Elephant talk



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<------ELEPHANT-----TALK------fine del numero 27------->

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rivista musicale elettronica

diretta da Riccardo Ridi

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Numero 28 (2 Dicembre 1996)

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INDICE
- CATHY DENNIS ovvero THE KIND OF GIRL / GG

- OSSERVATORIO MEDIA: LA STAMPA ROCK ITALIANA (parte 3) / MC

- COMMON GROUND ovvero SCENE DA UN CONDOMINIO (Oltre il folk: percorsi esemplari: 19) / GG

- COMPUTER AGE: LAURIE ANDERSON (Cheap thrills: 9) / MC

- RECENSIONI IN BRANDELLI: 11 / RR

- RECENSIONI IN BRANDELLI: 12 / GG
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CATHY DENNIS ovvero THE KIND OF GIRL / Gianni Galeota
Chi non ricorda il tormentone di "Touch me / All night long", con quel video vagamente allusivo, in cui vernici colorate schizzavano addosso a boys & girls in pose equivoche? Una vera schifezza. A me piaceva, pero', lo confesso. L'album si chiamava "Move To This" (1990). Una grande produzione con due nomi di grido: Nile 'Chic' Rodgers (onnipresente in quegli anni, da Diana Ross a Bowie, da Madonna ai Duran Duran, dai B-52's a Grace Jones) e Shep Pettibone, allora al culmine della popolarita' (in tandem con Madonna da "Like A Prayer", ma anche con altre stelle e stelline della dance, Paula Abdul, Jaki Graham, Dale, Shirley Lewis, ecc.).
La nostra Cathy non era comunque una voce nuova. Era comparsa l'anno prima come guest vocalist in due brani di D-Mob: "C'Mon And Get My Love" e "That's The Way Of The World". Con "Move To This" ci provava da sola. Il percorso era gia' tracciato da altre guest vocalist uscite con gloria allo scoperto. Una fra tutte: Lisa Stansfield. In effetti l'operazione riusci' a meraviglia. Quattro hits nei TOP Ten americani, tutti dallo stesso album. Una specie di record. (La mia preferita: "Too Many Walls").
Poi nel '92 la sindrome da 'seconda prova' fa scivolare Cathy su di un quasi-flop. "Into The Skyline" non riesce a bissare il successo dell'esordio. Chiamato di nuovo il buon Shep Pettibone alla sua corte, Cathy probabilmente sbaglia gia' nella scelta dei singoli: "You Lied To Me" non decolla; la replica del duetto-per-forza con D-Mob ("Why") puzza di menata lontano un miglio; "Irresistible" smentisce il proprio titolo; "Falling" forse e' un po' piu' coraggiosa (nel senso che e' poco canticchiabile, fatale per una canzoncina pop).
Il meglio e' forse altrove. Ad esempio nella struggente "Moments Of Love" o nell'avvolgente tormentone di "Change Will Come". Pero' finisce tutto li'.
Oggi, dopo 4 anni in cui Cathy, come si dice, "si e' guardata intorno", eccola tornare con "Am I The Kinda Girl", un album di ottimo first-class-pop. Si e' fatta un bagnetto, invece che nelle sudicie vernici degli esordi, nel pop inglese dei sixties, di prima mano (Beatles, Kinks) e di seconda (XTC). Il risultato e' gradevolissimo. Praticamente 11 singoli sicuri.
Si va dalle fresche "West End Pad" e "Fickle" alle piu' posate "Dreams Turn To Dust" (senti senti, un lentone alla Belinda Carlisle) e "Stupid Fool". Andy Partridge le regala una saltellante "Am I The Kind Of Girl", molto XTC. Ray Davies le presta il classico dei Kinks "Waterloo Sunset" e le affida "The Date", scritta con lei a quattro mani. I Beatles fanno ciao ciao tra le note di "That's Why I Love You". Molto lievi e graziose anche "Homing The Rocket" e "Don't Take My Heaven", quest'ultima piena di una spensieratezza quasi vacanziera.
Brani tutti co-scritti da Cathy (tranne "Waterloo Sunset"), prodotti da Mark Saunders (quello di Tricky e Neneh Cherry). Cos'altro posso dire? Che lo candiderei volentieri al Grammy della Piuma, per la leggerezza con cui solletica le nostre anime depresse. Un must per tutti i fans di Kinks, XTC, Beatles, et similia. Sconsigliato a chi non ama gli schizzi di vernice.





