CAPITOLO QUINTO
Libro II:66 - 5, 1. Ricevute le lettere da Sabino e dai suoi ufficiali, Varo ebbe timore per l'intera legione e si affrettò a muovere in aiuto.
Libro II:67 Prese le altre due legioni con le quattro ali di cavalleria che le rafforzavano e si mise in marcia verso Tolemaide, comandando che ivi si radunassero anche gli ausiliari dei re e dei dinasti; da quelli di Berito, passando per la città, si fece fornire mille e cinquecento opliti.
Libro II:68 Quando a Tolemaide fu raggiunto da tutte le altre forze alleate, nonché dall'arabo Areta che in odio ad Erode era arrivato alla testa di un grosso contingente di fanti e cavalieri, Varo spedì senza indugi contro la Galilea confinante col territorio di Tolemaide una parte dell'esercito agli ordini di Gaio, uno dei suoi amici; questi, piegata ogni resistenza, prese la città di Sepphoris e la diede alle fiamme facendone schiavi gli abitanti.
Libro II:69 Col resto dell'esercito Varo discese nella Samaria, e senza toccare la città, che nei disordini generali non si era mossa, si accampò nei pressi di un villaggio chiamato Arus: questo era un possedimento di Tolemeo e perciò fu saccheggiato dagli arabi, che erano furiosi anche contro gli amici di Erode.
Libro II:70 Di lì egli avanzò su Sappho, un altro villaggio fortificato, che ugualmente venne saccheggiato al pari di tutti i villaggi confinanti in cui s'imbatterono. Dovunque erano stragi e incendi, e nulla si salvava dalle ruberie degli arabi.
Libro II:71 Anche Emmaus, donde gli abitanti erano fuggiti, fu data alle fiamme per ordine di Varo, che così volle vendicare la strage di Areio e dei suoi uomini.
Libro II:72 - 5, 2. Di lì mosse su Gerusalemme, e il suo solo apparire con l'esercito fece scomparire gli accampamenti dei giudei.
Libro II:73 Costoro si dispersero in fuga nella regione mentre quelli della città gli fecero buone accoglienze e declinarono ogni responsabilità dei disordini, affermando che loro non si erano mossi, che erano stati costretti a far entrare quelli del contado a motivo della festa religiosa, sì che lungi dall'aver collaborato con i ribelli erano piuttosto rimasti anch'essi assediati insieme coi romani.
Libro II:74 In precedenza gli erano andati incontro Giuseppe, il cugino di Archelao, insieme con Grato e Rufo, comandanti dell'esercito regio e dei Sebasteni, e i soldati della legione romana schierata nei ranghi secondo la formazione abituale; Sabino, invece, non osando nemmeno presentarsi dinanzi a Varo, era uscito dalla città avviandosi verso la costa.
Libro II:75 Varo spedì una parte dell'esercito nel paese alla ricerca dei responsabili della rivolta, e dei molti che furono tradotti dinanzi a lui, quelli che apparvero meno turbolenti li gettò in prigione, quelli maggiormente colpevoli li fece crocifiggere in numero di circa duemila.
Libro II:76 - 5, 3. Gli fu riferito che nell'Idumea restavano ancora bande per un totale di diecimila uomini. Visto che gli arabi non si comportavano da buoni alleati, ma combattevano seguendo unicamente i loro sentimenti ostili, e in odio ad Erode devastavano il paese più di quanto egli non volesse, Varo li rimandò in patria e mosse contro i ribelli coi propri uomini.
Libro II:77 Prima di venire a battaglia, questi per consiglio di Achiab si arresero, e Varo concesse il perdono ai gregari mentre i capi li inviò a Cesare perché venissero giudicati.
Libro II:78 Cesare perdonò gli altri, ma alcuni dei congiunti del re - v'era infatti tra quelli più d'uno legato a Erode da vincoli di parentela - egli comandò di punirli perché avevano preso le armi contro un re che apparteneva alla loro famiglia.
Libro II:79 In tal modo Varo sistemò le cose in Gerusalemme, e, dopo avervi lasciato di guarnigione la stessa legione di prima, se ne ritornò ad Antiochia.
LIBRO II CAPITOLO SESTO
Libro II:80 - 6, 1. Nel frattempo, a Roma, Archelao dovette affrontare un altro giudizio contro alcuni giudei, che prima della rivolta erano stati inviati col permesso di Varo a trattare il problema dell'indipendenza nazionale. Erano arrivati in numero di cinquanta, ma li appoggiavano più di ottomila giudei che vivevano a Roma.
Libro II:81 Cesare raccolse il consiglio dei magistrati romani e dei suoi amici nel tempio di Apollo sul Palatino, che egli stesso aveva fatto costruire adornandolo con meravigliosa magnificenza; da una parte intorno agli ambasciatori la folla dei giudei, dall'altra Archelao con i suoi amici;
Libro II:82 gli amici dei parenti di lui non si unirono a nessuna delle due parti, non sopportando di stare a fianco di Archelao per l'avversione che nutrivano verso di lui, e d'altra parte vergognandosi che Cesare li vedesse far causa comune con gli accusatori.
