Albalisa samperi centro mara meoni di siena



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ATTI DEL CONVEGNO

Apertura dei lavori


ALBALISA SAMPERI

CENTRO MARA MEONI DI SIENA

A nome del Centro Culturale delle donne Mara Meoni che ha fatto da tramite con il Comune di Siena per organizzare questa giornata vi do il benvenuto. Un grazie a tutte le presenti e i presenti e in particolare alle relatrici di questo convegno, nonché a Franco Cazzola, Assessore alla Cultura della Regione Toscana, che attraverso il progetto "Porto Franco: Toscana Terra dei Popoli e delle Culture" ha reso possibile arricchire questo convegno con due iniziative particolari: la mostra fotografica di Pia Ranzato, "Donne Testarde" e lo spettacolo teatrale della compagnia Almateatro: "Chador e Altri Foulards". Mi corre anche l’obbligo non certo formale di ringraziare l’amministrazione comunale di Siena per aver reso possibile questa giornata ospitandoci in questa sede che è per noi il massimo simbolo della municipalità ed è anche una sintesi storica e culturale della nostra città. In particolare voglio ringraziare la vicesindaca Anna Carli che è presente con noi, che riconoscendo immediatamente il valore a questo progetto è stata fin dal primo incontro un’alleata sensibile e preziosa.

Poi, visto che ho la parola, concedetemi pochi minuti per fare delle considerazioni di carattere generale. Tutte quante noi conosciamo benissimo quale impresa sia l’essere donna. In un mondo ancora quasi interamente coniugato al maschile noi donne continuiamo ad occupare un posto marginale eppure niente di ciò che accade nelle nostre rispettive società ci è estraneo o è da noi indipendente. Con le dovute differenze economiche, geografiche, storiche, culturali, contribuiamo tutte quante a sostenere l’economia dei nostri paesi, con fatica , ma anche con tenacia, intelligenza e creatività, sforzandoci nello stesso tempo di mantenere in piedi equilibri familiari spesso difficili e incerti. Ebbene proprio questa sorta di collocazione schizofrenica delle donne nel mondo, tra il loro valore reale e la loro marginalità, essendo un denominatore comune a tutte, può facilitare la relazione tra donne provenienti da culture diverse. Certo non sono così ingenua da ritenere che solo la trasversalità della nostra condizione sia sufficiente a colmare le tante e profonde differenze tra noi. Ma in questo aspetto colgo la capacità che molte di noi hanno di stravolgere e trasformare la nostra subalternità in valore. Questa è una sfida a cui non possiamo né vogliamo sottrarci. Io per concludere aggiungerei che è l’ennesima sfida, insieme a quella più grande e complessa di rifiutarci di vivere in modo inconsapevole ed ovvio i valori su cui si fondano le nostre culture, impegnandoci a prenderne le radici, profondamente nascoste e a capovolgerle all’aria e al sole dichiarando che esse sono ormai inutili.

Vi ringrazio e passo la parola ad Anna Carli, Vicesindaco del Comune di Siena.




ANNA CARLI

VICESINDACO DEL COMUNE DI SIENA

Buongiorno a tutte. A me compete portare il saluto ufficiale dell’amministrazione comunale e lo porto particolarmente volentieri in una sede come questa. Colgo l’occasione prima di tutto per salutare le intervenute. Un saluto particolare all’assessore Cazzola, e un ringraziamento per la sua presenza Grazie anche al centro Mara Meoni, perché avendoci fatto da tramite per realizzare questa iniziativa, ha dato la possibilità al Comune di Siena di manifestare sensibilità attraverso il patrocinio dato ad un progetto che ha preso consistenza in diverse realtà del nostro territorio.

L' Amministrazione Comunale di Siena non è d'altra parte nuova a questo genere di iniziative. In collaborazione con la Regione Toscana ha organizzato un convegno a Pontignano, nel novembre del’95, a cui tra l’altro sono intervenuti anche alcuni capi di stato, per discutere della tematica dei diritti e della intercultura, focalizzando l'attenzione sulle misure concrete, prese in diversi paesi, per il riconoscimento dei diritti agli stranieri residenti nel loro territorio. Una scelta, quella di risiedere in un paese altro, che dobbiamo considerare sempre più come una scelta naturale delle singole persone donne e uomini, di avere una mobilità. Mobilità che non è solo in ambito lavorativo, che non è limitata ai paesi limitrofi. Oramai sappiamo che la mondialità non è necessariamente dettata solo da quel bisogno materiale e che soprattutto oggi, in un mondo molto grande in cui si parla di globalizzazione, può nascere da una esigenza diversa da quella della pura materialità; e credo che quanto più si approfondisce la conoscenza reciproca tra le diverse culture, tra i diversi paesi, e più questa esigenza si può manifestare. Da questo punto di vista dobbiamo essere pronti, culturalmente prima che politicamente, poichè sappiamo che politicamente le cose si muovono quando culturalmente alcuni passi sono già stati fatti . Per questo spero che questa iniziativa possa avere una ricaduta esterna, possa spingere alla riflessione sul piano culturale. La mostra "Donne testarde", per esempio, è un’offerta che viene fatta alla città e ai suoi numerosi visitanti. E spero che tutta la giornata di oggi apra una riflessione nella città, sul merito dei suoi contenuti. L'Amministrazione Comunale ha infatti concesso il patrocinio per questa giornata valutando il progetto, discutendo sul progetto: non è stato un patrocinio dato distrattamente, ma con la consapevolezza del valore dell’iniziativa. La stessa sede dei Magazzini del Sale per noi senesi è un riconoscimento di largo prestigio. E consentitemi di ringraziare anche il personale dell’Amministrazione Comunale, che se ha accettato di collaborare alla organizzazione -in questi giorni di grande lavoro che precedono il Palio- lo ha fatto mettendoci dentro un pezzo di cuore.