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OSSERVATORIO MEDIA: LA STAMPA ROCK ITALIANA (parte 3) / Marco Centofanti
L'Osservatorio media per una volta si sposta fuori dagli angusti confini della stampa "specializzata" per una incursione nella Big Press, nei giornali che contano per davvero.
Come saprete nello scorso Ottobre si e' svolto lo strombazzatissimo Salone della Musica di Torino, e il quotidiano La Repubblica si e' preoccupato di darne gran risalto, anche a fronte del suo nuovo impegno nel campo tramite il famigerato gadget "Musica!".
Vediamo che scrive in proposito La Repubblica di Sabato 12 Ottobre a pagina 43. Gran risalto a Walter "FigurinaPanini" Veltroni che con "un intervento salutato da grandissimi applausi dalla platea" afferma deciso che "per la musica non bastano stadi polverosi e palasport. Ci vogliono luoghi appropriati. Qualcosa come il grande locale che si vede nel film The Blues Brothers. La musica poi deve entrare nelle scuole. La storia dei Beatles dovrebbe diventare materia di studio."
Possibile che nessuno si sia alzato in piedi per dire che intanto basterebbe iniziare a concedere appunto stadi e palasport con facilita', a differenza di quanto accade oggi, e che se al rock fossero aperti pure i Templi Intoccabili, i teatri, il problema sarebbe in gran parte risolto senza spese statali?
Possibile che a nessuno dei gaudiosi plaudenti sia andato di traverso il pranzo al solo immaginare una possibile interrogazione su estetica ed etica nella scrittura di Lennon e McCartney, il mezzo migliore per stroncare ogni passione verso i Fab Four ed i loro epigoni negli under 16 di tutta la penisola? Senza contare che, i piu' freschi di studi confermeranno, la scuola italiana non riesce neppure a terminare programmi ministeriali ormai immutati dalla proclamazione della repubblica, figurarsi che accadrebbe se oltre alla aggiunta del Novecento voluta dal ministro Berlinguer vanissero imposti pure beat, folk e psichedelia...
E poi chi dovrebbe tenere i corsi di rock nelle migliaia di scuole sparse per il Bel Paese? Ve la immaginate la cinquantenne professoressa di lettere alle prese con Sex Machine e Everybody Must Get Stoned? Esilarante... Il buon Walter deve essersi sniffato il dorso delle figurine al suono dell'epocale inno Ramonesiano I Wanna Sniff some Glue.
In un riquadro a lato parla Dalla Lucio, l'artista-puffo interprete della immortale "Attenti al lupo", il quale, in un convegno coordinato tra gli altri da Donna Letizia "Prezzemolo" Dandini difende le piccole case discografiche dall'assalto delle majors. Ne ha certo buon diritto, visto che per la sua Pressing incidono fior di giovani promettenti come Samuele Bersani, Luca Carboni e il vescovo Milingo, tutti personaggi costantemente e pervicacemente oscurati dai media che contano per il solo fatto di appartenere ad una cosi' piccola scuderia.
Il meglio della giornata e' un articoletto intitolato "I musicisti contro i centri sociali - non pagano i diritti SIAE". In pratica gli autori aderenti alla SIAE "si chiedono perche' i centri sociali o associazioni di volontariato possono godere gratis dell'utilizzazione di opere dell'ingegno (...) La protesta e' firmata da Salvatore Sciarrino, Raoul Casadei, Lucio Dalla, Mario Lavezzi, Francesco Micalizzi, Paolo Arca', Ennio Morricone, Gino Paoli, Azio Corghi, Nicola Piovani, Sergio Rendine, Roman Vlad, Bruno Lauzi, Goffredo Petrassi". Che sarebbe a dire una selezione accurata di tutti gli autori italiani (esclusi forse AlBano e Amedeo Minghi) dei quali nessun brano e' stato e mai sara' suonato in un centtro sociale: ve lo immaginate il Leoncavallo in subbuglio e in sottofondo "Romagnaaa miaaa..."? Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Toto'.
Complimenti dunque ancora una volta a Musica!-Repubblica e ai suoi dioscuri Assante e Castaldo per aver coperto in modo cosi' incisivo l'iniziativa: c'era bisogno di un segnale forte e deciso da parte degli addetti ai lavori.
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COMMON GROUND ovvero SCENE DA UN CONDOMINIO

