Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO UNDICESIMO

Libro II:204 - 11, 1. Essendo stato assassinato Gaio dopo aver regnato tre anni e otto mesi, le truppe di Roma acclamarono impera­tore Claudio,


Libro II:205 ma il senato, guidato dai consoli Senzio Satur­nino e Pomponio Secondo, affidata la custodia della città alle tre coorti rimaste fedeli, si radunò sul Campidoglio e, consi­derata la ferocia di Gaio, deliberò di opporsi con le armi a Claudio: infatti, o si doveva ritornare a un governo aristocra­tico, secondo l'antica costituzione, o si doveva scegliere con una votazione l'uomo degno di governare l'impero.
Libro II:206 - 11, 1. Allora si trovava a Roma Agrippa, che fu invitato per un consiglio sia dal senato, sia da Claudio nell'accampa­mento, affinché li assistesse in quel momento di bisogno. Quello, considerando che Claudio era ormai imperatore avendo l'appoggio dell'esercito, si recò da lui.
Libro II:207 E Claudio lo inviò come suo portavoce al senato per informarlo dei suoi intendimenti, e per dire anzitutto che contro il suo volete era stato sequestrato dai soldati, e come né stimava giusto di non curarsi della loro devozione né stimava prudente di non darsi pensiero della sua presente condizione; e infatti non era senza pericoli il trovarsi acclamato imperatore.
Libro II:208 In secondo luogo, doveva dire che Claudio avrebbe governato l'impero come un saggio reggitore, non come un tiranno; si sarebbe accontentato del­l'onore del titolo, mentre per ogni pubblico affare si sarebbe consigliato con tutti; se anche non fosse stato per natura mo­derato, la fine di Gaio rappresentava un sufficiente ammoni­mento ad agire con assennatezza.
Libro II:209 - 11, 3. Tale fu il messaggio portato da Agrippa. Ma il se­nato rispose che, confidando nell'esercito e nella bontà della sua causa, non si sarebbe piegato volontariamente alla schia­vitù. Claudio, come apprese il responso del senato, inviò di nuovo Agrippa a replicare che egli non si sarebbe risolto a tradire quelli che concordemente si erano dichiarati per lui, e che purtroppo avrebbe dovuto lottare contro chi meno avrebbe voluto.
Libro II:210 Occorreva pertanto scegliere un luogo fuori della città per lo scontro armato; sarebbe stata un'empietà che per i loro malvagi disegni il suolo della patria fosse con­taminato dal sangue della guerra civile. Questo Agrippa riferì ai senatori.
Libro II:211 - 11, 4. Nel frattempo, uno dei soldati che stavano con il senato sguainò la spada e gridò: “Commilitoni, perché vo­gliamo uccidere i nostri fratelli e assalire i nostri parenti che stanno con Claudio, mentre abbiamo un imperatore a cui non si può fare alcun rimprovero e tanti obblighi verso coloro contro i quali stiamo per muovere in armi?”.
Libro II:212 Ciò detto, egli attraversò l'intero senato portandosi dietro tutti i suoi com­pagni d'arme. I senatori, sul momento, furono presi dal ter­rore per questa diserzione; poi, non apparendo altra via di scampo, si affrettarono a raggiungere Claudio sulle orme dei soldati.
Libro II:213 Davanti alle mura si fecero loro incontro con le spade sguainate gli opportunisti più arrabbiati, e le vite dei senatori che avanzavano in prima fila avrebbero corso un serio peri­colo, prima che Claudio venisse a sapere dell'intenzione dei soldati, se Agrippa non fosse corso ad informarlo della gravità della situazione e a dirgli che, se non avesse contenuto il furori di quei pazzi verso i senatori, avrebbe perduto quelli che da­vano lustro al suo potere e sarebbe stato re di un deserto.
Libro II:214 - 11, 5. Udito ciò, Claudio mise un freno alle furie dei sol­dati, accolse i senatori nell'accampamento e dopo aver rivolto ad essi un cordiale indirizzo uscì subito dopo accompagnato da loro per offrire a Dio sacrifici di ringraziamento per l'ele­zione a imperatore.
Libro II:215 Ad Agrippa fece immediatamente dono di tutto il regno avito, aggiungendovi anche territori esterni come la Traconitide e l'Auranitide che erano stati donati ad Erode da Augusto, e inoltre anche un altro regno, quello detto di Lisania.
Libro II:216 Questa donazione egli la notificò al popolo mediante un editto che dai magistrati fece incidere su tavole di bronzo depositate sul Campidoglio.
Libro II:217 Claudio poi fece dono del regno di Calcide al fratello di Agrippa, Erode, che era anche suo genero per aver sposato Berenice.
Libro II:218 - 11, 6. Ben presto, poiché si trattava di un regno così grande, Agrippa raccolse ingenti tesori, ma non poté farne uso per molto tempo; cominciò infatti a costruire attorno a Gerusalemme un muro così grande che, se fosse stato com­piuto, avrebbe più tardi reso infruttuoso ai romani l'assedio della città.
Libro II:219 Ma prima di condurre a termine l'opera morì in Cesarea dopo un regno di tre anni, mentre prima per altri tre anni aveva governato sulle sue tetrarchie.
Libro II:220 Lasciò tre figlie nate da Cipro, Berenice, Mariamme e Drusilla, e un figlio nato dalla medesima, Agrippa. Essendo questi troppo gio­vane, Claudio ridusse i regni nuovamente a provincia e vi in­viò come procuratore Cuspio Fado, e dopo di lui Tiberio Alessandro, i quali, astenendosi dall'interferire negli usi nazio­nali, mantennero in pace il paese.
Libro II:221 Più tardi, venne a morte anche il re di Calcide, Erode, che lasciò due figli avuti dalla nipote Berenice, Bereniciano e Ircano, e un altro nato dalla moglie precedente Mariamme, Aristobulo. Gli morì anche un altro fratello di condizione privata, Aristobulo, lasciando una figlia di nome Iotape.
Libro II:222 Questi erano pertanto, come ho detto sopra, figli di Aristobulo figlio di Erode; Erode aveva avuto da Mariamme i due figli Aristobulo e Alessandro, che poi il padre condannò a morte; i posteri di Alessandro diven­tarono re dell'Armenia maggiore.