Questa iniziativa ha un valore particolare per l’amministrazione perché ci induce a guardare le cose su un piano diverso da quello a cui siamo abituati. Di fronte alla presenza di uomini e di donne che provengono da altre realtà, l’amministrazione ha lavorato e sta lavorando sul piano dell’accoglienza: sappiamo che il passo successivo che dobbiamo compiere è quello dall’accoglienza alla cittadinanza: considerare un soggetto come una risorsa in questo territorio, un soggetto che diventa soggetto attivo. Le donne che partecipano al progetto L'Impresa di Essere Donna si sono già poste in questa ottica perché si propongono in un ruolo produttivo , nella posizione di chi offre perché rifiuta una situazione di assistenza e di passività, e rivendica una piena dignità alla propria presenza su questo.

Negli incontri che hanno preceduto questa giornata, sono rimasta colpita dalle sensibilità che attraversano il progetto, e che si manifestano anche attraverso le due iniziative che l’accompagnano: la mostra fotografica e lo spettacolo teatrale. La mostra mi ha colpita, non solo per il fatto estetico che in sé colpisce, perché bellissima, ma anche per la forza che queste fotografie esprimono, per i sentimenti che suscitano. Credo che questo sia un valore importante di questo progetto, che mette insieme la caratteristica della concretezza -il voler essere soggetti attivi anche in campo economico- e la volontà di non abbandonare i temi della sensibilità - sensibilità che in questo caso riconosco tipicamente femminile- e un atteggiamento di sensibilità nei confronti delle tematiche che si trattano.

Io vi auguro quindi buon lavoro, e spero che non sia solo un augurio di buon lavoro per la riuscita dell’iniziativa di questa mattina: auguro a tutte noi che sia anche un augurio di prospettiva, per l'inserimento nell’ambito della vita operativa . Si è detto le donne devono sempre arrancare. Io credo che oggi le presenze delle donne ci sono e cominciano a essere qualificate, e dobbiamo arrivare al punto in cui sia considerata naturale la presenza delle donne in massa a tutti i livelli e in tutti i possibili ambiti istituzionali e non.

Grazie e buon lavoro.

FRANCO CAZZOLA

ASSESSORE ALLA CULTURA DELLA REGIONE TOSCANA
Solo un breve saluto e due parole.

Un ringraziamento sentito a chi organizza e a chi fa andare avanti l' Università Estiva delle Donne, un ringraziamento al Cospe e a quanti -istituzioni o soggetti privati, singoli o associati- hanno accettato e proposto l’incontro tra iniziative e progetti diversi, all'interno del progetto regionale Porto Franco. Quando in Regione con Lanfranco Binni e Sandra Logli e altri cominciammo a ragionare su questo progetto ,“La Toscana terra dei popoli e delle culture” , in sintonia con il convegno di oggi noi partimmo dalla constatazione dell’impresa che è essere, cioè l’impresa dell’essere in generale. L’impresa dell’essere poi può essere declinata donna, giovane o anziano, l’essere cittadino del Sud del mondo o del Nord. Ma l’impresa di essere, mi è sembrato un po’ il grande tema che ci troviamo ad affrontare tutti quanti e che dobbiamo cercare di sviluppare partendo da tre grandi dicotomie: la dicotomia di genere, la dicotomia di generazione, la dicotomia Nord - Sud. L’impresa di essere in un mondo sempre più caratterizzato dal tentativo e dagli sforzi per apparire e per avere. Essere è un qualcosa che è passato in secondo piano. Recentemente in un convegno un noto studioso di comunicazione di massa ha detto che non c’è più bisogno del senso. Io credo invece che su questo dovremmo interrogarci tutti quanti, perché se c’è stata una perdita di senso vuol dire appunto che c’è stata una perdita del tentativo di essere. Questo è un altro tema pero’, forse il prossimo anno, se sviluppiamo Porto Franco e La Toscana come terra dei popoli e delle culture, come terra di incontro, avremo occasione di affrontarlo.

Sviluppare Porto Franco: questa è la grande sfida. Svilupparlo vuol dire estenderlo nel tempo e nello spazio, vuol dire non realizzare più soltanto iniziative frammentarie, anche se importanti, ma riuscire effettivamente a creare luoghi, campus, nei quali l’incontro, il riconoscimento tra popoli, generi e generazioni possa avvenire normalmente.

Michele Serra, un grande giornalista, scriveva qualche tempo fa: "dovremmo come istituzioni e come esponenti politici, partire non dallo stato del benessere, ma dallo stato dell’essere bene” Proviamo a ragionare in termini culturali formativi, di politiche sociali, proprio per raggiungere l’essere bene, trascurando magari il benessere.



Grazie quindi a tutti e buon lavoro, arrivederci al prossimo anno.