(Oltre il folk: percorsi esemplari: 19) / Gianni Galeota


Ha senso cambiare il nome di una rubrica a mezza strada? Si puo' cambiare gioco a partita iniziata? Che dire di quel giocatore che durante una partita a briscola spiattella sul tavolo un bel settebello, pretendendo anche di fare punto?
Unfair Play, d'accordo, poco inglese. Pero', se ci si accorge di avere sbagliato, ci dobbiamo pur correggere. Il fatto e' che dopo venti numeri della rubrica "Oltre il Folk" mi sembrerebbe piu' giusto intitolarla "Donal Lunny & Dintorni". Tutto sembra girargli intorno, non si riesce a farne a meno. Abbiamo appena finito di presentare l'Heritage des Celtes, che subito dobbiamo mettere in campo la formazione di "Common Ground", mitica compilation made in Ireland, assemblata da Sua Eminenza Grigia Donal Lunny.
Nomi prestigiosi del rock (ma che dico prestigiosi?, molto di piu'...) si sono uniti a musicisti del circuito folk che hanno in comune il terreno in cui affondano le radici. E cioe': l'Irlanda. Tanto per cambiare... Unica eccezione: Kate Bush. Ma alla nostra amata Kate vogliamo forse chiudere la porta in faccia? Ci mancherebbe.
Tutti insieme musicalmente in armonia, nella stessa casa, come in un condominio ideale. Lunny fa da amministratore, portiere, giardiniere, e tappabuchi. Dirimpettaie amorevoli sono due primedonne, Maire Brennan (Clannad) e Sinead O'Connor, che si scambiano cortesemente un traditional a testa ("O Bhean a' 'ti" e "On Raglan road"), ben riveduti e corretti da Lunny, mentre Sharon Shannon offre a Kate Bush "Cavan potholes", un pasticcino strumentale, ricambiata da una gustosa "Mna Na h-Eireann" (l'indimenticabile aria di Barry Lindon dei Chieftains), intonata come si deve.
Al piano di sopra scalpita Davy Spillane con la sua "Whistling low", e batte il tempo con il piede. Ma non disturba nessuno, nemmeno Tim & Neil Finn, rampolli folk pop, intenti a gridare nella cornetta del telefono: "Mary of the South Seas / Do You Remember Me?"
A pian terreno, nella bottega della premiata ditta Bono & Clayton, il balladeer Paul Brady implora "Help me to believe", spalleggiato dall'amico Brian Kennedy che ricorda i tempi andati di "As I roved out". Rientrando a casa proprio in quel momento, di ritorno dal lattaio, Elvis Costello ricorda con loro "The night before Larry was stretched". Ma Bono & Clayton non si scompongono, ed invitano tutti e tre a guardare avanti ("Tomorrow").
Quando si dice il buon vicinato.
Non lontano, al terzo piano, c'e' chi canta la contea di Clare, pronto a giurare che "My heart's tonight in Ireland". E' il buon vecchio Andy Irvine, gloria nazionale, ex-Planxty, ex-Sweeney's Men, ex-Patrick Street, con Rita Connolly ai back vocals. Vorrebbe partire, vorrebbe andare, ma non si decide. Dalla finestra di fronte l'amico e collega Liam O'Maonlai gli chiede trepidante: "Quando?" ("Cathain").
L'attico e' tutto per Christy Moore, il santone, che ricanta fino all'ossessione il traditional "Bogie's bonnie belle". Ma oramai lo sa a memoria.
Donal Lunny e' ubiquo. E' dappertutto e in nessun luogo. Compare come titolare soltanto in un brano, al 50 per cento con Spillane, ma i credits lo danno presente ovunque. Qui suona il bouzouki, li' il bodhran; di qua la chitarra elettrica, di la' le tastiere e l'harmonium. E poi arrangia, produce, mixa, in parte compone.
Questo e' un condominio che si riconosce subito: ha tutto intorno un bel prato color verde Irlanda.