LIBRO II

CAPITOLO DODICESIMO

Libro II:223 - 12, 1. Dopo la morte di Erode, che aveva regnato su Calcide, Claudio sul trono dello zio mise Agrippa figlio di Agrip­pa; nel governo del resto della provincia ad Alessandro suc­cesse Cumano, sotto il quale ricominciarono i disordini e si verificò una nuova strage di giudei.


Libro II:224 Essendosi la folla raccolta a Gerusalemme per la festa degli Azzimi, ed essendosi schierati la coorte romana sopra al portico del tempio - giacché usa­vano vigilare in armi in occasione delle feste, per evitare che la folla, raccolta insieme, desse inizio a qualche sommossa - uno dei soldati, sollevatasi la veste e inchinatosi con mossa inde­cente, mostrò ai giudei il suo deretano accompagnando il ge­sto con un acconcio rumore.
Libro II:225 La cosa fece imbestialire la folla, che con grandi schiamazzi esigeva da Cumano la punizione del soldato, mentre i giovani con la testa più calda e gli ele­menti per loro natura più ribelli del popolo si gettavano allo sbaraglio e, afferrate delle pietre, le scagliavano contro i sol­dati.
Libro II:226 Cumano, temendo di essere assalito dal popolo intero, fece affluire dei rinforzi. Quando questi arrivarono sotto i portici, i giudei furono presi da un panico irresistibile, e volte le spalle cercavano di fuggire dal tempio verso la città.
Libro II:227 Ma la stretta della folla che si accalcava nei pressi delle uscite fu tale, che più di trentamila persone morirono calpestandosi e schiac­ciandosi fra loro, e la festa si risolse in un lutto per tutta la nazione, con lamenti in ogni casa.
Libro II:228 - 12, 2. A questa sciagura seguirono altri disordini causati da briganti. Sulla strada pubblica che sale verso Bethhoron dei briganti piombarono addosso a un tale Stefano, un servo dell'imperatore, e lo depredarono del bagaglio che traspor­tava.
Libro II:229 Cumano mandò delle pattuglie nei villaggi vicini con l'ordine di prendere gli abitanti e di portarglieli dinanzi, im­putando loro di non aver inseguito e catturato i briganti. In quell'occasione uno dei soldati, avendo trovato in un villaggio una copia della legge sacra, lacerò il libro e lo gettò nel fuoco.
Libro II:230 I giudei ne furono sconvolti, come se fosse stato dato alle fiamme l'intero paese, e spinti dalla loro religiosità come da una molla, alla prima notizia del fatto tutti si raccolsero in massa a Cesarea intorno alla residenza di Cumano, chiedendogli di non lasciare impunito chi aveva arrecato una tale offesa a Dio e alla loro legge.
Libro II:231 Cumano, visto che il popolo non si cal­mava se non otteneva soddisfazione, si decise a far venire il soldato e comandò che, passando attraverso la folla dei suoi accusatori, fosse condotto al supplizio. E allora i giudei si ri­tirarono.
Libro II:232 - 12, 3. Si ebbe poi un violento scontro fra Galilei e Samaritani. Infatti presso il villaggio chiamato Gema, che è sito nella grande pianura della Samaritide, mentre un gran nu­mero di giudei si recavano alla festa, rimase ucciso un Ga­lileo.
Libro II:233 Accorse allora dalla Galilea una gran folla con l'inten­zione di dare addosso ai Samaritani, mentre i maggiorenti si recavano da Cumano a pregarlo, prima che avvenisse l'irreparabile, di trasferirsi in Galilea e punire i colpevoli del delitto: era l'unico modo di disperdere la folla prima che cominciasse a scorrere il sangue. Ma Cumano, considerando la loro richiesta meno importante degli affari che in quel momento lo tenevano occupato, li congedò senza esaudirli.
Libro II:234 - 12, 4. Quando la notizia del delitto arrivò a Gerusalemme, la folla ne rimase sconvolta e, abbandonata la festa, mosse al­l'attacco di Samaria senza comandanti e senza dare ascolto a nessuno dei magistrati che cercavano di trattenerla.
Libro II:235 I briganti e i ribelli che ne facevano parte avevano alla loro testa Elea­zar, figlio di Dineo, e Alessandro; piombati addosso agli abitanti del vicino distretto dell'Acrabatene, essi ne fecero strage senza aver riguardo per l'età e diedero alle fiamme i villaggi.