PATRIZIA RANDINI

COSPE
Buongiorno a tutte e a tutti. Io sono Patrizia Randini, collaboro col Cospe e faccio parte del gruppo di coordinamento del progetto “L'Impresa di Essere Donna” che ha organizzato e dà il nome all’incontro di oggi. Il mio compito qui oggi è di ricostruire un po’ la cornice di questo evento e raccontare il percorso

Il lavoro che stiamo svolgendo in questo progetto L'Impresa di Essere Donna - progetto finanziato dalla Commissione Europea- è la continuazione di un lavoro iniziato qualche anno fa con alcuni progetti sempre finanziati dalla Commissione Europea, su linee di finanziamento che prevedevano interventi di tipo compensativo, indirizzati a delle categorie di soggetti considerati svantaggiati. Sul concetto di svantaggio bisognerebbe intendersi, naturalmente, e capire se quello che viene percepito come svantaggio sociale non sia radicato fondamentalmente nella negazione dei diritti. Il nostro lavoro è cominciato dunque con progetti presentati sulle linee di finanziamento NOW e HORIZON: la linea di finanziamento NOW era rivolta esclusivamente alle donne e il primo progetto HORIZON era indirizzato genericamente a soggetti svantaggiati. Noi abbiamo presentato un progetto rivolto a cittadini e cittadine immigrati e ricordo ancora lo stupore del funzionario del Ministero del Lavoro quando andammo a Roma al primo incontro: credo fosse l’unico progetto italiano che su quella linea di finanziamento aveva presentato un intervento rivolto a cittadini immigrati. Nell’ambito del NOW abbiamo svolto per due anni un lavoro in due regioni , Emilia Romagna e Toscana , per sostenere alcune esperienze che stanno sviluppandosi anche in altre parti d’Italia: si tratta di associazioni di donne italiane e straniere che oltre ad avere progetti di tipo politico culturale hanno anche l’obbiettivo di sostenere l’inserimento sociale delle associate attraverso l’economico, di favorire quindi l’empowerment economico delle persone. Questa impostazione è innovativa perché rimette al centro le persone con i loro progetti di vita e con la loro progettualità, focalizzando appunto l’attenzione sulle persone. Quando si è concluso il NOW ci siamo interrogate a lungo e abbiamo deciso di non ripresentare altri progetti su questa linea di finanziamento, ma di utilizzare altri strumenti per continuare il nostro lavoro. In quel periodo, nel ’97, uscì un bando della Commissione Europea su un programma pilota che si chiama "Terzo Sistema e Occupazione" e ha la finalità di esplorare il potenziale occupazionale delle cosiddette organizzazioni di terzo sistema. Ora questo non significa che noi ci riconosciamo nel terzo sistema, che rappresenta un arcipelago assolutamente inafferrabile: uno dei lavori più impegnativi all'interno della Commissione Europea è proprio quello di trovare una definizione che sia convincente e che risponda alle connotazioni del terzo sistema, soprattutto confrontando le varie esperienze dei paesi europei. Ci pareva però interessante entrare in questo ambito perché innanzitutto esso poneva l'accento sul valore delle iniziative di sviluppo locale, e poi perché in questa indefinitezza del terzo sistema c'è spazio per la sperimentazione di un possibile intreccio tra gli aspetti dell' economia , della politica e della socialità che connotava anche le esperienze su cui stavamo lavorando. Molto spesso quando si parla di economia riferita al terzo settore si pensa ad un tipo di economia caritatevole, residuale. Non è quello che noi intendiamo, e quando diciamo che queste associazioni promuovono l’inserimento economico delle persone, intendiamo un inserimento nell’economia con la E maiuscola,. Tanto è vero che all’interno di queste associazioni quando l’aspetto economico diventa importante e sostenibile le attività economiche assumono una struttura autonoma e si autogestiscono, si autoregolano con criteri economici e organizzativi diversi da quelli della associazione pur mantenendo un legame importante col soggetto politico originario. Nel dibattito sul terzo settore si invoca da più parti la capacità riparatoria del terzo sistema rispetto ai guasti del sistema capitalistico, nel ridurre la povertà e nel prevenire l’esclusione. Ma, secondo i teorici, tutto questo andrebbe fatto conciliando questi obiettivi con l'attuale sistema di produzione: sono contraddizioni importanti che chi lavora in questo ambito si trova ad affrontare. L'altro motivo che comunque ci ha spinto a presentare il progetto è stato che una parte dei teorici di questo programma sul Terzo Sistema era fortemente orientata a rimettere al centro il tema dei diritti, e a considerare le misure che consentono l’esercizio dei diritti di cittadinanza non come strumenti di sostegno o come misure riparatorie, ma come misure dovute, non solo per il riconoscimento, ma anche per l’esercizio dei diritti. I ricercatori stanno inoltre richiamando l’attenzione sullo scarto gigantesco che esiste tra un proliferare di pratiche interessantissime a livello locale e l’assenza totale di politiche. Per questo uno degli indicatori della ricerca sarà volto a misurare quanto, laddove le politiche sociali sono più avanzate, riescano ad influire e a sostenere lo sviluppo di iniziative locali di questo tipo. L'altro aspetto che riteniamo assolutamente interessante e innovativo è che una parte di ricercatori ha posto come obiettivo fondamentale della ricerca l'evidenziare tutte le azioni positive, dirette e indirette, che derivano dallo sviluppo di queste esperienze per le comunità locali: cambiamenti culturali, maggiore attenzione per l’ambiente, rafforzamento dei legami sociali, diminuzione dei conflitti. Si tratta di una ricerca assolutamente empirica, perché non ci sono degli indicatori certi relativi a questi aspetti.