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COMPUTER AGE: LAURIE ANDERSON (Cheap thrills: 9) / Marco Centofanti
Il disco di questa puntata e': Big Science / Laurie Anderson, Warner Bros, 1982, disponibile in edizione economica.
Rock? Ambient? Avanguardia? Licenziato quasi 15 anni fa ma tuttora straordinariamente futurista, "Big science" della statunitense Laurie Anderson e' tutto questo e molto di piu': e' musica gelida, tagliente come un bisturi, ipnotica ...
Ma, miracolo, riesce egualmente accessibile (all'epoca arrivo' ai vertici delle classifiche USA) anche se certo suona inquietante: la Anderson ci propone la perfetta colonna sonora di un mondo tecnologico, algido e deumanizzato, di un Blade Runner piu' crudele perche' riferito al nostro tempo.
I testi, declamati con voce ora scandita ora cantilenante ma sempre pacata, robotizzata, contribuiscono a rendere l'atmosfera ancora piu' tesa, a tratti addirittura minacciosa, schizzando atmosfere soffocate da una solitudine e una incomunicabilita' terribili.
Il disco e' composto con materiale tratto da "United States I-V", un' opera teatrale multimediale di oltre sette ore che venne proposta su disco solo nel 1984; assolutamente inusuale la strumentazione, con timpani, bottiglie e tromboni che si sposano a vocoder, casio e altra varia tecnologia, tra cui un violino elettrico nel quale le corde sono sostituite da testine magnetiche suonate tramite un archetto approntato con un nastro registrato.
Questo disco e' un capolavoro, ascoltatelo con attenzione, seguitene le parole (riportate all'interno, tutti i non anglofili ringraziano commossi), fatevi trasportare dalla sua profondita', scoprirete da dove arrivano tanta avanguardia, tanta ambient-music, e, soprattutto capirete dove hanno sempre cercato di arrivare senza riuscirvi.
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RECENSIONI IN BRANDELLI : 11 / Riccardo Ridi
SHAMEN: HEMPTON MANOR: 1996. Dopo anni di flirt con la techno, gli Shamen sono finalmente convolati a giuste nozze, con un album esclusivamente strumentale senza il rapper Mr. C., sedotto e abbandonato sulla rotta verso la pura pulsazione ritmica. E pensare che nel precedente AXIS MUTATIS (95) c'erano ancora perfino un ispirato pezzo di soul moderno (Heal The Separation).
IDAHO: THREE SHEETS TO THE WIND: 1996. Dopo l'ottimo esordio del 93 (YEAR AFTER YEAR), il mezzo passo falso del 94 da noi troppo affrettatamente definito "riuscitissimo" (THIS WAY OUT, pericolosamente simile a dei Dinosaur Jr. sotto narcotici) e l'ennesimo cambio di formazione, torna il "rock atmosferico" di scuola Codeine degli Idaho, appropriatamente definito da Scaruffi "eroinomane, tenue, diradato e desolato", ma anche ambiguamente melodico.
SNEAKER PIMPS: BECOMING X: 1996. Esattamente a meta' strada fra Portishead e Moloko. Curioso a leggersi? Anche ad ascoltarsi.
MORCHEEBA: WHO CAN YOU TRUST?: 1996. Dei Portishead con cantante nera, e non e' un giudizio riduttivo.
HOOVER: A NEW STEREOPHONIC SOUND SPECTACULAR: 1996. Dei Portishead piu' rock, e neanche questo e' un giudizio riduttivo.
NEARLY GOD: 1996. Dei Portishead piu' claustrofobici, entropici e ambiziosi, e questo E' un giudizio riduttivo, nonostante lo pseudonimo celi sua triphoppita' Tricky in persona.