Libro II:83 Fra i presenti era anche Filippo, il fratello di Archelao, inviato amichevolmente da Varo col seguito di una scorta per due motivi: per appoggiare Archelao e per ottenere una parte del patrimonio di Erode nel caso che Cesare l'avesse ripartito fra tutti i suoi discendenti.
Libro II:84 - 6, 2. Data la parola agli accusatori, essi in primo luogo trattarono delle illegalità commesse da Erode, dicendo di aver sopportato non un re, ma il tiranno più feroce fra quanti ve ne fossero mai stati. Le sue vittime erano state un'infinità, ma coloro che erano stati risparmiati avevano sofferto tali patimenti da invidiare gli uccisi.
Libro II:85 Egli aveva messo alla tortura non soltanto i corpi dei suoi sudditi, ma anche le loro città, e mentre aveva mandato in rovina le proprie, aveva abbellito quelle degli altri, facendo omaggio del sangue della Giudea ai popoli stranieri.
Libro II:86 In luogo dell'antica prosperità e delle patrie leggi, regnavano tra il popolo la miseria e la più dura iniquità, e insomma i giudei sotto Erode in pochi anni avevano sofferto più sventure di quante gli antenati ne avevano mai patite in tutto il tempo trascorso dopo la partenza da Babilonia, quando rimpatriarono sotto il regno di Serse.
Libro II:87 Erano scesi così in basso e si erano tanto abituati alla sventura, da sopportare l'amaro servaggio a un despotismo divenuto ereditario.
Libro II:88 Archelao, il figlio di un tale tiranno, dopo la morte del padre l'avevano prontamente acclamato re, e a lui si erano uniti nel compiangere la scomparsa del padre e nel far voti per il nuovo regno.
Libro II:89 Ma egli, come se si studiasse di non apparire figlio degenere di Erode, aveva inaugurato il regno con la strage di tremila cittadini: tante erano state le vittime sacrificate al dio per l'avvento al trono, cioè tanti erano stati i morti con cui aveva riempito il tempio in un giorno di festa.
Libro II:90 E allora era più che naturale che gli scampati da tanti disastri si fossero una buona volta posti faccia a faccia davanti alle loro sventure e volessero, come in guerra, essere colpiti davanti; pertanto supplicavano i romani di aver pietà di ciò che restava della Giudea e di non gettarne i brandelli superstiti in mano a chi li avrebbe crudelmente lacerati,
Libro II:91 ma di unire il loro paese alla Siria e di farlo reggere da propri governatori; avrebbero dimostrato come ben sapevano rispettare un governo giusto essi che allora venivano accusati di essere ribelli e sempre pronti a menare le mani.
Libro II:92 Con tale richiesta i giudei conclusero il loro atto d'accusa; poi si levò a parlare Nicola, che confutò le recriminazioni contro i re e a sua volta bollò l'insubordinazione del popolo e la sua naturale tendenza a disobbedire ai re. Pronunciò un'invettiva anche contro i parenti di Archelao che avevano fatto causa comune con gli accusatori.
Libro II:93 - 6, 3. Udite le due parti, Cesare per allora sciolse il consiglio, ma pochi giorni dopo assegnò la metà del regno ad Archelao col titolo di etnarca e promettendogli di crearlo re, qualora se ne fosse mostrato degno.
Libro II:94 L'altra metà la divise in due tetrarchie e le assegnò agli altri due figli di Erode, una a Filippo e l'altra ad Antipa, che aveva conteso il trono ad Archelao.
Libro II:95 Antipa ottenne la Perea e la Galilea, con una rendita di duecento talenti, mentre a Filippo furono attribuite la Batanea, la Traconitide, l'Auranitide e alcune parti dei possedimenti di Zenone presso la Paniade, con una rendita di cento talenti.
Libro II:96 Dell'etnarchia di Archelao facevano parte l'Idumea, tutta la Giudea e la Samaria, la quale fu esonerata da un quarto dei tributi a ricompensa per non essersi ribellata insieme con gli altri.
Libro II:97 Come città soggette egli ottenne Torre di Stratone, Sebaste, Ioppe e Gerusalemme, mentre le città greche di Gaza, Gadara e Ippo vennero staccate dal regno e annesse alla provincia di Siria. La rendita delle terre assegnate ad Archelao era di quattrocento talenti.
Libro II:98 Salome, oltre a ciò che il re le aveva lasciato per testamento, fu riconosciuta signora di Iamnia, Azoto e Fasaelide, e Cesare le fece omaggio anche del palazzo reale di Ascalona; dall'insieme raccoglieva rendite per sessanta talenti, ma i suoi possedimenti erano soggetti alla giurisdizione di Archelao.
Libro II:99 Degli altri membri della famiglia di Erode, ognuno ebbe quanto gli era stato lasciato nel testamento. Alle due figlie nubili del re Cesare aggiunse il dono di cinquecentomila dramme d'argento e le fece sposare con i figli di Ferora.
Libro II:100 Dopo la divisione del patrimonio egli ripartì fra loro anche il lascito ricevuto da Erode, che ammontava a mille talenti, conservando per sé solo qualche oggetto di poco conto in onore del defunto.
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