Il nostro progetto, L'Impresa di Essere Donna, si articola in diverse azioni. Abbiamo svolto una ricerca-azione sul modello di centro interculturale a partire dal centro Alma Mater di Torino. Abbiamo inoltre realizzato, nelle regioni Emilia Romagna e Toscana, una serie di seminari di accompagnamento ai gruppi locali, su temi individuati di volta in volta a partire dalla situazione e il contesto di ciascuna realtà. Abbiamo aperto un sito web con informazioni e documentazioni sulle attività del progetto e su temi ad esso collegati. Abbiamo infine organizzato questo incontro di oggi, che si svolge nell'ambito della Università Estiva: un incontro di 4 giorni, cui partecipano donne appartenenti alle associazioni, cooperanti, teoriche e politiche, che vuol essere un’occasione per approfondire alcuni contenuti e riflessioni, ma anche per far emergere delle strategie e dei modelli innovativi praticabili per continuare questo lavoro.

Io chiuderei qui, prima di concludere volevo ringraziare tutti quelli che hanno creduto nel progetto e che l’hanno sostenuto, e in particolare vorrei ringraziare la Regione Toscana e il Comune di Siena, per l’ospitalità generosissima. Grazie ancora e buon lavoro.
Le imprese delle donne e le loro sfide


MARIATERESA BATTAGLINO

COORDINAMENTO L'IMPRESA DI ESSERE DONNA
Cambia lo scenario, entriamo nel merito dei contenuti e della presentazione del lavoro la cui cornice è stata ampiamente presentata.

Qui al tavolo con me ci sono alcune delle presidenti delle Associazioni delle Donne che sono di fatto le promotrici di questa iniziativa di riflessione, di studio, di approfondimento: Maria Viarengo di ALMA TERRA di Torino, Flor Maria Trinidad del CESDI di Livorno, Mercedes Frias di NOSOTRASdi Firenze, Celia ???? per le A.P.I. di Pistoia, Pilar Saravia per N.O.D.I di Roma, Jeanne Rasoazanany di Arezzo .

La presenza di queste donne al tavolo vuole rappresentare il percorso di riflessione, di azione, di pratiche, di fatiche, di relazioni che alcuni gruppi, associazioni interetniche di donne stanno compiendo in Italia. La prima parte di questa mattinata sarà dedicata a riflettere sul patrimonio di questa esperienze: quanto è stato pensato, quanto si intende proporre, e che cosa emerge da questa relazione interculturale e interetnica, il cui soggetto protagonista sono le donne. Abbiamo previsto tre relazioni che emergono da questo lavoro delle donne. Sono tre proprio perché non abbiamo un pensiero unico: quello che caratterizza il nostro progetto, è una riflessione in progress, e di unico c’è solo la voglia di essere soggetti, di giocarci nell' esserlo. Ma poi nell’essere soggetti ci sono vite, esperienze, pratiche, pensieri differenti fra di loro, quindi noi non volevamo fare una sintesi, e abbiamo pensato di offrire un ventaglio di tre interventi. Quello di Mercedes Frias raccoglie il lavoro di riflessione che ha impegnato nel corso di quest’anno le varie associazioni e gruppi che collaborano con il progetto, e che era incentrato intorno a quattro temi che per lo sviluppo di queste imprese è necessario approfondire: genere ed economia; genere ed impresa-associazione; identità, lavoro, reddito cittadinanza e diritti; l’accompagnamento all’impresa.

Ci sarà poi l’intervento di Pierrette Soumbu dell’associazione ASIFA di Rouen, in Francia, un paese dove l’immigrazione ha una storia più lunga che da noi . L'esperienza di Asifa e quella della rete di imprese di donne immigrate che si sta costituendo in Francia ci sono state utili nell'orientarci nei percorsi da costruire qui. La spinta a costruire percorsi di donne che perseguono l'obiettivo della cittadinanza attraverso l'economia ci è in parte venuta dallo studio delle esperienze di altri paesi europei, ed è per questo che abbiamo voluto anche restituire questa dimensione della circolarità nella costruzione dell’Europa, della relazione tra donne intorno a temi comuni. Ci sarà infine un intervento più corale fatto dall’associazione Alma Terra di Torino.

Questa prima parte di interventi si confronterà nella seconda parte della mattinata con le relazioni di alcune donne, che abbiamo scelto anche in relazione ai ruoli che rivestono, ai compiti che svolgono, anche a livello istituzionale. Riteniamo che il tema donne ed economia vada affrontato sempre tenendo presente le postazioni da cui si parla, e in particolare il nord ed il sud del mondo. Per questo avevamo chiesto ad Adriana Buffardi di intervenire anche in considerazione del suo impegno nella costruzione di un’Europa sociale , dopo Mastricth, da un punto di vista di genere. Purtroppo, per ragioni di salute, Adriana non può essere tra noi. Dall’altra parte abbiamo chiesto a Rabea Abdelkrim che viene da Dakar un intervento dalla sua postazione di donna del sud del mondo sui temi che ci stanno a cuore. La trasversalità nord/sud verrà anche affrontata da Bianca Pomeranzi del Ministero degli Esteri, che noi abbiamo voluto in quanto donna e militante femminista con un incarico istituzionale nelle politiche della cooperazione internazionale.
Volevo spendere due parole di ringraziamento alle donne dell’istituzione del Comune che sono quelle che hanno tessuto più reti pratiche perché noi potessimo oggi con nostro agio fare qui il convegno nonostante il palio. Quindi un ringraziamento particolare ad Antonia Banfi e a Marzia Pasticcini che sono state veramente le donne tessitrici all’interno dell’allestimento dell’incontro.