PORCUPINE TREE: SIGNIFY: 1996. Progressive's not dead. L'ex-Japan Barbieri, non pago di aver fatto naufragare col fido compagno Jansen una mezza dozzina di sigle (cambiano nome dopo ogni disco per sfuggire ai creditori e cercare di ingannare i sempre piu' rari acquirenti) si impegna seriamente per cercare di trascinare su fondali progressivi il "no-man" Steven Wilson, che non oppone eccessiva resistenza.
ROBYN HITCHCOCK: MOSS ELIXIR: 1996. Compra Hitchcock e sai cosa ascolti. Da 15 anni (senza contare il noviziato coi Soft Boys) il buon Robyn difficilmente sbaglia un colpo e difficilmente (anzi mai) riserva sorprese. Un pop di delicata fattura, con reminescenze folk e psichedeliche e aromi squisitamente sixties, talvolta acustico e talvolta elettrico ma sempre garbato ed elegante. Non sapete da dove cominciare? Il vostro fornitore ha solo quest'ultimo album? Procedete pure all'acquisto e potrete comunque farvi un'idea indiretta anche del periodo aureo del nostro (85-89). Ma se poi prendete il vizio non lamentatevi con noi.
THE BATHERS: SUNPOWDER: 1995. Avete mai osato immaginare una collaborazione fra Tom Waits e i Cocteau Twins? Ecco qualcosa di molto simile. La mente e la voce dei Bathers (Chris Thomson) pare proprio un Waits piu' melodico e accessibile, e in quattro pezzi su undici ospite e' proprio Elizabeth Fraser in persona. Il risultato? Semplicemente sublime.
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RECENSIONI IN BRANDELLI : 12 / Gianni Galeota
TENORES DI BITTI: INTONOS: 1994 (NewTone 6727 129806727 2), TENORES DI BITTI: S'AMORE 'E MAMA: 1996 (Real World 7243 8 41885 2 8). Raccomandati da Frank Zappa, riscoperti e prodotti da Peter Gabriel nella sua Real World, i Tenores di Bitti sono una potentissima macchina vocale. L'antica tecnica del canto "a tenores", tipico della Sardegna centrale, prevede che quattro voci, dette "boche", "contra", "mesa'oche" e "bassa", imbastiscano partiture musicali secondo uno schema fisso: la voce conduttrice esegue il motivo, mentre le altre intervengono successivamente scandendo sillabe prive di senso (tipo "bim-ba-rim, bim-bo, ba-ri...). Il tutto tra improvvisi salti d'intonazione ed incredibili muggiti umani. Beh, detto cosi' vuol dire poco. Comunque i Tenores sono corteggiati ed inseguiti da fior di etnomusicologi di tutto il mondo. Un po' meno dal grande pubblico. In realta' non si capisce perche' le Voci Bulgare si', e i Tenores di Bitti no. Facciamo per una volta l'avanguardia. Scopriamoli adesso, prima che ci arrivi Elio. Dopo diventera' un obbligo.
SHERYL CROW: SHERYL CROW: 1996 (A&M Records 540 592 2). Raffinato. Grezzo. Elettrico, ma non solo. Acustico, ma non troppo. Rockeggiante. Bluesy. Morbido. Sinuoso. Tortuoso. "Everyday Is A Winding Road". Tutto Spigoli & Velluto. Intrigante. Curioso. Instancabile. "Hard To Make A Stand". A-Nervi-Scoperti. Maschio. "Sad Sad World". Sensibile. Grintoso. Tenero. Femminile. "Oh Marie". "Sweet Rosalyn". Ma-Chi-Sara'-Mai-Questa-Sheryl. "Superstar". Un Corvo? "Maybe Angels". Piumata. Pennuta. Ruvida. Sexy. Depressa. "Ordinary Morning". Incazzata. Conciliante. "Redemption Day". Da classifica. Ma-Dove-Vuole-Arrivare? "Home" (my favourite). Tutte-uguali. "A Change". Tutte-diverse. Entusiasmanti. Sonnolente. "Love Is A Good Thing". Aria fritta. Frammenti sparsi. Pagine a brandelli. "The Book". The Bluff. Roba da cow boy. Stivali. Cappello. Speroni. Da cavalcare. Da non perdere. "If It Makes You Happy".
