Guerra giudaica



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LIBRO VII

CAPITOLO PRIMO

Libro VII:1 - 1, 1. Quando l'esercito non ebbe più da uccidere e da saccheggiare, non essendoci nient'altro su cui sfogare il furore - e certamente nulla avrebbero risparmiato finché restava qualcosa da fare - Cesare diede l'ordine di radere al suolo l'intera città e il tempio lasciando solo le torri che superavano le altre in altezza, Fasael, Ippico e Mariamme, e il settore delle mura che cingeva la città a occidente:


Libro VII:2 questo per proteggere l'accampamento dei soldati che vi sarebbero rimasti di guar­nigione, le torri per far comprendere ai posteri com'era grande e fortificata la città che non aveva potuto resistere al valore dei soldati romani.
Libro VII:3 Tutto il resto della cinta muraria fu ab­battuto e distrutto in maniera così radicale, che chiunque fosse arrivato in quel luogo non avrebbe mai creduto che vi sor­geva una città.
Libro VII:4 Tale dunque, per colpa dei pazzi rivoluzionati, fu la fine di Gerusalemme, una città ammirata e famosa in tutto il mondo.
Libro VII:5 - 1, 2. Cesare decise di lasciarvi come presidio la legione decima con l'appoggio di un certo numero di ali di cavalleria e di coorti di fanteria, e avendo ormai concluso le operazioni di guerra desiderava elogiare l'esercito nell'insieme per il valoroso comportamento e consegnare le dovute ricompense a chi si era particolarmente distinto.
Libro VII:6 Fattasi innalzare una grande tribuna in mezzo al precedente accampamento, egli vi montò col seguito dei generali, sì che tutto l'esercito potesse udirlo, e anzitutto gli rese molte grazie per il fedele attacca­mento dimostrato in ogni occasione.
Libro VII:7 Lo elogiò, poi, per la disciplina di cui assieme al valore aveva dato prova in molti e gravi pericoli durante tutta la guerra, contribuendo ad accre­scere la potenza della patria e rendendo manifesto a tutto il mondo che né schiere innumerevoli di nemici, né sistemi di fortificazione o grandezza di città o dissennata audacia o selvaggia ferocia degli avversari potevano resistere al valore dei romani, anche se spesso a taluni era toccato il favore della fortuna.
Libro VII:8 Era per loro ragione di gloria, aggiunse, l'aver con­dotto a termine una guerra durata così a lungo, perché quan­do l'avevano incominciata non potevano augurarsi di con­cluderla meglio;
Libro VII:9 ma un motivo di maggior gloria e di vanto rappresentava per loro il fatto che tutti avevano accolto con soddisfazione quelli che essi avevano eletti e inviati in patria per governare e reggere l'impero romano, e che tutti s'inchi­navano ai loro decreti pieni di gratitudine verso chi li aveva proclamati imperatori.
Libro VII:10 Perciò, proseguì Tito, egli provava per tutti ammirazione e affetto, ben sapendo che ognuno si era impegnato al massimo delle sue possibilità;
Libro VII:11 a chi però si era battuto distinguendosi per maggior capacità e non solo aveva dato lustro coi suoi atti di valore alla propria vita, ma con le sue imprese aveva anche resa più famosa la sua campagna, disse di voler consegnar subito le ricompense e le insegne onorifiche; nessuno di coloro che avevano volonta­riamente affrontato fatiche superiori agli altri sarebbero rima­sti privi del giusto riconoscimento.
Libro VII:12 Era proprio questo ciò che gli stava a cuore più di ogni altra cosa, anche perché egli si sentiva portato più ad onorare il valore dei suoi soldati che a punirne le manchevolezza.
Libro VII:13 - 1, 3. Pertanto, diede subito ordine a chi ne aveva l'inca­rico di leggere i nomi di tutti quelli che nel corso della guerra avevano compiuto qualche atto di valore.
Libro VII:14 Come questi venivano avanti, egli, chiamandoli a nome, li elogiava congratu­landosi vivamente delle loro imprese come si trattasse di sue proprie, e li incoronava di corone d'oro e dava loro collane d'oro e piccole lance d'oro e vessilli fatti d'argento;
Libro VII:15 a ognuno concesse poi la promozione al grado superiore e inoltre dal bottino distribuì loro in grande abbondanza argento, oro, vesti e altri oggetti.
Libro VII:16 Quando tutti furono ricompensati nella misura che egli ritenne giusta, e dopo aver fatto voti per tutto l'esercito, Tito scese tra grandi acclamazioni recandosi a celebrare i sacrifici per la vittoria; presso gli altari era un gran numero di buoi ed egli, dopo averli tutti sacrificati, li distribuì all'esercito perché banchettasse.
Libro VII:17 Insieme con i suoi generali egli passò tre giorni a far festa; poi spedì il resto dell'esercito nelle località stabilite tranne la legione decima, che lasciò a presidiare Gerusalemme, senza inviarla a rioccu­pare le precedenti sedi sull'Eufrate.
Libro VII:18 La legione dodicesima, considerando che quand'era agli ordini di Cestio era stata battuta dai giudei, egli addirittura la rimosse dalla Siria e, mentre prima era accampata a Rafanee, la spedì nella città chiamata Melitene sita presso l'Eufrate, al confine tra l'Ar­menia e la Cappadocia.
Libro VII:19 Le altre due legioni, la quinta e la quindicesima, decise di tenerle al suo seguito finché non arri­vava in Egitto.
Libro VII:20 Quindi alla testa del suo esercito si trasferì a Cesarea sul mare, dove ripose la massa del bottino e fece tenere in custodia i prigionieri; infatti, l'inverno impediva di prendere il mare verso l'Italia.


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