Volevo dire infine che sono molto contenta di avere qui con noi Cristina Caldonazzo e la dott.ssa Barbara Von Berger della Regione Toscana, perché io credo questa giornata è all’interno di un percorso a cui ha fortemente contribuito il loro . Dico questo non per ringraziarci a vicenda, ma perché è importante capire quali sono i processi che hanno costruito il nostro progetto di lavoro. Non è quindi un parlare di persone, ma di quanto siano importanti le relazioni di reciproco affidamento che si costruiscono all’interno di questi processi per far progredire noi, le nostre idee, le cose che vogliamo.

Lascio la parola a Mercedes Frias.

MERCEDES FRIAS

ASSOCIAZIONE NOSOTRAS
Questo è un tavolo costituito interamente da donne, perché sembra che noi donne siamo in maggioranza soprattutto quando si parla di donne, ma è come se non avessimo la capacità di parlare anche di altro. E ci sono qui anche donne immigrate, perché si parla di immigrazione; e sembra che anche le immigrate non possano parlare d’altro che della condizione di immigrate. Parto da questa considerazione perché penso che sia centrale per tutto quello che dobbiamo dire, la partecipazione delle donne, e in particolare la partecipazione delle immigrate.

Il mio intervento sarà più lungo di quello che mi piacerebbe perché , come ha già detto Maria Teresa, è un intervento che vuole essere la voce di tutto un gruppo di riflessione che ha cominciato a lavorare già da tanto tempo.

Il primo momento formale di analisi di quello che è stato questo percorso di donne che si muovono, che cercano di incontrarsi, di associarsi, di fare delle cose insieme, è stato la prima sezione dell’Università Estiva che si è svolta a settembre dell’anno scorso. In quella sede tutto quello che siamo riuscite a produrre sono state delle domande, ma per la prima volta si sono confrontate esperienze diverse unite dal comune denominatore di essere attività realizzate da donne, sia immigrate che italiane. Questo primo momento di confronto ha dunque prodotto una serie di quesiti sui quali abbiamo cercato di lavorare durante questo anno. Ci siamo divise in gruppi di lavoro tematici e ognuno di questi gruppi ha adottato una sua metodologia per la discussione , ognuno ha fatto il suo percorso, ma poi ci siamo incontrate con il materiale prodotto, e abbiamo cercato di elaborare questa riflessione che riporto.

Per noi donne, soprattutto per noi donne - immigrate e italiane- che formiamo queste associazioni, l’associarsi significa fare politica, nel senso di Don Milani: cercare di affrontare insieme i problemi, le aspettative, di mettere insieme esperienze, competenze, potenzialità; cercare una strada da percorrere in collettività. Ci associamo partendo da un comune denominatore, dai nostri bisogni comuni, da un riconoscerci su situazioni simili per tutte. Abbiamo individuato dei percorsi comuni, spesso troppo carichi del peso delle nostre carenze, di quello che ci manca per sviluppare i nostri obbiettivi. Si parte da sé: dal bisogno di sopravvivenza, in tanti casi; o dal bisogno di dare continuità ad una storia personale fatta di impegni politici; dai bisogni concreti, materiali, quotidiani, che stentano a trovare risposta, dal bisogno di avere un reddito dignitoso, dal bisogno che il lavoro sia qualcosa di più che una occasione di reddito, bensì una opportunità di sviluppo personale nel quale mettere in campo professionalità, vissuto, esperienze. L’associazionismo è per noi una strategia politica di partecipazione. In Toscana si è svolta una ricerca-azione sulla condizione della donna immigrata, iniziata cinque anni fa con un progetto dell’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione, e in particolare della Unità Operativa Cittadini Extracomunitari, che coinvolgeva donne immigrate residenti in diverse città toscane . Prima di intraprendere la ricerca, c’è stato un momento in cui le diverse esperienze esistenti sul territorio si sono incontrate: c’erano già dei germi, c’erano già anche delle associazioni che coinvolgevano donne straniere e donne italiane che si mettevano insieme e progettavano di fare delle cose. Già esistevano questi embrioni e anche associazioni costituite. Le motivazioni, gli obbiettivi erano molto simili, le strategie le più varie. La ricerca però ha dato impulso al consolidamento, alla nascita dei soggetti associativi, perché ha significato un importante momento di confronto. Diverso era il livello di partecipazione e di coinvolgimento delle donne immigrate, dovuto alle differenze intrinseche, ma anche alle diverse condizioni materiali di vita, che sono diverse per fattori personali, ma anche nazionali. Ognuna ha le proprie motivazioni, ma siamo convinte che affrontarle insieme ci offra una opportunità in più per risolverle. I piani della differenza sono molteplici: non solo esistono le nostre diversità di appartenenza, ma anche diversi livelli di coinvolgimento determinati da collocazioni diverse. Non per tutte incontrarsi in un’associazione è far politica, per alcune è un’occasione di lavoro; allora l’esigenza diventa aggregarsi intorno a questioni concrete, perché non tutte siamo disponibili ad incontrarci ogni venerdì, o ogni giovedì -che per alcune rappresenta il solo giorno libero - per parlare delle motivazioni di fondo; c’è anche chi vede in questo incontrarsi una possibilità di andare avanti.