Libro II:236 - 12, 5. Cumano, presa da Cesarea un'ala di cavane­ria detta dei Sebasteni, accorse in aiuto delle vittime dei di­sordini, e dei partigiani di Eleazar molti ne catturò e ancor più ne uccise.
Libro II:237 Il resto della folla che muoveva ad attaccare i Sa­maritani venne raggiunto dai magistrati di Gerusalemme che, vestiti di sacchi e col capo cosparso di cenere, li supplicarono di tornate indietro, di non attirare i romani contro Gerusa­lemme per voler punire i Samaritani, di aver pietà della patria e del tempio, dei figli e delle loro mogli, che correvano tutti un pericolo mortale per vendicare l'uccisione d'un solo Ga­lileo. I giudei prestarono ascolto e si dispersero.
Libro II:238 Ma molti, imbaldanziti dall'impunità, si diedero al brigantaggio, e in tutta la regione si ebbero saccheggi e violenze ad opera dei più temerari.
Libro II:239 I notabili della Samaria, recatisi a Tiro presso Um­midio Quadrato, che era allora il governatore della Siria, gli chiesero di infliggere un qualche castigo a quelli che avevano devastato la regione.
Libro II:240 Ma arrivarono anche i maggiorenti dei giudei, fra cui il sommo sacerdote Gionata figlio di Anano, i quali sostennero che erano stati i Samaritani a dar inizio ai disordini con l'assassinio, e che di quanto era poi successo la colpa era di Cumano, che non aveva voluto perseguire gli autori del delitto.
Libro II:241 - 12, 6. Quadrato per il momento rinviò le due parti dicendo che avrebbe svolto precise indagini quando si fosse recato sul posto, quindi si portò a Cesarea, dove fece crocifiggere tutti i prigionieri fatti da Cumano.
Libro II:242 Di lì passò a Lidda, dove concesse una seconda udienza ai Samaritani, e avendo ordinato che ve­nissero tradotti dinanzi a lui diciotto giudei, di cui si era asso­dato che avevano preso parte agli scontri armati, li fece decapitare.
Libro II:243 Altri due personaggi fra i più eminenti, e i sommi sa­cerdoti Gionata e Anania, e il figlio di costui Anano, e alcuni altri notabili dei giudei li inviò a Cesare, e così pure i perso­naggi più importanti dei Samaritani.
Libro II:244 Comandò anche a Cu­mano e al tribuno Celere d'imbarcarsi alla volta di Roma per render conto a Claudio di quanto era accaduto. Presi questi provvedimenti, da Lidda andò a Gerusalemme e, visto che il popolo era intento a celebrare pacificamente la festa degli Azzimi, si ritirò ad Antiochia.
Libro II:245 - 12, 7. A Roma Cesare, uditi Cumano e i Samaritani - ed era presente anche Agrippa, che si batté vigorosamente a so­stegno dei giudei, mentre Cumano era appoggiato da molti personaggi influenti - pronunciò una sentenza di condanna a carico dei Samaritani, di cui mise a morte tre dei capi più im­portanti, e inoltre mandò in esilio Cumano.
Libro II:246 Quanto a Celere, comandò che fosse rinviato in catene a Gerusalemme e con­segnato ai giudei perché lo schernissero e, dopo essere stato così trascinato per la città, venisse decapitato.
Libro II:247 - 12, 8. Dipoi Claudio inviò Felice, il fratello di Pallante, come procuratore della Giudea, della Samaria, della Galilea e della Perea, e trasferì Agrippa da Calcide a un regno mag­giore assegnandogli i domini che un tempo erano appartenuti a Filippo, cioè la Traconitide, la Batanea e la Gaulanitide, cui aggiunse il regno di Lisania e l'antica tetrarchia di Varo.
Libro II:248 Dopo aver retto l'impero per tredici anni, otto mesi e venti giorni, Claudio morì lasciando come successore Nerone,
Libro II:249 che egli per le male arti di sua moglie Agrippina aveva adottato come erede al trono, sebbene avesse un figlio legittimo, Britannico, nato dalla precedente moglie Messalina, e una figlia, Ottavia, da lui fatta sposare a Nerone. Aveva avuto anche un'altra figlia, Antonia, nata dal matrimonio con Petina.


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