Polonia e Repubblica ceca studiano un fenomeno nuovo: l’immigrazione
Non sono soltanto i paesi della vecchia UE a 15 a dover affrontare il tema complesso della gestione dei flussi migratori e della tutela dei diritti dei lavoratori stranieri: anche in paesi di più recente adesione, come Polonia e Repubblica ceca, le istituzioni monitorano il fenomeno – relativamente nuovo - per tracciarne la fisionomia e gli aspetti problematici.
In Polonia, l’Ispettorato del lavoro ha recentemente reso noti i risultati di un’indagine che riguarda in particolare il rispetto da parte dei datori delle normative sui rapporti di lavoro e sulla salute e sicurezza, in particolare per quanto concerne l’impiego di lavoratori stranieri, nonché tasso e tipologia delle eventuali violazioni e andamento di questi dati nel corso degli ultimi anni; il tutto anche in rapporto al rafforzamento delle attività del PIP (l’organo ispettivo polacco) dopo la riforma del 2007. Le ispezioni da cui sono stati ricavati i dati coprono 61 mila aziende per un totale di oltre 4 milioni e mezzo di lavoratori, soprattutto nei settori commerciale, manifatturiero, edile e alberghiero. In particolare, per quello che riguarda i lavoratori stranieri (soprattutto provenienti dai paesi vicini non UE, come Russia, Bielorussia e Ucraina), nel 26% dei casi ispezionati nei quali la legge prevede un permesso di lavoro, questo mancava (è il caso più frequente) o le condizioni effettive di lavoro non corrispondevano a quelle indicate nel permesso, perché il rapporto di lavoro proseguiva anche dopo la scadenza dello stesso. Insieme, le tre nazionalità ricordate sopra (ucraini in particolare) costituiscono il 62% dei lavoratori stranieri scoperti in condizioni di illegalità; la parte restante è costituita prevalentemente da cittadini di paesi asiatici (Cina, Corea, Malaysia e Vietnam). Quanto all’evoluzione del fenomeno, i dati sembrano suggerire una tendenza al consolidarsi di uno stato di legalità nell’impiego di migranti, che di per sé è un fattore non ancora molto rilevante nel mercato del lavoro polacco ma in probabile crescita. Tuttavia, non si fa menzione di altri aspetti potenzialmente problematici quali mobbing, gap salariale tra uomini e donne, inclusione delle persone a rischio di marginalità sociale e lavorativa.
L’indagine condotta nella Repubblica ceca, invece, rivela che la maggior parte della forza lavoro straniera legale è impiegata in lavori manuali che i lavoratori locali considerano poco attraenti (69%): si tratta spesso di lavoro non stabile, caratterizzato da orari molto flessibili, bassi salari e scarse possibilità formative. Va detto però che la presenza di cittadini stranieri è piuttosto alta anche in quei lavori manuali che richiedono elevata specializzazione e studi di livello universitario (li ha infatti compiuti il 10% degli uomini e il 14% delle donne). Vi è una percentuale considerevole degli impieghi stagionali e a termine, che suggerisce come l’impiego di forza lavoro straniera sia spesso legato alle richieste momentanee del mercato, soprattutto quando si tratta di lavoro manuale (il 40% dei datori ha risposto in tal senso) ma anche nelle posizioni più specializzate, in oltre un quarto dei casi. Questo è dovuto anche alle norme che regolano l’ingresso per lavoro, che avviene dietro rilascio di un visto con durata limitata.
La situazione di svantaggio dei lavoratori migranti rispetto ai locali emerge anche per quanto riguarda l’accesso alle opportunità formative: nell’ambito del lavoro manuale, a parità di posizione lavorativa, il 37% dei datori lo garantiscono ai secondi, solo il 23% anche ai primi. Il gap, peraltro, scompare nel caso del lavoro non manuale. Ad una percentuale consistente di lavoratori stranieri, poi, vengono richiesti straordinari fine settimanali (72%), festivi (61%) o notturni (32%), anche se la maggioranza dei datori ha dichiarato di andare parallelamente incontro alle necessità del dipendente straniero quando si tratta di consentire una certa elasticità nell’orario.
Inps: pensioni in convenzione internazionale integrate al trattamento minimo
L’Inps sta provvedendo ad inviare, come ogni anno, una comunicazione indirizzata ai titolari di pensioni in regime internazionale integrate al trattamento minimo, residenti all’estero e residenti in Italia che nel corso dell’anno 2009 compiranno l’età pensionabile prevista dai regimi assicurativi esteri. La comunicazione è composta da una lettera attraverso la quale l’Inps fa presente all’interessato che la sua pensione - liquidata sulla base dei periodi assicurativi italiani ed esteri – è stata integrata al trattamento minimo, e di un modulo che deve essere compilato con tutte le informazioni riguardanti l’eventuale titolarità di pensioni a carico di Enti previdenziali esteri. L'integrazione al trattamento minimo infatti, per evitare che l’interessato possa trovarsi a dover restituire somme percepite indebitamente, viene sospesa dal primo giorno del mese successivo a quello di compimento dell'età pensionabile prevista dal regime assicurativo estero.
Cittadini neocomunitari in Italia: disoccupazione agricola e trattamenti di famiglia
Ecco alcune precisazioni che l’Inps ha fornito in merito alla trattazione delle domande di disoccupazione agricola presentate dai lavoratori agricoli neocomunitari. I lavoratori subordinati cittadini dei seguenti paesi neocomunitari: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, i periodi di lavoro dipendente svolta nel settore agricolo a partire dal 1° maggio 2004 – data di ingresso di questi paesi nella UE - sono soggetti all'assicurazione per la disoccupazione involontaria e per i trattamenti di famiglia anche quando si riferiscono a lavoro di natura stagionale. Analogamente, sono soggetti all'assicurazione per la disoccupazione involontaria e per i trattamenti di famiglia i periodi di lavoro dipendente agricolo – stagionale o meno - svolti dai cittadini bulgari e rumeni a partire dal 1° gennaio 2007.
Ai fini del perfezionamento del requisito assicurativo, quando questo vada ricercato nei periodi antecedenti al 2004 e 2007, sono considerati utili i periodi di lavoro dipendente agricolo (ed eventualmente non agricolo) svolti in Italia, purché di natura non stagionale, e/o i periodi assicurativi relativi a lavoro svolto nel paese d'origine, risultanti dal formulario E301. Nel caso in cui il lavoratore neocomunitario, nell'anno solare precedente alla data di entrata nella Ue (2003 e 2006 rispettivamente) abbia svolto attività lavorativa agricola subordinata di natura stagionale e non, il requisito assicurativo è perfezionato sulla base dell'attività non stagionale: l'assicurazione da disoccupazione involontaria per attività agricola dipendente, anche se versata per parte dell'anno, copre infatti l'anno intero.
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