MARTA SEBESTYEN: KISMET: 1996 (Hannibal 1392). Ovvero: balla coi (Bal)cani. Cioe': danze e canti del Mondo, che dai Balcani saltano in Irlanda, in Russia, in India, in Romania, per poi tornare ancora saltellando in Grecia, in Bosnia, in Bulgaria, fino all'Ungheria, con un percorso circolare (come il Mondo, appunto), che riporta Marta Sebestyen a casa. Di qui era partita parecchi anni fa col gruppo dei Muzsikas, puristi del repertorio magiaro. Altre esperienze col duo irlandese Davy Spillane - Andy Irvine, poi con i Deep Forest, e poi finalmente da sola. Marta Sebestyen taglia & incolla, raccatta, assembla, cuce una canzone irlandese con una danza greca, una ninna nanna indiana con una melodia rumena. Il tutto con risultati da alta sartoria. A spasso (e che spasso!) per l'Europa piu' depressa, con una puntatina fuori continente, il viaggio di Marta ci convince eccome. Insomma, un altro canto "piu' umano piu' vero" (si', qualche volta ricorda tutte le voci bulgare in una voce sola). Antico, eppure - udite udite! - incredibilmente moderno. Ascoltate, per credere, "Hindi Lullabye". Tra le cose piu' belle del '96.
SUZANNE VEGA: NINE OBJECTS OF DESIRE: 1996 (A&M Records 540 583 2). Eh, si', amici miei, la klasse non e' acqua. Ai tempi del remix di "Tom's Diner" la Nostra si e' fatta una pera di Entusiasmo & Ispirazione (ma e' roba che si compra in Farmacia?), e da allora non finisce di stupire. La svolta techno di "99.9 F¡", tutta ritmi sintetici, trova qui la sua naturale evoluzione, ma anche il suo aggiustamento. Recupera carne, sangue e cuore. Perfino humour. Esemplare il caso di "Honeymoon Suite" e "Headshots", le cui semplici strofe vengono intervallate da motivetti ironici, quasi buffi. "Birth-day", proprio in apertura di album, sembra invece essere il trait d'union ideale con "99.9 F¡". Suzanne si avvicina con questi nove oggetti al desiderio ultimo, che e' quello di una musica semplice, elementare, eppure raffinata oltre modo. L'uovo di Colombo: arte come estremo artificio che mima la natura. E a proposito di geniale semplicita' citerei "Tombstone", "Thin Man", e "Caramel", abbellite da delicati tocchi di jazz. Il resto: tutto godibile, tutto intelligente, tutto fresco ma ben meditato. Ottimo e abbondante. Candidato al classificone del '96.
LISA GERMANO: EXCERPTS FROM A LOVE CIRCUS: 1996 (4AD cad 6012 CD). Depressi in ascolto, occhio! Memorizzate bene titolo e copertina, e tenetevi alla larga. Se le malinconie sublimi di questa violinista dalla voce in fase terminale non fanno per voi, lasciate perdere. Il gusto mortuario di Lisa Germano ci piace perche' coglie in pieno la filosofia della vita che certi demologi inglesi riassumevano nella formula "From The Cradle To The Grave". Gli estremi si toccano. In Lisa Germano troverete nenie infantili, pupazzi, bambole meccaniche, balocchi di altri tempi, carillion, filastrocche siciliane (ah, le radici italiche!), ma tutto avvolto in tenebre da camera mortuaria. La sua musa e' la Morte in abiti infantili (o viceversa, se lo preferite). Alla terza prova la musica non cambia. C'e' forse un certo sforzo di essere piu' allegra, e questo la rende ancora di piu' - e piu' profondamente - depressiva. Praticamente sublime. Imperdibile. Dovendo cominciare una storia con Lisa Germano, consiglio viva-mente (?!?!) di cominciare da questo "Love Circus". E condoglianze.




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