Quello che noi qui chiamiamo impresa sono progetti concreti, mirati ad affrontare questioni legate al lavoro, al reddito, alla cultura e ai diritti. Tutte le associazioni qui presenti -ma ce ne sono anche altre -hanno sviluppato dei progetti imprenditoriali, sebbene a stadi diversi: in alcuni casi il gruppo si è formato attorno ad un’idea di impresa, in altri l’idea di impresa è successiva all’associazione e ne rappresenta una conseguenza, una risposta, una alternativa. E' importante riflettere su ognuno degli elementi che stanno dentro questi progetti di impresa. Per quanto riguarda il reddito, un’alta percentuale di donne immigrate in Italia viene per motivi di lavoro, perché ha bisogno di provvedere per e per la propria famiglia. In questo caso il reddito diventa la molla, prima dell’immigrazione poi del voler restare. Ma poi c'è la spinta della ricerca del lavoro, perché il lavoro è qualcosa che va aldilà del reddito: il lavoro, secondo una definizione molto artigianale data dai nostri gruppi, è anche uno spazio di realizzazione personale, e non sempre vanno insieme reddito con lavoro. Pensiamo soprattutto alle donne che vanno a lavorare nelle famiglie, le collaboratrici domestiche, a volte non hanno il problema del reddito, Perché ce la fanno a coprire i bisogni che hanno con quello che guadagnano, ma ci rimettono tanto in libertà, in spazio per , in soddisfazioni personali. Poi c’è la cultura, anche in questo caso quasi tutte le nostre associazioni hanno progetti legati a prodotti che hanno un valore culturale, che parlano di sé. Per esempio quasi tutte le nostre associazioni hanno fatto, fanno o faranno un progetto di ristorazione. Tutte, tutte pensiamo a fare ristorazione , perché oggi la ristorazione multietnica ha un mercato ; ma non è solo un problema di mercato è anche un modo di parlare di noi, è un modo di esporci, di dire come si vivono da noi le cose che facciamo. Poi ci sono i diritti: queste imprese, espressione di una volontà collettiva, vorrebbero essere spazi di affermazione non solo economica, ma anche sociale, di sviluppo individuale e collettivo, inteso come opportunità di realizzare i propri progetti, garantendo l’accesso agli strumenti che consentono l’esercizio della cittadinanza piena, la cittadinanza che è il nostro focus, il nostro obbiettivo. Una cittadinanza che non è intesa soltanto nella sua accezione giuridica, cioè legata all’appartenenza o meno ad un determinato stato, bensì legata ai diritti pertinenti alla nostra condizione di esseri umani, ma anche alla possibilità di partecipare, di incidere nella società in cui abbiamo deciso di vivere. Aldilà del soggetto associativo che costituiamo è la conquista, è il riconoscimento dei diritti della persona il nucleo centrale del nostro organizzarci.

E proprio assumendo la cittadinanza come questione principale, intorno alla quale ruotano le altre cose, i quattro gruppi hanno affrontato alcune questioni fondamentali. La domanda di fondo è: queste imprese che noi costituiamo sono una strategia di sviluppo oppure non fanno altro che mantenerci al margine dell’economia, della società? Rappresentano un accontentarci, un cercare di arrangiarci oppure ci aiutano nella strada verso il nostro obbiettivo principale?



Per cercare di rispondere a questa domanda dobbiamo soffermarci un po' ad analizzare il contesto in cui ci muoviamo. La prima cosa che ci troviamo ad affrontare quando si parla di imprenditoria è che questa è una società estremamente strutturata e poco permeabile alle innovazioni. Le cose sono già molto fatte, date, e risulta difficile -non solo per le donne immigrate, ma in generale - intraprendere qualcosa di nuovo. Ne sono un esempio i bandi della Regione per giovani imprenditori. A volte vengono presentati dei bei progetti che poi si perdono all’interno della burocrazia e non riescono a concretizzarsi a causa della rigidità delle procedure. Questo è il primo scoglio in cui ci imbattiamo con le nostre imprese. Inoltre per le donne ci sono pochi spazi di partecipazione nelle istanze decisionali,. Ne sono un esempio le ultime elezioni in Toscana: quante donne sono state elette? Come mai noi donne veniamo interpellate solo quando si parla di donne? E' vero che i problemi delle donne li capiamo solo noi, ma possiamo anche parlare di altre cose: possiamo parlare di economia, di lavoro, possiamo occuparci di cultura… siamo l’altra metà del mondo, non dobbiamo solo essere delle depositarie. A livello di dichiarazione di intenti i nostri compagni sono sempre d’accordo, ma al momento di cedere potere noi donne rimaniamo sempre relegate, e se siamo immigrate la cosa diventa ancora più difficile. Poi c’è una notevole distanza sociale, fra i cittadini della cittadella e i cittadini di fuori, e anche queste sono delle grosse limitazioni per poter andare avanti, per poter intraprendere: c’è la nostra fragilità contrattuale, la difficoltà di essere riconosciute come interlocutrici, che è dovuta anche alla nostra rappresentazione sociale. Noi immigrate veniamo viste o come disgraziate o come prostitute. E' molto difficile uscire da questo binomio dell'immaginario collettivo, dalla immagine stereotipata di queste disgraziate tutte piene di piaghe oppure della allegra brigata di quelle che si divertono a stare insieme; c’è una complessità del mondo femminile che è molto difficile da captare, e questo ci mette ancora in difficoltà. Poi abbiamo il culturalismo, altra piaga che attribuisce all'ordine culturale differenze che sono il prodotto della disparità di opportunità e delle condizioni di vita. Abbiamo poi il problema del sessismo che ha una connessione forte col razzismo, ben evidente nella rappresentazione stereotipata della donna immigrata. Il razzismo non è una condizione legata solo alla immigrazione, come dice Solange del CESDI di Livorno, il razzismo attraversa il filo della povertà: un nero statunitense avrà ovviamente più possibilità che un bianco albanese in questo momento. Il razzismo è una questione legata al fenotipo, ma anche alla condizione sociale, all'appartenenza, alla povertà. Poi c’è il paternalismo: ci sono tanti buoni, ci sono tanti cari compagni che sono buoni, che ci aiutano, ma non ci fanno crescere e stanno sempre a coprirci come un albero grande e frondoso, è l’assistenzialismo, la carità indifferente o la militanza strumentale: "ci vuole una donna così si vede che siamo democratici, ci vuole un immigrato"… sapete a quante di noi hanno proposto di entrare nelle liste, per fregarci, per mostrare che erano democratici. Ci mettevano in una posizione tale che nessuno avrebbe votato per noi, però in questo modo davano un’immagine di apertura.

