartolomeo Bellisio (1832-1904) da Cherasco, che vi era stato ospitato da ragazzo. L'antica casa occupava appunto lo spazio degli attuali portici. Di essa si conserva ancora la vasca della pompa per l'acqua, collocata all'esterno sul secondo pilastro da sinistra, a cui bevevano i ragazzi e da cui si attingeva per gli usi domestici e igienici. L'acqua in quei primi tempi era fornita da un pozzo scavato sotto la vasca. L'acquedotto pubblico arriverà a Valdocco soltanto dopo il settembre 1863 (cf MB 7, 743).
La sezione studenti
Con la disponibilità dei nuovi locali, l'Ospizio per i giovani interni prese maggiore sviluppo. Già nel 1851 don Bosco aveva stilato alcune regole disciplinari che, col passar degli anni e con l'esperienza, andò articolando in un Regolamento per la Casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales, concluso nel 1854 (cf MB 4, 337-438; riportato per intero alle pp. 735-755).
Nell'anno scolastico 1851-1852 il numero degli interni studenti aveva superato la dozzina e don Bosco, che fino a quel momento li aveva istruiti personalmente o con l'aiuto di don Pietro Merla (1815-1855), incominciò ad inviarli regolarmente in città alle scuole private del prof. Giuseppe Bonzanino (ginnasio inferiore) e del prof. don Matteo Picco (Umanità e Rettorica). I due ottimi insegnanti accolsero volentieri e gratis per anni i poveri figli di don Bosco, mettendoli, come esempio di impegno e buona condotta, accanto agli altri allievi provenienti da distinte e nobili famiglie.
Quando nell'autunno 1854 Domenico Savio venne all'Oratorio, gli interni erano già un'ottantina, per metà studenti e per metà artigiani. Domenico quell'anno frequentò la scuola del prof. Bonzanino.
Nell'anno scolastico 1855-1856, don Bosco iniziò la prima scuola ginnasiale interna affidando al diciasettenne chierico Giovanni Battista Francesia la terza ginnasiale frequentata tra gli altri da Domenico Savio. La scuola si faceva nella vecchia cappella-tettoia. Gli allievi di prima e seconda ginnasiale e di Umanità e Rettorica continuavano a frequentare i professori Bonzanino e Picco (cf MB 5, 360-361).
L'anno successivo (1856-1857), poiché gli interni studenti erano 85 (gli artigiani una settantina), venne chiamato all'Oratorio il prof. Francesco Blanch, al quale furono affidate le classi unite di prima e seconda (cf MB 5, 548). In quest'anno, nei pochi mesi prima della morte, Domenico Savio frequentò Umanità presso la casa di don Picco.
Nel 1857-1858, con 121 studenti e 78 artigiani, le classi interne furono tre: prima ginnasiale (ch. Giovanni Battista Francesia), seconda ginnasiale (ch. Giovanni Turchi), terza ginnasiale (don Giuseppe Ramello).
Il 7 novembre 1857 sul giornale cattolico torinese l'Armonia venivano pubblicate le condizioni di accettazione per gli studenti dell'Oratorio:
“1) Che il giovane abbia dodici anni compiti e che non oltrepassi i diciotto.
2) Che sia orfano di padre e di madre, né abbia fratelli o sorelle, od altri parenti che possano averne cura.
3) Totalmente povero e abbandonato. Qualora avverandosi le altre condizioni, il giovane possedesse qualche cosa, egli dovrà portarla seco alla Casa e sarà impiegata a suo favore, perché non è giusto che goda la carità altrui chi può vivere del suo.
4) Che sia sano e robusto; non abbia alcuna deformità nella persona, né sia affetto da malore schifoso o attaccaticcio.
5) Saranno di preferenza accolti quelli che frequantano l'Oratorio festivo di S. Luigi, del Santo Angelo Custode e di San Francesco di Sales; perché questa casa è specialmente destinata a raccogliere quei giovani assolutamente poveri e abbandonati che intervengono a qualcheduno degli Oratorii summentovati” (MB 5, 754-755).
Finalmente, coll'inizio dell'anno scolastico 1859-1860, don Bosco riuscì ad attuare il progetto vagheggiato da tempo di avere l’intero corso ginnasiale all'interno dell'Oratorio, con giovani insegnanti tutti suoi: ch. Celestino Durando (1a classe, con 96 alunni!), ch. Secondo Pettiva (2a classe), ch. Giovanni Turchi (3a classe), ch. Giovanni Battista Francesia (4a e 5a ginnasio). Da questo momento la sezione studenti prese importanza sempre maggiore, superando in numero gli artigiani. Scopo di don Bosco era principalmente quello di aiutare i giovani più poveri, buoni e ben dotati, ad affrontare gli studi superiori per fornire alla Chiesa sacerdoti santi e zelanti e alla società cittadini onesti, animati da solidi valori civili e cristiani.
Da una statistica inviata da don Bosco al Provveditore agli studi relativa all'anno 1861-1862, veniamo a sapere che gli studenti ginnasiali interni erano 318 più 14 esterni, così suddivisi: 96 allievi nella prima classe, 68 nella seconda, 87 nella terza, 38 nella quarta e 39 nella quinta.
Altre costruzioni (tra 1856 e 1859)
Mentre si compiva il trasloco e si arredavano i nuovi ambienti, don Bosco decise di ricavare locali separati per aprirvi una scuola elementare diurna e giornaliera totalmente gratuita per i ragazzi della zona che non potevano recarsi alle scuole di città o non vi erano accolti.
Così tra ottobre e novembre 1856, appoggiato al muro su via della Giardiniera, presso il portone di entrata, fece costruire un locale di forma triangolare con solo piano terreno, in cui ricavò due aule (una più ampia per le scuole elementari, l'altra più piccola per una classe serale) e uno stanzino per il portinaio (vedi fig. 9, n. 4).
Le scuole elementari esterne iniziarono sul principio del 1857, affidate al giovane maestro Rossi Giacomo da Foglizzo, che era anche un bravo cantore e suonatore di trombone (cf MB 5, 553). Nel 1861 tali scuole vennero trasferite in casa Filippi, e nei due ambienti presso via della Giardiniera trovò posto provvisoriamente la prima tipografia, affidata al maestro tipografo Andrea Giardino, poi (dal 1862 al 1869) l'officina dei fabbri-ferrai.
Accanto a questo locale, sul lato destro del portone, tra 1859 e 1860, don Bosco edificò, con l'aiuto economico di don Cafasso, una portineria più dignitosa, con stanza del portinaio, parlatorio per i parenti dei giovani e una tettoia sull'androne di entrata (cf ODB 131). Ma dopo l'acquisto e i lavori di adattamento di casa Flippi, nel 1863 fu costruita una nuova portineria, nell'angolo sud del terreno comperato dai fratelli Filippi. Negli ambienti della vecchia portineria vennero sistemati i laboratori dei calzolai e dei sarti (cf MB 7, 543).
Per poter accogliere in Valdocco tutte le classi ginnasiali, quando ebbe insegnanti propri, don Bosco dovette procurare nuove aule. Nell'estate del 1859 egli affidò all'impresario Giovenale Delponte il compito di edificare un capannone appoggiato al muro di cinta nel cortile a nord e lo fece dividere in tre spaziose aule. Nello stesso tempo accanto al nuovo capannone, più sulla destra, venne demolita la tettoia del lavatoio e costruito uno stanzone per la lavanderia con annessa legnaia (cf MB 6, 266). Queste due costruzioni saranno abbattute nel 1873.
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