Non vorrei essere troppo catastrofica: credo che noi donne abbiamo un punto di forza nella nostra enorme capacità di lavorare insieme per obiettivi comuni. Lo dimostra il fatto che le nostre associazioni siano costituite da native e migranti: noi riusciamo a cogliere la trasversalità della problematica di genere, e questo ci aiuta a lavorare insieme. Non senza difficoltà. Ovviamente, ma queste difficoltà stesse possono diventare punti di forza se ci lavoriamo. Inoltre noi donne abbiamo una grande capacità propositiva, se avessimo la stessa capacità di tenuta allora sarebbe più facile andare avanti. Un altro punto di forza ci può venire dalla attuale crisi del modello economico predominante. Ne parlava prima Patrizia: oggi si comincia a mettere in discussione l’economia come è stata sempre pensata, e in questa discussione forse ci possiamo inserire con la nostra idea di impresa. Poi ci sono gli sforzi del privato sociale, e - diciamolo, ammettiamolo- c’è qualche amministrazione, e ci sono delle istituzioni che hanno un certo livello di sensibilità.



Torniamo dunque alla domanda su quanto queste imprese possano essere strategia di cittadinanza. Io penso che questo dipende dall’oggetto dell’impresa, dal prodotto che offre e dal modello di sviluppo adottato. Quali sono queste imprese, di cui stiamo parlando? Ne esistono diverse categorie: ci sono le cooperative per il lavoro di cura, il lavoro di assistenza; poi ci sono i gruppi che svolgono la famosa ristorazione multietnica sotto forma di catering, ristorazione stagionale, o di ristorante fisso; poi ci sono laboratori di sartoria, la mediazione culturale, il lavoro sui servizi e poi c’è infine lo spettacolo che appartiene di più agli uomini, tra gli immigrati .Ma quali sono i rischi di queste imprese, sempre rispetto alla questione della cittadinanza? Per quanto riguarda le cooperative per il lavoro di cura, se da una parte possono servire a valorizzare questo tipo di lavoro, c’è anche il rischio che costituiscano una legittimazione della condizione di marginalità, un accontentarci di quello che ci viene concesso. Si può anche decidere di volere svolgere un lavoro di cura per il resto della vita, ma ce ne sono tante che non l'hanno deciso e si trovano a farlo e allora anche organizzarsi in cooperativa diventa una trappola, perché si finisce col rimanere lì. Non è certo un lavoro sporco, ma non deve essere neanche un destino: dovremmo avere l’occasione di scegliere, pur tenendo conto del mercato, di quali siano gli spazi da esplorare, da occupare. L’impresa culturale va bene se si vuole offrire un mercato culturale, purché vada aldilà degli aspetti folcloristici e della soddisfazione della curiosità che è effimera. Se evitiamo questo rischio possiamo fare delle imprese che offrono un prodotto culturale, perché la composizione della società italiana sta cambiando - e il progetto Porto Franco parte da questa considerazione: i limiti delle frontiere culturali sono più labili rispetto a qualche anno fa grazie agli afflussi di movimento di persone, mezzi, informazione, eccetera questo presuppone più spazio per nuove proposte di prodotti e di servizi, anche lì possiamo infilarci, però mirando sempre ad un prodotto che vada aldilà del folklore. Per quanto riguarda le attività sociali sapete che alcune delle nostre associazioni svolgono un servizio di orientamento, informazione ed accompagnamento rivolto alle donne, di solito in convenzione con le amministrazioni comunali. Ma qui il rischio è quello del lavoro non pagato, ridotto alla pura militanza. Il rischio è che non venga riconosciuto questo operato, non solo come un lavoro, ma come un contributo offerto per riqualificare i servizi, e che quindi ricade a vantaggio di tutti. Perché l'azione delle nostre associazioni parte dall’analisi dei bisogni specifici di una certa fascia della popolazione, e nel tentare delle risposte, si propone, ci proponiamo entrando in reazione; diventa così un veicolo per affrontare le difficoltà delle e degli utenti e offre una possibilità al servizio pubblico, qualificando l’offerta che è estensibile a tutti i cittadini e le cittadine, non soltanto agli immigrati. Per ora quasi tutte le associazioni che fanno questo servizio sono al limite del volontariato, e si dibattono tra problemi di interlocuzione e di contrattazione, legati alla nostra fragilità.

Le imprese a contenuto prettamente economico vanno sostenute con i criteri di appoggio all’imprenditoria, tenendo conto delle loro specificità, ma senza assistenzialismo. Occorre acquisire o mettere in campo delle competenze per garantirne la riuscita, ma qual è il percorso per fare questo? Qui bisognerebbe dire due parole sull’accompagnamento, che è stato l’oggetto di lavoro di uno dei gruppi. Accompagnamento è un termine abbastanza antipatico, se l’intendiamo come un sostegno, un aiuto che si dà a qualcuno perché è più debole, se lo vediamo anche nella sua accezione più individuale, quando presuppone una debolezza intrinseca nostra. Dato il contesto in cui operiamo l’attività di accompagnamento all’impresa svolge un ruolo fondamentale nel processo di avviamento del progetto, perché occorre che le associazioni si approprino dei codici comunicativi vigenti. Noi abbiamo bisogno di questo, di saperci orientare nel e sul territorio, di analizzare la fattibilità di un progetto e quant’altro. Ovviamente veniamo, molte di noi, da realtà molto diverse da quella in cui veniamo a trovarci , e per questo abbiamo bisogno di un orientamento. Ma poi l’accompagnamento è un’azione tecnica, fa parte del linguaggio delle imprese, e non è necessariamente un paio di stampelle che ci prestano per poter andare avanti. L’accompagnamento si dovrebbe articolare e combinare tra soggetti collettivi, tra chi accompagna e chi è accompagnato; si fonda sullo scambio, sulla reciprocità, perché si alimenta e diventa possibile solo se tiene conto dei diversi punti di vista e delle diverse chiavi di lettura. Perché l’accompagnamento all’impresa abbia un esito positivo l’associazione deve conoscere se stessa, deve sapere quali sono le sue risorse, gli obbiettivi che vuole raggiungere e quali sono i suoi tempi. E’ importante soprattutto sapere chi decide la meta, chi è accompagnato o l’accompagnatore. Il rischio è di nuovo di cadere nel paternalismo, Perché a livello di dichiarazione di principio tutte diciamo che è l’associazione che dovrebbe decidere la meta, ma non sempre è così, quindi dobbiamo stare attente alle strumentalizzazioni.

Un’altra questione che ci siamo poste è come si rapportino il Nord e il Sud all’interno di queste associazioni. Visto che tutte sono costituite da donne che vengono da una parte e dall’altra, com’è questa convivenza? E come è il rapporto con le istituzioni e con le altre associazioni presenti nelle città, visto che abbiamo una forte componente di immigrate? Diciamo che la provenienza determina collocazioni diverse, questo è ovvio, però determina soprattutto rapporti di potere diversi. Ci sono differenze sostanziali che stanno lì a sottolineare il nostro modo di stare dentro, occorre consapevolezza di queste differenze, sapere che ci sono. Non si tratta di stabilire una contrapposizione tra italiane e immigrate, però bisogna sapere che abbiamo potere diverso. Non è solo una questione di punti di vista: partiamo da condizioni diverse e se noi non lo teniamo presente, rischiamo di sbilanciarci da una parte o dall’altra. Lo stesso vale per i rapporti con le istituzioni. Tutto questo daffare per associarci vuol dire che non vogliamo essere a carico, che abbiamo individuato una serie di punti di difficoltà, ma anche che stiamo proponendo, stiamo proponendoci per andare avanti, per risolverli. Per le donne immigrate all’interno di questi gruppi, l' investimento è maggiore, la posta in gioco è altissima. Questo conferisce più forza alle nostre azioni, perché per noi non è solo in questione l'emancipazione economica, ma veri percorsi di cittadinanza con tutto quello che questo comporta. C'è in gioco anche la nostra storia che molte volte è fatta di incertezza, della creatività derivata dallo sviluppo dei meccanismi di sopravvivenza, dal coniugare affetti che qui sembra non si possano incontrare, e dobbiamo fare dei convegni per mettere insieme azione politica e attività di sopravvivenza. Molte di noi provengono da situazioni in cui la mattina si va con la mamma a vendere frittelle, e la sera alla sede del partito, e questi due aspetti si combinano benissimo: non siamo sporche perché vendiamo le frittelle, dobbiamo sopravvivere, dunque siamo allenate a mettere insieme queste realtà che qui sembra molto difficile conciliare, al punto che bisogna fare tante elucubrazioni per poterci arrivare. Diciamo che siamo più disponibili a rischiare e non solo perché abbiamo meno da perdere, ma perché abbiamo tanto più da guadagnare. Il fatto di emigrare è già stata una scelta di coraggio, determinata dal desiderio di andare avanti; per tutte ha significato la necessità di ripartire quasi da zero, interrompendo a volte storie professionali di rilievo. Mila Busoni dice che questo lavorare insieme donne immigrate e donne italiane è come una trasfusione di sangue. La metafora mi sembra un po' esagerata, però penso che possa rappresentare una bella iniezione di adrenalina, speriamo che possiamo farne qualcosa. Grazie.


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